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Autore: Natsumi Raimon    08/11/2016    3 recensioni
Questa storia partecipa all'Iniziativa femslash 2016.
[Supercorp]
Dal testo:
Le porse la mano, aperta, e sussurrò -Vieni con me.-
Lena non seppe spiegare cosa l’avesse spinta ad accettare quell’invito, quella mano aperta davanti a lei, calda e piccola, ma dalla stretta possente.
Era terrorizzata. Avrebbe dovuto essere terrorizzata.
Stava per volare. Con Supergirl.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Slash, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Paura di volare

 
Prompt: balcone, mano, fiducia, vento, perla







 
Chissà cosa sta facendo…a quest’ora sarà ancora lì, a lavorare…pensò Kara.
 
Il vento settembrino le fischiava nelle orecchie, era gelido e tagliente a quell’altezza…quanto sono salita? Quanto sono in alto adesso?
Sbuffò; erano ore che volteggiava attorno al centro cittadino, nascosta tra le grosse nubi, gonfie di pioggia, che avevano coperto con un velo grigio perla il cielo di National City. Vedeva gli immensi grattacieli che si ergevano come colossi di vetro e acciaio sulla cittadina, colonne svettanti, e i tetti pieni di antenne, rese argentee dalla luce della luna. 
Era bello. 
Forse non come un tramonto sul mare o un’alba in montagna…non come quando era una bambina e stringeva la vita sottile di Alex tra le braccia magre, per poi fuggire dalla finestra e volare sui tetti cremisi delle case di campagna, sulle travi di legno dei fienili, tra le fronde degli alberi e sull’acqua del lago, una pozza color petrolio su cui si rifletteva una pallida luna circondata dall’oro delle luci delle case vicine. 
Ma era bello, era suggestivo.
 
Da quanto tempo non volava con Alex? Con qualcuno?
Era questo che le mancava? Compagnia?
 
No.
 
Starnutì. L’aria fredda poteva anche non darle alcun fastidio ma il vento gelido, che la schiaffeggiava in volto portando con se lo smog della metropoli, le solleticava fastidiosamente il naso.
Non era solitudine quella cosa che si muoveva strisciando nello stomaco di Kara, rovente come il falò in cui una volta aveva messo una mano per dimostrare ad Alex che non le faceva affatto male. Non aveva sentito il dolore, ma il calore l’aveva percepito. 
 
Quella cosa, cui la Ragazza d’Acciaio si rifiutava di dare un nome, era provocata da carne e ossa e seta. 
Kara non voleva spiegarsi quei sobbalzi nello stomaco, quegli accartocciamenti in cui sembrava che le sue viscere scomparissero, lasciandola leggera come l'aria in cui volteggiava, attraverso quella parola.
 
Ma era giusto; si era innamorata.
Kara aveva già sperimentato dei sentimenti per qualcuno: prima per quel ragazzino della squadra di calcio delle medie, coi capelli ricci e biondi e gli occhi azzurri, poi al ballo scolastico, dove aveva rotto tre dita del piede al ragazzo che l’aveva invitata, quando ancora non sapeva gestire i suoi poteri ed era impacciata e spaventata e guardava i suoi occhi marroni col cuore che le rimbalzava in gola, e infine con James, il cui sorriso dolce l’aveva stregata ma che si era rivelato nulla più che un caro amico fin dal primo appuntamento che avevano avuto.
Aveva già provato dei sentimenti per qualcuno… ma questa volta sapeva che era diverso
 
Le mani che sudavano, il cuore che rimbalzava dallo stomaco fino alla gola, il ventre caldo, le viscere che svanivano, la leggerezza...Kara le conosceva già. Ma quell'intenso desiderio di poter arrossire come un'umana, di poter togliere il mantello e dedicarsi unicamente all'altro, di essere presente sempre e comunque, quel continuo pensare e immaginare dove fosse, cosa stesse facendo, se stesse pensando a lei...quello era incredibilmente nuovo e sorprendente.
 
Fu con questa comprensione, quest'analisi inaspettata, che Kara dirottò il suo tragitto. Non se ne accorse finché i suoi piedi non sfiorarono il pavimento di marmo bianco della terrazza dell'ufficio principale della L-Corp.
 
Cosa avrebbe fatto? Cosa le dico?
 
