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Autore: Kimynaky    05/11/2016    1 recensioni
In una città futuristica in decadenza post guerra civile, una ragazza 17enne capo di una gang di strada ha dichiarato guerra alla mafia locale per via di vecchi rancori. Così organizza una "spedizione punitiva" mirata a derubare un locale in mano ai mafiosi, ma qualcosa va storto....
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mezzo di trasporto era compatto, affusolato, ricordava la forma di un piccolo cetaceo con la cabina di pilotaggio bombata a ricordare la forma di una testa, formata da un’ossatura di metallo che reggeva degli oblò squadrati molto grandi, che lasciavano intravedere l’interno. Posteriormente il natante assumeva la forma di pinna caudale, dove erano abilmente nascosti i motori di propulsione. I timoni di profondità e direzione erano a forma di pinne pettorali e ventrali.
Kimberly non aveva mai visto una cosa del genere, e nonostante il trambusto e la confusione interiori che stava vivendo, rimase a bocca aperta. Dando un’occhiata ai presenti, si rese conto che lo stordimento era generale.
Ada invece era padrona della situazione. Premette un pulsante sul fianco del mezzo, che nessuno fino a quel momento aveva notato, e il “ventre” di quello strano animale di metallo si aprì ad ala di gabbiano.
“Sì, funziona!”. Esclamò in risposta a Alan.
Alan a malapena sentì. Era troppo meravigliato del ritrovamento, e un turbinìo di domande gli affollarono la mente.
“Ada ma tu chi sei esattamente? Come facevi a sapere queste cose?”
Ma Ada era già entrata e si era messa al posto di comando.
“Sali, parliamo dopo”
“Tu lo sai pilotare?”, trasecolò Alan; poi si riprese e fece cenno a due suoi uomini di venire con lui. In cabina pilotaggio c’erano due posti, e dietro c’era posto per quattro passeggeri disposti su due file, così due soldati presero posto dietro insieme a Kim e Sole, tenute ben ferme e il più possibile lontane, mentre Alan si sedette al posto del copilota, di fianco ad Ada.
Ada riattivò il quadro comandi e quando tutti furono ai loro posti, richiuse il portellone. Quel piccolo sottomarino si immerse silenzioso; e docile, sotto la direzione esperta della ragazza, si avviò verso l’uscita del tunnel.
“Abbiamo un bel po’ di cose da dirci”, disse Alan. “Tu sapevi già da prima di questo tunnel, non è così?”
 Ada rimase un attimo pensierosa fissando davanti a sé, poi rispose: “Se ti dico ‘sì e no’, mi credi?”
“dipende. Cosa significa ‘sì e no’?”, replicò lui guardandola con occhi indagatori.
Ada sospirò.
“non so da dove cominciare”, disse infine.
“Prova dall’inizio”
Ada ci rifletté un attimo, poi continuò: “Quando ho sentito parlare del tunnel, la notizia   mi sembrava del tutto nuova. Ma quando siamo entrati, ecco… mi sono accorta che io qui ci ero già stata”
Alan contrasse involontariamente i muscoli delle guance, cercando di trattenere l’impazienza.
“che vuol dire che sei già stata qui? Questo tunnel è in disuso da secoli, solo le più alte sfere del vecchio governo sapevano della sua esistenza, è un segreto militare!”, disse quasi con rabbia.
“Alan non so cosa significhi questo. Io ho parecchi vuoti di memoria, ma mi capita di ricordare cose assurde all’improvviso, senza sapere il perché. Fino a mezz’ora fa non mi sarei mai sognata di guidare un sottomarino eppure guardami, lo sto facendo”
Lo sguardo di Alan cadde sulle mani di Ada, che manovrava con fare esperto un sottomarino sofisticato, forse un sottomarino da ricognizione di cui neppure lui sapeva indicarne il modello. Una domanda cominciò ad assillarlo: Chi era davvero Ada, e lui poteva fidarsi di lei? Conosceva segreti militari che neppure lui, un agente segreto, conosceva. Molto probabilmente, Ada era stata nelle forze speciali. Sì, ma di quale schieramento? Da che parte stava?
 
