Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: emilyxxx    13/05/2009    2 recensioni
Passò le dita tra i capelli neri, guardando attraverso la finestra.
Il tramonto le illuminava il viso di arancione, con qualche sfumatura di rosa.
Si passava la lingua sulle labbra ogni secondo, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che le potesse ricordare quel sapore magnifco, quel momento bellissimo. Qualche ricordo, qualche sensazione, che le ricordi il bacio. Quel Bacio. Il Suo bacio.
Qualcosa che le ricordi Lui. Lui. Quella creatura magnifica e perfetto che le aveva riempito il corpo in ogni singola parte. Lui, la persona più importante. Lui.
Solamente e semplicemente Lui.
Cosa succederebbe se tre ragazze provenienti da posti diversi si trovassero casualmente in un hotel a Los Angeles dove casualmento alloggiano i JB?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Documento senza titolo Una ragazza inglese dai tacchi a spillo, dall’espressione ansiosa e coperta fino alle orecchie, si inoltrava nella folla di una Londra nel bel mezzo di un inverno rigido, gelido e grigio.
Non si distinguevano le ore del giorno, sempre e comunque grigio, e quando rientravi a casa non avevi voglia di alzarti dalla poltrona, davanti al caminetto, per accorgerti che il cielo era finalmente nero e non grigio topo.
La coda di cavallo stretta ondeggiava frenetica, non si capiva da che lato andasse, come se a camminare fosse un ubriaco e non una ragazza di 21 anni in preda ad un attacco isterico.
Abbey controllava l’orologio ogni due secondi, cercando di scordarsi che stava per arrivare in ritardo all’appuntamento della sua vita.
Ma ogni volta che l’immagine del suo polso sinistro arrivava al cervello, velocizzava sempre di più il passo.
Dopo qualche minuto si trovò davanti al Tetley’s Pub House.
Si sistemò la coda e il gigantesco cappotto. Strinze i denti pensando al dolore dei tacchi, allungò la mano fasciata da un elegante guanto rosso ed entrò.
La ventenne fu subito investita da un forte odore di birra e alcol.
Fece un’espressione schifata ma poi si ricompose, sedendosi elegantemente su uno sgabellino di legno.
La differenza di temperatura tra fuori il pub e dentro il pub era tale che Abbey sentiva addirittura caldo, cosa che negli ultimi mesi le era mancato, perfino in casa.
Si tolse i guanti e il giaccone, scoprendo un elegante tubino nero della nuova Collezione Autunno/Inverno di Chanel.
Si guardò intorno, sentendosi subito di troppo: una ragazza elegantissima e raffinata in un pub di solo alcol, di sera; invece che stare a Gavroche a Mayfair oppure all’Hotel Claridge's in Brook Street, insieme ai più snob di Londra.
Appoggiò i gomiti sul bancone di legno scuro, aspettando che il Rappresentante di Harvard facesse il suo ingresso nel pub.
Aspettò più di mezzora, seduta su quel maledetto sgabello, e proprio mentre stava decidendo di andare via, una mano leggermente ruvida per via del freddo si posò sulla spalla della ventenne.
-mi scusi signorina Harris, un problema familiare, prego, mi segua.-
La mora seguì il signor. Hughes come fosse un Dio.
Si sedettero in un tavolo, anch’esso di legno scuro, leggermente appartato.
-Bene, sono venuto qui per parlare della sua ammissione all’Università di Harvard, di cui io sono rappresentante, ovviamente!- il signor. Hughes ridacchiò in modo a dir poco disgustoso, come pensò immediatamente Abbey.
-Volevo subito dire che la sua media è eccellente, e mi chiedevo perchè lei ha aspettato così tanto per mandare la sua domanda d’iscrizione!- il cinquantenne avvicinò la sedia ancora di più al tevolo, avvicinandosi così, di conseguenza, alla ventenne.
-Ero incerta, non sapevo cosa fare, sinceramente. Ho sempre sognato di andare ad Harvard ma poi mio padre mi ha offerto di lavorare per la sua compagnia alberghiera e così ci ho dovuto pensare!- Abbey sorrise, diventando sempre più bella, agli occhi del sognor. Hughes.
-Capisco, bhè, allora, continuiamo con le trattative. Lei ha un’ottima media, come ho già detto, e sa che sarebbe un onore essere una delle poche persone ammesse ad Harvard quest’anno, lei lo sa bene...-
La mora annuì con attenzione.
-...e sa anche che c’è molta, moltissima competizione, e...mi piacerebbe molto, un aiuto da parte sua, un incoraggiamento per me ed i miei colleghi a scegliere proprio lei...- il rappresentante dai capelli grigi e dagli occhiali tondi si avvicinò ancora di più ad Abbey, tanto da prenderle il mento tra le dita e sfiorare con l’altra mano la coscia che usciva dallo spacco della signorina Harris.
