Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Sofyflora98    03/11/2016    1 recensioni
Dal primo capitolo:
"Tutto era iniziato con un cadavere. Un uomo sui cinquanta, vedovo, che faceva una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti degni di nota. Un bel giorno, di punto in bianco, era morto. L'avevano trovato riverso sui gradini di fronte alla porta di casa. Quando avevano cercato di identificare la causa del decesso, i dottori erano rimasti allibiti. Non c'era una causa. Niente che potesse spiegare come mai un uomo di mezza età perfettamente in salute fosse all'improvviso crollato a terra. Come se tutto il suo organismo si fosse fermato dolcemente, e basta.
Fino a che non colsero sul fatto l'assassino. Quello che fu presto chiarito era che non si trattava di un essere umano. Non del tutto perlomeno. Mangiava e respirava e dormiva. Solo che a volte assorbiva la vita dagli altri."
****
Johnlock
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come il forte rumore aveva dato a sembrare, la porta era effettivamente stata scardinata, il che fu ulteriormente confermato dall’irrompere di quattro uomini nella stanza. Per l’esattezza, quattro uomini armati e non apparentemente propensi ad una conversazione civile e pacifica.
- In piedi, tutti e tre! – sbraitò quello che stava di fronte al quartetto, un tipo con capelli biondicci  a spazzola, massiccio, e con un forte accento americano che fece arricciare il naso al detective.
Sherlock si sollevò fluidamente, imitato da John con nervosismo e dalla Donna con fredda circospezione. Quattro pistole erano puntate contro di loro.
- In ginocchio sul pavimento! – intimò loro ancora l’americano, e stavolta obbedirono al suo ordine.
Sherlock osservò i loro visi. Erano sudati e accaldati, come avessero la febbre, e i loro occhi erano ancora più strani: le pupille erano estremamente dilatate nonostante la luce bianca che entrava nella stanza, arrossati dalla rottura di diversi capillari. In tutti e quattro, queste stesse caratteristiche. Non era casuale, e ne ebbe la conferma quando vide le ferite cucite ma non ancora rimarginate che avevano sulle dita, dei segni orizzontali all’attaccatura delle unghie. Non originale, ma chiaro come l’acqua.
- Immagino sia a questo che a Moriarty è servito il professor Stapleton. – mormorò. – Creare nuove Creature, per rimpolpare le sue file, ecco dov’è finito quando hanno denunciato la sua sparizione. Però, avrebbe dovuto aspettare che le ferite si chiudessero per non farle infettare, invece che mandarvi ad eseguire i suoi ordini così presto. –
- Fai silenzio, Holmes! – il bestione sputacchiava mentre parlava. Sherlock si ritrasse disgustato. – Non sono qui per la puttana del Gatto, ma per quell’altra lì! – e così dicendo indicò Irene con una falange spessa e callosa.
Non era nemmeno offeso, Holmes. Piuttosto una via di mezzo tra l’essere sbigottito e nauseato dalla bocca sudicia e volgare dell’energumeno. Lo stesso non si poteva certo dire di Watson, un metro più in là. Con la coda dell’occhio, Sherlock vide una vena del suo collo pulsare, le labbra strette in una smorfia che non era altro se non colma di disprezzo e rabbia. Se non fossero stati in minor numero e privi di armi in mano, non avrebbe fatto nulla nel caso questi avesse dato all’americano una lezione sull’ appropriato utilizzo dei vocaboli.
- Per me? Tutte queste visite in nemmeno un’ora mi lusingano davvero. – il sorriso della Donna poteva essere affascinante, sicuro, sexy, ma non rassicurante. Velenoso, piuttosto.
- Taci. Il Ragno dice che tu sai perché una Creatura della sua fazione è stata uccisa stanotte, e chi è l’assassino! Parla, o ti faccio un buco in testa! –
A giudicare dai modi di quella Creatura palesemente appena creata, i comportamenti disgustosamente aggressivi e rozzi degli uomini nei film statunitensi non era affatto differente dalla realtà, pensò il detective. Non sapeva se esserne più preoccupato o schifato.  La Donna non sembrava meglio disposta nei loro confronti, a giudicare dal modo in cui aveva assottigliato gli occhi.
