Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: LyaStark    03/11/2016    0 recensioni
Nel regno di Viride far parte della Corporazione degli Assassini è un privilegio, e Marcus ne è più che mai consapevole. Lui e i suoi amici vivono per obbedire, per soddisfare i desideri della famiglia reale. Ma cosa fare quando è la figlia del Re a chiedere aiuto, andando contro la sua stessa famiglia? Cosa fare quando il nemico è la Regina stessa, implacabile e pericolosa?
Marcus e i suoi amici dovranno capire in chi riporre la loro lealtà, ma hanno poco tempo perché la guerra incombe, su di loro e su tutto ciò che conoscono, pronta a distruggere ogni cosa.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO XV

MARCUS

 
I preparativi fervevano in tutto il regno di Albis. Dai nostri nuovi appartamenti a Palazzo ci accorgemmo in fretta che la città era scossa da un grande fermento: c’era un grande andirivieni per i corridoi e i cortili, uomini in divisa correvano da una parte all’altra consegnando ordini e dispacci. Solo la Regina sembrava al di sopra di tutta quell’agitazione: maestosa e rilassata, in sua presenza regnava la calma.
    Più osservavo Vanessa Elvere, più mi rendevo conto del perché la sua grandezza fosse raccontata in tutto il mondo. La sovrana era incredibilmente bella e serena, emanava una sensazione di potere e intelligenza che, quelle rare volte che mi trovai al suo cospetto, mi faceva sentire quasi spaventato. Nessuna delle altre regnanti che avevo visto mi era mai sembrata così degna del trono.
    Durante il periodo che passammo ad Albis vedemmo poco Camille. Era spesso in compagnia della regina Vanesse e, sebbene non si facessero vedere l’una al fianco dell’altra in pubblico, sapevo che passavano molto tempo insieme. In un primo momento pensai che fosse per tenerla d’occhio, ma lentamente mi resi conto che la sovrana Elvere aveva in qualche modo preso sotto la sua ala Camille, insegnandole e facendole vedere come dovesse comportarsi una Regina.
    Mentre Camille era così impegnata, io, Andreas, Mel e Jared girammo per la città e i suoi dintorni. Non credo che potrò mai vedere qualcosa di così splendido come Egalia, la Regina del Deserto. Era un prodigio di architettura, arte e bellezza. Le case, basse e bianche, si inerpicavano sulle alture su cui sorgeva la città. Non c’erano bassifondi ma ogni angolo della città era ugualmente splendente, così diversa da Elea e dai suoi quartieri malfamati, spogli e cadenti a pezzi. Fontane d’argento sorgevano nelle piazze, dove bambini giocavano a palla e anziani parlavano seduti su panche di legno chiaro. Avrei passato le ore con il naso per aria, osservando i palazzi chiari, i fregi dorati, lo zampillare dell’acqua.
    Per la gioia di Andreas passammo anche qualche giorno accampati in un’oasi nel deserto, poco distante dalla città. Ci godemmo la sensazione del sole, della sabbia e, incredibilmente, della tranquillità. Era la prima volta da molto tempo che ci trovavamo tutti insieme senza la preoccupazione di dover scappare, di doverci nascondere, di fare la guardia. Mi sembrava di essere tornato alla Corporazione, durante gli anni dell’addestramento.
    Tutto questo finì fin troppo presto: la data del matrimonio reale tra Auremore e Coverano si avvicinava. Un giorno, mentre stavo aspettando nel corridoio insieme a Jared che Mel e Andreas uscissero dalla loro stanza, Camille ci si avvicinò. Vidi Jared spalancare gli occhi mentre lei procedeva nel corridoio e quasi feci fatica a riconoscerla.
    Camille era sempre stata bella, almeno per me, ma ora… ora era stupenda. Aveva lavato via la tintura scura per i capelli, lasciando che risplendessero del rosso che ricordavo così bene da quando l’avevo salvata la prima volta anni prima. Gli occhi verdi sembravano due smeraldi sul viso chiaro, luminosi e grandissimi. La bocca era piegata in un sorriso che mi sembrò il più sensuale che avessi mai visto. Il vestito verde che portava aveva una profonda scollatura, lasciando intravedere la dolce curva del seno. Deglutii, improvvisamente avevo la bocca secca.
    – Camille, stai benissimo – esordì il mio amico, prendendo la mano di Camille e baciandola elegante. Avrei voluto avere la metà della sua prontezza.
    Lei rise, una sfumatura rosata le imporporò le guance: – Grazie. La Regina pensava che non avessi l’aspetto di una pretendente al trono e il risultato è stato questo, – disse, indicando con un ampio gesto il vestito. – Ha funzionato? –
    – Direi di sì – rispose Jared sorridendo, mentre io mi costringevo ad annuire.
    – Comunque, – continuò Camille tornando seria. – L’esercito è pronto a muoversi verso il confine e la Regina ci ha proposto, cioè ordinato in maniera gentile, di muoverci insieme. La partenza è fissata per domani, non so ancora l’orario. –
    Annuii a caso, troppo impegnato a guardarla per poter recepire che cosa mi stesse dicendo. La osservai scambiare ancora qualche parola con Jared senza far parte della conversazione, prima che ci salutasse e si allontanasse lungo il corridoio.
    – Marcus, tutto bene? – mi domandò il mio amico, con un ghigno divertito stampato in viso. Io stavo ancora guardando il punto dove Camille era scomparsa.
    Mugugnai qualcosa in risposta, mentre Jared scuoteva la testa: – Sai, – mi disse, improvvisamente serio. – Non rimarrà libera per sempre. –
    Mi riscossi dalla mia estasi ritornando in me: – Ne abbiamo già parlato, Jared. Credi che ci sia una possibilità per me? Io sono un Assassino, lei una Principessa. –
    – Sì, lei è una Principessa, – disse Jared, facendo spallucce. – E in un futuro prossimo potrebbe essere Regina oppure morta. Con quale delle tre pensi di avere più speranze? –
    Aprii la bocca per ribattere ma non riuscii a proferire parola. Era strano, ma Jared aveva ragione. Non ci sarebbe stato un momento migliore per me e Camille perché, per quanto inopportuno fosse il presente, il futuro ci avrebbe solamente allontanati. Avrei potuto continuare a fare finta di niente e vivere il resto della mia vita con il rimpianto, oppure cercare di togliermi da quella impasse in quell’esatto istante.
