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Autore: Arwen297    06/11/2016    3 recensioni
[ SEGUITO DI "IL VENTO DELLA LIBERTA']
Presente la coppia Seiya x Michiru
Sono passati 13 lunghi anni da quando Haruka è partita per gli USA nel tentativo di salvare la famiglia dalla rabbia della famiglia Kaioh, la sua carriera ha preso il volo e ormai è famosa nell'ambito delle corse. Il suo rientro in territorio nipponico per la laurea della sorella Usagi le donerà un incontro sperato per tutto il tempo passato lontana da casa.
Michiru ha una carriera ormai solida a fianco di suo marito, Seiya, con il quale si esibisce in concerti di musica moderna senza abbandonare le sue composizioni classiche.
Le due si troveranno a fare i conti con il loro passato e i loro sentimenti più forti e prorompenti che mai, entrambe ne usciranno cambiate e segnate e anche per Seiya non si prospetta nulla di buono, entrambe dovranno lottare per trovare la loro felicità.
Genere: Erotico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Mamoru/Marzio, Michiru/Milena, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
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Note dell'autrice: Non ho molto da dire su questo capitolo, vi auguro solo buona lettura.

 

Capitolo 3: Mantieni la calma!

 

Continuava a fissare quello che aveva nel piatto da circa una decina di minuti, mentre gli altri parlavano del lavoro affrontato durante la giornata; il sushi a lei era sempre piaciuto, fin da quando era piccola ne aveva sempre mangiato in grandi quantità e in tutte le salse ma in quel momento la fame era minima. Complici la stanchezza che aveva iniziato a sentire appena si era seduta a tavola dopo aver aiutato Alyssa a cucinare, a cui si unì la preoccupazione che era nata in lei alla vista di Haruka quel pomeriggio. Non sapeva proprio cosa aspettarsi dalle prossime prove, l'avrebbe rivista? O la freddezza con cui l'aveva trattata sarebbe bastata a tenerla lontana?

In passato si era rivelata essere codarda, quindi probabilmente almeno che non fosse cambiata crescendo, non l'avrebbe più rivista fino alla fine del concerto.

«Tutto a posto Michi?». Le domandò Seiya, notando quanto poco avesse mangiato, e il continuo gioco della forchetta che muoveva nel piatto, era poi stranamente silenziosa e pensierosa quella sera. Di solito a casa di suo fratello era molto più energica e vitale.

«Si amore, sono solo stanca, ricordami quando arriviamo a casa di farti vedere i preventivi che mi ha mandato Lisa, mi servirebbe un tuo parere». Sorrise per rassicurarlo, e sempre con lo stesso scopo si decise a mettere in bocca un altro boccone di riso e pesce.

«Mi ha mandato già tutto Lisa via email, poi a casa ne parliamo». Si sentì rispondere, rimanendo sorpresa per l'ennesima volta di quanto fosse rapida sul lato pratico la loro manager.

 

***

 

La sera prima finalmente aveva deciso chi contattare per il rinfresco, mancava solamente la conferma da una delle tre location che avevano contattato per mettere in moto l'ultima parte della macchina organizzativa. Quella mattina si era dedicata totalmente alla figlia, lasciando da parte alcune email che le erano arrivate con varie richieste di collaborazione; così aveva scelto di arrivare prima in aula rispetto all'orario accordato con Usagi per rispondere a tutto prima di iniziare.

Inviò l'ultima e-mail proprio quando mancavano cinque minuti all'inizio della lezione, non sapeva cosa attendere da quelle due ore, più che altro non sapeva chi attendere a fine lezione; perché era sicura che Haruka non si sarebbe arresa dopo la condotta del giorno prima, anzi se un po' l'aveva inquadrata in passato si sarebbe intestardita il doppio anche solo per farle un dispetto.

Chiuse il portatile riponendolo nella sua borsa, per poi chiuderla e si avvicinò poi alla finestra appoggiandosi con la schiena alla coda del pianoforte. Doveva trovare una soluzione, non poteva permetterle di avvicinarsi ancora a lei. Sarebbe stato troppo pericoloso e l'ultima cosa che voleva e tornare indietro a quel periodo, una ricaduta in quel momento non poteva permettersela. Sua figlia aveva bisogno di lei, non di una madre che sembrava uno zombie e che non aveva nessun interesse per il cibo.