- Ve lo direi, ma purtroppo non ne ho la più pallida idea. – disse con voce morbida e suadente come il velluto.
- Allora come mai hai uno degli Holmes in casa? – più che parlando, l’uomo stava abbaiando contro di loro. – Non sono stupido, donna. –
- Beh, questa notizia giunge inaspettata. – si lasciò sfuggire il detective, nonostante il pericolo di quelle armi puntate nella loro direzione.
- Ho detto zitto, Libellula! E non ho ancora sentito la risposta della signora. –
- Mi permetta di contraddirla, ma le ho già detto che io non ne so nulla. – a giudicare dal suo sangue freddo, non si sarebbe detto che fosse Irene ad essere sotto tiro, tra lei e l’americano biondo.
Sherlock si girò appena verso di lei.
- Sarò pronto a crederle tra tre secondi, donna. Tre… - iniziò a contare lo sconosciuto, avvicinandosi di più.
Quando lo sguardo di Irene incontrò quello dell’investigatore, lei guardò la pistola, dando poi un altra fulminea occhiata all’uomo.
- Due… - anche Sherlock, ora, guardava fisso la pistola.
- Uno… -
Non arrivò allo zero, cacciando invece un grido di dolore quasi contemporaneo ad un rumore secco che a John ricordò terribilmente le ossa spezzate. L’arma gli sfuggì di mano, e l’istante dopo era in quelle del detective.
La sorpresa aveva colto gli altri tre uomini, trovandoli impreparati, e quei pochi secondi di confusione costarono loro altrettanti proiettili nelle mani.
La Donna, e il dottore si disse che il polso ora gonfio e piegato in un angolo sbagliato dell’americano fosse probabilmente in quello stato a causa della sua coda squamata che guizzava come una frusta, scattò in avanti ed afferrò la pistola di uno degli altri tre, assestando un colpo sulla testa del loro capo con il calcio dell’arma.
- Ottimi riflessi, signor Holmes. – commentò, rivolgendo l’attenzione verso di lui, compiaciuta. Gli occhi di quest’ultimo erano ora cangianti, le pupille ridotte a due puntini quasi invisibili. – Una mira perfetta. -
- E lei ha degli scatti sorprendenti. Natura o Estensioni? –
Il sorriso della donna si allargò, continuando a non essere rassicurante nemmeno vagamente. – Entrambe le cose. –
Il modo in cui i due si scrutavano, uno con preoccupata curiosità e l’altra con condisceso interesse, a lungo, e senza aggiungere altro, era, a parere di John, piuttosto imbarazzante. Una certa gelosia, in effetti, copriva solo una parte dei motivi per cui le due Creature lo stavano mettendo a disagio. Erano del bel mezzo di un’indagine, ed avevano appena subito un aggressione, e loro sembrava stessero per saltarsi addosso a vicenda. Un limite alla decenza doveva esistere anche per dei semi umani, oppure no?
- John, potresti chiamare la polizia, e dire loro che ci sono quattro feriti a questi indirizzo? – disse all’improvviso Sherlock, girandosi repentinamente.
- Sì, sì. Certo. – Watson uscì a passo svelto dalla stanza, sperando che la sua presenza non fosse l’unico fattore ad impedire alla sala di prendere fuoco.
Quando furono soli, la Donna diede le spalle a Holmes e prese a tracciare il profilo dell’elegante divano con le punte delle dita. Sul pavimento, l’uomo biondo era privo di sensi a causa del colpo alla testa, mentre gli altri tre erano raggomitolati su se stessi che si stringevano al petto le mani ferite e sanguinanti.
- Mi saprebbe spiegare come mai questi quattro sostengono che il Ragno non sia l’artefice dell’omicidio? – domandò l’investigatore, mentre lui e Irene camminavano lentamente verso le finestre, al limitare della stanza.
- Davvero non ne sono in grado, signor Holmes. – rispose lei, le braccia conserte. Accostatasi ad una scrivania in legno scuro che era addossata alla parete, sfiorò anche questa con le falangi lunghe e magre dalle unghie laccate. – Magari è solo un pretesto per liberarsi di me, non gli sono mai andata particolarmente a genio. Tendo a raccontare troppe cose alle gente. – e non si poteva non sentire un certo compiacimento in quelle parole.
