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Autore: Bill Kaulitz    09/11/2016    1 recensioni
‹‹Io sono Negan. E ti ho appena salvato la vita. Cosa diavolo vuoi di più?››
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Negan, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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L’ALBA DI UN NUOVO GIORNO

Il modo in cui mi guardava mi faceva diventare pazza, più pazza di lui. Deglutivo ogni qual volta posava gli occhi su di me; non per la paura, ma perché mi procurava delle scariche elettriche lungo tutta la schiena. Non riuscivo a riflettere, ero completamente posseduta da lui, mentalmente e fisicamente. Il potere psicologico che aveva su di me, era inspiegabile. Mi catapultava in una sorta di trance. Quando mi chiamava con quel suo tono di voce basso e provocatorio, quando posava le mani sul mio corpo o quando mi accarezzava i capelli mettendo sempre una ciocca dietro l’orecchio. A lui piaceva tanto quanto me.

Quella sera aveva appena fatto fuori due degli uomini del gruppo di un certo Rick. Mi aveva detto esplicitamente di non uscire dal caravan. Non avrebbe gradito, se avessi assistito allo spettacolo. Era molto protettivo nei miei confronti. Forse anche troppo. Sarei potuta rimanere al rifugio, ma lui non mi lasciava mai da sola, quando era via per le sue ‘commissioni d’affare’.

Una volta uccise uno dei nostri perché l’aveva sorpreso a spiarmi mentre facevo la doccia. Prese la sua mazza da baseball e gli aprì la testa in due come si fa con una noce di cocco. Quella volta si arrabbiò molto anche con me. Disse che avrei dovuto imparare a chiudermi a chiave. Gli chiesi scusa, abbassando lo sguardo. Gli occhi mi si inumidirono subito. Continuava ad urlarmi contro e, per un breve istante, ebbi paura, che però cessò quasi immediatamente non appena lasciò cadere in terra la sua mazza, portando così le mani sul mio viso, avvolgendolo.

Di nuovo quello sguardo così magnetico. Era diventata droga, per me. Lui era letteralmente la mia droga. Non riuscivo a fare a meno di lui e lui non riusciva a fare a meno di me. Mi baciò quasi con violenza, spingendomi indietro fin quando non toccai il muro con la schiena. Facemmo l’amore lì. In qualsiasi momento, in qualsiasi posto.

Quando rientrò nel caravan, io l’aspettavo seduta sulla branda, a gambe nude. Posò Lucille sul tavolino lì vicino. Era completamente macchiata di sangue e giurai che ci fossero ancora dei lembi di qualcosa tra il filo spinato.

‹‹Non voglio che tu assista a queste scene così violente, piccola.›› sorrise compiaciuto. Io sorrisi a mia volta. ‹‹Hai davvero esagerato questa volta. Non trovi?›› dissi scherzando. Adorava quando lo punzecchiavo in quella maniera. Mi alzai, puntando le ginocchia sul materasso della branda e lo guardai intensamente.

Sapevo benissimo quanto fosse pericoloso, sanguinario e del tutto imprevedibile, ma non mi ero mai sentita minacciata da lui, a differenza degli altri che ne erano totalmente terrorizzati.

La sorta di protezione che mi stava offrendo, era tutto ciò di cui avessi bisogno. Ero al sicuro. Non avevo assolutamente nulla di cui temere.

‹‹Io non esagero mai, dolcezza.›› si chinò leggermente e mi leccò le labbra. Io sussultai. Quell’uomo, prima o poi, mi avrebbe fatto perdere il senno.

Si allontanò da me con riluttanze, prese uno straccio umido e iniziò a pulire la sua Lucille. Tutto quel sangue non mi impressionava affatto, ormai mi ci ero talmente abituata da quando tutto era iniziato.

‹‹Cristo, ti rendi conto che stiamo insieme da quasi tre anni?›› riflettei poi. Mi alzai dalla branda e mi avvicinai a lui, avvolgendogli le braccia attorno al corpo. Mi accoccolai sulla sua schiena e socchiusi gli occhi. Mi lasciai trasportare dal suo profumo così intenso. Si mischiava con l’odore della pelle del giaccone nero. Alcuni miei ricordi riaffiorarono. 

Tre anni prima.

Una decina di vaganti mi stavano alle calcagna, avevo finito le munizioni. Correvo per quanto riuscissi, visto le condizioni della mia caviglia slogata. Il dolore era insopportabile, ma non potevo mollare. Dovevo resistere. L’istinto di sopravvivenza andava oltre la soglia del dolore. La mia paura era quella di non riuscire a seminarli. Erano davvero troppo vicini.