Si voltò quando sentì dei passi nel corridoio nella speranza di vedere comparire solamente Usagi sulla soglia della porta.

«Ciao Michiru». La salutò la pianista, sorridendo come sempre, un sorriso che arrivava fino ai vivaci occhi azzurri.

«Ben arrivata, sistemati pure con comodo, così iniziamo». Le disse, prima che nel suo campo visivo entrasse un'altra figura, più alta della prima con una giacca di pelle e una maglietta bianca leggermente attillata addosso.

No per favore, non ci posso credere!

Sbiancò immediatamente non appena realizzò il proprietario, o meglio la proprietaria, di quel corpo.

«Cosa sei venuta a fare?». Domandò bruscamente, mentre Usagi prendeva il suo posto nella stanza in silenzio. L'altra entrò subito dopo avvicinadosi a lei.

«Non posso ascoltare mia sorella suonare?». Si sentì rispondere, non poté trattenere un gesto stizzito. Sì, e io ci credo!

Si voltò furente per raggiungere il pianoforte dove la biondina si era già sistemata, doveva per forza ignorare la presenza della sorella maggiore se voleva tenere una lezione decente con la più piccola delle Tenoh

«Mi fai sentire il pezzo che abbiamo fatto ieri? Poi andiamo avanti di un'altra facciata». Le disse prendendo una matita da usare per batterle il tempo al posto del metronomo già occupato da un'altra lezione.

Usagi annuì, si era esercitata molto anche a casa il giorno precedente e, sebbene in un punto aveva un po' di difficoltà, le sembrava di essere migliorata molto; nonostante le sue impressioni sapeva che l'ultima parola sarebbe spettata alla violinista, quindi, senza esitazioni, iniziò a suonare.

 

 

Un'ora più tardi avevano fatto circa metà della seconda facciata di spartiti, con alcune difficoltà da parte sua a rimanere concentrata per via degli occhi che si sentiva costantemente puntati addosso.

Nonostante fosse abituata a sentirsi guardare, visti le centinaia di concerti che aveva condotto, quelle iridi verdi la mettevano a disagio e non poco. Doveva trovare una soluzione, altrimenti sarebbe stato tutto tempo sprecato e poco produttivo da parte sua.

«Usagi direi di fare una pausa, se vuoi vai pure a prenderti qualcosa dalle macchinette al primo piano dovrebbero essere ancora in funzione». Esclamò nel tentativo di rimanere sola e parlare a quattro occhi con Haruka.

«Ehm sì, in effetti ho una discreta fame. Vuoi per caso che ti porti qualcosa anche a te? Ne approfitto anche per andare in bagno se non ti dispiace. E' da stamattina che sono fuori di casa». Si alzò per dirigersi verso la borsa per prendere il portafoglio, poi si diresse verso l'ingresso della stanza sparendo poco dopo.

La violinista aspettò qualche istante, prima di parlare in modo che si fosse allontanata sufficientemente da non poter sentire eventuali discussioni.

 

Osservò Michiru chiedere a sua sorella se aveva bisogno di una pausa, proposta che Usagi accolse in pieno. Conoscendola non avrebbe potuto fare altrimenti, golosa com'era , obbiettivamente doveva ammettere che il brano della musicista era particolare e bello, l'idea che aveva avuto nell'unire un pezzo di musica classica con uno dei famosi brani di Frozen era senza dubbio originale.

Aveva intuito, osservandola, che la sua presenza in quella stanza non la metteva decisamente a suo agio, le era sembrata agitata per tutto il periodo delle prove, anche quando impartiva correzioni la sua voce era poco ferma. Ben lontana da quella che la caratterizzava in tv.

«Mi dici perché sei venuta qui oggi?». La sua voce le arrivò tagliente più che mai a interrompere le sue elucubrazioni, la fissò qualche momento in totale silenzio.

Cosa poteva dirle ora?

