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Autore: ErZa_chan    03/11/2016    2 recensioni
Il suo passo è leggero, i suoi piedi sfiorano appena il suolo mentre volteggia con eleganza, tendendo ogni fibra del suo piccolo corpo acerbo [...] Natasha alza lo sguardo, il piccolo tutù attillato che riesalta le ombre di un corpo le cui forme sono appena accennate, il respiro controllato, l'esecuzione perfetta.
Scruta la Sorvegliante, in cerca della sua approvazione e, quando la vede battere lievemente le mani, conta gli applausi.
Uno, due.
Non ve n'è un terzo.
[...]
Natasha esita, stringe le labbra, se le umetta nervosamente mentre imbraccia il fucile troppo grosso per lei, stendendosi a terra.
Natasha prende un profondo respiro, poi smette di pensare.
Uno, due , tre.
Il dito scivola nel grilletto, il fragore dello sparo riecheggia nel silenzio di quel deserto innevato mentre la donna si accascia a terra con un rantolo. Il marito urla, Natasha non lo lascia finire di gridare.
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Una raccolta di momenti della vita di Natasha Romanova, la Vedova Nera.
Natasha!Centric [RedRoom]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kill and Run'
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One, two, three.

1, 2, 3, 1, 2, 3 drink
Throw 'em back, till I lose count
I'm gonna swing from the chandelier, from the chandelier
I'm gonna live like tomorrow doesn't exist
Like it doesn't exist
I'm gonna fly like a bird through the night, feel my tears as they dry
I'm gonna swing from the chandelier, from the chandelier

Chandelier-Sia


Il suo passo è leggero, i suoi piedi sfiorano appena il suolo mentre volteggia con eleganza, tendendo ogni fibra del suo piccolo corpo acerbo. Una ciocca di capelli rossi scivola via dalla crocchia fermata da mille forcine ma lei non si distrae, concentrata, non muove neanche la testa per scoprire il suo piccolo occhio verde dal ciuffo che le impedisce di vedere con chiarezza. Continua a ballare.

Uno, due, tre.
La bambina ruota su se stessa, inspira, porta le mani verso l'alto con slancio, le punte che picchiettano il parquet scuro, il suono che si confonde con la melodia che avvolge la sala amalgamandosi coi respiri silenziosi delle sue compagne. Salta, quasi vola, infine si ferma.
Natasha alza lo sguardo, il piccolo tutù attillato che riesalta le ombre di un corpo le cui forme sono appena accennate, il respiro controllato, l'esecuzione perfetta.
Scruta la Sorvegliante, in cerca della sua approvazione e, quando la vede battere lievemente le mani, conta gli applausi.
Uno, due.
Non ve n'è un terzo.
Natasha incrina le labbra in una smorfia di delusione: un applauso incompleto è ciò che le riserva la sua insegnante, una lode blanda, sciatta, che la lascia insoddisfatta.
La bambina annuisce impercettibilmente, poi torna a sedersi tra le sue compagne, ignorando le loro occhiate incuriosite, indagatrici. Ha imparato che il solo giudizio che conta è quello dei suoi superiori, tutto il resto non sono che misere eco nella sua testa.
Natasha alza lo sguardo, fissa il vuoto e stringe il piccolo pugno, determinata: la prossima volta non fallirà.

