Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Lotik    06/11/2016    1 recensioni
Queste pagine sono state ritrovate in una vecchia Chiesa di campagna.
Raccontano una storia surreale e segreta su una famosa nobildonna del Rinascimento.
"La mia vita all'epoca si divideva tra il peregrinare in posti inesplorati e Mantova, dove la mia Signora mi aspettava e mi accoglieva con brama ad ogni mio ritorno. Non posso sapere se veramente ero il preferito tra i suoi amanti, ma ci tenne molto ad istruirmi al bello e alla sua comprensione. "
Genere: Avventura, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Rinascimento
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Scrivo queste pagine di modo che qualcun altro, oltre alla mia coscienza e a Nostro Signore, possa venire a sapere di ciò che i miei occhi videro e di ciò che inebriò i miei sensi in una maniera così unica e incomparabile che non so se sarò in grado di descriverla.

Il mio nome vero lo conoscono in pochi e la maggior parte mi chiama Galvano.
Le mie origini non sono rilevanti, ma ci tengo a scrivere che la mia vita cambiò totalmente quando i miei servigi furono richiesti da una donna dal grande potere e dalla grande cultura. Ella sapeva riconoscere il Bello, nel senso più puro del termine. Era la signora di Mantova, la collezionista silenziosa di arte, la donna che portava il motto: "nec spetu nec metu".
L'arte e la ricerca della perfezione consumarono il suo animo fino a stregarla e io solo forse ne sono a conoscenza. Nel castello di Mantova sorgevano delle stanze private dove Ella raccolse materiale di stupenda fattura. Pittori del calibro di Mantegna e Perugino trovarono qui un luogo in cui le loro opere vennero ammirate con tanto stupore quanta avidità. L'artista in sé tuttavia non le era caro, importante era solo l'arte e la bellezza che riusciva a creare. Ripensando a Lei ora vengo pervaso dal ricordo del profumo dei suoi capelli, così forte, così sensuale, e dal ricordo delle sue mani, così fragili, ma così bramose, mentre sfioravano con delicatezza le cornici finemente intarsiate dei suoi quadri.
Il mestiere che feci per Lei viene definito predatore di tombe. Mi mossi nei dintorni di Roma fino quasi a Firenze, ed Ella mi impose di raccogliere ogni sorta di reperto. Questi non venivano messi nel suo Studiolo, ma in stanze più nascoste, nei sotterranei, dove amava passare le notti. Il suo desiderio non si spegneva ogni volta che tornavo da uno dei miei viaggi, ma si accendeva ancora di più: mi mandò allora più lontano, e per questo giunsi anche in Terra Santa e in Egitto.
La mia vita all'epoca si divideva tra il peregrinare in posti inesplorati e Mantova, dove la mia Signora mi aspettava e mi accoglieva con brama ad ogni mio ritorno. Non posso sapere se veramente ero il preferito tra i suoi amanti, ma ci tenne molto ad istruirmi al bello e alla sua comprensione. Così appresi molto e divenni un uomo colto, nonostante la mia conoscenza mi pareva nulla in confronto alla sua. Da me quindi cominciò a non pretendere più soltanto una passiva raccolta di reperti, ma una scelta consapevole di ciò che potesse appagare la sua avidità.
Poi d'un tratto, di colpo, Lei cambiò. Disse che fu colpa delle mie braccia e delle mie mani. Esse portavano il riflesso di una bellezza che non aveva potuto assaporare. Le mie mani infatti, scavate dalle cicatrici dei miei viaggi, le fecero comprendere che nessun uomo potrà mai realizzare qualcosa di più bello e perfetto del Creato. Il Creato è stato plasmato Dio stesso e la sua forma è per definizione perfezione.
Si convinse che aveva passato la propria vita a cercare la perla di grande valore nel riflesso del riflesso di Dio, mentre io, errando, ero potuto stare a contatto con paesaggi a lei sconosciuti. Dai laghi che si stagliavano fino all'orizzonte verso monti innevati, agli aridi deserti del Medio Oriente dove anche la sabbia sembrava bollire, i miei occhi avevano visto meraviglie indescrivibili, che Lei, ormai, non avrebbe potuto godere. Mi diede quindi un ultimo incarico. Un ultimo viaggio da compiere. Dovevo cercare un luogo in cui poterla far riposare nella morte. Il posto naturalmente non poteva essere soltanto unico, ma doveva incarnare un senso di sacralità artistica. Doveva essere l'esempio della sapienza della mano di Dio. Mi risulta ahimè complesso poter descrivere tali concetti astratti in parole, quando questi vanno compresi solo e soltanto abbandonandosi ai propri sensi. L'incarico assegnatomi però mi turbò e capii subito che non sarebbe stato come le mie altre avventure. Portavo inoltre l'onere della sua fiducia: avrei dovuto essere capace di accontentarla, anche se questa volta non sarebbe stata in grado di vedere con occhio umano il frutto del mio viaggio.