Il panico cominciò a salire quando mi accorsi di non averli solo alle spalle, ma anche di fronte. Sbucavano da tutte le direzioni. Provai a tagliare a destra, intenzionata ad addentrarmi nel bosco, ma sapevo benissimo che non fosse un’idea geniale, nelle mie condizioni. Afferrai il coltello che avevo dentro lo stivale e ne colpii qualcuno. Improvvisamente però, mi attaccarono alle spalle e, in quel momento, ebbi seriamente paura di essere uccisa. Iniziai a divincolarmi, la caviglia era in fiamme ed io avevo solo voglia di urlare dal dolore.

Provai a colpirli più e più volte, imbrattandomi di quel sangue marcio che fuoriusciva dalle ferite che infliggevo. Degli schizzi mi finirono sul viso, sui vestiti, tra i capelli.

L’istinto di sopravvivenza però, era più forte di ogni altra cosa. Lottai con tutte le mie forze, squarciando quella carne putrida che mi schizzava addosso.

Alla fine, non ricordo molto; solo che mi accasciai a terra, sfinita.

*

Quando ripresi conoscenza, mi ritrovai sdraiata su una branda, all’interno di un caravan. Sentivo la puzza di morte sui vestiti.

‹‹Ehi ragazzina, ben svegliata.›› la prima cosa che vidi, fu un uomo sulla cinquantina con una mazza da baseball avvolta dal filo spinato completamente ricoperta di sangue. La puliva con un panno umido, come se fosse una bambina. Mi guardava con aria curiosa, come se mi stesse scrutando.

‹‹Dove mi trovo?›› dissi terrorizzata, provando ad alzarmi. La caviglia chiedeva pietà. Lanciai un urlo di dolore. Il mio piede era fasciato da una sciarpa rossa.

‹‹Sei nel mio caravan, dolcezza. Eri mezza morta per strada ricoperta da quella merda, ma… ehi… noto che lo sei tutt’ora.›› con un cenno del capo indicò i miei vestiti, completamente sporchi ed assunse un’espressione di disgusto.

‹‹Non ho niente con cui cambiarmi.›› affermai poi. ‹‹Dov’è il mio coltello?››

L’uomo si mise a ridere in maniera alquanto sarcastica. Io lo guardai con un’espressione interrogativa. ‹‹Non capisco cosa ci sia di così tanto divertente.››

L’uomo smise di ridere, ma non di sorridere. Si avvicinò alla branda e sedette sulle punte. Mi guardò negli occhi.

‹‹Non avrai più bisogno di quel coltello, se resterai qui.››

Non capii cosa intendesse anche se il suo tono di voce parve molto più rassicurante di quanto potesse sembrare.

‹‹Non ti conosco nemmeno. Come faccio a sapere che posso fidarmi?››

L’uomo riprese a ridere, questa volta con meno convinzione di prima. Rivolse lo sguardo verso il basso scuotendo il capo e poi lo riportò nuovamente ai miei occhi.

‹‹Io sono Negan. E ti ho appena salvato la vita. Cosa diavolo vuoi di più?››

Aspettavo che chiedesse quale fosse il mio nome, ma non lo fece.

‹‹Come ci sei finita per strada da sola, ragazzina?››

‹‹Ho un nome. Mi chiamo Valerie. Non sono una cazzo di ragazzina. Sono abbastanza grande da poter sopravvivere da sola in questo schifo che sta accadendo.››

Negan sorrise. Di nuovo. Cosa diavolo aveva da ridere così tanto? Iniziò ad infastidirmi.

‹‹Dovresti reputarti una persona fortunata, sai? Io solitamente ammazzo la gente, non la salvo…›› fece una pausa, si rimise in piedi e portò la mazza da baseball sulla spalla destra. ‹‹Tu sei davvero una ragazza fortunata.››

Non risposi. Ressi il suo sguardo ancora per poco. Dopodiché cedetti.

‹‹Ti ringrazio allora, per avermi salvata. Ma non sarò abbastanza felice se non mi tolgo questa merda di dosso.›› cercai di alzarmi dalla branda sorreggendomi con le braccia ma quando andai per poggiare la caviglia per terra, quasi caddi. L’uomo fu pronto ad afferrarmi in tempo, evitando di finire sul pavimento e magari, di rompermi anche l’altra.