**
Nonostante l'addestramento rigido e spietato della Stanza Rossa, la curiosità di Natasha sembra essere peculiare del suo carattere. La bambina sa scivolare silenziosamente tra i lunghi corridoi le cui pareti stuccate d'oro la lasciano sempre a bocca aperta, si guarda intorno, attenta a non farsi scoprire, approfitta degli attimi di silenzio per concedersi il lusso di qualche momento di libertà. 
Natasha quasi non respira quando si appiattisce per passare attraverso la porta socchiusa della biblioteca, cercando di non fare scricchiolare le assi del vecchio pavimento imbarcato. Sorride nello scoprirsi, ancora una volta, terribilmente abile, poi avanza con timore, come se ogni piccolo movimento potesse tradire la sua presenza.
Natasha lascia scorrere le piccole dita candide sulle costole rilegate dei libri, assaporandone la consistenza e l'odore inebriante, poi strizza gli occhi e ne legge i titoli, muovendo appena le labbra, si lascia cullare dal suono di quelle parole.
Incuriosita, lascia che la sua mano minuta scivoli tra i tomi antichi, facendone capitare uno proprio tra le sue braccia: è pesante, quasi le fa perdere l'equilibrio e Natasha è costretta a sedersi in terra, ormai assorta nei suoi pensieri, per poterlo poi aprire e sfogliare le prime pagine ingiallite.
Il contenuto non è scritto in cirillico -lo capisce subito- ma neanche in inglese, lingua nella quale si destreggia bene nonostante la sua giovane età. Natasha segue col dito le forme di quei termini così bizzarri, gli accenti, le maiuscole, ne ridisegna i contorni, come se potesse comprendere così il loro significato misterioso.
Una parola sembra colpirla particolarmente, una parola buffa, che Natasha prova a mormorare sottovoce, divertita. 
Rose.
Un aggettivo, forse, oppure un nome?
Natasha non sa per quanto tempo fissa quella pagina cercando di decifrarla ma, quando una voce gelida richiama la sua attenzione, sente un brivido freddo scorrerle lungo la schiena e il libro le cade per terra, mentre alza lo sguardo impaurito.
Natasha conta gli schiaffi sul suo viso pallido.
Uno, due, tre.
Bruciano sulla sua guancia arrossata, ma la bambina non piange, non dice nulla. Annuisce, ancora una volta, consapevole della disapprovazione della sua Sorvegliante. 
Natasha abbassa la testa e giura: giura di obbedire, giura di rispettare le regole, accetta la sua punizione e, mentre sente l'umiliazione crescente al centro del suo petto, fa un'ultima promessa: smetterà di essere curiosa.

**

La neve fredda penetra in ogni centimetro di pelle scoperta, facendola rabbrividire. A poco serve il grande cappotto bianco che avvolge il suo minuto corpo, rendendola un tutt'uno con la tundra ghiacciata dove sta accovacciata in silenzio. Un cappello le avvolge la testolina, le scivola lungo le orecchie, ma non le impedisce di sentire ogni scricchiolio intorno a lei, ogni vibrazione anomala che la metta in allerta, facendola strisciare fuori dal suo nascondiglio per guardarsi intorno, strizzando gli occhi, scrutando l'orizzonte.
È quasi sera quando arrivano. 
Natasha li conta velocemente: sono una decina, tra di loro una donna. Ha un grosso cappotto in pelle, cammina a fatica, si appoggia al marito e si porta la mano al ventre rigonfio con fare protettivo.
La bambina esita, stringe le labbra, se le umetta nervosamente mentre imbraccia il fucile troppo grosso per lei, stendendosi a terra.
Natasha prende un profondo respiro, poi smette di pensare.
Uno, due , tre.
Il dito scivola nel grilletto, il fragore dello sparo riecheggia nel silenzio di quel deserto innevato mentre la donna si accascia a terra con un rantolo. Il marito urla, Natasha non lo lascia finire di gridare.
Cadono uno dopo l'altro prima ancora di afferrare le pistole nascoste nelle fondine delle loro giacche invernali, il tonfo dei loro corpi attutito dalla neve candida che li accoglie in un abbraccio mortale.
Natasha aspetta in silenzio che tutto sia finito, poi si alza, stringe al petto il suo fucile e cammina lentamente mentre i cristalli di ghiaccio scricchiolano sotto le suole dei suoi stivaletti in pelle.
Un rivolo di sangue cola lentamente verso di lei, allargandosi in una pozza, proprio come una rosa che sboccia nel pieno della primavera, la corolla che si apre per la prima volta e assapora il sole, risplendendo nella rugiada mattutina.
Natasha muove un passo dopo l'altro tra i corpi, controlla che non respirino, si accerta che il suo lavoro sia completato, poi si avvicina alla donna riversa al suolo e ne osserva i tratti delicati, gli occhi azzurri, i capelli biondi impregnati di sangue. Natasha la trova bella, una principessa delle fiabe.
La bambina si inginocchia, sfiora il pancione della signora, ci appoggia la testa e resta così qualche secondo, come se potesse sentire ancora il battito del piccolo essere a cui ha appena strappato la vita. Ma Natasha non sente nulla tranne un freddo silenzio che arriva con un'orribile consapevolezza: la consapevolezza di essere un'assassina.
La bambina si alza in piedi, abbassa la testa e sistema il fucile a tracolla, poi si scrolla di dosso la neve e batte le manine pallide.
Uno, due, tre.
Un ottimo lavoro.
Natasha si gira e torna sui suoi passi.