Sherlock portò le mani dietro la schiena, chiuse una nell’altra. – Io non credo, signora Adler. Penso che lei sia molto astuta, e che sappia molto bene cosa è successo questa notte a quell’individuo. Ma che né quella di questi inviati della vostra fazione, a mio parere troppo facili da pestare perché potessero essere intesi come un vero tentativo di aggredirla, né l’ipotesi che lei stessa ci ha proposto prima siano veritiere. C’è qualcos’altro, non è così? –
- Lei vede troppi complotti, se lo lasci dire. – Irene  si era girata ad averlo di nuovo faccia a faccia. – A volte i dispetti tra Creature sono molto più semplici e diretti di quanto lei non sembri credere. –
- Per il momento vedo due ipotesi. – proseguì l’uomo. – La prima è che lei in effetti non sappia cos’è successo davvero, e che il ragno sia coinvolto nella faccenda come entrambi credevamo dall’inizio, ma sinceramente ne dubito. La seconda, è che lei faccia direttamente parte di tutto questo, ma lo scopo di questa morte mi è ancora del tutto ignoto. –
S’irrigidì quando Irene allungò una mano a sfiorare la linea della sua mascella, producendo una soffice risata che sembrava quasi affettuosa.
- Io non sono il suo nemico, signor Holmes. – disse. – Avrei potuto esserlo, ma il caso vuole che ci troviamo nella stessa situazione. Non amo, per questo, essere accusata di azioni di cui nessuno di noi è a conoscenza l’origine, specialmente contando il fatto che io me ne stavo per i fatti miei, prima che lei piombasse qui in cerca di risposte. –
- Non la sto accusando, per ora. Solo esponendo le possibilità più probabili. – replicò il detective. – Non può incolpare me se lei non riesce a sembrare innocente ai miei occhi. –
Irene rise di nuovo, stringendo il mento dell’uomo tra le dita. Questi si contrasse di nuovo al contatto, quasi si aspettasse un aggressione improvvisa.
- Per il momento dovrebbe andarsene, signor Holmes. Avremo altre occasioni per discutere se sono coinvolta o meno. – la Donna gli afferrò saldamente la testa, e prima che Sherlock riuscisse a sfuggirle dalla presa, affondò i denti sul suo labbro inferiore, strappandogli un gemito sorpreso di dolore.
Lo lasciò andare non appena lui, superato lo stupore, iniziò ad opporre resistenza alle sue mani. Holmes indietreggiò, le mani alla bocca che già si erano tinte di rosso per il sangue che gli colava dalle due ferite che Irene gli aveva inflitto.
- Cosa… - boccheggiò, un lieve senso di torpore che gli annebbiava i sensi. Si appoggiò alla prima parete che gli capitò vicino, ma non riuscì comunque ad impedire alle sue gambe di cedere alla forza di gravità, trascinandolo sul pavimento.
Una nuvola d’ovatta gli circondava il cranio.
- Su, non faccia drammi. Lei mi mette in pericolo, signor Holmes. – fece in tempo a vedere due zanne affusolate, lunghe e sottili ritrarsi nelle gengive della donna. Un attimo dopo lei gli aveva preso le spalle e lo adagiò a terra. Sherlock si sarebbe opposto, ma gli arti non sembravano rispondere ai comandi, men che meno il cervello.
- Non durerà molto. Non credo, almeno: non ho mai usato il mio veleno su me stessa. Starà bene, però. –
Il rumore dei passi affrettati di Watson distolse l’attenzione della Donna dall’uomo più giovane. Se il sangue che gli colava in gola dal labbro non gli stesse solleticando spiacevolmente i tessuti, facendolo tossire, Sherlock avrebbe quasi riso. Da quando era diventato così ingenuo da permettere ad una Creatura di andargli così vicino? Sperò con tutto se stesso di non sembrare un perfetto idiota, quando sentì John esclamare e chiedere ansiosamente alla signora Adler cosa fosse accaduto. E lei, odiosamente algida e a suo agio, mancò di rispondere dicendo piuttosto al dottore di voltarlo sul fianco per non farlo soffocare.