‹‹Ti porto al mio rifugio. Lì c’è un medico e potrà aiutarti con la tua caviglia. E magari farti anche una doccia.››

Non appena disse così, i miei occhi si illuminarono. Non facevo una doccia calda da troppo tempo.

‹‹Se hai fame non posso aiutarti. Devi aspettare fin quando non arriveremo al rifugio.››

‹‹Non è un problema. L’unico mio pensiero adesso è trovare dei vestiti puliti.›› mi distesi nuovamente sulla branda e, una volta messo in moto il caravan, tentai di dormire anche se la strada dissestata non giocava in mio favore.

*

Quando arrivammo al suo rifugio, quasi non mi sembrava vero. Mi sporsi, per quanto mi fosse possibile, fuori dal finestrino e notai quanto fosse grande. Doveva essere stato un casolare abbandonato dopo l’apocalisse. Era circondato da una rete e legati ad essa, c’erano dozzine e dozzine di vaganti.

‹‹Serve a tenere lontano gli altri.›› disse Negan, come se mi avesse letto nel pensiero. ‹‹Nascondono il nostro odore.›› continuò poi. Una volta fermato il caravan, mi aiutò a scendere dalla branda. Strinsi i denti dal dolore ma questa volta non urlai.

‹‹Ti prego, portami da questo cazzo di medico. Non lo sopporto più.›› fece di nuovo quel suo ghigno divertito. Io roteai gli occhi ma non aggiunsi altro. Delicatamente mi sollevò da terra prendendomi in braccio. Inevitabilmente intrecciai le braccia attorno al suo collo, per non cadere. Con un calcio aprì la porta del caravan.

Quando scendemmo, mi sentii tutti gli occhi puntati addosso. Decine di uomini bifolchi mi guardavano come se fossi una preda. Quasi mi terrorizzavano. Istintivamente mi strinsi fra le braccia di quell’uomo, senza mai distogliere lo sguardo da quello furtivo degli altri.

Negan percepì il mio imbarazzo e sentii stringermi con più forza per le spalle.

‹‹Non dovrai avere paura di loro. Lavorano per me e fanno tutto ciò che io gli dica.›› disse quelle parole con tono rassicurante ed io iniziai a sentirmi più tranquilla.

*

Il medico mi fasciò il piede con una garza medica e mi restituì la sciarpa che funse la fasciatura provvisoria.

‹‹Negan si prenderà cura di te. Quando porta qualcuno al rifugio è perché l’ha preso in simpatia. Non ci porta molta gente qui, se non solo in casi eccezionali. Sei fortunata.››

‹‹Sì, mi è stato già detto. Ma ancora non ho afferrato il concetto del suo ‘salvataggio’. Se mi ha portato qui ci sarà un motivo vero?››

Il medico si strinse nelle spalle e si asciugò le mani.

‹‹Signorina, qui tutto appartiene a Negan, o lo sarà molto presto.››

Non sapevo se prendere quell’affermazione in maniera positiva o negativa. Annuii e basta.

‹‹Noi siamo i ‘Salvatori’ e Negan ne è al comando. Tutti noi siamo Negan, tutti noi apparteniamo a lui.››

In quel momento non capii molto il concetto e quindi annuii di nuovo. Avrei sicuramente cercato delle risposte dall’unica persona che poteva darmele. Lui.

Il dottore mi consigliò assoluto riposo e di non sforzare molto la caviglia. Sarebbe guarita nel giro di qualche settimana. Mi procurò delle stampelle e mi fu più facile camminare.

 

Quando uscii dalla stanza, Negan era fuori ad aspettarmi. Si alzò in piedi ed inclinò la testa da un lato.

‹‹Come ti senti, ragazzina?››

Quel nomignolo iniziò a darmi sui nervi.

‹‹Ti ho già detto che ho un nome. Ed è Valerie e mi pare di averti accennato che non sono una ragazzina.››

In quel momento fece la cosa che più gli riusciva meglio. Rise.

‹‹Siamo molto permalosi ed aggressivi, vedo. Mi piace quando la gente aggressiva.›› disse poi, puntandomi la mazza da baseball vicino il viso. Feci un ghigno di disappunto e provai a fare qualche passo.