-II-
 
L’effetto sorpresa fu decisivo. I piani bassi della Torre dell’Alto Comando erano sguarniti: mai si sarebbero aspettati un’invasione dalle fondamenta della Torre. Livello dopo livello le truppe della Resistenza guadagnavano terreno, per un po’ i capi del potere costituito cercarono di sedare la rivolta senza interrompere i festeggiamenti in mondovisione, ma ben presto le trasmissioni vennero interrotte. Nella piazza il popolo ignaro continuava a guardare la messinscena dello spettacolo mentre i presentatori prendevano tempo, improvvisavano gag comiche con i vari ospiti e pochi si accorsero che il nervosismo cresceva minuto dopo minuto. Quando finalmente venne dato l’annuncio che a causa di “problemi tecnici” si invitata il popolo radunato a tornare nelle proprie case, si disseminò lo sconcerto e anche il panico; ma il sentimento dominante fu rabbia: alcuni avevano sudato per trovarsi dei buoni posti e ora come si permettevano di annullare così lo spettacolo? Le proteste divennero quasi violente e l’esercitò sedò la rivolta sul nascere con l’uso di lacrimogeni.
I giornalisti presenti raccolsero immediatamente le apparecchiature per sgomberare il campo: avevano ricevuto il comando di tacere completamente quanto stava accadendo.
 
Solo uno di loro prese il cameramen che lo seguiva e gli ordinò di puntare l’obiettivo proprio al centro degli scontri.
 
“Steven ma che fai?? Lo sai che non ci permetteranno mai di divulgarlo!”, replicò Hans, il cameramen.
 
Steven Mackenzie, cronista di un telegiornale secondario, aveva 35 anni, una barba appena accennata, capelli scarmigliati, occhi irrequieti e dallo sguardo acuto.
 
“Sono stufo di questo giornalismo da quattro soldi. Qui sta succedendo qualcosa e, cascasse il mondo, io voglio esserci e raccontarlo! Riprendi tutto! Non tralasciare niente!”, disse con piglio deciso ad Hans.
 
Hans, che aveva un occhio decisamente più bovino, seguiva Bart in ogni suo scoop, e anche questa volta non si tirò indietro.  Puntò coraggiosamente la telecamera verso il cuore degli scontri, e iniziò a registrare. Fece una breve panoramica della piazza sconvolta dai disordini, mentre Bart faceva la cronaca: “Siamo in diretta dalla Piazza dello Stato, dove i festeggiamenti sono stati appena sospesi. Quello che doveva essere un evento da Gran Galà, si sta trasformando in una protesta accesa per l’inaspettato cambio di programma. Ecco alle mie spalle un cittadino che viene severamente punito per aver protestato…” Hans zoomò su un tafferuglio tra un agente di polizia e un giovane che cercava di scavalcare le transenne.
 
“Spegnete la videocamera!”, intimò un agente.
 
Steven non rispose, Hans restò in attesa di ordini da parte sua ma non ne arrivarono. Il poliziotto si irritò e ripeté l’ordine:
 
“Spegnete IMMEDIATAMENTE la videocamera!”
 
Steven fissò il cameramen e disse: “Forza Hans, spegni” Il cameramen fermò le riprese, Steven mise via il microfono.
 
“Seguitemi!”, ordinò l’agente, prendendo la videocamera dalle mani di Hans.
 
-III-
 
Fank era in cima alla torre quando si accorse che qualcuno lo stava chiamando sull’interfono: il dorso del suo braccio iniziò a lampeggiare. Era infatti sufficiente indossare un braccialetto ipertecnologico per usare il braccio come interfaccia grafica. Frank prese la chiamata che entrò automaticamente nell’auricolare posto all’interno dell’orecchio: si trattava di Slaughter. Il boss Era completamente fuori di sé, e ordinava a tutti i segugi disponibili di recarsi alla torre dell’Alto Comando a dare man forte. I segugi avrebbero avuto molto da perdere dalla sconfitta di Sergio, per cui non avrebbero permesso che ciò accadesse!
 