«Te l'ho già detto, sono qui per ascoltare le prove di mia sorella. Non penso sia un reato, credo che io abbia tutto il diritto di farlo». Le rispose in tutta tranquillità, piantando il suo sguardo nel suo.

«E tu pensi che io ci creda?». Ribatté, sicura che in realtà le sue motivazioni erano altre.

«Puoi crederci oppure no, io non so cosa dirti, e non è una cosa che mi riguarda quello che pensi tu». Portò le mani al petto con fare strafottente.

Hai messo su un bel caratterino Michiru, sarà interessante interagire con te in seguito. Pensò, cercando di non sorridere all'idea che le si era formata nella mente.

«Credo che mi riguardi eccome nel momento in cui lede la mia tranquillità, ti chiedo il favore di non venire più alle prove». Il tono della voce divenne improvvisamente più basso.

«Non costringermi a segnalare la tua resistenza alla scuola non ho intenzione di farlo. Voglio vedere le prove di mia sorella e fine, quanti problemi ti fai. Se ti agiti prenditi la valeriana». Rispose tagliente. La guardò voltarsi verso la finestra per ammirare il panorama furente, poté giurare di aver visto un leggero tremolio della mano che aveva chiuso a pugno per il nervosismo.

Il fatto di non esserle totalmente indifferente le piacque molto, voleva dire che nonostante il suo passato comportamento la violinista non l'aveva dimenticata totalmente. E ciò poteva rivelarsi una carta a suo favore, i passi di Usagi risuonarono nel corridoio segno che quel loro scambio di battute era giunto al termine.

 

Poco dopo la biondina coi codini fece capolinea dalla porta dell'aula stringendo in mano il bicchierino per Michiru.

«Tieni Michiru». Esclamò, cercando di far finta di nulla, percependo la tensione nella stanza al suo arrivo.

«Grazie Usagi». Rispose lei, girandosi poi a cercare il portafoglio per restituire i pochi centesimi del caffè.

«Usa, te li do io per il caffè di Michiru». La voce di Haruka risuonò nuovamente in quella stanza, risuonando– al di la della cortesia – come una dichiarazione di guerra.

«Non è necessario, ho la possibilità di restituire e pagare per ciò che compro o vendo». Ribatté gelida, non poteva permetterle di farlo, non voleva essere in debito con la bionda, la sua presenza le stava decisamente facendo saltare i nervi.

«Insisto Kaioh, e dovresti sapere che io ottengo tutto ciò che voglio». Sorrise.

«Non sembrerebbe visto che in passato sei scappata come un coniglio». Si avvicinò a Usagi fin troppo velocemente, presa dal nervoso che l'insinuazione di Tenoh aveva provocato in lei, non si accorse per tanto del cavo nero che attraversava la stanza e che il giorno prima non c'era, probabilmente a causa di prove con qualche strumento elettrico. E fu un attimo, per lei, volare in terra inciampando rovinosamente in esso, istintivamente mise avanti le mani per proteggere il viso dall'impatto con la fredda superficie sotto di lei, e la fitta che sentì al polso destro non le piacque per niente.

Non riuscì a trattenere un gemito per il male acuto che le prese la maggior parte del braccio.

Il pensiero che potesse essere successo qualcosa di poco piacevole al suo polso le attraversò la mente, e fu subito scacciato per non agitarsi troppo.

«Tutto a posto?». Nel suo campo visivo fecero capolinea due occhi verdi circondati da capelli biondi come il grano, che le tesero la mano per aiutarla ad alzarsi. «Dovresti fare più attenzione, una violinista come te dovrebbe stare attenta a non arrecare traumi a polso e spalle, ma sopratutto dovrebbe stare attenta a dove mette i piedi quando cammina». Si sentì dire, mentre l'altra sorrideva.

Un sorriso che lei trovò ai limiti della strafottenza e decisamente odioso. Fissò indecisa la mano che quella le porse per aiutarla ad alzarsi, e senza pensarci le porse a sua volta proprio il polso da cui era partito il dolore al momento dell'atterraggio. Costringendola a soffocare con troppi risultati un altro lamento per il male.