‹‹Sarà un incubo fare la doccia con questa fascia.›› imprecai poi. Indurii la mascella e volsi lo sguardo verso quell’uomo, in attesa che mi dicesse qualcosa o che, come suo solito, mi scoppiasse a ridere in faccia. Stranamente non lo fece. Mi aiutò e camminare ma mi scansai dicendo che ce l’avrei fatta benissimo da sola. Lui alzò le mani in segno di resa e le incrociò al petto.

‹‹La tua stanza è infondo. Troverai degli indumenti puliti sul letto.››

‹‹Voglio sapere chi sei, Negan. Perché mi hai detto che tutti quegli uomini lavorano per te? Perché vi fate chiamare i ‘Salvatori’ se mi hai detto che ammazzi la gente?››

Negan mi guardò con occhi curiosi, come se volessero scrutarmi.

‹‹Fai troppe domande, dolcezza. Domande a cui non posso darti risposte adesso. Ora va a darti una sistemata o i miei uomini vomiteranno il pranzo di due settimane fa.›› strizzò l’occhio e, sempre con quella sua dannata mazza da baseball tra le mani, si allontanò fischiettando una canzonetta fin troppo inquietante.

Dovevo ancora capire chi fosse questo Negan. Di una cosa ero certa, era un uomo pericoloso e aveva sotto di lui un esercito di persone…ma non riuscivo ancora a spiegarmi il perché mi affascinasse così tanto.

*

‹‹Ti avevano fatto arrabbiare, vero?›› dissi staccandomi con riluttanza dal suo abbraccio. Lui si voltò verso di me e mi cinse i fianchi da sotto la felpa. Il contatto delle mani sulla mia pelle nuda, mi mandò immediatamente in visibilio. Aveva questo potere su di me. Un potere che ancora non riuscivo a contrastare. Era una calamita per il corpo e per la mente nonostante i nostri ventisette anni di differenza, ma tra di noi ci fu subito del feeling. Dal momento in cui aprii gli occhi e mi ritrovai sul suo caravan capii che quest’uomo, sarebbe entrando nella mia vita e ci sarebbe rimasto.

‹‹Parecchio, dolcezza. Oh…e lo sai quanto mi girino le palle quando lo fanno. Quel Rick ha avuto una bella lezioncina, e Dio solo sa quante altre gliene farò imparare…››

Si tolse la giacca e la lasciò sulla branda, accanto a Lucille, ormai del tutto pulita e si accomodò sul sedile del guidatore. Mi fece segno di sedermi accanto a lui. Adorava accarezzarmi la coscia mentre guidava e, ogni tanto, far scendere la mano in prossimità dell’inguine e questa cosa mi faceva diventare pazza. Qualsiasi posto, in qualsiasi momento. Una volta lo facemmo anche mentre guidava e la cosa gli piaceva, anche troppo. A parte qualche vagante fracassato contro il paraurti, non ci furono danni. ‘Posso avere un cazzo di caravan nuovo quando voglio. Ricordati che tutto questo appartiene a me.’

‹‹Quando torniamo a casa, ho voglia di farmi un giro da queste parti…›› fece scivolare la mano fin troppo infondo, sfiorandomi là dove il mio piacere cresceva sempre di più.

‹‹Ci puoi giurare.›› risposi mordendomi le labbra. Lui si voltò verso di me e sorrise. Quel sorriso mi annientava ogni volta. Dalla prima volta che lo fece.

 

Qualche settimana dopo essere giunta al rifugio de ‘I Salvatori’, la mia caviglia si riprese benissimo. Il dottore mi aveva prescritto degli antinfiammatori da prendere due volte al giorno. Negan aveva mandato quattro dei suoi uomini per procurarmi quelle medicine. Ne tornarono in due. Un attacco dei vaganti gli aveva sorpresi. Negan se ne fregò altamente di aver perso due dei suoi. ‘Ce ne saranno altri che arriveranno.’ Disse. Il suo primo pensiero erano i miei antinfiammatori. Dwight glieli porse e lui lo ringraziò con una pacca sulla spala.

‹‹Bravo D! Vedi Valerie, lui è uno dei miei uomini migliori. Fa tutto quello che gli dico, e anche alla svelta.›› mi porse le medicine e ne buttai due pasticche con mezzo bicchiere d’acqua. Dwight uscì dalla stanza lasciando me e Negan di nuovo soli.