-cosa intende?- chiese nervosa la mora, allontanandosi di scatto, e pensando che fosse stato solo un problema di spazio, l’avvicinamento di quel bavoso signore.
-intendo che magari, questa sera, all’Hotel Savoy...- Abbey sbarrò li occhi.
-ma cosa dice?!- La ventenne afferrò i ganti e la giacca uscendo di corsa dal pub, così veloce da non dare il tempo al rappresntante di raggiungerla.
Abbey si strinze nel cappotto mordendosi le labbra, era accaduto tutto troppo velocemente, non le importava se si sbafava il rossetto o le lacrime le rovinavano il trucco, in quel momento, volva solo stare a casa, a spaccare qualcosa, forse il suo cuscino, o il vaso della madre.



Berlino.
Ore 00.00.
Una ragazzina di 19 anni stava per ingoiare l’ultimo gelato al cioccolato. L’ennesimo, da due settimane. Se continuava così sarebbe diventata una botte.
La scena era pessima:
Silke stava sbracata sul divano tutto sporco di macchie di cibo super calorico.
Con una canottiera lurida bianca, che ormai era diventata multicolor, con una tuta tutta bucherellata ed i piedi nudi. I capelli sporchi e la faccia addormentata. La TV era l’unica fonte di luce in quel piccolo appartamento. Andava avanti così da quando il suo ragazzo, tradotto: pimo ed ultimo amore della sua vita, l’aveva mollata per farsi la nuova arrivata a scuola: una Cheerleader nel sangue ed enorme, colossale, immensa...troia.
Silke si era guardata tutte le puntate di Beautiful in 5 lingue diverse, aveva imparato praticamente lo spagnolo!
Il telefono squillò facendo sobbalzare la biondina, che cercava di trovarlo restando con lo sguardo appiccicato al televisore.
-Pronto?- sussurrò. Ormai non sbatteva neanche più le palpebre. -sono io, Paul, non mi dire che sei ancora in “fase depressione”!?- rispose il suo migliore amico gay dall’altra parte della cornetta. -non hai capito Pà, ci rimarrò per tutta la vita, Hans era il mio unico amore! Mi ha sverginato quel bastardo! E ora io sono sola come un cane a parlare al telefono con te!- era da tanto che non parlava, abitava sola in un appartamento sotto un ristorante cinese, dove lavorava per pagare l’affitto.
-Ehy! Io ti riporto sulla terra e tu mi ringrazi in questo modo tesoro? Senti, io sto per uscire con Andreas, quel insegnante di tango argentino tutto muscoli! A te, se vuoi, ti presento il suo amico Elko, siamo da “Matrix” la nuova discoteca, sta in Warschauer Platz, sotto la fermata della metro Warschauer Straße. Ma devi uscire da quel buco, sei peggio dell’ultimo album di Cèline Dion!- e Paul attaccò la cornetta. Silke rimase un secondo ferma.
“Elko? Ma che nome è?” dopo quell’attimo di distrazione la diciannovenne tornò al suo dolore mentre si trascinava in camera sua per infilarsi qualcosa e lavarsi, possibilmente.
Uscì dal “buco” infilando l’enorme mazzo di chiavi con il portachiavi di Snoopy nel borsone.
Attraversò il ristorante cinese, lunico modo per uscire.
-餵!明天見! - salutò Ayko, la grassa e simpatica padrona del ristorante, che l’aveva praticamente cresciuta da 15 anni in su, quando era scappata di casa.
-時間!- le rispose la vecchia signora.
Silke camminò tra le strade di Berlino, piene di personaggi buffi e strani, a partire dai Punk alternativi, per arrivare alle centinaia di Nerd.
Prese la metropolitana.
E mentre sbatteva la testa contro il finestrino vide davanti a sa una coppia di biondi sbaciucchiarsi.
“proprio ora che stavo per uscirne!” pensò, cercando di distrarsi.
La ragazza ridacchiò, mentre si sistemava meglio sopra le gambe del ragazzo.
-Oooh Hans! Non in pubblico! haha!- Silke ci mise una frazione di secondo a collegare il tutto:
Stupida ragazzina bionda con voce nasale e squillante, ragazzone biondo tutto muscoli di nome Hans: Silke pronta a strangolare il ragazzo.
Infatti, minacciosa, si alzò alla sedia sporca della metro, picchiettando sulla spalla della ragazza. Lei si voltò emanando un profumo terribile di Mandorla e Ciliegia.
Silke osservò i visi dei due, non erano le persone che le avevano rovinato la vita, bensì due ragazzi di 14 e 15 anni che si stavano divertendo, un pò troppo cresciuti.
-Che vuoi?- chiese la ragazza dalla voce squillante vedendo Silke immobile e senza parole.