La vide vagamente gettarsi da una finestra, poi il buio della vista.
Sentì confusamente la voce di John chiamare il suo nome nervosamente, poi il buio dell’udito.
E infine, alcune dita callose che gli accarezzavano i capelli e uno zigomo, poi il buio totale.
 
 
 
Le prime sensazioni che lo colpirono furono un lieve tramestio tintinnante di porcellana su metallo. Posate? Forse. continuava però a sentire un peso sulla testa, un pulsare cadenzato ma non doloroso, che però era sufficiente a distrarre ritmicamente il suo pensiero.
Aveva la guancia premuta su un tessuto ruvido e spesso. Era sdraiato. Divano? Probabile: era una superficie lunga, ma non larga, quindi non un letto. Gli ci volle qualche secondo in più a riconoscerne l’odore, identificandolo come quello del suo appartamento. Suo e di John, si corresse automaticamente.
Tossì, mentre cercava debolmente di alzarsi. Gli prudeva la gola. Un bruciore al labbro gli ricordò che probabilmente erano le gocce di sangue che gli erano scivolate un bocca dopo essere stato morso.
Il tramestio si bloccò. Uno scalpiccio di passi affannati. – Sherlock? –
L’interpellato rispose con un altro colpetto di tosse. Si lasciò ricadere sul divano, portandosi le mani agli occhi, strofinandoli piano.
John gli mise una mano sulla testa, accarezzando delicatamente la cute. Sherlock si rilassò tra i due cuscini che gli tenevano il capo e le spalle, con un sospiro tremolante. Con cautela provò a dischiudere gli occhi, e all’inizio fu abbagliato dalla luce bianca che entrava dalla finestra, le tende completamente tirate ai lati.
- Sherlock? – provò di nuovo il dottore. – Come ti senti? –
- Come dopo un capogiro. – rispose in un sussurro. – Come se fossi senza ossa e con la testa che continua a saltare e perdere il filo. –
- Certo. Uhm… - l’uomo spostò il peso nervosamente da un piede all’altro. – Posso… sapere cosa ti ha fatto esattamente quella donna? -
- Mi ha morso il labbro. E così facendo mi deve avere iniettato qualche sostanza nelle sue zanne. Probabilmente le sue Estensioni derivano da qualche rettile velenoso. Non abbastanza da uccidere un umano, però. Credo si sia sentita minacciata dal nostro aver attirato l’attenzione su di lei. –
- Eravamo appena andati da lei! – esclamò Watson aggrottando le sopracciglia.
- Se il Ragno vuole, può sapere cosa facciamo in qualsiasi momento. –
- Lei non mi convince, Sherlock. –
- Neanche a me, per ora. – con il pronto aiuto di John, la Creatura si issò sulle braccia e si sedette, cercando goffamente di sollevare i due cuscini con le mani ancora intorpidite. Fece una smorfia quando sentì che la testa gli girava per quel piccolo movimento, accompagnata da un morbido mormorio divertito del dottore.
- Non ti muovere per almeno un’altra mezz’ora. Non voglio doverti trascinare di nuovo, non hai idea di quanto faticoso sia stato. – lo rimproverò, premendogli la spalla verso il basso.
- Bugiardo. Avevi chiamato la polizia, ti avranno aiutato loro. –
- Comunque non muoverti. –
Sherlock sbuffò, ma più per far scena. Non aveva alcuna intenzione di spostarsi di lì, non con John che si sedeva sul bordo del divano facendo attenzione a non schiacciargli il braccio, e che nonostante tutto sorrideva. Se la sua mente era un computer, John Watson era l’antivirus e il firewall. Era la spina della corrente, senza la quale avrebbe prima o poi scaricato definitivamente le ore di autonomia della sua batteria. Doveva essere stato un miracolo arrivare ancora quasi del tutto aggiustato al giorno del loro incontro.