    – Marcus, – continuò Jared mettendomi le mani sulle spalle, nella sua migliore imitazione di un fratello maggiore. – Vai. Di cosa hai paura? Che può succedere di male? Approfitta del tempo che hai. –
    Chiusi gli occhi per un istante mentre pensavo. Jared mi aveva convinto, aveva ragione. Annuii, mentre il mio amico mi dava una pacca sulla spalla. Mi misi a correre, sfrecciando davanti a un allibito Andreas che in quel momento apriva la porta della sua camera. Mi diressi verso il punto dove poco prima era sparita Camille, i miei passi affrettati risuonavano per il corridoio. Dopo pochi minuti intravidi finalmente la macchia verde del suo vestito mentre lei si girava, richiamata dal rumore che stavo facendo. Mi fermai a pochi passi da lei, guardandola in piedi nel corridoio bianco.
    – Marcus? – mi chiese sorridendo, piegando leggermente la testa. – Ti serve qualcosa? –
    Presi un respiro profondo e poi smisi di pensare. Feci tre passi veloci divorando lo spazio che ci separava, guardandola aggrottare incuriosita le sopracciglia. Le presi il viso tra le mani e la baciai, assaporando il sapore dolce delle sue labbra. Mi allontanai leggermente riaprendo gli occhi, sentendo il cuore battere come se volesse scapparmi dal petto. Camille deglutì, guardandomi con gli occhi verdi spalancati. Ero già pronto a scusarmi e a scomparire quando lei fece una risata cristallina e mi baciò a sua volta, a lungo. Quando smise lei ricominciai io e non so dire per quanto continuammo lì, in quel corridoio.
    Per me tutto nasceva e moriva sulle labbra di Camille. All’inizio fu dolce e lento, ma presto sentii nascere dentro di me un’urgenza nuova, che mi spingeva a baciare quella bocca come se la volessi divorare. Le mie mani abbandonarono il suo viso per scendere tra i capelli e sulla sua vita, stringendola di più a me. Brividi mi percorsero la schiena quando Camille mi morse il labbro inferiore in un modo che mi fece inceppare il respiro. Sentii la pelle d’oca sulla sua pelle mentre le accarezzavo le spalle e le braccia. Il suo sapore era qualcosa che non avevo mai provato prima: era fresco ma con una nota dolce e già sapevo che non avrei più potuto farne a meno.
    Mi staccai dalla sua bocca solo per scendere a baciarle il profilo della mascella, a morderle la pelle tenera del collo. Mi morse il lobo dell’orecchio e trattenni bruscamente il fiato mentre sentivo il suo respiro farsi sempre più affrettato. Sapevo che avrei dovuto controllarmi, che tutto quello era eccessivo, che era sconveniente… ma non riuscivo a fermarmi. Ero come in preda alla frenesia e per me non esisteva altro che Camille, il suo corpo, il suo profumo, le sue mani, la sua pelle. Mi sentivo come chi beve dopo che l’acqua gli è stata negata a lungo: attaccato alla fonte che mi dissetava senza né il potere né il desiderio di allontanarmi.
    Solo dei passi che risuonarono al fondo del corridoio ebbero la capacità di farci separare. Non vidi nemmeno chi ci passava vicino, troppo impegnato com’ero a guardare Camille e il rossore che le illuminava il viso, gli occhi grandi e dolci, le labbra gonfie per i baci che ci eravamo dati. Aveva il respiro affannato, il petto che si sollevava e abbassava velocemente.
    – Io… – iniziò Camille, ma fu costretta a schiarirsi la voce prima di poter continuare. – Se ti serviva questo potevi dirmelo anche prima. –
    Ridemmo per qualche istante e tracciai delicatamente con il pollice la linea delle sue labbra, improvvisamente serio: – Avrei dovuto. Volevo farlo da tanto. –
    Lei annuì: – Anche io. –
    Mi abbassai per baciarla di nuovo ma lei si scostò delicatamente, prendendomi le mani. Aggrottai le sopracciglia e stavo per chiederle perchè quando mi indicò con un cenno del capo un punto dietro di me. Mi girai e vidi le persone che ci avevano interrotto poco prima parlare nel corridoio, poco distanti da noi.
    Annuii ed ero pronto ad allontanarmi quando si avvicinò al mio viso, mormorandomi qualcosa all’orecchio.
    – Seguimi – mi disse, poi si voltò.
    Mi sembrava che ci fosse solo lei mentre attraversavamo il palazzo di Egalia quasi di corsa. Camminavo due passi dietro a lei, che ogni tanto si girava e mi sorrideva in un modo che sapevo essere dedicato solo a me. Non avevo idea di dove mi stesse portando, ma tanto l’avrei seguita ovunque. I capelli rossi dondolavano al ritmo dei suoi passi, lasciando intravedere la linea delicata delle spalle. Attraversammo sale piene di gente, corridoi affollati, disimpegni occupati da guardie, ma ognuna di queste persone attraversava il mio campo visivo solo per un attimo prima di sparire nel nulla.
    Camille mi condusse su per scale e lungo passaggi di marmo fino a fermarsi davanti a una porta di legno scuro. La vidi aprirla ed entrare in quelle che capii essere le sue stanze, per poi girarsi a guardarmi. Io, invece, mi fermai sulla porta. Avrei solo voluto entrare lì dentro con lei, ma l’ultimo pensiero razionale della giornata mi colse prima di poter fare anche un passo: se poi Camille se ne fosse pentita? Avevo già avuto altre donne nel corso della mia vita, ma non volevo rovinare tutto con lei. Volevo che fosse sicura di quello che stava facendo, che non si sentisse in nessun modo forzata. Se solo Jared avesse potuto vedermi si sarebbe schiantato dalle risate: sembravo l’eroe romantico di qualche storiella rosa.
    Camille sembrò leggermi nel pensiero. Mi si avvicinò camminando leggera e mi prese la mano, tirandomi piano: – Sono sicura – mormorò, senza abbassare gli occhi. Sembrava che le sue guance stessero andando in fiamme. Sorrisi e la seguii, e ricominciammo a baciarci ancora prima di sentire il rumore della porta che si chiudeva. Rimasi senza fiato e mi stupii di quanto fosse facile scambiarsi quelle effusioni, come se non avessimo mai fatto altro.
    Non so bene chi condusse chi verso il letto, chi iniziò a spogliare chi. So solo che in un istante tutto il mondo sparì e restammo solo io e lei, Marcus e Camille. E non mi sarebbe servito nient’altro per essere felice.
 
***
 
Ore più tardi, eravamo ancora sdraiati a letto. Un’aria leggera entrava dalle finestre aperte, facendo muovere lievemente le tende azzurrine. Giocherellavo distrattamente con una ciocca di capelli di Camille, che riposava con la testa appoggiata sul mio petto.
