Il morbo di
Hanahaki è una malattia autoimmune di recente scoperta che
porta il nome della
ricercatrice giapponese che per prima ne ha diagnosticato sintomi e
decorso.
Consiste in un disturbo di natura emetica, dove il paziente che ne
è affetto
tossisce o vomita petali di fiori. L’insorgere della malattia
è da imputare ad
un caso di amore non corrisposto. Nel caso in cui i sentimenti del
paziente
vengano fortuitamente ricambiati entro un breve arco di tempo, i
rigurgiti
floreali cessano e tutto finisce per il meglio. L’alternativa
è sottoporsi ad
un’operazione chirurgica in grado di rimuovere
l’infezione, ma i medici sono in
genere abbastanza restii a consigliarla: insieme ai petali, infatti,
sparisce
anche la capacità di provare qualsivoglia sentimento.
Tuttavia sono molte le
persone che scelgono di passare sotto i ferri, giacché
l’Hanahaki, se
trascurata, può condurre alla morte. I fiori mettono radici
nei polmoni,
avviluppandovisi gradualmente. Via via che lo struggimento
d’amore peggiora, il
povero malcapitato tossisce una quantità sempre
più ingente di petali che
compromettono l’efficienza delle vie respiratorie
finché l’organismo non
collassa e il cuore cessa di battere.
Quando
inizia a sputare rose blu mischiate a dentifricio nel lavandino del
bagno che
condivide con il proprio coinquilino (nonché fratello
maggiore) Yifan, Jongin
in un primo momento scoppia a ridere. Tutto si aspettava, alla tenera
età di
ventotto anni e mezzo, meno di cadere nel più penoso, banale
e imbarazzante dei
cliché. Amore non corrisposto, neanche fosse tornato ai
tempi del liceo. Chi ha
il diritto di soffrire per una simile idiozia superati i quindici anni?
La
risata si spezza, sostituita da un lamento straziato. Negare
l’evidenza è
inutile, i fiori sono la prova inconfutabile. Yifan accorre sentendo un
tonfo
provenire dal bagno. Lo trova aggrappato al lavello, le nocche delle
mani
bianche per la pressione, la testa china. Gli basta
un’occhiata ai petali
azzurrini per capire e iniziare ad aver paura. Jongin non rifiuta il
suo abbraccio;
anzi, vi si rifugia come il bambino che tanti anni prima correva da lui
quando
un incubo lo svegliava di soprassalto. Ma Yifan sa che non è
del suo conforto
di cui il fratello avrebbe bisogno.
Le rose blu
sono i fiori preferiti di Sehun. Lo stesso Sehun con cui Jongin
è cresciuto, ha
diviso il banco durante le scuole elementari, medie e superiori. Il
vicino di
casa che suonava alla sua porta ogni sera, terminati i compiti, per
fare due
tiri a basket nel campetto dietro casa oppure, soprattutto
d’inverno, giocare
alla playstation. Inseparabili. Poi il colpo di testa di Jongin,
diventare uno
scrittore contrariamente ai piani che i suoi genitori avevano per lui.
Anche
Sehun ci era rimasto male. Aveva dato per scontato che lui e
l’amico si
sarebbero iscritti entrambi ad Ingegneria, avrebbero studiato per gli
esami, si
sarebbero laureati e avrebbero trovato un buon lavoro nella stessa
azienda.
Sempre insieme, va da sé.
Jongin aveva
semplicemente voltato la testa e si era allontanato da lui dopo essere
stato
ammesso al corso di scrittura creativa di una prestigiosa università americana.
Non lo aveva dimenticato, però. Non ci era riuscito. Era
tornato in tempo per
la discussione della tesi, con un sorriso artificiale che non
raggiungeva lo
sguardo ed in mano un mazzo di rose indaco così scure e
vellutate da sembrare
finte.
“Te ne
ricordi ancora, eh?” aveva detto Sehun, accettando i fiori.
“Bastardo. Mi sei
mancato” gli aveva gettato le braccia al collo, la voce
vibrante di autentica
emozione. Quattro anni che il signorino non dava notizie di
sé.