**
Il calcio la sfiora appena, ma Natasha è veloce, scivola su in fianco, sorprende la sua compagna alle spalle, le sferra un pugno, la sbilancia.
La ragazzina è stretta nella sua morsa in un attimo, come una preda tra le spire di un serpente. Si divincola, scalcia, cerca di scivolare via, ma Natasha è forte, serra la presa intorno al collo della sua vittima e assapora l'istante prima di spezzarlo con un movimento secco del braccio.
La ragazza cade a terra con un tonfo, gli occhi rivolti al cielo, la bocca spalancata in un grido di terrore.
Natasha non perde tempo ad osservarla, distoglie lo sguardo dal macabro spettacolo ormai familiare, si gira verso la Sorvegliante, in cerca della sua approvazione.
Uno, due, tre applausi composti, silenziosi.
Natasha non sorride, annuisce, ancora una volta, consapevole di essere l'eccellenza della Stanza Rossa.
Esce dal tappeto da combattimento con passo sicuro, si aggiusta appena la coda che raccoglie i lunghi capelli rossi che la contraddistinguono, poi torna in riga tra le sue compagne che la osservano con riverenza.
Il loro silenzio è diverso adesso, è cambiato: è carico di ammirazione, di paura, non più di scherno né di sopita curiosità.
Natasha ha avuto da poco il primo menarca, il suo corpo non è più acerbo, ma modellato in morbide curve affascinanti. La Stanza Rossa le ha trasformate immediatamente in un'arma, l'ennesima che Natasha è in grado di maneggiare.
Tra le sue compagne si distingue per bellezza, i suoi capelli rossi riesaltano tra la folla, piacciono agli uomini, così come i suoi grandi occhi verdi, apparentemente innocenti.
Natasha è una buona attrice, la migliore: ha imparato a sue spese cosa significhi sentirsi deboli, come ci si senta ad essere considerate come una nullità, inferiori alla media, soffrire e, nonostante tutto, mascherare i propri sentimenti.
Nel silenzio dello scherno, Natasha è diventata la ballerina più aggraziata, la combattente più spietata, la bugiarda più credibile.
Natasha è una spia adesso, letale e velenosa, proprio come una Vedova Nera appena venuta al mondo.