    – Posso chiederti una cosa? – mi domandò piano, mentre giochicchiava con il mio ombelico.
    – Dimmi. –
    Camille si girò di colpo, appoggiando il mento sul mio sterno. Aveva una luce maliziosa negli occhi, un sorriso divertito che le faceva spuntare una piccola fossetta. Non potei trattenermi dall’accarezzarle la guancia.
    – Come sono andata? – mi chiese, arrossendo un po’ ma senza distogliere lo sguardo.
    – Davvero me lo stai chiedendo? – chiesi, incredulo. Per me era stato fantastico, davvero fantastico, e che lei me lo chiedesse mi faceva sentire stranamente in colpa.
    – Beh, sì – ridacchiò lei. – Cioè, un’idea me la sono fatta, però… – tornò quasi seria mentre lo diceva.
    – Però? –
    – Però, ecco, diciamo che non è qualcosa che si insegna a palazzo e, non so, volevo avere il parere di un esperto. –
    Risi di cuore alle sue parole: – Mi reputi un esperto? Sono lusingato. –
    – Beh, sì… – tentennò, diventando sempre più rossa. – Mi sei sembrato parecchio bravo. –
    Il mio orgoglio maschile ebbe una vampata a quella conferma. Non riuscii a trattenere un sorrisetto compiaciuto e un’espressione soddisfatta.
    – Non gongolare! – mi riprese subito lei ridendo, ogni traccia di imbarazzo sparita, dandomi uno schiaffetto sulla pancia. Si era alzata in ginocchio sul materasso ed era quanto di più bello avessi mai visto in vita mia.
    Mi tirai a sedere anche io, mettendole una mano dietro la nuca e baciandola dolcemente.
    – Sei andata benissimo – le mormorai contro le labbra, la mano che percorreva la sua pelle nuda.
    Dopo poco tornammo a sdraiarci con lei a pancia in giù su di me, a guardarmi dall’alto. Ogni tanto mi dava un piccolo bacio sul collo mentre io riposavo a occhi socchiusi. Mi sentivo in un mio personale piccolo paradiso, non avrei mai voluto dovermene andare via. Era incredibile essere lì nello stesso letto con Camille, ed era incredibile come chi fossimo fosse semplicemente passato in secondo piano. Io non ero più un Assassino e lei non era più una Principessa. Eravamo solo Marcus e Camille e nulla di più.
    La voce di lei mi distolse dai miei pensieri: – Stavo pensando… –
    – Ancora? – mugugnai, senza riaprire gli occhi.
    Lei ignorò la mia ironia e continuò: – So così poco di te e della tua vita sentimentale. –
    – Devo preoccuparmi? – domandai aprendo un occhio, guardandola storto.
    – No, direi di no, – mi rispose sorridendo, spostandosi una ciocca di capelli da davanti il viso. – Sono solo curiosa. –
    – Chiedimi quello che vuoi. –
    La domanda arrivò a bruciapelo: – Con quante donne sei stato? –
    – Ah, iniziamo proprio così? – risposi tirandomi un po’ su. – Saranno state dodici, tredici. Non credo quindici. –
    – Ah. –
    Risi della sua faccia corrucciata: – Se pensi che siano tante non chiedere mai una cosa del genere a Jared. –
    – Ne prenderò nota. E la prima quando l’hai avuta? –
    – Avrò avuto sedici, diciassette anni. Più o meno. –
    – Più o meno? – mi domandò incuriosita. Represse un brivido quando un refolo di vento colpì la nostra pelle sudata. Tirò su di noi il lenzuolo che si era attorcigliato al fondo del letto, accoccolandosi meglio contro di me.
    – Non è facile capire quanti anni hai quando non sai quando sei nato – risposi tranquillo. A differenza di lei stavo morendo di caldo, ma non mi sarei allontanato nemmeno per tutto l’oro del mondo.
    – Non sai quando sei nato? – mi domandò con un sorriso triste, accarezzandomi leggera il petto.
    – No. Immagino di avere più o meno ventitré anni, anno più, anno meno, – non volevo parlare della Confraternita, non lì con lei. – E tu? Quando sei nata? –
    – Il 6 luglio 1610. –
    – Sei una giovincella – ridacchiai, tornando a chiudere gli occhi. La mia mano salì da sola verso i suoi capelli e iniziai ad attorcigliarli attorno a un dito. Era da mesi che avevo voglia di farlo e non avrei più voluto smettere.
    Camille rise con me, appoggiando la testa al mio petto e guardando fuori dalla finestra, rilassata.
    Pensavo avesse finito con le domande quando parlò di nuovo: – C’è stata una donna importante nella tua vita? –
    Mi aspettavo una domanda del genere ma, stranamente, la reticenza che di solito mi prendeva quando si toccava l’argomento non comparì.
    – Sì, una sola. –
    Camille si girò di nuovo verso di me, facendomi perdere nei suoi bellissimi occhi verdi. Mi accorsi che sopra la pupilla sinistra aveva una piccola macchietta dorata, quasi ipnotica.
    – Chi era? – mi domandò serena, nessuna traccia di gelosia sul suo viso. Solo curiosità.
    – Si chiamava Amelie, – iniziai, godendomi la sensazione della mano di Camille che passava leggera sul mio fianco. – L’ho conosciuta nella pausa tra una missione e l’altra, quattro anni fa. Era sera e avevo alzato un po’ il gomito, quindi camminavo per le strade di Elea senza guardarmi troppo attorno. La urtai e feci cadere tutte le stoffe che aveva in mano, sparpagliandole per la strada. Mi ha urlato contro talmente forte che pensai che mi avrebbe rotto i timpani. Mi sentivo così in colpa che quando se n’è andata l’ho seguita per vedere dove abitava. Non avevo molto denaro con me in quel momento, quindi decisi di tornare lì il giorno dopo per risarcirla. Quando mi aprì la porta la mattina dopo mi accorsi che era molto, molto bella. E con un cipiglio davvero niente male. Per farla breve, oltre a pagare il danno, la invitai ad uscire con me. –
    Camille mi guardava con la testa inclinata, come sempre quando era attenta: – E lei accettò? –
    Risi al ricordo: – Per niente, mi chiuse la porta in faccia. C’è voluto un mese prima di riuscire a convincerla. Stavo quasi per rinunciare quando accettò. Alla fine ero innamorato perso. –
    – E poi? Cos’è successo? –
    Feci spallucce mentre ricordavo: – È successo che ha sposato un altro, un ricco mercante di Elea. Non lo amava nemmeno, voleva solo accaparrarsi un buon partito. La sua famiglia era molto povera e aveva vissuto in ristrettezze da quando era piccola. –
    Anche solo a riparlarne mi ricordavo il dolore che avevo provato. Ero veramente innamorato di Amelie, avevo anche pensato di chiederle di aspettarmi per poi sposarmi quando avessi finito con la Confraternita. Poi, semplicemente, a un certo punto era scomparsa. Ero stato veramente male quando avevo scoperto che si era accasata con un mercante grasso e vecchio, mi ci erano voluto mesi per riprendermi. L’avevo odiata per tanto tempo, ora però mi accorgevo di ripensare a lei solo con indifferenza.