“Sei
l’unica
persona che conosco ad avere gusti tanto pacchiani, amico”
aveva risposto
Jongin, rigido e troppo lento nel ricambiare l’abbraccio.
“Rose blu. Alla
faccia della virilità!” aveva provato a ridere.
“Oh
oh, ha parlato
l’uomo vissuto” Sehun gli aveva mostrato la lingua.
“Sentiamo, quali sarebbero
i tuoi fiori preferiti, venerabile esemplare di robusta
mascolinità? Non me lo
hai mai voluto dire”.
“Non
lo
saprai mai, Sehun. Mi porterò il segreto nella
tomba” aveva roteato gli occhi
con fare melodrammatico.
“Stronzone
che non sei altro” gli aveva assestato un pugno sulla spalla.
“Ma un giorno ti
costringerò a rivelarmelo, sai. Stai molto
attento”.
Jongin aveva
esibito di nuovo quel sorriso di circostanza, freddo ed educato. Sehun
se ne
era fugacemente domandato il motivo, tuttavia la gioia di ritrovarsi
faccia a
faccia con il suo amico d’infanzia lo aveva ben presto
distratto.
“Da
quanto
va avanti?” Yifan non conosce durezza quando si tratta del
fratellino. Il suo
cuore gentile si fa di panna davanti
all’infelicità di Jongin.
“Anni,
ormai. Da dopo il diploma”.
“Santo
cielo” trasale. “Fu per questo che andasti in
America?”
“In
buona
parte sì” ammette con un sospiro pesante.
“In più si trattava di Yale, sarei
stato pazzo a rifiutare”.
“Sei
stato
pazzo a non affrontare la situazione” Yifan, più
che arrabbiato, è addolorato.
“Stiamo parlando di un sentimento che ti porti dentro
da quasi dieci
anni. Dieci. Non ha senso” scuote la testa.
“Dillo
a me”
lo imita l’altro. “Innamorato di Sehun. Devo essere
proprio scemo, vero? Magari
in una vita precedente ero un trafficante di esseri umani e adesso devo
espiare, non lo so”.
Yifan non
ride di quel patetico tentativo di autoironia. “Non
è il momento di scherzare.
Devi dirglielo e porre fine a questa storia una volta per
tutte”.
“Mai”.
“Come,
scusa?” batte le palpebre, incredulo.
“Yifan,
forse non te ne sei reso conto ma tossisco fiori. I suoi
cazzo di fiori. Ho il morbo di Hanahaki, ergo il mio è un
sentimento non corrisposto”.
“E
tale
rimarrà finché non affronterai la questione con
lui, a viso aperto. Ha tutto il
diritto di esserne messo al corrente”.
“…Che
cosa
di ‘non corrisposto’ ti sfugge,
esattamente?”
“Jongin,
basta” stringe i pugni. “Basta. Smettila di essere
così irragionevole, ti
prego” quasi lo supplica.
“Io,
irragionevole? Mi piacerebbe vivere in una fiaba con il lieto fine,
dove il tuo
migliore amico scopre magicamente di amarti da quando ha memoria e
vissero per
sempre felici e contenti. Ma non accadrà, Yifan. Speravo che
mi passasse. Ho
cercato in ogni modo di innamorarmi di qualcuno che non fosse lui. Sono
fuggito
su un altro continente per tentare di rifarmi una vita, Dio santo! Ho
fallito.
Mi sono ammalato”.
“Le
percentuali di guarigione spontanea sono abbastanza alte, lo sai. Nuovi
studi
sostengono che in gran parte dei casi tutto dipenda dal paziente
stesso, che si
tratti di autosuggestione-”
“Leggo
anche
io i giornali, grazie” lo interrompe Jongin, tagliente.