Frank strinse i pugni. Quella sera avrebbe dovuto assaporare la propria vendetta e godere dei propri successi, e invece si ritrovava a fronteggiare una rivolta.
Mandò giù il rospo e con un messaggio ordinò a tutti i segugi che non erano al galà di precipitarsi sul posto in assetto da combattimento; mentre a quelli che lo avevano accompagnato quella sera espose il suo piano: progetti di vendetta agitavano il suo cuore.
 
La Torre sorgeva su uno dei molti monti su cui era cresciuta la metropoli, cosa che ne accresceva l’imponenza. Intorno aveva uno spiazzo di solito piantonato a vista da torrette di controllo, e il perimetro era circondato da rete elettrificata.  Il popolo aveva osservato l’evento al di fuori della rete di recinzione: solo i militari e persone autorizzate potevano accedere nei pressi della torre. La torre di suo già era alta, ma si diceva che la parte interrata era molto più vasta di quella visibile. Si vociferava che avesse ben oltre 200 piani. Ci avrebbe messo un’eternità a scenderli con l’ascensore. Un suo sottoposto, in risposta al messaggio che aveva ricevuto, in breve arrivò in cima alla torre in sella a un flyscooter, scese e vi fece salire Frank.
 
Frank discese dalla torre in picchiata fino a planare a pochi metri dall’ingresso del pianterreno, dove non ebbe difficoltà a entrare mostrando il suo badge. Non aveva molto tempo per attuare il piano.
 
Si diresse deciso nei sotterranei fino al primo livello delle prigioni, che stava per essere raggiunto dalla sommossa. I soldati e i pochi segugi arrivati presidiavano il piano in attesa dell’ondata di ribelli; i soldati di Sergio stavano difendendo la posizione nei livelli inferiori ma non avrebbero resistito ancora per molto: si sperava di poter arginare la rivolta con una seconda barricata. Frank consegnò il badge e tutto ciò che aveva con sé (anche l’interfono) al suo fido segugio, scambiando poche parole al generale che lo guardò con rispetto.
 
Frank quindi oltrepassò la barricata e scese ulteriormente di un piano, diretto verso l’obitorio dei prigionieri. Aveva pochissimo tempo: i ribelli stavano arrivando. Si spogliò di tutti i vestiti, indossando quelli di un cadavere lì vicino. Buttò cadavere e vestiti nell’inceneritore e si mise sdraiato al suo posto a occhi chiusi, in attesa dell’arrivo dell’esercito nemico.
 
-IV-
 
Gli ultimi soldati sopraggiunti a difendere la posizione nei livelli delle carceri caddero sotto i colpi dei ribelli, che avanzarono nella loro conquista del centro del potere di Petra. Avevano già provveduto a bloccare gli ascensori, quindi proseguirono indisturbati nella loro corsa fino al piano successivo: l’infermeria.
Stavolta non incontrarono resistenze: probabilmente altre barricate li attendevano nei piani superiori. Cinque agenti della resistenza vennero mandati a perlustrare il piano per accertarsi che fosse tutto sotto controllo, e Brian era uno di loro. Sembrava tutto deserto, così stavano per tornare indietro quando Brian udì distintamente un lamento.
 
“Avete sentito?”, chiese agli altri 4 soldati.
“Veniva da questa parte”, disse Wilson dirigendosi verso l’obitorio.
 