«Ti fa male Michiru?». Le chiese. «Fammi vedere, che di distorsioni e cadute io nel motociclismo ne vedo parecchie». Senza aspettare un accenno positivo da parte dell'altra le prese l'esile braccio e provo a muovere delicatamente verso l'alto e il basso la parte offesa.

«Mi fa male, puoi evitare per favore..non è piacevole». Mormorò mortificata lei, con gli occhi che le pizzicavano per il male che le stava arrecando.

«Scusami, ma è l'unico modo per valutare la questione, guarda si sta già gonfiando non dovrebbe essere rotto ma meglio se andiamo in ospedale».

Quell'andiamo non le piacque per nulla.

«Guarda ho giusto la macchina parcheggiata qua fuori, posso andare con quella». Disse togliendo il polso dalla presa dell'altra per portarselo al petto, non aveva nessuna intenzione di farsi accompagnare.

«Guarda che non ti conviene guidare in queste condizioni, come farai a cambiare le marce? Se vuoi ti accompagno con la tua macchina così una volta che hai finito torni a casa da sola». Le propose la bionda, guardandola fissa negli occhi.

Non sapeva davvero cosa inventarsi per declinare quell'ennesima offerta d'aiuto, ma non poteva accettarla.

«Grazie della disponibilità Haruka, ma preferisco di no». Si rivolse dunque a Usagi. «Per oggi meglio concludere qui la lezione, continua a esercitarti, su queste nuove pagine».

Si diresse verso la borsa e la cartellina degli spartiti per metterli a posto, poi introdusse quest'ultima nella borsa e prese le chiavi della macchina abbandonate sulla scrivania.

Aspettò la biondina con i codini e poi seguì lei e la sorella fuori dall'edificio, era presto. «A domani Usagi, mi raccomando esercitati oggi pomeriggio e se riesci anche stasera». Dopo un cenno di saluto, fatto per educazione, si diresse verso la sua macchina, il dolore al polso più acuto. Forse Haruka aveva ragione, sarebbe stato difficile per lei guidare in quelle condizioni.

Cercò quindi il telefono nella borsa, non le rimaneva che chiamare Seiya per farsi andare a prendere, compose il numero e rimase in attesa della risposta del bruno che non tardò a farsi udire.

«Dimmi tesoro». La sua voce le solleticò il timpano provocandole un dolce sorriso.

«Ascolta, sono caduta durante la lezione e ho battuto male il polso destro, non riesco a guidare fino al pronto soccorso potresti venire a scuola a prendermi?». Gli chiese, alla sua domanda seguirono alcuni istanti di silenzio.

«Cerco di liberarmi il prima possibile, chiedo a Yaten o Taiki se dovessi tirare per le lunghe». Le rispose. «Ti faccio sapere tra un pò».

«Ok vedo se trovo un passaggio, o altri colleghi che stanno facendo le prove, se qualcuno finisce prima chiedo a lui e magari mi raggiungi poi in ospedale». Sospirò spazientita da quella notizia, chissà quanto avrebbe dovuto aspettare in quella macchina.

«A dopo tesoro». La salutò lui prima di far cadere la linea. Posò il cellulare sulle gambe, e appoggiò la nuca al poggia testa: le stava salendo anche una forte emicrania, la giornata era sicuramente tra quelle da aggiungere all'elenco del dimenticatoio mentale in cui aveva chiuso tante esperienze passate.

«Qualcosa non va?». Una voce interruppe il silenzio sceso nell'automobile, due occhi verdi e divertiti fecero capolino dietro un paio di rayban neri leggermente abbassati da delle dita affusolate.

«No nulla, niente di preoccupante». Rispose secca, cercando di mantenere più distacco possibile.

«Io non direi Michiru, mi sembra di aver sentito chiaramente che non sanno quando possono venirti a prendere...». Lo sguardo percorse il profilo della violinista fino a fermarsi sulle labbra di lei. «E visto che quello è il polso di una violinista famosa, sarebbe il caso di non indugiare troppo per una visita, non trovi?».

«Direi che non sono affari tuoi, se e quando mi possono venire a prendere è affar mio e di nessun altro». Doveva però ammettere che l'altra aveva ragione, per la professione che svolgeva poteva rivelarsi pericoloso aspettare ore e ore prima di poter passare una visita.