Mi misi in cammino, non avendo idea di dove sarei potuto arrivare. Non avevo mete: non sapevo cosa cercare, così, una volta arrivato in Terra Santa, decisi di perdermi.
Sui miei passi incontrai steppe arse dal Sole, in cui nessun uomo aveva messo dimora e rigogliose foreste piene di mostri, in cui i raggi del giorno non osavano addentrarsi, ma fu in cima ad una montagna che avvertii qualcosa. Ero lontano da ogni forma di vita umana e venni pervaso da un profumo che mai avevo odorato prima. L'odore era acre, ma era anche dolce, ed era misto all'odore di legna arse. Proveniva da un precipizio della montagna verso Sud. Mi sporsi per guardare giù e vidi spuntare leggero del fumo bianco da quella che doveva essere una rientranza nella parete rocciosa. Inoltre dalla stessa incavatura della montagna un fiume si gettava a capofitto nella valle, formando una delle cascate più grandi che io abbia mai visto. Il fumo mi incuriosì terribilmente: possibile che qui, così lontano dai villaggi, vivesse qualcuno?
Cominciai a discendere il dirupo passando dal pendio Est, meno ripido, e pian piano mi feci strada verso l'origine del fumo.
Quello che videro i miei occhi non ha precedenti e probabilmente non ha eguali. Il fiume proveniva dai meandri della montagna visibili grazie a una cavità mastodontica che scavava la roccia come una galleria. Dove il corso d'acqua si gettava nel vuoto un albero così grande da abbracciare con le radici l'interno letto del fiume si innalzava fino all'estremità superiore della cavità naturale. I miei occhi mentre alzavo lo sguardo su questo obelisco naturale cercarono subito i rami e la chioma che però non c'erano. L'albero era difatti mozzato poco sotto quella che doveva essere l'origine dei rami da qualcosa di sovrumano.
Dire che l'albero era enorme non rende l'idea. Per farvi capire vi scrivo che per raggiungere l'origine del fumo ho usato le radici dell'albero come ponte sul fiume. Nel camminare su di esse capii che non c'era vita che scorreva dentro di loro, ma sembravano dure e resistenti come la roccia, mummificate da chissà quale evento naturale.
All'altra sponda si trovava una piccola casupola in pietra e accanto ad essa sorgeva quella che sembrava una baracca, dalla quale usciva il fumo. Mentre mi avvicinavo notai delle strane piante che mai avevo visto prima. Erano tutte basse e dal fusto sottile, con delle grandi foglie di un bel verde acceso e con dei piccoli frutti rossi sferici. Meravigliato da questo luogo così fantastico da farmi dubitare d'essere ancora vivo, mi avvicinai al capanno dove trovai un uomo minuscolo e smilzo, con indosso solo dei pantaloni di tela, intento a impastare una strana farina marrone per farne delle focacce dalla forma tonda.
Non si infastidì della mia presenza e a mala pena mi notò. Potei quindi osservare in silenzio la foga e la velocità con cui si adoperava nella preparazione di quelle piadine, che cuoceva sopra un bel fuoco di paglia. Ecco scoperta l'origine dell'odore e del fumo.
Da vicino mi accorsi che l'uomo era veramente vecchio e il suo volto era profondamente scavato dalle rughe. Non aveva però perso i capelli, che dritti e lunghi si portavano verso l'alto come sospesi dal vento. Scorsi due occhi scuri piccoli e pieni di avidità che mi ricordarono quelli della mia Signora. Dapprima preoccupato tenevo stretta l'elsa della spada stretta nella mia mano, ma dopo capii che non c'era alcun pericolo.
Dopo che ebbe tolto dal fuoco delle focacce ben scurite e che ebbe sistemato quelle crude si mise seduto e parve che solo allora si accorse di me. Mi guardò fisso negli occhi e senza staccare lo sguardo allungò la mano per prendere quel pane appena cotto e cominciò a mangiarne. Esordì chiedendomi se gli volevo fare del male. Parlava nel dialetto degli abitanti del sud dell'Egitto, anche se sembrava un po' arcaico. Lo rassicurai e gli chiesi di poter assaggiare del pane. Il vecchio rimase sconcertato e sembrava non volesse offrirmi nulla. Eppure guardandomi intorno mi resi conto che quello che l'unica cosa che faceva nella sua vita era proprio produrre queste focacce, dato che si potevano osservare enormi quantità di farina, pronte per essere impastate.
Insistetti a lungo, e alla fine il vecchio mi diede mezza pagnotta.