La stanza era asettica e agghiacciante. Un odore strano, misto tra disinfettante e formalina, impregnava l’aria. Lungo una parete si trovavano i lavelli e le vasche, tutti in acciaio. Nella parete di fianco c’erano le celle frigorifere per le salme; di fronte alla parete con le vasche c’era invece un inceneritore, che stava ancora bruciando qualcosa. Al centro c’erano cinque tavoli anatomici su ruote, su cui giacevano delle salme. O almeno, a una prima occhiata sembravano salme: proprio mentre Brian osservava i corpi, uno di questi si mosse emettendo un gemito. Il cuore gli balzò nel petto ed esclamò: “Ma è vivo!” due agenti si avvicinarono al sopravvissuto, mentre gli altri restarono a vigilare all’ingresso della stanza.
“E’ vivo!”
“Aria, lasciatelo respirare, facciamolo sedere!”, dissero concitati.
“Basta, così lo confondiamo!”, disse Brian: lo sconosciuto iniziò a tossire, aprì con fatica gli occhi, mugolò di dolore.
Infine parlò con voce flebile:
“Dove sono?”
“Tranquillo, sei al sicuro adesso”, disse Wilson mettendogli una mano sulla spalla.
 
Lo abbiamo salvato: stavano per incenerire viva una persona e non se ne erano nemmeno accorti! Per fortuna che ci siamo noi.
 
Questo pensiero riempì Brian di soddisfazione e orgoglio, spingendolo a Ignorare del tutto la sottile sensazione di disagio che aveva avvertito pochi secondi prima, quando si era avvicinato al detenuto: eppure, quel volto lo aveva già visto da qualche parte…
 
-V-
 
Nel sottomarino tutti erano rimasti in silenzio ad ascoltare le spiegazioni di Ada. Ognuno aveva un motivo tutto suo per essere curioso. Quando Ada finì le risposte, nella cabina rimase un silenzio denso, pieno di riflessioni. In quel momento emersero dalle acque in prossimità del ponte.
 
Ada fermò il veicolo e si voltò a guardare Brian.
 
“La base segreta ce l’ha un porto sottomarino?”
 
Alan strabuzzò gli occhi. “Che io sappia no”, replicò.
 
Ada storse il naso mentre rifletteva a voce alta.
 
“Non possiamo lasciare questo gioiellino incustodito.”
 
Ma una volta riemersi dal fiume, Ada poté constatare che non erano soli: seppur in numero ridotto, per poter mimetizzarsi nel buio e non dare troppo nell’occhio nel caso sfortunato di un pattugliamento da parte del potere costituito, delle cellule militari della resistenza presidiavano l’entrata al tunnel sotterraneo. Ada fece scendere i passeggeri, mostrò a un ufficiale sbigottito come guidare il sottomarino, e affidò in mano loro il mezzo. Da parte sua Alan si era fatto dare un’auto. Ada prese posto davanti, dietro furono messe Kim e Sole, sempre separate dal soldato Carter. Ada pensò ironica che lo avrebbero fatto santo, visto che le due ragazze non stavano certo zitte e ferme, anzi! Finché erano rimaste nel sottomarino si erano entrambe chiuse in un silenzio tombale, ma una volta scese Kimberly si scagliò ancora una volta contro la sorella cercando di graffiarla. Ovviamente lei fu placcata da Carter e Sole da Johnson, ma gli insulti nel frattempo erano volati, eccome. Dopo l’ennesimo ordine perentorio di Alan la situazione era tornata apparentemente tranquilla, ma Ada non invidiava né Carter, rimasto in mezzo a due vulcani silenti ma pronti a esplodere, né Alan, che aveva la responsabilità di due ragazze dagli artigli affilati come quelli di un gatto, e con tutta la voglia di usarli.
 
Nonostante questa piccola divagazione di pensieri, mentre Alan avviava il motore il suo intuito fu colpito da un dettaglio fondamentale: l’auto non aveva i vetri oscurati.
“Alan, i vetri dell’auto sono normali. Così vedremo la strada che fai per andare alla base…”, disse.
Alan capì subito ciò che Ada stava per dire.
“Sì cara mia, oramai sapete troppo”
Ada sentì un’emozione strana attraversarle il petto. I giorni dei Dragonfly, le corse in flyscooter nel cielo di Petra, la sua libertà… era tutto finito. Stava per iniziare un nuovo capitolo della sua vita e ancora non sapeva ben definire ciò che il suo intuito le stava comunicando, ma, di certo, non sarebbe più stata libera.
   
 
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