Non pensava più, Kara. Agiva e basta. Rischiava, forse. 
Si fermò per un istante, gustandosi ogni secondo passato ad osservare il corpo rilassato della donna al di là del vetro, illuminato dalla luce fioca della abat-jour d'acciaio, la schiena abbandonata sulla poltrona nera di pelle, tra le mura bianche del suo studio. La guardò sciogliere la treccia che portava e gettare l'elastico sulla scrivania di vetro e acciaio, mentre passava una mano tra i capelli lunghi.
 
È una pessima idea...pessima idea...pessima idea...
 
Cantilenava una voce nella sua testa, spaventosamente simile a quella di Alex. Eppure la voce non la fermò dal bussare sul vetro gelido dell’ampia finestra, richiamando l’attenzione della donna dai capelli corvini, che voltò il capo, dapprima sprofondato in una pila di scartoffie e raccoglitori blu elettrico e grigio perla. 
 
Lena Luthor sollevò gli occhi azzurro ghiaccio e osservò il corpo dell'eroina, fasciato dal costume blu e rosso, che si ergeva con grazia statuaria al di là della vetrata. 
Sorpresa, Kara lo lesse negli occhi sgranati, nelle labbra rosse e piene schiuse, nella schiena arcuata con le spalle ora rigide, la giovane Luthor si diresse verso il balcone, piegandone la maniglia di freddo acciaio e uscendo fuori.
L'aria gelida della notte le graffiava il viso, s'insinuava sotto il tailleur nero. Si strinse nella giacchetta nera del completo e, sollevando le labbra rosse e svelando una fila di perle, le rivolse un sorriso sghembo. Kara desiderò di poter avvampare, perché era così che si sentiva: imbarazzata, goffa, felice, desiderata. 
Lena schiuse le labbra e una nuvoletta di vapore le sfuggì dalla bocca, trascinando con sé poche parole, sussurrate -Cosa posso fare per Supergirl?-
Kara non seppe dire cosa l’avesse spinta a provarci, quella sera. Forse il freddo le aveva danneggiato qualche sinapsi, forse non ragionava. Eppure l’eroina sapeva bene che Lena aveva il terrore delle altezze, che soffriva di vertigini, l’aveva saputo dalla prima volta che l’aveva soccorsa, quando lei tremava nell’elicottero più per il pensiero di volare che non per il drone inviato da Lex.
 
Le porse la mano, aperta, e sussurrò -Vieni con me.-
 
Lena non seppe spiegare cosa l’avesse spinta ad accettare quell’invito, quella mano aperta davanti a lei, calda e piccola, ma dalla stretta possente. 
Era terrorizzata? Avrebbe dovuto essere terrorizzata. 
Stava per volare. Con Supergirl. 
Non ci sarebbe stato nulla a proteggerla se non l’abbraccio della Ragazza d’Acciaio.
 
Era forse fiducia quella spinta, quell'impulso? Si era promessa di non aver fiducia in nessuno, non dopo Lex. Gli uomini erano uomini, commettevano errori, lei non poteva farvi affidamento. 
I Kryptoniani non erano diversi.
 
Kara la strinse a sé e volle avvampare, perché il corpo di Lena era caldo e i suoi capelli profumavano di gelsomino. La donna osservò attentamente gli occhi azzurri di Supergirl e vi riconobbe una scintilla, uno sprazzo di curiosità, di dolcezza, di intensa nostalgia, che conosceva bene. Trattenne il fiato quando comprese chi la stava stringendo.
-Kara?- 
Supergirl sobbalzò, gli occhi di Lena, alla luce giallastra della lampada del balcone, erano ghiaccio, eppure vi lesse una dolcezza che le riscaldò il cuore.
-Ciao.- sussurrò, semplicemente. 
-Ciao.- le soffiò Lena, stringendosi ancora a lei, artigliando il tessuto blu del costume, aggrappandosi con delicatezza alle sue spalle.
La Ragazza d’Acciaio sfiorò appena le labbra rosse della donna, mentre le mani avevano trovato il loro posto sui suoi fianchi, e le sembrò di volare ancor prima che i loro piedi si staccassero dal marmo bianco.
 
Aveva pensato che il cielo perlaceo, le antenne argentee, le colonne di vetro svettanti, fossero belle, ma nulla era comparabile allo stupore che emerse nell’azzurro ghiaccio degli occhi di Lena Luthor.


 
 
   
 
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