«Dai su, scendi poche storie, passa sul lato passeggero ti accompagno io. E tranquilla non ci sto provando. Usagi torna a casa da sola senza problemi, abitiamo poco distante da qui». Ebbe cura di specificare, anche se non era totalmente sicura che quella affermazione corrispondesse al vero.

Vide la pittrice alzare gli occhi al cielo in segno di muta arrendevolezza concedendole così la sicurezza di aver vinto quella piccola battaglia; la osservò scendere senza guardarla in volto per poi far cadere come un peso morto le chiavi del veicolo nella sua mano sinistra. Pochi istanti più tardi era già nel sedile sinistro, con la cintura fissata a guardare fuori, in un tentativo che la motociclista percepì come un totale rifiuto nell'intrattenere un discorso. «Guarda che non mordo, te lo giuro!». Commentò dopo aver messo in moto l'automobile ed essere uscita nel traffico cittadino.

In tutta risposta ottenne silenzio.

Ma anche in passato Michiru era testarda e cocciuta? Non se la ricordava minimamente così, ma esattamente con il carattere contrario a quello che stava tirando fuori in quel momento.

E non poté negare a se stessa che, quel nuovo caratterino, le piaceva da impazzire.

«Pianeta Terra chiama Nettuno, rispondete!». Tentò nuovamente l'approccio, questa volta in modo totalmente diverso.

«Marte, era Marte il pianeta». La risposta automatica di Michiru non tardò ad arrivare.

«Oh si, lo so benissimo, ma vedi a te piace il mare..hai capelli che ricordano le onde marine. Nettuno credo sia molto più appropriato. Quindi si, confermo, pianeta Terra chiama Nettuno!». Controbatté, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

Kaioh piegò la testa di lato perplessa, in effetti il ragionamento non faceva una piega, lei si era sempre sentita affine anche a Nettuno oltre che al mare; come non avrebbe potuto? Poseidone, in fondo, era il Dio del mare! Decise di non rispondere e lasciar cadere nel vuoto il discorso, non vedeva l'ora di essere lasciata in ospedale per togliersela di torno.

Dopo tutto non doveva intrattenere un discorso con la persona che le stava a fianco, ragion per cui si mise a ripassare mentalmente proprio il brano che aveva scritto per duettare con Usagi.

 

***

 

«Chi hai detto che ti ha accompagnata in ospedale?». La domanda di Seiya la colse di sorpresa, mentre prendeva il piatto della bambina da tavola seguito dai loro.

«In realtà non l'ho detto, mi ha dato un passaggio con la mia macchina una collega che abita in centro, ma inutile che ti dico il nome, tanto non la conosci. E non prenderà parte nemmeno al concerto di fine anno perché segue i corsi di avviamento alla musica per i bambini dai tre ai cinque anni oltre a suonare con l'orchestra del teatro come la sottoscritta». Non gli aveva mai mentito dopo l'incidente di tredici anni prima, in cui se l'era vista davvero brutta, e in precedenza tutte le bugie uscite dalla bocca erano state causate da Haruka, proprio come in quel momento.

Tenoh l'aveva lasciata come promesso in ospedale, parcheggiando la macchina nel giardino dello stesso, si era fermata fino a quando lei non aveva ricevuto la chiamata di Seiya ignorando il silenzio imbarazzato che si era creato tra di loro; tempo comunque troppo breve per sapere cosa aveva il suo polso.

Il dottore le aveva detto, dopo averle fatto fare i raggi, che era una semplice slogatura, sarebbe passata in una decina di giorni, a patto che fosse stata fasciata in tutto l'arco di tempo. Mangiare da mancina si era rivelato difficilissimo, non osava immaginare cosa avrebbe combinato nello scrivere gli spartiti per l'accompagnamento del suo brano con la mano sinistra.

Seiya annuì, preoccupato per il polso della moglie ma allo stesso tempo sollevato che l'arto non si era rivelato essere rotto.

«Come hai fatto a cadere?». Le chiese curioso.

