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Autore: quirke    05/11/2016    0 recensioni
Primo era sempre stato silenzioso e quieto, una di quelle anime un po’ fuoriposto dovunque, un po’ anni sessanta, divani in pelle rossa e rock’n’roll, ma a volume bassissimo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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roba del 2014
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Che di stelle vesti il cielo

"Tu che mi attraversi e tu, 
tu che di stelle vesti il cielo e mi convinci che di te non ne avrò mai abbastanza" 


 

C’è Primo che in classe non capisci se è una persona che riesce a mutarsi o se è costruito proprio così. Primo o è stupido o fa finta di esserlo.
Primo è una di quelle “x” fuori luogo, quelle variabili da trovare subito dopo un sonno scarso. Non si riesce a stargli dietro e definire ogni sua reazione, è una molecola difficile da comprendere, scomporre, studiare e dividere pure dalla coscienza o dai pensieri, dai dubbi dei lunedì mattina. Perché comunque ,magari, dovrebbe fare un passo avanti ma tutti quei occhi contro dopo potrebbero bruciargli quella sua scarsa sicurezza che era riuscito ad accumulare. E’ così che funziona negli stabilimenti pubblici, ma le sue emozione e tutto quello che è suo non vuole renderlo pubblico.
Primo e le distanze erano due cose completamente differenti, non era cosa per lui, assolutamente. Primo era abituato ai parenti vicini, ai Natali in famiglia ed agli amici dietro casa, fin da piccolo.
Stava seriamente poco al computer, magari al cellulare ci spendeva quella mezz’ora giornaliera per i “Dove ci incontriamo?”, “Oggi non ci sono, sai … Ma non preoccupatevi!”
Abitava in un quartiere in periferia, composto da villette contornate da giardini trascurati e lampioni fiochi, i camini costantemente accesi ed il bus vecchio e logorato dai sussurri, dai pensieri tra lui e basta e dalle risatine.
Primo era sempre stato silenzioso e quieto, una di quelle anime un po’ fuoriposto dovunque, un po’ anni sessanta, divani in pelle rossa e rock’n’roll, ma a volume bassissimo. 
Con i capelli spettinati, le labbra strette e ferme e gli occhi silenziosi e ferrei in qualsiasi situazione, Primo era riuscito ad inserirsi lentamente nei sorrisi di qualcuno. Quasi quasi era l’unico a ridere alle battute di seconda mano di Maciej, a sostenere Charlie nelle notti dei sabati fuori mondo. Primo, però, sembrava non andare a genio a Jonah, era solo una sua impressione, che poi d’impressioni ne aveva molte e di freni ancora di più, ma a vederlo sorridere, non ci era mai riuscito.
Poi però era accaduto, gli undici anni erano andati via, con il pallone da calcio cucito e ricucito dalla zia, erano andati via gli acquerelli e le mani sporche di vernice dando spazio alle serate con gli amici, forzate, ai soldi spesi in qualche birra il fine settimana, che di norma veniva prosciugata da Charlie, e alle ragazze che non venivano più di tanto ignorate, come prima.
“A che servono le donne eh? Tua madre se n’è andata, ma tutte lo fanno, le donne. Non sono poi così tanto indispensabili”
Glielo aveva detto suo padre, una domenica sera con la pizza nel microonde e la barba ispida, ma Primo, in quello sguardo, ci aveva trovato una mappa strappata e mille e più bugie. Per questo aveva annuito e si era forzato di dimenticare sua madre, e le donne. Ma era facile a quell’età, perché poi a dodici anni gli bastava il pallone da calcio, le nottate nella soffitta di Maciej e le torce, era felice anche così.
Ma era anche accaduto Internet, un minuto in più al computer e le promesse. E gli anonimi, i sorrisi spenti dalla luce dello schermo del computer, le dita tozze e veloci sulla tastiera, e la chitarra scordata sopra l’armadio,ed  Abbey e novemilatrecentoquattro chilometri.
“Magari un giorno ci dimentichiamo di tutti questi pomeriggi, perché io me lo sento che sarà così e finalmente useremo il tempo donatoci, in qualche modo più intelligente. Perché novemila e cazzo di chilometri sono tanti e siamo solo due fottuti teenager di merda. Tutto scorre, te lo dico io. Io finirò l’Università, troverò un lavoro in qualche grattacielo qui a Tokyo e mi sposerò il capo, perché mi sento pure questo, e finalmente abbandonerò questo cazzo di appartamento di merda”
E dopo quelle parole, ripetute fino allo sfinimento, ogni pomeriggio fuori mondo, Primo, un po’, si sentiva spazzato via, diviso, perso in qualche foresta dimenticata e sconosciuta, voleva solo imparare ad abituarsi, a quelle sue parole disordinate, ma era difficile.

Perché l’orizzonte è spezzato, i futuri sconnessi ed i parenti troppo possessivi. Dove vuoi andare?
Se glielo chiedevi seriamente, rimaneva in silenzio. Ma nei compiti per casa delle elementari scriveva di voler fare il pilota e circondarsi di miliardi d’orizzonti, tutti diversi.

 

  
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