**

Urla, Natasha. Non vorrebbe, non dovrebbe, eppure non riesce a smettere di tremare convulsamente mentre la immobilizzano totalmente, legandole i polsi e le caviglie, stringendo forte, troppo forte.
La barella viene spinta velocemente tra i corridoi, Natasha gira la testa velocemente, si guarda intorno, smarrita, incontrando lo sguardo di alcune bambine, compagne arruolate da poco, che la fissano, incuriosite.
La Sorvegliante le ha fatte mettere in fila, spalle al muro, le mani dietro la schiena e le lunghe trecce perfettamente pettinate che ricadono loro sul petto. La scrutano, come un animale in gabbia, ed è esattamente così che Natasha si sente.
Lo sguardo della Sorvegliante è freddo, l'occhiata che le lancia di pura disapprovazione, così Natasha tace, si ferma, accetta il suo destino in silenzio.
Le porte della sala operatoria si aprono, il battito del suo cuore accelera senza che possa fare nulla per impedirlo. Le infilano sgraziatamente una cuffia blu e il lunghi capelli le coprono gli occhi come un velo, cosicché tutto ciò che riesce a distinguere è solamente rosso, rosso sangue.
Una voce le parla, la rassicura, ma Natasha non vuole essere rassicurata, Natasha vuole solo che tutto quello finisca il più velocemente possibile.
Deglutisce piano, mentre gli aghi le entrano sottopelle, ma non riesce a contenere l'urlo di dolore disumano mentre il siero viene iniettato e il fuoco sembra scorrerle nelle vene, pompando in ogni angolo del suo gracile corpo.
Non la sedano, la lasciano divincolarsi e ne studiano la reazione, i battiti cardiaci, la mutazione repentina dei tessuti che si lacerano sotto i loro occhi, come un bozzolo che si schiude per far volare via una piccola farfalla, una farfalla rossa. 
Uno, due, tre.
Natasha grida, la vista le si appanna e le lacrime cominciano a bagnarle il viso come un fiume in piena. Sta per perdere i sensi, ma non lascia che succeda: anche nel dolore vuole essere consapevole della sua sorte. Se deve morire, lo farà lottando, con gli occhi ben aperti, conoscia di aver perso.
Ma Natasha non perde. Pian piano il siero si esaurisce, il nodo al centro del suo stomaco si allenta, gli arti, ormai slegati, cadono ciondoloni, come se fossero inermi, ma i suoi occhi sono ancora vigili, appannati dal dolore, eppure spalancati. I medici si avvicinano, alcuni di loro sorridono, si complimentano l'un l'altro per la riuscita dell'esperimento, si stringono le mani e anche Natasha riesce ad incrinare le labbra in un piccolo, doloroso, sorriso.
Ha vinto, ancora una volta.
Perché, è risaputo, la Vedova Nera non perde mai.

**

Uno, due, tre spinte.
Natasha si aggrappa alle coperte logore, stringe i denti e chiude gli occhi mentre, con un'ultima spinta, riesce finalmente a dare alla luce la sua piccola creatura.
La stanza dove si trova è fredda, spoglia, e Natasha prega perché il silenzio venga infranto dal vagito di un neonato. Natasha prega, ma Dio, sempre che ne esista uno, non la ascolta. Non ascolterebbe mai un'assassina come lei.
Natasha ha sperato nel miracolo, che illusa che è stata.
L'infermiera le porge un piccolo fagotto avvolto nelle coperte, poi distoglie lo sguardo, probabilmente non sentendosi in diritto di infierire ulteriormente sul dolore di una madre.
Natasha prende in braccio sua figlia, la culla e la osserva incuriosita. Ha i pugni chiusi, come una piccola lottatrice, gli occhi spalancati, verdi come un prato primaverile e uno scarruffato ciuffo rosso che le corona la testolina sporca. Le somiglia, le somiglia così tanto, eppure non è riuscita a lottare, a vincere. Questo deve averlo ereditato da suo padre, senza dubbio.
Natasha appoggia la testa sulla fronte della bambina nell'illusione di percepire il respiro caldo sulla pelle, invece non sente che un brivido freddo che le corre lungo la schiena.
Natasha le accarezza i capelli ramati con una dolcezza che non credeva di possedere, poi sorride, mormorando il nome della figlia.
Rose.
Una rosa sbocciata in un inverno torrido, un fiore tra le macerie della sua vita, la sua bambina.
Rose Romanova, sarebbe suonato così bene.
Natasha scuote la testa, stringe al petto il fagotto un'ultima volta, poi lo porge all'infermiera, che la guarda stranita.
Che la portino via, il più lontano possibile da lei.
È stata fortunata, Rose, a non venire mai al mondo, a non essere la figlia di un mostro, a non rischiare la vita tutti i giorni, cacciata, braccata dalla Stanza Rossa.
Sarebbe stata soltanto una debolezza.
Natasha chiude gli occhi, lascia che una sola lacrima scivoli lungo la sua guancia, poi serra le labbra, e si adagia sul cuscino, sospirando.
La Vedova Nera non merita di essere felice, la Vedova è un'assassina solitaria, una macchina da guerra, un'arma.
Natasha si addormenta con una mano sul ventre, l'altra che le copre il viso, deformato in una smorfia di dolore.
Non sarà mai una madre.