    Camille mi riscosse dai miei pensieri: – Non essere triste – mi disse accarezzandomi la guancia.
    – Non sono triste – risposi prendendo la sua mano e intrecciando le nostre dita.
    – Devo essere gelosa? –
    – Direi di no, – dissi baciando le nostre mani unite. – Anche perché c’è qualcun altro che occupa i miei pensieri da un po’ di tempo a questa parte. –
    Camille si tirò su, gattonando piano verso di me. Aveva un sorriso malizioso e gli occhi verdi brillavano nella luce del pomeriggio.
    – Ah sì? – mormorò avvicinando il suo viso al mio. Potevo sentire il suo fiato mescolarsi con il mio.
    – Sì – risposi piano, prima di tirarla verso di me e ricominciare a baciarla.
    Per quel giorno le altre domande furono dimenticate.
 
***
 
Uscii dalle stanze di Camille nel primo pomeriggio. Non avrei voluto doverlo fare, ma stavo letteralmente morendo di fame e lei aveva un colloquio con la Prima. In più sapevo benissimo che se avessimo ritardato ancora non saremmo mai usciti. Purtroppo per noi il mondo era ancora lì e, avendolo dimenticato per un po’, ritornare alla realtà era stato più difficile del normale.
    Camminai lentamente per i corridoi, perso nei ricordi di quelle ultime ore. Dovevo avere un sorriso idiota quando aprii finalmente la porta della mia stanza, impegnato a masticare una mela.
    – Ben tornato, – mi sorprese la voce di Jared, stravaccato sul suo letto. Non mi aspettavo di trovarlo lì.
    – Grazie, – risposi chiudendo la porta e avvicinandomi a una brocca che stava sul tavolo. Mi versai un bicchiere d’acqua e mi sedetti, crollando quasi sulla sedia.
    – Stanco? – mi domandò il mio amico con un ghigno per niente rassicurante in viso.
    Tracannai l’acqua e sospirai: – Non credo che ti risponderò. Mel e Andreas? –
    – Sono andati a fare un ultimo giro in città e a prendere cose che ci potranno servire per il viaggio – Jared si tirò a sedere, stiracchiandosi.
    – E andare con loro no, eh? –
    – Nah, non avevo voglia. E poi sono curioso. –
    La curiosità di Jared mi fece venire in mente quella di Camille, che aveva avuto un esito così piacevole. Mi persi di nuovo in qualche ricordo quando il mio amico mi schioccò le dita davanti alla faccia.
    Lo guardai scocciato.
    – Avevi un’aria ebete. Allora? – mi chiese, con gli occhi grandi come piattini.
    – Allora cosa? – tergiversai, poggiando i piedi sul tavolo.
    – Come cosa? Com’è andata? –
    Sospirai. Jared quando ci si metteva era peggio di una mosca: fastidioso e molesto. Si vedeva che era divorato dalla curiosità.
    – Bene. È andata bene – risposi sorridendo.
    – Quello l’avevo già capito dalla tua faccia. –
    Alzai gli occhi al cielo, arrendendomi alla sua insistenza: – Jared, sei una piaga. Cosa vuoi sapere? –
    – Beh, l’ultima volta che ti ho visto stavi correndo per un corridoio. –
    – Ho seguito Camille e l’ho trovata poco dopo – risposi, guardandolo negli occhi azzurri divertiti.
    – Ma dopo siamo passati nel corridoio e non vi abbiamo visti – mi chiese Jared con un tono finto stupito.
    – Perché ce ne siamo andati. –
    – E per andare dove? – Jared mi guardò da sopra la punta delle lunghe dita unite.
    Scossi la testa, in parte sconvolto e in parte divertito della stupidità del mio amico: – Nelle sue stanze. –
    – Ah! – sbottò Jared battendo una gran manata sul materasso. – Lo sapevo! Non ti chiedo altro solo perché sono un signore. –
    – Sì, come no, – borbottai cercando di trattenere le risate.
    Chiacchierammo del più e del meno per qualche momento prima di venire interrotti dal rumore della porta che si apriva. Dall’uscio fecero capolino Mel e Andreas.
    – Oh, Marcus, che sorpresa – mi salutò Andreas.
    Per fortuna, gli altri miei amici erano più discreti di Jared. Non mi fecero domande e non mi assillarono con la loro curiosità, parlando invece di quello che avevano visto in città. Avevano comprato armi in quantità per tutti noi, avevano ritirato le spade che avevamo lasciato dall’armaiolo, si erano procurati dei vestiti pesanti da indossare quando saremmo tornati a Viride. Avevano anche conosciuto il comandante dell’esercito che si sarebbe schierato al confine di Albis, un uomo severo e brusco, che però aveva la fama di essere un ottimo stratega.
    L’esercito sarebbe partito all’alba da Egalia, marciando attraverso il deserto. Per noi, abituati alle manovre militari di Viride, l’idea di far muovere la colonna di uomini tra le sabbie roventi era qualcosa di inconcepibile. Non sapevo nemmeno come avremmo fatto a spostarci e devo dire che mi ero anche poco interessato al riguardo.
L’idea, mi spiegò Mel, era quella di seguire l’esercito fino al confine e, da lì, addentrarci poi nello stato di Viride. Con noi sarebbe venuto un drappello di uomini con l’incarico di scortare la principessa Helena Elvere al matrimonio tra Auremore e Coverano. Prima di entrare a Elea ci saremmo divisi e saremmo andati a cercare una qualche forma di supporto. Camille aveva citato qualche nobile che sperava di poter convincere a supportare la sua richiesta. Avremmo dovuto poi in qualche modo impedire il matrimonio e riuscire a detronizzare la Regina, ma una cosa per volta.
    – Abbiamo solo più oggi per preparare le nostre cose, da domani è finita la vacanza – disse Andreas, versandosi da bere. A causa del caldo bevevamo tutti come cammelli.