‹‹Ora che mi sono rimessa in forze, vuoi spiegarmi chi sei?››

Mi guardò com’era suo solito fare da qualche tempo, si sedette sulle punte e mise le mani sulle mie cosce. Lucille era sempre lì con lui. Sempre. in ogni momento della giornata. Quel contatto mi provocò una serie inaspettata di brividi lungo la schiena. Talmente inaspettati da farmi sobbalzare leggermente. Si morse il labbro inferiore e lo umettò con la lingua. Quella scena mi catapultò per un istante in una sorta di trance. Quell’uomo iniziava ad avere uno strano effetto su di me, e ancora non sapevo in che stato mentale mi avrebbe condotta, più in là.

‹‹Zuccherino…io sono ovunque. Io sono tutto quello che tu vedi qui, sono tutti quegli uomini che vedi lì fuori…anche tu, sei Negan, dolcezza.››

In quel momento non capii cosa intendesse.

‹‹Come scusa? In che senso…io sono te?››

Rise di nuovo, questa volta in maniera più sarcastica.

‹‹Nel senso che tu mi appartieni. Sei mia. Solo…›› improvvisamente notai che la distanza fra noi si stava via via accorciando sempre di più. Il cuore cominciò a battere forte e il respiro a farsi sempre più corto. ‹‹…ed unicamente…›› riuscivo a percepire il suo respiro sul mio volto. Sentivo il suo profumo invadermi le narici e i suoi occhi puntati sulle mie labbra. ‹‹Mia!›› inaspettatamente scattò come una molla, aggredendomi famelicamente le labbra. Io venni sopraffatta dal suo corpo, trovandomi schiacciata sotto il suo peso. Risposi a quel bacio con interesse e con più passione di quanta no ne avessi mai avuta. Il desiderio di averlo mi affliggeva e mi tormentava da un po’. Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere da parte sua.

Iniziò a toccarmi ovunque, scavando sotto i miei abiti per avere un contatto con la mia pelle bollente. Iniziò ad ansimarmi tra le labbra. Il suo corpo imponente a spingersi voglioso contro il mio. Continuava a ripetermi che fossi sua, sua e basta e che avrebbe ucciso chiunque mi avesse mai sfiorata o anche solo guardata in modo sbagliato. Questa cosa mi faceva sentire al sicuro.

Quella sera facemmo sesso…e non me lo dimenticherò mai. Quando finimmo, lui mi avvolse la spalla e mi fece accoccolare sul suo petto. Mi accarezzava i capelli e ogni tanto metteva qualche ciocca dietro l’orecchio.

‹‹Vuoi sapere davvero chi sono e il perché mi faccia rispettare?›› disse poi, rompendo il silenzio. In quel momento la curiosità mi stava divorando, ma non mi sembrava più una cosa di vitale importanza.

‹‹Se vuoi dirmelo, ti ascolterò.›› gli accarezzavo il petto, disegnandoci dei cerchi concentrici immaginari. Aveva svariate cicatrici, certe anche più grandi e visibili di altre. Sentivo il calore della sua pelle sul mio viso. Non mi sembrava vero.

‹‹Ero un allenatore di baseball.››

‘Ecco spiegato il fatto della mazza da baseball’. Pensai poi.

‹‹…ma non è finita qui. Prima che tutta questa merda cominciasse, avevo una moglie e un figlio più o meno della tua stessa età. Dio quanto li amavo, erano la luce dei miei occhi. Mio figlio era un campione a giocare a baseball…e Lucille…Lucille era la sua mazza.›› si interruppe bruscamente e la voce parve come strozzata. Temetti che da un momento all’altro scoppiasse a piangere. Cercai di rassicurarlo accarezzandogli la testa e posandogli qualche dolce e delicato bacio sulla fronte. Chi l’avrebbe mai immaginato che un uomo così possente e tenebroso potesse nascondere così tanta fragilità dentro di sé.

‹‹Mi hanno portato via tutto quello che avevo. Quando è scoppiata l’apocalisse, l’esercito fu ingaggiato per portare in salvo tutti i civili non ‘infetti’. Io non ero stato morso...ma…›› fece una lunga pausa. Giurai di aver visto una lacrima rigargli il viso. Non dissi una parola, aspettai che finisse il suo racconto.