Dapprima ebbi quasi una repulsione, ma poi masticando il sapore mi conquistò del tutto. Ricordai una bevanda scura che bevvi in una delle mie soste nella città di Damasco, caffè era il suo nome. Il vecchio poi mi prese per un braccio e mi portò verso l'albero gigantesco, verso la faccia che guarda la grotta e lì vidi che era stata costruita una scala a gradini che permetteva di salire fin su in cima al tronco. Cominciammo a salire e vidi che ai lati della scala erano stati piantate proprio nella corteccia questi strani arbusti e iniziai a convincermi che la farina che il vecchio utilizzava era proprio fatta con le bacche di questa pianta.
Vivendo quei momenti non mi resi conto veramente di star salendo su un albero alto come la cupola di San Pietro grazie a degli scalini pericolanti insieme a un vecchio che probabilmente era del tutto pazzo. La salita fu più veloce di quello che mi potessi aspettare: difatti l'uomo corse anche più veloce di me e notai che non ebbe affanno una volta arrivati in cima, io al contrario sedermi a riposare.
La cima dell'albero era in realtà un grande spazio dove erano cresciute centinaia di queste piante particolari. Tra di esse pascolavano quattro pecore. Mi domandai in che modo quelle pecore siano state in grado di salire, ma evitai di domandarlo.
Il vecchio invece mi cominciò a fissare e se prima sembrava fuori dalla realtà ora sembrava quasi rassegnato e i suoi occhi si fecero tristi. Mi disse di essere stato un pastore e di aver avuto una casa e una famiglia. Un giorno si imbatté in questo posto e il suo gregge mangiò le bacche rosse di queste piante e lui per qualche motivo fece lo stesso. Stettero male per giorni e molte pecore si buttarono giù dal precipizio in preda all'isteria. Lui si accampò qui e si rese conto che finiti gli effetti isterici sentiva il bisogno di riassaggiare queste piante.
Io fino a qui credetti a ogni parola che mi disse. La ragione poi mi consigliò di non aver fiducia nelle sue successive parole. Mi confidò di non dormire da quando era giunto in questo luogo e che il suo arrivo risalirebbe a circa duecento anni prima.
Non lo contraddissi. Lui mi fece cenno di restare un poco in quel posto e che lui sarebbe sceso.
Dopo poco una tremenda sensazione mi colse e i miei sensi vennero inebriati. I miei occhi si fecero pesanti, ma non mi sentivo stanco. Le mie braccia sentivano la necessità di muoversi e il mio petto batteva all'impazzata. Guardai verso il cielo e mi accorsi di ragionare molto più velocemente del normale. Il mio viaggio, il mio scopo, la mia vita. Cosa facevo là? Volevo veramente tornare a Mantova?
Si stava facendo buio e con estrema cautela scesi dall'albero e raggiunsi il vecchio che come prima stava preparando delle focacce. Mi guardò e rise. Gli chiesi se potevo rimanere qualche giorno là e lui acconsentì.
Quella notte non chiusi occhio e mi potei accertare di una cosa: il vecchio non dormiva. E così anche nelle notti successive. Il vecchio non riposava mai, continuava ad alternare la raccolta dei semi, la loro macinazione, l'impasto delle focacce e la loro cottura nell'arco di ogni ora della giornata. E lo faceva con avidità.
Questo è il Creato. Questa è la perfezione, e di fronte ad essa si perde il senno come la mia Signora lo aveva perso nei riguardi dell'arte.
Il luogo era perfetto. Nascosto e isolato, mai nessuno l'avrebbe trovata e mai il vecchio si sarebbe mosso da lì per raccontarlo a qualcuno.
E poi quell'albero… quell'albero era come mi ero immaginato l'Albero del Giardino dell'Eden quando mi raccontarono la storia di Adamo ed Eva. Una pianta colossale le cui fronde andavano a toccare gli angeli. Nella mia mente mi convinsi che fosse proprio lui.
Così tornai a Mantova.
 
Nell'anno del Signore 1539 la mia Signora, Isabella d'Este, morì. Ufficialmente i suoi resti sono sepolti nella Chiesa di Santa Paola a Mantova. Io sto per intraprendere il mio ultimo viaggio. Non parto per tornare con qualcosa da portare alla mia Signora, ma questa volta accompagno la mia Signora nella sua ultima dimora. Non tornerò indietro, perché il luogo che ho trovato è divenuto necessità per me. Una volta arrivato lì so già che mi trasformerò nel vecchio pastore e che le mie notti passeranno insonni, ma non ho la volontà necessaria a combattere il desiderio di tornarvi.
Tu, che hai trovato queste pagine da me scritte, percorri a ritroso il fiume Nilo e trova le radici della terza cascata che lo origina. Se la storia del vecchio è vera, io sarò ancora lì a preparare il mio pane di caffè.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Lotik