-N...Niente... Scusate...- la diciannovenne uscì subito, anche se quella non era la fermata giusta. Voleva uscire.
Quei due, quella certezza che davanti a lei c’erano la troia e Hans, i suoi nemici, non i ragazzini di 3 anni, le aveva aperto la ferita che aveva sul petto ancora di più. Tutte quelle promesse, tutto, tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva dato, ad Hans, era solo un gioco....
Questo la faceva star male.
Qualche ora dopo stava ancora camminando per Berlino, senza meta, con 20 chiamate perse di Paul.



-Passo, gira, ancora, sinistra detra e... ruota, spaccata e vai col finale...- una voce profonda e severa rimbombava per la palestra di Bercellona.
Una ragazza dal corpo sinuovo e flessibile saltava a si muoveva velocemente a ritmo di una musica Hip Hop.
In tuta e top, con il corpo leggermente sudato ed i capelli legati sulla nuca, tutti scompigliati.
Soledad fece una ruta all’indietro per poi atterrare nuovamente con un pò di incertezza.
Tenne la posizione finchè il suo insegnante non chiuse la musica, la sedicenne si accasciò a terra, stanchissima, era il quinto giorno che ballava per sei ore consecutive.
Non ce la faceva più.
-Sole, se non ti impegni, non ce la farai mai a diventare una ballerina professionista!- Le urlò l’’insegnante, Rodrigo, avvicinandosi a lei.
La mora si alzò stringendo gli occhi.
-Rodrigo, io m’impegno, solo che tu pretendi troppo da me...troppo...ho anche lo studio! Ho 16 anni...- Sole prese la bottiglietta d’acque rovesciandosene un pò in mano, per poi posarla sul collo sudato.
-No Sole! No! Non capisci che tutto dipenda da te? Anzi, no, basta, io mi sono scocciato, tutti i giorni la stessa storia! Ti sostituisco con Isabel! Lo faccio! Lo sai che lo faccio!-
Sole non ce la faceva più, ma oggi, lo sapeva, ci sarebbe stata un’altra ora.
Qunado uscì dalla palestra il cielo era ormai scuro, e le strade di Barcellona affollatissime, la gente spagnola sapeva come divertirsi la sera.
Sole camminava trascinandosi dietro un enorme borsone col cambio e tutto quello che le serviva per sopravvivere una giornata intera nella scuola di danza.
Ormai ballava da quando aveva 5 anni, e tutti si erano montati la testa, anche in famglia, ci credevano, fortmente, credevano che lei sarebbe diventata una famosissima ballerina, e invece, l’unica se si doveva montare la testa, era lei.
E sentiva che qualcosa sarebbe andato storto, oppure era già andato storto, e non stava parlando di caviglie o polpacci, stava parlando della sua presunta gravidanza.
Entrò in casa in tutta furia lanciando il borsone all’angolo dell’ingresso.
Salì le scae di legno ad enormi falcate, e per poco non si spaccava la testa rotolando giù.
Entrò in camera e chiuse la porta a chiave.
Si accovacciò per terra, e prese una scatola di scarpe nascosta sotto le vecchie lenzuola, ormai donate al gatto, visto che non voleva dormire da nessun’altra parte oltre che sotto il letto di Soledad.
Aprì la scatola, ne estrasse una confezione di plastica bianca e azurra. L’aprì. Prese il piccolo affarino di plastica dura lungo e sottile: un test di gravidanza.
Dopo aver seguito le istruzioni della scatoletta lo poso sul cuscino a bpancia all’aria, e lei rimase ferma con lo sguardo fisso sul piccolo schermo del test.
Aspettò qualche minuto, e poi eccolo il piccolo segnetto: -.
Non era incinta! Saltò dalla gioia pronta a festeggiare con la sorella minore, quando una voce potente la chiamò dal salotto.
Suo padre.
-Che c’è papà?- chiese lei, scendendo le scale col sorriso.
L'uomo di una quarantina d'anni stava in piedi abbracciato alla moglie.
-ha, ha chiamato il preside della tua scuola, dice che non puoi continuare a saltar ele lezioni pomeridiane. So che per te la danza è tutto, ma di questo passo verrai bocciata- ed il sorriso di Sole scomparì immediatamente.



•INGHILTERRA-LONDRA•
Dopo aver spaccato praticamente tutti i suoi souvenir di Harvard Abbey decise di andarne a parlare con la madre.
Bussò piano sulla porta costosissima bianca della stanza da letto di Mrs. Harris.
-si?- rispose una voce dolce.
-mamma, sono io, Abbey, senti posso entrare un attimo?- chiese esitante con ancora il pugno appoggiato alla porta.