    – Peccato, mi piaceva qui – mormorò Mel guardando malinconico fuori dalla finestra. – È tutto così tranquillo, sereno. Così diverso da Viride. –
    – Ci torneremo, prima o poi, – Jared gli si avvicinò, affiancandosi a lui. – Ci avete mai pensato? Una volta finito tutto questo potremmo non dover più stare nella Confraternita. –
    Le parole di Jared caddero pesanti come sassi nella stanza. Non avevo mai pensato a quello che aveva detto, per me o saremmo morti cercando di portare Camille sul trono, oppure tutto sarebbe tornato come prima, con noi di nuovo Assassini per la Confraternita. Però era anche vero che eravamo disertori, forse non saremmo più stati accettati nonostante l’intercessione di Camille Coverano, Regina Reggente di Viride. Ma avrei davvero voluto tornare tra gli Assassini?
    – Potremmo andare lontano da Elea, senza più uccidere per vivere, – stava continuando Jared. – Anche se non so se sarei capace di fare qualcos’altro. Però sarebbe bello. Anni fa non avrei nemmeno immaginato che sarebbe potuto succedere. –
    – Io… – Andreas si schiarì la voce prima di continuare. – Non credo che tornerò alla Confraternita quando tutto questo sarà finito. –
    Tre paia di occhi si girarono a guardarlo.
    – Tu hai già deciso? – mormorai, incredulo. Andreas era quello che aveva sopportato con più fatica la vita da Assassino, all’inizio, ma ormai sembrava essersi abituato.
    – Sì, anche se ci sono giorni in cui mi dico che non potrei fare nient’altro. Non voglio tornare nella Confraternita, non subito almeno. Voglio poter vivere la mia vita come desidero, per una volta. –
    Andreas parlava con lo sguardo fermo davanti a sé, sorridendo lieve. Non c’erano segni di tensione in lui, era sereno mentre ci parlava del suo futuro. Sembrava che il pensiero di andarsene dalla Confraternita non lo turbasse ma, al contrario, lo tranquillizzasse.
    – Ci pensi da tanto? – chiese Mel, sedendosi sul davanzale. Dietro di lui la luce del sole sembrava quasi disegnargli un’aureola intorno, i capelli biondi luccicavano.
    – È tutta la vita che mi dico che non voglio essere per sempre un Assassino. Ora, semplicemente, mi si presenta un’occasione. Sarei stupido a non coglierla, non pensate? –
    – Sì, è vero, – mormorò Jared, appoggiandosi al muro. – E tu non sei mai stato stupido, Andreas. –
    Andreas sorrise: – Qualsiasi cosa farò, e qualsiasi cosa farete voi, mi mancherete. –
    – Ci mancherai anche tu, – mi introdussi, cercando di spezzare l’aria pesante che era caduta nella stanza. – Però non ci pensiamo ancora, c’è tempo. Adesso dobbiamo preoccuparci di altro. –
    – Direi di sì – esclamò una voce nuova. Ci girammo all’unisono per vedere la testa di Camille fare capolino dalla porta.
    – Sapete le novità? – disse, entrando nella stanza. Si era cambiata dalla mattina e il gran sorriso che mi rivolse mi fece quasi galleggiare.
    – Di che novità parli? – rispose Jared con un’espressione furbetta. Gli rifilai una gomitata mentre Mel puntava gli occhi al cielo.
    Camille lo guardò allibita per un attimo e poi lo ignorò: – Parlo della partenza. –
    – Sì, – rispose Andreas impedendo a Jared di dire altre cose sconvenienti. – Io e Mel abbiamo anche parlato con il comandante De Vaaz. Ci ha detto che la partenza sarà domani all’alba. –
    Camille annuì, sedendosi di fianco a me con tranquillità: – Sì, esatto. Pensavo non lo sapeste, a me l’ha appena comunicato la Prima. –
    – Prepariamoci, – aggiunsi. – Non sarà un viaggio rapido. I ritmi degli eserciti, a meno che non si proceda a tappe forzate, sono abbastanza lunghi. Ci metteremo almeno dieci giorni a raggiungere il confine. Poi da lì dovremo continuare fino a Elea. –
    Il viaggio in mezzo al deserto sarebbe stato massacrante, già lo sapevo. Poco prima Andreas ci aveva detto che avremmo marciato nell’avanguardia dopo esplicita richiesta di De Vaaz. Tutti noi avevamo avuto lo stesso pensiero: ci voleva tenere d’occhio per evitare che scappassimo sulla strada. Lo schieramento di forze di Albis in fondo era colpa nostra e Andreas aveva capito subito che, se potevamo aver convinto la Regina, il comandante non era ancora del tutto persuaso.
    – A proposito di Elea, – ricominciò Mel dopo qualche secondo di silenzio. – Siamo ancora ricercati, dobbiamo aver ben presente cosa fare quando e se riusciremo ad entrare in città. –
    – A questo ho già pensato, – disse Camille, soddisfatta. – Ho parlato sia con la regina Vanessa che con la primogenita, Helena. Invece che separarci poco prima di entrare nella capitale ci travestiremo e ci uniremo alla sua scorta. Con indosso le armature della guardia non dovreste attirare l’attenzione e io potrei fingermi una delle sue dame di compagnia. –
    Annuimmo tutti. I soldati alle porte della città avevano sì il compito di controllare chi entrava e usciva, ma non avrebbero rischiato di causare un incidente diplomatico per cercare cinque fuggitivi. In più, chi sarebbe mai stato così stupido da rientrare nella città dov’era ricercato?
    – Dopo, una volta entrati in città, dovremo cercare Lord Enais. Vive nella parte est di Elea, a Villa Enais – continuò Camille.
    – Sei sicura di quest’uomo? – domandai, corrucciato. Se avessimo riposto le nostre speranze in Lord Enais e lui ci avesse traditi non saremmo sopravvissuti.
    – Non posso esserne sicura, sono troppi gli anni in cui manco da Palazzo, – iniziò Camille e, prima che qualcun altro potesse parlare, continuò. – Però me lo ricordo, me lo ricordo bene. Era un amico d’infanzia di mio padre. Erano come fratelli, cresciuti insieme a corte. Non farà finta di niente se gli dirò che la Regina ha ucciso mio padre. In più la Prima verrà con noi, parlandogli della guerra che Albis condurrà insieme agli altri stati del sud se la Regina non verrà destituita. Tutto questo dovrebbe aiutarci ad ottenere ciò che vogliamo. –
    – Per quando è fissato il matrimonio? – domandò Mel, serio. Il ciondolo che gli pendeva dal collo catturava la luce del sole.
    – È tra venti giorni. Non abbiamo tanto tempo – rispose Camille, torcendosi le mani.