**

Il rumore dello sparo viene inghiottito dal caos della battaglia, Natasha salta, rotola, evita ogni colpo, sfodera le sue pistole e colpisce senza guardare, facendo centro.
Si ferma per riprendere fiato solo quando l'ultimo dei soldati stramazza al suolo, un attimo prima di raggiungerla.
Clint le tende una mano, Natasha la afferra e si alza in piedi a fatica, sorridendo al compagno.
Non è stato uno scontro facile, ma neanche uno dei peggiori che abbiano affrontato insieme.
Natasha si guarda intorno, scuote i corti capelli rossi per scrollarsi di dosso la polvere, poi lascia andare la mano di Clint, si incammina lentamente.
Il lungo corridoio è illuminato da flebili luci elettriche, ma è estremamente familiare, Natasha lo sa bene. Si porta una mano alla tempia, si sforza di ricordare, ma invano.
La sua mente non ricorda, forse, ma il suo corpo si: Natasha sembra spostarsi come un'automa tra quelle stanze, scivolando tra quegli androni riccamente decorati che sanno di casa.
Percorre la grande scalinata in marmo appoggiando la mano sulla fredda ringhiera incrostata di sporco, lascia che sia il suo cuore a guidarla.
Quando aveva letto il fascicolo della missione che le era stato assegnato, il nome di quel luogo le era subito suonato familiare, eppure quando Fury le aveva chiesto se ne avesse mai sentito parlare avevo scosso la testa.
Natasha sale l'ultimo gradino, percorre il primo piano, consapevole dello sguardo preoccupato di Clint che non la perde di vista neanche per un istante, ma è troppo assorta nei suoi pensieri per protestare.
Le grosse porte in legno si aprono cigolando, facendo filtrare qualche raggio di luce nella grande stanza buia. Natasha la percorre con passo sicuro, tira le grosse tende rosse impolverate, poi si guarda intorno, come in uno stato di tranche. Il grande specchio sulla parete proprio di fronte al pianoforte riflette l'immagine di una donna, la sua immagine. Natasha ne sfiora i contorni, sembra quasi sorpresa nello scoprirsi così grande, così adulta. 
Si appoggia alla piccola sbarra il legno che corre lungo il muro, sorride mentre piega una gamba, alzandosi sulle punte dei piedi e facendo una giravolta.
Natasha non ha bisogno della musica per iniziare a ballare, non le è mai davvero servita: la sua vita è stata una danza mortale continua, la cui sola melodia è stata dettata degli spari e del silenzio che ne seguiva.
Natasha balla, ruota su se stessa, inspira, porta le mani verso l'alto con slancio, salta, quasi vola, infine, si ferma.
Apre gli occhi lentamente, come per paura della realtà che la circonda, che la travolgerà non appena avrà lasciato quel limbo.
Natasha si guarda intorno e vede Clint, appoggiato allo stipite della porta che sorride, ammaliato, ma al tempo stesso divertito. L'uomo batte le mani in un piccolo applauso che risuona nel silenzio della stanza.
Natasha conta gli applausi.
Uno, due, tre.
E ne seguono altri, molti altri. Clint la applaude, la fa sorride, le fa scuotere la testa, mentre si finge scocciata, persino irritata. Natasha alza gli occhi al cielo, si allontana dalle trave e lo supera, uscendo dalla stanza, gli dà le spalle.
Sorride mentre scende la lunga scalinata e, dentro di sé, applaude, felice.

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Vi ringrazio per aver letto questa one shot (molto angst ne sono consapevole) sul mio personaggio Marvel preferito in assoluto! Per chi non conoscesse la storia di Natasha, vi invito ad approfondirla,  poiché nel MCU non è spiegata così bene (soprattutto l'infanzia tormentata, la perdita della bambina e l'addestramento infernale)!
In ogni caso, che dire, spero vi sia piaciuta e, se vorrete, lasciate un parere! 
Grazie ancora,
Erza.

  
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