- Stavo facendo il tè – disse il più vecchio tutt’un tratto. – Vuoi che te ne porti un po’? –
Sherlock scosse la testa, chiudendo gli occhi. – No. Resta seduto dove sei. –
- D’accordo. –
Le dita di John non ebbero difficoltà a trovare quelle di Sherlock, lunghe e fredde, che non opposero alcuna resistenza alle sue. Prese con cautela la mano del più giovane, disegnando alle cieca cerchi concentrici sul suo palmo con il pollice.
Il dottore vide chiaramente, distintamente, lo sciogliersi delle membra della Creatura, il cadere della perpetua lieve durezza nel suo sguardo. I battiti furiosi contro l’interno del torace, stava giusto aprendo la bocca quando squillò l’arrivo di un messaggio nel cellulare di Sherlock.
- Vado a prenderlo io. – disse, cercando di trattene il fastidio furioso verso il maledetto apparecchio mentre lo stringeva tra le mani.
Sherlock, una volta ricevuto il sadico marchingegno di plastica e metallo, gli riferì ad alta voce il suo contenuto.
“Sto venendo a Baker Street. M.H.”
Mai come in quel frangente, John Watson aveva desiderato essere responsabile della morte di Mycroft Holmes.
 
 
 
Sempre di parola, il maggiore degli Holmes aveva fatto il suo solenne arrivo al loro appartamento con tanto di auto nera e misteriosa accompagnatrice che lo stava attendendo fuori, più simile ad un super criminale da film giallo che direttore di un’organizzazione che in effetti mirava a far arrestare un super criminale.
Sembrava anche compiaciuto di sé quando entrò nel soggiorno, vedendo Sherlock ancora stravaccato sul divano (ma molto più sveglio e noncurante di un quarto d’ora prima), come se fosse stato consapevole di aver intralciato i nobili intenti dell’unico umano al momento presente nella stanza.
- Salve, fratellino. Dottor Watson, è un piacere vedere che è sempre in ottima salute. – li salutò, l’ombrello stretto a mo’ di bastone da passeggio.
- Salve, Mycroft. -  rispose John, con un cenno del capo. Sherlock lo ignorò completamente.
Il leader della fazione di sopra sollevò un sopracciglio con rassegnato disappunto, per poi andare a sedersi su una delle due poltrone, lasciate vuote dagli inquilini dell’appartamento. Non senza darle una spazzolata preventiva con la mano, naturalmente, per poi pulirsi distrattamente quest’ultima con un fazzoletto che teneva nel taschino della giacca.
- Mi è stato riferito del piccolo incidente in cui ti sei introdotto. Riguardo la signora Irene Adler e il cadavere di cui tutti sembrano attribuire la responsabilità alla fazione opposta. –
- Il tuo sistema di informazione è infallibile come sempre. Oppure mi fai pedinare? Comunque non passano che alcune ore, e sei già qui a farti gli affari miei. – disse annoiato il detective, continuando a non rivolgere nemmeno uno sguardo al fratello.
Mycroft emise un sospiro irritato. – Questi sono affari che riguardano anche noi. La fazione di sotto non ha mai negato l’uccisione di un umano fatta per mano loro, e se ora succede credo sia una buona ragione per iniziare a preoccuparsi. –
Sherlock si sollevò di scatto, stavolta guardando il maggiore fisso negli occhi, gelido come il ghiaccio.
- Lo so, fratello. – e la sua voce, a John, parve quasi un sibilo ostile, il soffiare di un gatto. -  Capire il modo di pensare dei criminali è il mio lavoro, se per caso lo hai scordato. So che quest’uccisione dev’essere probabilmente parte di un piano, e so quali sarebbero le conseguenze se il Ragno dovesse avere la meglio su di noi. Non ho bisogno che tu venga a farmi la predica come fossi un bambino stupido. –
Ora era seduto sul bordo del divano, le mani strette ad esso e il busto proteso in avanti, come sul punto di alzarsi in piedi. Mycroft non si scompose, il suo volto una maschera imperscrutabile.
- Potrebbe essercene bisogno, invece, se la prima cosa che fai è provare a farti manipolare dalla Donna. –
- Manipolare? Sono soltanto andato a vedere se mi avrebbe detto qualcosa, e forse nemmeno lei è al corrente di quello che è accaduto! –
- Il che è oltremodo sospetto, a mio parere. –
- Mycroft… - cominciò Sherlock, stavolta in piedi sul serio. Il fratello lo fermò prima che cominciasse, alzandosi a sua volta e mettendogli davanti il palmo della mano.