    – No, – risposi, accarezzandole distrattamente il braccio. – Ma ce lo faremo bastare. –
 
***
 
Partimmo la mattina successiva all’alba. Il sole non era ancora sorto sul deserto e, per l’escursione termica, faceva più freddo di quanto mi aspettassi. L’esercito era già preparato fuori dalle porte della città. I fuochi dei bivacchi erano ormai praticamente spenti, i cavalli nitrivano irrequieti e le tende stavano venendo smontate.
    Insieme a noi, pronte per il viaggio, c’erano la Prima, seria e severa sul suo cavallo nero, e la principessa Helena, bella come la madre ma più solare, meno altera. Accanto cavalcavano almeno una decina di guardie reali, vestite leggere per la traversata del deserto. Gli elmi erano stati soppiantati da turbanti color sabbia, per proteggere la testa dal calore del sole.
    Il comandante De Vaaz ci aspettava di fianco alla sua tenda, la più grande di tutto l’esercito. Il cremisi del tessuto sbatteva schioccando nel vento della notte. Era un uomo alto, imponente, con la carnagione scura cotta dal sole. Gli occhi erano chiari, color caramello, e circondati da una fitta rete di rughe. La barba scura e curata gli copriva il mento squadrato, indurendone i lineamenti. Sembrava un uomo severo ma capace, sicuro di sé.
    – Vostra Altezza, Prima, – disse, inchinando leggermente il capo davanti alla Principessa. – Partiremo il prima possibile. C’è una portantina preparata per voi, se volete seguirmi… –
    – Non ce n’è bisogno, – rispose la principessa Helena, guardandosi attorno. – Cavalcheremo con voi fino a Elea. –
    De Vaaz fece un rigido cenno con il capo prima di rivolgersi a noi: – Voi starete con me. Voglio avere sempre almeno uno di voi a portata d’occhio, per essere sicuro che non vi perdiate. È facile perdere l’orientamento tra le sabbie. Al confine ci separeremo. –
    Dal tono del comandante era più che chiaro che se non fossimo rimasti in vista ci avrebbe lasciati a morire nel deserto. Annuimmo senza protestare, consci che sarebbe stato solo inutile.
    Alla partenza rimasi stupito dall’efficienza dell’esercito di Albis. Lì non esisteva la fanteria, ogni soldato si muoveva a cavallo. I destrieri erano le bestie più belle che avessi mai visto, così diversi dai grandi corsieri da guerra che si usavano al nord. Erano più adatti a muoversi sulla sabbia, abituati a non patire il caldo e il sole. Erano meravigliosi da vedere, aggraziati e delicati, con le criniere mosse dal vento.
    I soldati di Albis portavano con sé pochi effetti, giusto il minimo indispensabile per poter bere e mangiare tra un’oasi e l’altra. Le armature erano avvolte in stoffe e trasportate, mentre gli uomini indossavano gli stessi vestiti larghi e freschi che portavamo noi. Quello che mi stupì di più fu però vedere arruolate anche donne, che marciavano esattamente come gli uomini, pronte ad andare in guerra e morire per difendere il proprio paese.
    Durante il viaggio la Principessa ci spiegò che nel suo regno non esisteva l’arruolamento obbligatorio, ma che ogni uomo era libero di scegliere. Chi avesse deciso di entrare nell’esercito avrebbe ricevuto in dono un cavallo e l’armatura. Ogni soldato, dopo un periodo minimo di cinque anni, poteva decidere di lasciare l’esercito o di continuare la carriera militare, restando arruolato. Era un sistema così diverso dal nostro che ci lasciò per un attimo perplessi.
    Mel si dimostrò il più interessato nell’apprendere gli usi e i costumi di Albis, passando ore e ore a cavalcare accanto alla Principessa, facendosi raccontare ogni minima cosa del suo regno. La Prima non li distanziava mai di molto e, anche se sembrava essere completamente indifferente, si capiva che non si perdeva una sola sillaba. Probabilmente aveva paura che la Principessa si facesse scappare qualche informazione riservata, anche se Helena sembrava essere incredibilmente sicura di sé e conscia della sua posizione.
    La Principessa di Albis era regale ma amichevole e si vedeva che passava volentieri il suo tempo con Mel. Quando non parlavano cavalcavano solo vicini, guardando il deserto attorno a loro e godendosi lo spettacolo. Helena, come anche la Prima e tutte le altre donne nell’esercito, sopportava tranquillamente e senza fatica il ritmo di marcia dell’esercito, dettato da De Vaaz.
    Il comandante era in testa alla colonna, molto spesso affiancato dal suo secondo. Parlava poco, rispondeva a mugugni, ogni tanto borbottava a bassa voce tra sé e sé. Era ammantato di blu e un corno d’oro giallo gli fissava il velo che gli copriva la testa. Andreas era quello che più spesso gli stava vicino visto che De Vaaz mal sopportava l’esuberanza di Jared.
    Non incontrammo nessuna delle carovane che ci avevano fatto compagnia nel nostro viaggio d’andata fino ad Egalia. La regina Vanessa aveva momentaneamente bloccato il commercio, richiamando tutti i mercanti in patria. Solo alle oasi riuscivamo a incontrare qualche uomo impegnato a rifornirsi d’acqua, ma erano tutti taciturni, immusoniti. La manovra della Regina era azzardata e causava malcontento, ma almeno noi sapevamo che era per il bene del regno. Chi, in viaggio per il deserto, vedeva il grande serpentone dell’esercito snodarsi tra le sabbie rimaneva perplesso: tutti conoscevano il grande Patto di non belligeranza, il dispiego di una tale forza non era comprensibile. La Regina non aveva emanato proclami di guerra, non voleva spaventare la popolazione: la sua era una manovra prettamente preventiva.
    Per conto mio facevo poca attenzione a tutto ciò e passavo più tempo possibile con Camille. Cavalcavamo vicini chiacchierando e raccontandoci ogni cosa ci venisse in mente, guardando il panorama e rimanendo sconvolti dalla bellezza di quel posto. Io le raccontai della mia infanzia alla Corporazione, della mia prima missione, dei posti che avevo visitato. Lei mi parlava della sua infanzia a palazzo, della Foresta della Luce e dell’aiuto che aveva avuto. Mi descrisse la sua famiglia, i suoi fratelli e sorelle, la sua domestica preferita, le persone che l’avevano aiutata nella sua vita. Io le raccontai dei miei maestri alla Corporazione, dei miei compagni e di quello che mi ricordavo dei miei genitori.
    Le notti le passavamo insieme, a fare l’amore. La raggiungevo nella sua tenda al calar del sole e me ne andavo poco prima dell’alba, senza fare nemmeno troppa attenzione a chi ci avrebbe potuto vedere. Era un piccolo miracolo, per me, anche solo poter dormire con lei tra le mie braccia.