«Oh...beh ero troppo assorta nel seguire la mia allieva che non mi sono resa conto di un filo che attraversa l'aula e sono inciampata su di esso. Ho messo le mani avanti per evitare di prendere una facciata e questo è il risultato». Rispose tranquillamente, in fin dei conti aveva detto quasi del tutto la verità, almeno per una volta.

«Stai attenta, poteva andar molto peggio lo sai». Fu il commento di lui. «Signorina è quasi ora di andare a dormire, che ne dici se andiamo a lavarci i denti e mettere il pigiama mentre la mamma finisce di mettere a posto la cucina?». Rivolse l'attenzione verso la bambina che annuì stanca, si alzò per prenderla in braccio e si diresse con lei verso l'area notte dell'appartamento.

Michiru non rispose a quell'eccessiva preoccupazione da parte di lui, in parte lo capiva perché anche lei aveva temuto il peggio visto il forte gonfiore, ma ad allarme cessato lo trovava troppo apprensivo. Soffocò un sonoro sbadiglio e iniziò a caricare la lavastoviglie.

 

***

 

Stesa sul letto della camera di quando era ancora ragazzina fissava il soffitto pensando agli avvenimenti di quel pomeriggio, quando aveva lasciato la pittrice in ospedale ancora non l'avevano visitata. In base all'esperienza che aveva maturato in quegli anni con gli infortuni il suo istinto le faceva escludere che lei si fosse rotta il polso, ma consapevole delle implicazioni che avrebbe causato una cosa del genere sperava di cuore che le sue sensazioni fossero giuste e che si trattasse solamente di una slogatura.

Ripensò al breve dialogo che avevano avuto in macchina, alla grinta sfoderatole contro con rabbia quasi immotivata, ma che lei aveva sensazione fosse legata al loro passato.

La situazione era davvero delicata, avrebbe voluto chiederle un chiarimento ma doveva prima fare in modo di avvicinarsi nuovamente a lei cosa che alla luce della giornata appena trascorsa non si sarebbe rivelata facile.

Avrebbe dovuto tirare fuori tutto il suo potenziale, al quale l'altra si era già rivelata vulnerabile quando erano entrambe solamente delle ragazzine.

«Haru, è successo qualcosa oggi quando sono andata a prendere da mangiare?». La voce di Usagi si fece spazio leggiadra tra i suoi pensieri costringendola a voltarsi nella sua direzione.

«No abbiamo solamente avuto uno scambio di opinioni Usa, niente di particolarmente importante». Si limitò a dire.

«Sicura? Perché Michiru mi è sembrata molto innervosita poi, ieri quando tu non c'eri non era così ma tutta il contrario, era molto dolce». Si voltò a pancia in su per posare il cellulare sul comodino dopo aver augurato la buona notte al suo Mamo - chan.

«Era innervosita dalla mia presenza, mi ha chiesto di non presentarmi più alle prove e le ho semplicemente fatto notare che assistere alle prove di mia sorella è un mio diritto. Problema suo se non accetta la mia presenza». Il tono piatto che utilizzò denotò forte indifferenza apparente.

«Pensavo fosse accaduto qualcosa di più grave». Mormorò la bionda avvolta dai suoi lunghi capelli sciolti.

«No tranquilla, ma domani rimarrò comunque a guardarti mentre suoni». Concluse prima di voltarsi dall'altra parte per cercare di prendere sonno, senza che i pensieri la turbassero ulteriormente.

«Stai attenta, non voglio che soffrì di nuovo». Si limitò a dire Usagi, prima di sistemarsi meglio sotto le lenzuola e spegnere la luce. «Buona notte Haru»

Non ottenne particolari risposte, solamente un grugnito che le fece capire che la sorella probabilmente era già nel mondo dei sogni.

 

***

 

«Buongiorno, sono la dottoressa Mizuno, aiuto il primario a portare avanti le visite quando ha troppi interventi in sala operatoria». Ami si presentò cordiale alle persone che aveva davanti per poi rivolgersi alla bambina che sedeva impaurita sulle gambe della madre. «Ciao signorina, io mi chiamo Ami tu invece come ti chiami?». Le chiese nel tentativo di metterla a suo agio, nonostante la malattia la segnasse visibilmente.