- Non cominciamo nemmeno. Non ho voglia di discutere su quanto io mi fidi o non mi fidi del tuo giudizio adesso. lei può essere un’ottima alleata, ma è più probabile che sia un pericolo e un’insidia. Stai attento, e non farti uccidere. Buona giornata. –
Si congedò senza nemmeno dar loro il tempo di ribattere, e in pochi secondi era già fuori dalla loro vista.
John, che non aveva detto una parola da quando i due fratelli avevano iniziato la loro discussione, prese il polso di Sherlock, invitandolo a tornare seduto con un leggero strattone. Sbuffando, Holmes fece come il dottore gli suggeriva, lasciandosi cadere pesantemente.
Watson gli si sedette accanto, e lasciò che Sherlock spostasse il proprio peso discretamente contro di lui, fingendo di non accorgersene.
- Dovrei chiedere l’opinione di Victor. - mormorò il detective. Questo, più che la discussione con Mycroft e l’incidente con la Donna fece preoccupare John. Molte altre volte uno dei due era rimasto acciaccato o leggermente ferito a causa di qualche caso, e i litigi tra Sherlock e il fratello erano tutto tranne che insoliti. Ma che Sherlock pensasse di chiedere consiglio a qualcuno che non fosse il suo stesso cervello, era un’anomalia, qualcosa che faceva scattare l’allarme, che indicava una rottura, un’incrinatura nel sistema perfetto nel suo funzionamento che era la Creatura. Perfetto fintanto che autonomo e separato da un vetro dalle persone, naturalmente. Ma se fosse scivolato dentro un granello del mondo, smettendo di essere solo visto da lontano, l’ingranaggio rischiava di incepparsi o mutare il proprio funzionamento. Forse qualcosa in quel caso aveva incrinato il vetro, forse aveva trovato una fessura in cui insinuarsi. Forse era la Donna.
Questo diede fastidio al dottore. Molto. Se qualcosa avesse dovuto modificare quel delicato equilibrio ad orologeria, avrebbe dovuto essere lui. E forse avrebbero potuto accusarlo di essere ingiustamente geloso, perché non poteva reclamare proprietà su una persona che non gli apparteneva, ma saperlo non influì minimamente sulla sua crescente irritazione. Pensò questo rabbiosamente, prima di ricordare di avere ancora Sherlock quasi appoggiato contro il suo lato.
- Forse, sì. La sua vita nascosta potrebbe portargli informazioni diverse dalle nostre, magari. -
- Magari, sì. -
Dopo la foga con cui aveva risposto a Mycroft, la sua voce sembrava essersi fatta flebile, quasi. Come se non riuscisse a darci impeto, non ne avesse l’energia necessaria. O fosse con la testa altrove, distratto.
- Vuoi andare tu da lui, o trovare qualche altro modo per contattarlo? -
- Andrò io. Domani mattina. -
- Vuoi che ti accompagni? -
- Devi lavorare, se non sbaglio. -
- Lo so. Ho solo pensato che magari… nulla, lascia stare. Come vuoi tu. -
Sherlock non aggiunse nulla a questo. Però, John sentì il suo peso farsi meno sulla sua spalla.
Quando, quasi un minuto dopo, si voltò il detective non era più lì. Non l’aveva sentito alzarsi dal divano per dirigersi lentamente verso la propria stanza.
Sentì però, in qualche modo, il silenzio perfetto quasi quanto il sistema ad ingranaggi di Sherlock che permeava il soggiorno quanto la camera del coinquilino.
 
 
 
Dopo il non molto celato rifiuto di Sherlock alla sua offerta di accompagnarlo a cercare Trevor, John era andato come da routine allo studio medico, lasciando l’altro uomo solo in casa.