    Non parlammo mai del futuro e di quello che ci sarebbe potuto succedere a Elea, forse perché non dirlo ad alta voce lo rendeva più lontano nel tempo, meno delineato. Sapevamo entrambi che quei giorni nel deserto erano una parentesi di paradiso in una vita che sarebbe anche potuta finire a breve. Avrei voluto che quel viaggio, per quanto stancante e faticoso, non finisse mai. Non ci dichiarammo amore eterno né ci facemmo promesse: sapevamo che tutto quello era destinato a finire. Non per questo quel periodo fu triste o rovinato dalla consapevolezza di quello che sarebbe successo, ma anzi, fu uno dei più felici che io abbia mai vissuto. Eravamo solo io e Camille, tutto il resto non contava.
 
***
 
Arrivammo al confine undici giorni dopo la nostra partenza, uno in più rispetto a quello che avevo predetto. Il clima era mano a mano diventato più fresco, sembrava quasi che il deserto fosse una bolla di calore perenne. Non si sentivano più i rigori dell’inverno che ormai stava per arrivare alla sua fine. Il matrimonio era fissato per il venti di marzo, giorno della salita al trono di re Jerome e uno dei primi giorni di primavera. Sul fatto che non fosse una data scelta a caso non c’erano dubbi: la regina Celia sapeva benissimo cosa faceva.
    Le grandi torri che segnavano il confine tra Viride e Albis comparirono come visioni, addossate ai fianchi di uno stretto vallo scavato tra le montagne. Stranamente però, questa volta non erano disabitate. Fumo si alzava dalle loro sommità e della luce brillava alle finestre. Marciavamo tutti alla testa dell’esercito quando De Vaaz ordinò l’alt, borbottando qualche parola irata nella lingua di Albis. La principessa Helena si fece sfuggire una risatina, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte di Camille.
    – È semplicemente stupito che quello che avevate predetto si sia avverato, – spiegò Helena con un sorriso che si spense in fretta. – Devo dire che anche io avevo i miei dubbi, ma a quanto pare mia madre vede più lontano di me. Vi sono grata per essere venuti ad avvisarci. Saremmo stati completamente indifesi, altrimenti. –
    Camille, che iniziava a sembrare sempre di più sia nei modi che nel portamento la Principessa che era, rispose con tono amaro: – Non farmi passare per eroina, non lo sono. Sono venuta soprattutto perché avevo bisogno di aiuto, – guardò dietro di sé, verso la terra che sapeva espandersi alle sue spalle. – Che poi abbia imparato ad amare il vostro paese e desiderato di non vederlo schiavo del mio, è un’altra questione. –
    Helena annuì, guardando davanti a sé verso le torri illuminate: – Allora è stata una combinazione fortunata. Sono felice di aver salvato il mio paese e di aver trovato un’amica, principessa Camille. –
    Camille si girò quasi di scatto, guadagnandosi un nitrito di protesta dal suo destriero. Era la prima volta che Helena Elvere la chiamava con il suo titolo, nonostante avessero passato il tempo ad Albis insieme e avessero fatto amicizia. Lo sapevo perché me lo aveva detto lei: nonostante apprezzasse immensamente la Principessa di Albis le pesava non essere riconosciuta come sua pari, mentre era vista quasi come una dama di compagnia.
    Jared, di fianco a me, guardava corrucciato le torri: – Non hanno perso tempo. –
    – Quando mai i viridiani lo hanno fatto? – risposi, ironico.
    – Mai, – borbottò il mio amico. – E pensare che una volta ne ero anche orgoglioso. –
    La Prima interruppe la nostra conversazione, facendosi avanti con la bocca spalancata: – Ma allora avevate ragione! – mormorò, guardando allibita le grandi torri ocra. Poi si rivolse a noi e soprattutto a Camille, inchinando il capo e parlando con voce addolorata: – Vi devo le mie scuse per avervi trattati con sufficienza. Mi dispiace, vedo che avevate ragione, Principessa. –
    Per la seconda volta in pochi minuti vidi negli occhi di Camille un lampo di qualcosa che era un misto di orgoglio e rivalsa: – Scuse accettate, Prima. Nessuno vuole credere alle cattive notizie, soprattutto quando giungono in maniera così inaspettata. Per fortuna, vi siete mossi ancora in tempo. –
    La Prima accettò quel rimbrotto pacato senza osare ribattere. Camille si era davvero tolta un bel peso: era da quando aveva avuto il suo primo colloquio con la regina Vanessa che voleva dirne quattro alla consigliera.
    Mel e Andreas si erano avvicinati a De Vaaz, sentendolo parlare concitato con Helena. Il comandante abbaiò poi tre o quattro ordini al suo secondo, che scattò verso il grosso dell’esercito, appostato dietro un rialzo del terreno.
    Camille mi si affiancò, facendo un bel sospiro soddisfatto mentre nessuno le badava: – Ah, – mi disse a bassa voce, per non farsi sentire. – Tu non hai idea della soddisfazione. –
    Scossi la testa, sorridendo. Camille sapeva essere vendicativa come pochi, come si poteva capire da tutta quella avventura in cui ci aveva trascinati.
    – Ci sei ancora andata leggera. –
    – Lo so, lo so, – tornò seria per un secondo. – Sono troppo buona, che ci vuoi fare? – mi disse, ammiccando.
    Mi venne un’irresistibile voglia di baciarla e stavo anche per farlo, fregandomene di essere davanti agli occhi di tutto l’esercito, quando Mel e Andreas vennero verso di noi al piccolo trotto. Sospirai, mollando le redini del cavallo di Camille che avevo già afferrato per avvicinarmi a lei. Camille mi guardò con un’aria di scusa mista a felicità che mi fece venire voglia di fregarmene anche di Mel e Andreas. Per fortuna il mio cavallo decise per me e si allontanò un poco, per brucare un ciuffo di arbusti secchi.
    – Marcus, vieni, – mi chiamò Mel, avvicinandosi. – Dobbiamo andare a prepararci e indossare le armature. Tra poco passeremo il confine. –
    Le armature delle guardie della Principessa Elvere erano più leggere di quelle di Viride, con piastre color oro chiaro e dipinte di rosso. Vicino a me Mel, Andreas e Jared si vestivano rapidi. Gli elmi per nostra fortuna coprivano il viso, con un cimiero simile alla criniera di un leone. Con noi c’era un’altra cinquantina di guardie, tutte impegnate a cambiare i vestiti del deserto con l’armatura.