-certo tesoro, mi sto preparando per andare a teatro contuo padre, ma dimmi pure- esclamò la bellissima donna, la fotocopia di Abbey solamente più adulta e matura, mentre si stava infilando un paio di enormi diamanti al posto degli orecchini.
-ecco... volevo informarti che non vdo più ad Harvard. Em... non fa per me...- decise di non dire la verità, sapeva che suo padre, dopo averlo saputo, avrebbe fatto di tutto per farla pagare al signor. Hughes, per proteggere, o fare giustizia alla sua “piccola principessa cresciuta”.
-ah no? Lo sai che per noi va bene qualunque cosa tu voglia! Vediamo..potresti andare in vacanza.. in uno degli hotel di tuo padre, così per vedere come li gestiscono, e se hai qualche problema annotarlo, per poi aggiustarlo od eiminarlo quando prenderai il posto di tuo padre!- la signora Harris pronunciò l’ultima frase entusiasta.
Abbey annuì silenziosamente.
Non voleva fare l’alberghiera, anche se erano tutti alberghi di lusso, che l’avrebbero fatta diventare ricca come, o più, del padre.
-Ho trovato tesoro! Perchè non vai a Los Angeles? Ronald ha aperto un nuovo albergo...per l’inaugurazione! Vacci! Ci sarenno molte persone famose!- Propose la madre.
Ed Abbey sapeva che quando sua madre proponeva cose del genere, e lei decideva di non seguire il consiglio, lei poi glielo avrebbe rnfacciato per sempre. Come la collana che stonava al ballo di fine anno, ed è per questo che non è diventata la reginetta, secondo la sign. Harris.
Abbey acconsentì. Sarebbe partita la settimana dopo.
destinazione: Los Angeles.



•GERMANIA-BERLINO•
Non ci poteva credere.
A distanza di un giorno dall’evento devastante nella metropolitana, e dopo essersi presa una sottospecie di bronco polmonite, a causa del freddo di Berlino, Paul l’aveva sgridata per averlo lasciato solo con un indesiderato, Elko, in questo caso, e così si era perso la “nottata di sesso sfrenato con il suo amichetto”, come diceva lui, ma poi l’aveva perdonata, e per punizione, però, si sarebbe dovuta iscrivere ad un concorso che organizzava viaggi per i vincitori.
Ed ovviamente, quella sera, erano tutti con la faccia appiccicata alla tv, che dava quel programma.
Ma usciti tutti i biglietti, e nessuno di questi era il suo, ne mancava uno, lei, pessimista come sempre, era uscita a fumarsi una sigaretta, cosa che non aveva mai atto prima di esser lasciata da Hans.
Un ulìrlo di gioia fece cadere di mano la sigaretta a Silke, che per cercare di prenderla, l’afferrò dalla parte accesa.
E così ora, davanti al ristorante Cinese in Danziger Straße fuoriuscivano due tipi di urla: urla di gioia e urla di dolore.
-AAAAH! Che dolore! Shaiße! Che succede dentro?- Silke poteva intravedere i camerieri danzare intorno alla TV.
“oddio..." pensò.
Entrò dentro in cerca di ghiaccio per il suo palmo della mano e prima che potesse afferrare la brocca Paul le si lanciò contro.
-Tasoroooo! Andiamo a Los Angeles la prossima settimanaaaa!-



•SPAGNA-BARCELLONA•
Dopo la sgridata di suo padre, non poteva fare altro che andare a lezione di danza e studiare.
Non che rpima fosse diverso eh, ma questa sensazione di stare in punizione la faceva sentire in prigione ancora di più.
Entrò silenziosa nella palestra, poggiando il borsone a terra ed iniziando a riscaldarsi.
Rodrigo non arriava più.
Sole continuò il suo riscaldamento, fin quando una ragazza alta e dai capelli rossi entrò nella stanza.
Soledad subito di mise eretta. Era il capo dipartimento danza moderna.
-S...salve- salutò incerta Sole allungando la mano.
La rossa la fissò per un secondo, sia lei che la mano.
-So chi sei. Sei una della ballerine più brave del nostro corso. Ed è per questo, che vogliamo premiarti- una leggera ombra di un sorriso perorse le labbra severe della donna.
-La prossima settimana inaugureranno un nuovo Hotel di lusso, a Los Angeles, ci sarenno molte persone famose, e ci sarà un palco...- Sole stava pensando, invece, che uo padre non glielo avrebbe mai lasciato fare. Mai.
-...e tu, Isabel, Matias e Felipe. Due maschi e due femmine, erfetto quadretto. Voglio che portiate prestigio a Los Angeles, capito?-
Sole annuì e la donna uscì in fretta dalla stanza.
Non ci poteva credere. Non era mai uscita dalla Spagna e tra una settimana andava a Los Angeles. WOw
  
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