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Autore: lr_ff    07/11/2016    1 recensioni
(Partecipante all'Iniziativa Femslash 2016)
- Quando tutto quello che ti resta è una voce che non vuoi sentire -
"La pioggia cadeva su New York, rendendo il soggiorno di Shaw in quella città ancora più insopportabile..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Bear, Sameen Shaw
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Ambientata dopo la 5x13)
 
Quantico… Armada… Incipit…
 
Sameen Shaw annotò con disinvoltura il numero corrispondente alla nuova persona sulla quale indagare. Erano passati sei mesi da quando aveva preso sulle proprie spalle il compito di salvare il mondo tutta da sola, ma in fondo chi poteva più farlo? John era morto, Harold si era trasferito con la sua bella Grace in Italia e Root… Le mancava il respiro ogni volta che ci pensava, così cercava di non farlo.
Fece un fischio a Bear, l’unico che le era rimasto accanto, forse è vero che i cani sono più fedeli degli uomini.
La pioggia cadeva su New York, rendendo il soggiorno di Shaw in quella città ancora più insopportabile, se ne stava appostata in macchina a spiare il suo nuovo numero: un fighetto dai capelli biondi che scaricava e caricava scatole da un furgone. Una scatola, due scatole, tre scatole... un’alienazione sconcertante osservata dalla più profonda apatia. Bear abbaiò per avvisare Shaw di scendere dall’auto e salvare quel giovane ragazzo da una gang poco munita interessata al contenuto di quelle scatole.
 
Quella sera con un abile gioco di dita settò la voce della Macchina  su quella che la Macchina stessa aveva scelto sei mesi prima:
 
- Shaw?
 
Le si gelò il sangue e sentì nello stomaco quella stessa fitta che avvertì la prima volta che Root le strinse la mano.
 
- Sameen?
 
La Macchina adesso era un sistema aperto e Shaw poteva comunicare con lei tutte le volte che voleva, a volte era addirittura indispensabile farlo per avere informazioni su un numero. Per settimane Shaw le aveva lasciato la voce di Root, ascoltandola si illudeva che fosse ancora con lei. Ogni sera, tornata nel suo nascondiglio, accedeva al Sistema e chiedeva alla Macchina qualsiasi cosa soltanto per ascoltare quella voce scaldarle il cuore nelle fredde notti newyorkesi. Sapere tutte le cose del mondo e non farsene niente; cercare tutte le parole che conosci senza riuscire a dire nulla; trovare finalmente qualcosa e non avere il coraggio di farlo.
Le piaceva ascoltare quella voce, ma al contempo le lasciava un vuoto che la straziava, di Root poteva avere soltanto quello e non le bastava.
Poiché non era in grado di chiudere il Sistema né tantomeno voleva collaborare con qualcuno, Shaw decise di ordinare alla Macchina di cambiare voce, usandone una quanto più inumana possibile.
Ma alcune sere quando la malinconia era troppa, ed essere un’eroina nascosta nell’ombra diventava insostenibile, si dirigeva verso il centro comandi della Macchina e senza chiederle niente reimpostava la scelta della voce a sei mesi prima; chiudeva gli occhi ed ascoltava:
 
- Sameen?
- Root?
- Sai che non sono lei. Cosa desideri conoscere oggi?
- La parola più lunga che riesci a dirmi.
- La parola più lunga del mondo è il nome di una proteina…
 
La Macchina parlava e parlava e a Shaw non interessava davvero cosa dicesse purché potesse ascoltare quella voce. Le sue parole le tenevano compagnia. Qualcosa le mancava e aveva deciso che sarebbe stata la voce di Root a rivelarglielo. Sapeva che per andare avanti avrebbe dovuto smetterla, ma non voleva, sarebbe dovuta morire lei non Root e continuava a straziarsi per questo. Sapeva che presto o tardi ci si dimentica di tutto e di tutti, ma Shaw non voleva dimenticare la prima persona che avesse mai veramente amato.
 
- Root?
- Sì Shaw?
- Ho cambiato idea, non mi interessa conoscere la parola più lunga al mondo. Dimmi piuttosto: se Root fosse qui cosa mi direbbe?
- Non lo so Sameen.
- Ma sei lei! Ha una compatibilità di quanto, del 97%? Accedi al database e dimmi cosa mi direbbe lei!
- Non lo so Shaw, rispose la Macchina dopo qualche secondo di silenzio.
 
Shaw si tolse con rabbia l’auricolare e lo gettò a terra. Si affrettò a modificare il controllo vocale della Macchina e prima di alzarsi dalla postazione notò che era comparso qualcosa sullo schermo della sala:
 
“… Forse un giorno riuscirò a farlo.”
 
- Già, forse un giorno, ripeté tra sé e sé Sameen.
   
 
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