    Poco distanti da noi le dame di compagnia e Camille si stavano coprendo il viso con dei lunghi veli colorati, portati apposta da Egalia. Non era una tradizione di Albis ma Helena Elvere contava sul fatto che i soldati di Viride fossero sufficientemente ignoranti da non saperlo.
    Galoppammo rapidi lungo la china, lasciandoci alle spalle il fermento dell’esercito che si stava preparando. La torre si stagliava alta davanti a noi, meno rovinata di quanto mi fossi immaginato. Impalcature nuove, di legno, circondavano alcuni lati della struttura. Si sentiva il martellare degli strumenti sulla pietra: era evidente che c’erano delle riparazioni in atto. Sulla cima, tra i merli, si potevano osservare soldati camminare, osservando la terra attorno a loro. Alla base della torre alcune guardie riposavano dando le spalle alla porta, stringendosi nei vestiti per cercare di coprirsi dal vento che soffiava dal deserto, dietro di noi.
    La principessa Helena si muoveva in mezzo alla colonna, circondata dalle sue dame e da Camille. Io e gli altri eravamo mischiati alla scorta, muti come pesci e cercando di essere il più invisibile possibile.
    I soldati di guardia della torre si alzarono e si disposero davanti a noi, obbligando il nostro drappello a fermarsi. La Principessa si fermò, mentre la sua scorta lentamente si apriva.
    – Fermi, ordine del regno di Viride. Chi siete voi? – ordinò la guardia.
    La Prima avanzò, altera sul suo cavallo scuro, spingendosi avanti fin quasi a pestare i piedi al soldato viridiano. Per una volta che l’alterigia della consigliera non era rivolta verso di noi, mi sentii divertito e quasi orgoglioso di quel comportamento.
    – Stai parlando con la principessa Helena Elvere, viridiano. Porta rispetto. Siamo stati invitati dalla regina Celia in persona per assistere al matrimonio del suo primogenito, ma se questo è il benvenuto torneremo ad Albis. –
    Il soldato fece subito marcia indietro: – Perdonatemi, vostra altezza, – mormorò chinando il capo, rivolgendosi alla Principessa. – Non lo sapevo. Potete passare, però… –
    La Prima aveva un cipiglio minaccioso, il suo accento più forte per la rabbia e l’indignazione: – Però? – 
    La guardia impallidì ma non cedette. In effetti era da ammirare per il suo coraggio.
    – Dovreste farmi vedere il viso. Ci sono dei ricercati, che cercano di entrare nel nostro regno. Dobbiamo assicurarci che non siano con voi. –
    Sudai freddo a quelle parole. Individuai con gli occhi la figura di Camille poco davanti a me, rigida nei suoi vestiti gialli. Da come le mani stringevano le redini capii che anche lei era spaventata. Ogni nostra speranza era appesa ad un filo.
    Mentre il soldato parlava la Prima spalancò gli occhi, faceva quasi paura. Stava per aprir bocca che la Principessa la fermò: alzò solo la mano e la consigliera chinò il capo e tacque, spostandosi per lasciare posto a Helena Elvere.
    – Non scopriremo il viso, nessuna di noi lo farà. Non romperemo le nostre tradizioni per voi, – la Principessa parlava piano nella lingua straniera, gelida. – Sono stata invitata dal vostro sovrano e sono qui in rappresentanza di mia madre, la regina Vanessa Elvere. Un affronto a me è un affronto a lei. Ora, o ci fai passare e allora farò finta che questa tremenda scortesia non sia mai avventura, oppure tornerò indietro per riferire ogni cosa. Pensa, e ricorda bene con chi stai parlando. –
    Il soldato guardò Helena mentre parlava, probabilmente pensando a cosa sarebbe stato meglio per lui: in fondo, che possibilità c’erano che i suoi ricercati fossero al seguito dell’erede al trono di Albis? Non osò dire nient’altro, si fece solo da parte. Il drappello iniziò a sfilare lentamente dietro alla Principessa, mentre lei rimase ferma a fissare il soldato che aveva osato contrariarla. In quel momento capii che Helena Elvere sarebbe stata una grande sovrana, anche migliore di sua madre. Sembrava priva di paura, sicura di sé, orgogliosa e regale: era ovvio il motivo per cui Camille l’apprezzava. Era così che doveva essere una Regina.
    Prima di andarsene, con ancora la Prima al suo fianco, Helena tornò a rivolgersi alla guardia: – Il confine è sguarnito da secoli, da quando c’è il patto. Come mai vedo i segni di un esercito in movimento, qui intorno? –
    Il soldato alzò il viso, guardando il velo che oscurava il volto della Principessa. I compagni alle sue spalle si lanciarono occhiate preoccupate: – È un’esercitazione, vostra altezza. Niente di che. –
    Helena Elvere fece una risata cristallina, che quasi rimbombò nella piana: – Deve essere il periodo, allora – disse, girando la testa verso il confine e verso la sua terra. Sull’orizzonte si vedevano i bagliori del sole sul metallo di centinaia di armature, lance, armi. Le tende rosse dell’esercito di Albis si alzavano verso il cielo.
    Helena spronò il cavallo e superò il gruppo di guardie, lasciandole attonite a osservare il confine. Potrei giurare che sorrideva divertita mentre galoppava verso l’inizio del nostro piccolo drappello.
    Camille mi si avvicinò mentre si tirava su il velo, scoprendosi il viso: – Ce l’abbiamo fatta. –
    – Così sembra, – mormorai mentre cavalcavamo verso nord. Un brutto presentimento si fece strada dentro di me mentre guardavo verso nord, dove bassi nuvoloni neri si stavano raggruppando in cielo: – Almeno per ora. –
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE!

Ciao a tutti! Prima di tutto ci tengo a scusarmi per la lunga attesa, ma ricominciare a scrivere questa storia dopo l’estate è stato veramente, veramente difficile. Avevo persino pensato di lasciarla lì e riprenderla più in là nel tempo, ma per fortuna mi sono costretta a continuarla. Dico per fortuna perché sono contenta di come sia venuto questo impossibile quindicesimo capitolo.
Comunque, incredibile a dirsi e ancora di più a vedersi, ecco qui il nuovo capitolo. Spero che sia venuto bene e soprattutto che sia piaciuto. La vicenda è quasi finita, ho previsto ancora circa cinque capitoli… diciamo che siamo ai colpi finali.
Grazie, come sempre, a tutti quelli che leggono, recensiscono, hanno messo la storia tra le seguite o le preferite (: Fatemi sapere che ne pensate!
Baci,

LyaStark
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: LyaStark