“Buon per gli altri se
è davvero come dicono, ma te lo posso assicurare: non
è il mio caso. L’Hanahaki
non mi è venuta perché mi sono autoconvinto
erroneamente che Sehun non mi ami,
mentre invece darebbe la vita per me. Mi è venuta
perché Sehun effettivamente
non mi ama, né mai mi amerà. Capisci la sottile
differenza?” getta uno sguardo
rancoroso ai petali rimasti nel lavandino. “Hai ragione
quando dici che devo
porre fine a questa storia una volta per tutte. Il mio organismo mi sta
dando
un avvertimento. Devo agire in fretta, prima che vinca il
mostro”.
Yifan sente
il proprio labbro inferiore tremare. “Non
l’avrà vinta. Dovrà passare sul mio
cadavere”.
“Preferirei
non arrivare a tanto” gli occhi di Jongin sono offuscati da
un velo di dolore.
“C’è ancora una via di scampo.
L’unica che mi rimane”.
Yifan china
il capo, sconfitto. Tocca a Jongin, adesso, confortarlo come meglio
può. “Non
essere triste, fratellone” lo abbraccia. “Ti
vorrò sempre bene, con o senza
sentimenti”. Yifan piange a lungo, per entrambi.
Sehun viene
a sapere del ricovero di Jongin in ospedale da degli amici in comune e
corre,
appena il lavoro glielo consente, a trovarlo. Entrato a passo di carica
nella
stanza (schivando abilmente la resistenza di due infermiere), la scena
che si
presenta dinnanzi a sé lo agghiaccia sul posto. Jongin, il
suo Jongin, sta
vomitando petali color zaffiro su lenzuola bianche di pessimo cotone
mentre
Yifan lo sostiene, una mano sulla fronte e l’altra dietro la
schiena. Sehun
pensa che dovrebbe esserci lui al posto di Yifan. Pensa anche che
Jongin non
dovrebbe vomitare fiori.
“Fallo
uscire” riesce a comandare Jongin tra un conato e
l’altro. Sehun immagina che
si senta in imbarazzo per essere stato colto in un momento tanto
delicato.
Hanahaki.
Jongin è malato d’amore. Ma quei
petali… sembrano rose. Potrebbe essere?
“Yifan,
fallo uscire” ripete Jongin, ansimando. Si volta a guardarlo
furibondo, emana una
rabbia pura e grezza e profonda che mette i brividi. Sehun avverte il
proprio
cuore incrinarsi. Confuso, ferito, non aspetta che sia Yifan a
scortarlo fuori
dalla stanza. Richiude la porta dietro di sé sbattendola con
forza.
Il Jongin
che accetta di riceverlo senza fare un plissé è
diverso, estraneo. Il suo
sorriso trasmette calma e ascetismo. Nessuna passione umana sembra
più in grado
di turbarlo –ed è la verità, in
effetti.
“Scusami
per
prima, non ero in me” gli si rivolge con perfetta cortesia.
Batte una mano sul
materasso, a pochi centimetri dal suo corpo. “Siediti
qui”.
Sehun
obbedisce in automatico. Ha sempre agito con lo scopo di rendere felice
l’amico.
“Suppongo che non mi dirai il nome della persona che ti ha
fatto questo” indica
la stanza e Jongin stesso, il bel guscio vuoto che è
diventato.
“Supposizione
corretta” è l’asettica risposta.
“Non
c’era
altro modo?”
“No”.
Il silenzio
pesa. “Rose blu?”
Jongin si
stringe nelle spalle, indifferente. “Non sei
l’unico ad avere gusti pacchiani,
a quanto pare” ride ricordando le parole di tanti anni prima.
Ride senza gioia
né coinvolgimento. Sembra un automa.
La crepa nel
cuore di Sehun si allarga.
Ad una
settimana di distanza dall’operazione, Sehun inizia a tossire
gerbere rosse. E
finalmente scopre quali sono i fiori preferiti di Jongin.
Mi sono
ispirata ad una SeKai scovata su Asianfanfictions, Hit
Us Both. Più per il tema dell’Hanahaki,
in realtà, che l’autrice
trovava alquanto banale per una fyccina ma che io, non essendomici mai
imbattuta prima d’ora, ho adorato.
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