‹‹Mia moglie e mio figlio sì. Vennero morsi entrambi alla clavicola. Feci di tutto per salvarli, ma quando l’esercito venne a prelevarci con forza dalla nostra casa, non esitarono un attimo a sparare in testa a Sophie e a Robert. Davanti ai miei occhi. In meno di tre secondi, mi avevano portato via tutto quello che avevo. Tentarono di strattonarmi con forza fuori da casa mia, mentre urlavo dal dolore vedendo mia moglie morta in un lago di sangue. Riuscii in qualche modo a liberarmi dalla presa del marines e poi…poi tutto precipitò in meno di attimo. Afferrai la mazza da baseball di mio figlio e iniziai a colpire con ferocia colui che aveva tolto la vita alle uniche due persone che amavo. Colpii e colpii fin quando di lui non restò più nulla. Scappai senza una meta…fin quando non decisi di mettere su un vero e proprio esercito dove io ne ero e ne sono tutt’ora al comando. La gente ha bisogno di un uomo che sappia far rispettare le regole, un uomo che incuta paura. O divori, o vieni divorato.››

Quando finì di raccontare la sua storia, avevo le guance completamente bagnate. Avrei voluto baciarlo e stringerlo più forte che potevo…volevo dirgli che per lui ci sarei sempre stata, in qualsiasi momento e che l’avrei sempre sostenuto nel bene e nel male.

Stette per qualche minuto in silenzio, a contemplare il soffitto della mia stanza, sempre continuando ad accarezzare con le dita la mia schiena nuda.

‹‹Tu un po’ me la ricordi mia moglie, sai? Ho rivisto in te la luce che lei aveva negli occhi. Quella luce che mi aveva fatto innamorare di lei. Mi dava speranza e conforto. Forse, in questo mondo ormai morto, la speranza è l’ultima ad andarsene.››

Mi baciò nuovamente e, questa volta, il sesso fu diverso.

 

Come promesso, per tutto il tragitto tenne la sua mano sopra la mia coscia e ogni tanto l’accarezzava dolcemente. Quel contatto così intenso, riusciva a farmi innamorare di lui ogni giorno di più.

Arrivammo al rifugio e senza nemmeno darmi il tempo di scendere, mi prese in braccio, trasportandomi come un trofeo fino alla nostra stanza. Gli mordevo il collo, lo baciavo e lo lambivo, sussurrandogli all’orecchio tutto ciò che a lui piaceva. Gli ansimavo cose che nessuno avrebbe dovuto sentire. Erano nostre.

Spalancò la porta con un calcio e la richiuse nel medesimo modo. Si sdraiò sul letto facendomi finire sopra di lui. Mi misi subito a cavalcioni su di lui e iniziai a baciarlo quasi con ferocia. Lui iniziò a toccarmi i seni, i glutei, a tirarmi qualche schiaffo. ‘Schiaffetti educativi’, li chiama lui. ‘Ogni tanto hai bisogno di essere sculacciata, zuccherino.’ Morivo ogni volta che me lo diceva.

Mi privò della maglietta e mi slacciò il reggiseno e cominciò a leccarli dolcemente. Ansimai. Era capace di stordirmi con un solo gesto. Feci la stessa cosa con i suoi vestiti. Lo privai del giaccone di pelle, della maglia e gli slacciai in fretta la cintura dei pantaloni. Il modo in cui ansimava mi provocava la pelle d’oca praticamente su ogni centimetro del corpo.

‹‹Ti amo fottutamente, lo sai?›› ansimò mordendomi le labbra talmente forte che temetti uscisse sangue. Iniziò a toccarmi in ogni punto per me troppo critico, facendo arrivare il mio piacere alle stelle.

‹‹Ed io ti amo maledettamente troppo.›› sussurrai, mentre con un colpo di reni ribaltò la situazione, trovandomi nuovamente addosso tutto il suo peso. In vita mia, non mi ero mai sentita così tanto a casa come all’ora. Quando stavo con lui, tutte le mie paure si smaterializzavano e il timore di essere aggredita era inesistente. Quell’uomo era diventato la mia ragione di vita.

Quando ci trovammo completamente nudi, i nostri corpi iniziarono ad amarsi come nessuno mai avesse fatto prima. I nostri respiri erano intensi, corti, e nella stanza riecheggiavano solo i nostri sussurri.

‹‹Tu…tu chi sei?›› ansimò vicino al mio orecchio, mordicchiandomi il lobo. Io gemetti e in tono quasi soffocato risposi:

‹‹Negan!››

Si spinse con più forza dentro di me, afferrandomi le mani e portandole sopra la mia testa. Mi baciò di nuovo.

‹‹Tu…a chi appartieni?›› le spinte erano lente e decise, il mio cuore esplodeva e sentivo il suo pulsare forte sul mio petto.

‹‹…A Negan!››

   
 
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