Sherlock non sapeva nemmeno perché gli aveva fatto intuire che non lo voleva con lui. Non sapeva nemmeno se lo voleva con lui o no in quel momento. Era confuso, e inquieto. Il modo brutale in cui quella Creatura morta era stata mutilata delle sue Estensioni l’aveva fatto rabbrividire. Gli artigli strappati, lasciando quelle fessure slabbrate e sanguinolente sopra le unghie, come a voler urlare quanto l’assassino intendesse privare la persona delle sue armi, delle sue difese. Il rendere l’individuo debole e vulnerabile, spoglio di ciò che lo aveva reso differente e senza il cui smetteva di essere. No, non voleva che John lo vedesse perdere il controllo, e siccome il dottore fin troppo bene aveva dimostrato di sapergli leggere dentro l’unico modo era impedirgli di essere con lui nei momenti in cui rischiava di più di mostrarsi. E voleva anche averlo con sé, allo stesso tempo. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma muoversi nel campo di battaglia da solo ora lo faceva sentire vulnerabile. Non gli era mai capitato prima. Era sempre stata la norma, l’abitudine essere solo. Ora non più. Il dottore era scivolato dentro il suo sistema chiuso, e ci si era integrato dolcemente, senza quasi che lui se ne accorgesse. Prima che potesse evitarlo, era diventato un programma fondamentale del suo software.
Quindi era lì, a non sapere nemmeno quale delle due opzioni fosse migliore. Temeva che lasciargli capire quale potere potesse avere su di lui avrebbe portato alla ripetizione di ciò che era accaduto con il precedente coinquilino. Temeva che non avrebbe più saputo tenere assieme i pezzi di se stesso, se John non fosse stato lì a controllare che restassero al loro posto ed eventualmente incastrarli di nuovo ed aggiustare la posizione di alcuni che lui aveva riassemblato come meglio gli era riuscito.
Al che, non era ancora andato a cercare Victor. Era rimasto a pensare e cercare di non pensare. Forse era proprio quello il suo problema: pensava troppo. Avrebbe finito per soffocare nei propri pensieri.
- Dannazione… - sospirò, il viso affondato tra le mani, le dita che massaggiavano le tempie e gli occhi. Questi ultimi gli pizzicavano. Ecco, ci mancava proprio.
Il campanello suonò. Un singolo tintinnio, dato da una mano decisa ma precisa. Holmes si alzò lentamente dalla sua poltrona, andò ad aprire senza neanche controllare chi fosse, o urlare alla signora Hudson di farlo lei.
Quasi sussultò quando vide Victor Trevor ad attenderlo con una punta di ansia nella postura, gli occhi coperti da occhiali da sole nonostante la totale assenza di esso. Quasi sussultò.
- Salve, Sherlock. - disse, con voce esitante. O quasi esitante. Sherlock si accorse di non riuscire a concentrarsi sui dettagli.
- Victor. - la sua voce era sempre stata così, così simile ad un sospiro tremolante?
- Posso entrare? - il suo amico d’infanzia sembrava più sicuro, ora.
Sherlock annuì soltanto. L’espressione di Victor si era fatta da ansiosa a preoccupata, stavolta sembrava nei suoi confronti. Forse era qualcosa nel modo in cui era suonata la sua voce. Forse il liquido tiepido che gli striava gli zigomi, di cui non si era accorto prima.
Il Gatto, ad ogni modo, richiuse la porta alle proprie spalle, e avvolse le braccia attorno a lui.
Non c’era bisogno di chiedersi come facesse Victor ad essere lì nel momento più opportuno, o ad aver già capito dopo avergli dato solo uno sguardo. Victor lo faceva sempre. Sapere le cose era il motivo per cui esisteva.
E quindi, Victor lo riaccompagnò di sopra, senza aggiungere nulla. Perché sapeva cosa andava fatto.
Lui sapeva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*****
 
Note:
Ho rischiato un ritardo colossale, questa volta. Una gita scolastica di una settimana mi ha limitato molto le ore di scrittura, ma tornata a casa mi sono accorta che avevo già finito il capitolo prima della partenza, prendendomi avanti, per cui ho dovuto solo rileggere, correggere e aggiungere qualche cosetta qui e là. È comunque un po’ più corto del solito, ma questo passa il convento, lettori cari.
Un bacio, come sempre, a chi legge, segue e recensisce!
Kisses
 
Sofyflora98

 
   
 
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