«Ciao dottoressa, io sono Nari.. Nari Kou». Disse piano la piccola stringendosi maggiormente contro il corpo della madre.

«Ma che brava questa bambina, mi hai detto anche il cognome.. allora sei pronta per fare la terapia?». Le chiese, più che altro rivolta ai genitori presenti.

«Si siamo pronti, prima iniziamo e prima finiamo». Fu Michiru a rispondere, la trasfusione era necessaria, anche se solo palliativa in attesa di quella chiamata che avrebbe risolto tutto. Serviva un donatore di midollo osseo, nella loro famiglia non era stata trovata compatibilità come sperava il primario, e così erano costretti a ricorrere alle trasfusioni periodiche, tra gli effetti collaterali un accumulo eccessivo di Ferro nell'organismo della figlia che poteva danneggiarle irreparabilmente gli organi interni.

Ma era l'unica soluzione che avevano al momento. La salute della bambina era tutto sommato stabile nonostante alcune crisi respiratorie e dolorose, e un'astenia persistente.

«Allora vieni come me signorina? O vuoi che venga anche la mamma insieme a te?». Chiese la dottoressa, cercando di mettere a suo agio il piccolo paziente.

«Vengo anche io se non le dispiace dottoressa». Rispose in automatico la violinista.

«Certo che no, sono sicura che questa bambina è davvero coraggiosa e non farà nessun capriccio». Ami si alzò per precedere fuori dalla stanza i tre, Kaioh la seguì dopo aver preso in braccio la figlia. Ormai il percorso per la camera trasfusionale lo conosceva a memoria, erano quasi nove mesi che si recavano in quel reparto, ossia da quando avevano scoperto che Nari soffriva di Beta Talassemia mediterranea, una malattia ereditaria legata al ramo beta dell'emoglobina. In accordo con il marito non avevano voluto fare l'esame genetico per capire chi era portatore della malattia senza manifestare nessun sintomo: entrambi sapevano che quella scoperta avrebbe potuto influenzare il loro rapporto e accentuare il loro senso di colpa.

Appoggiò la bambina sul lettino dove sarebbe dovuta rimanere per tutta l'ora successiva, per l'ennesima volta. Osservò la dottoressa prendere le sacche di sangue necessarie, il tubino con la farfallina su cui innestare l'ago e tutto il necessario per disinfettare alla perfezione il braccio prima di procedere.

«Allora Nari, ora sentirai pungere ma ti prometto che durerà poco così». Indicò la tempistica con le dita della mano sinistra facendole l'occhiolino. «Ti fidi di me piccola?». La bambina annuì con gli occhi lucidi, conoscendo già tutto ciò che le spettava nell'ora successiva. «Sono certa che sei una bimba coraggiosa e le bimbe coraggiose non piangono me lo prometti?». Un timido sorriso comparve sul viso della sua piccola paziente. Lei preparò l'ago necessario, e lo infilò nell'esile braccio.

Michiru appoggiata al muro della stanza poco lontana si morse il labbro a vedere la scena, la figlia ormai era talmente abituata a subire trasfusioni che al contrario delle prime volte in cui si disperava ora subiva passivamente con gli occhi pieni di lacrime. Occhi identici i suoi, quando si era affacciata al mondo le aveva promesso che l'avrebbe protetta da qualsiasi cosa, al contrario di quanto i suoi genitori avevano fatto con lei.

La promessa non era riuscita a mantenerla, era mai possibile che una bambina così piccola dovesse soffrire così tanto? La risposta era negativa, nonostante ciò, non era riuscita comunque a evitare che lei si ammalasse. Se avesse scoperto che era lei ad essere portatrice sana della malattia non se lo sarebbe mai perdonato.

Strinse forte il pugno, ignorando il dolore al polso fasciato. Il nervosismo era troppo forte per metterlo a tacere, e con lui anche il senso di colpa per quella situazione.

Non potendo fare altro che aspettare, tirò fuori gli spartiti che stava componendo per l'accompagnamento del pezzo che avrebbe suonato con Usagi e si sedette sulla poltrona accanto al letto della figlia, appoggiandosi sullo stesso per scrivere.

   
 
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