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Autore: Leonhard    10/11/2016    6 recensioni
"Wilde, hai una zampa rotta". "Dimmi qualcosa che non so, Savage". La volpe era in ginocchio nella polvere, con le zampe rivolte verso il cielo; impressa negli occhi ancora la sagoma di Alopex e l'espressione sul muso di Judy. Terrore. "Per esempio da che parte stai: quanto ti paga Bellwether per ammazzarci tutti?".
il tanto atteso (spero) seguito di THE WILDE CASE
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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9. Game, Set, Match


Quando era solo un cucciolo, Nicolas Wilde era psicologicamente incapace di mentire.

Un cucciolo allegro, sveglio, estroverso e pieno di voglia di vivere, con una tendenza quasi patologica all’onestà. Non poteva nascondere nulla alla madre: gli insuccessi a scuola, le litigate con gli amici, quella ciocca di peli mancante che stonava così tanto sulla sua coda folta.

Persino la prima cotta non seppe nasconderla: nonostante l’imbarazzo di sognare una storia platonica con la maestra, fu costretto da qualcosa dentro di sé a vuotare il sacco senza nemmeno prendere in considerazione anche solo l’idea di dissimulare.

Sua madre sorrideva e scuoteva la testa, avvolgendolo nella sua coda grande e soffice mentre lo abbracciava e gli sussurrava nell’orecchio di quanto la rendesse fiera e felice. Lui sorrideva ogni volta, al settimo cielo per la gioia di aver strappato un sorriso ad una volpe che non si era mai ripresa dalla scomparsa di suo padre.

Lei era il suo ricettacolo di segreti, la sua cassaforte per tutti gli episodi che solo lui avrebbe dovuto conservare. Molto più avanti, quando il piccolo ed innocente Nick sarebbe stato meno piccolo e molto meno innocente, avrebbe ripensato alla madre ed a quel giorno divenuto lontano in troppo poco tempo.

Complice un piccolo ciuffo candido di peli sulla sua pelliccia, ben nascosto dalla camicia, avrebbe pensato alla madre come un letto di neve che copre e nasconde e rende tutto bianco e puro e bello, indipendentemente da quanto marcio fosse il mondo. E formulando quel pensiero sarebbe tornato ad essere un volpacchiotto onesto a livelli imbarazzanti per una manciata di secondi.

Si ricordava perfettamente della prima volta che aveva detto una bugia; aveva valicato un confine nascosto da cui non sarebbe mai più tornato indietro ed aveva trovato quasi surreale la facilità con cui era successo. Era come se una parte di lui fosse finalmente riuscita a farsi largo in tutta quell’innocenza, quella gioia di vivere apparentemente non conforme ad un predatore come lui.

Io, Nicolas Wilde

Era stato il giorno dei cambiamenti in lui e non solo per la capacità tutta nuova di mentire: il progressivo rifuggire del contatto fisico, l’abitudine di usare il naso prima della bocca al cospetto di un piatto, la necessità di mettersi davanti allo specchio della sua cameretta per ore e dare i primi colpi di scalpello per modellare la sua parlantina.

Ma tutte quelle cose, dal passarsi una zampa sulla nuca ogni volta che pensava allo smettere di ridere forte per evitare di attirare l’attenzione, non battevano quel nuovo gioco della falsa verità: era un gioco proibito e per questo affascinante, ammaliante, lo attirava a sé come quei caldi abbracci che cominciava a sentire troppo stretti.

E la prima volta è sempre quella che resta, sempre quella che lascia una cicatrice che non guarisce mai del tutto, che pizzicherà per tutta la vita al cospetto della verità. Era stato un tragitto tanto breve all’andata come lungo una vita al ritorno; la figura della madre si stagliava da qualche parte nella sua mente, talmente sfocata da apparire come una sagoma indistinta e fumosa.

prometto di essere

Si vedeva riflesso nelle pozzanghere: una piccola volpe dentro un’uniforme da scout nuova di zecca che sarebbe dovuta appartenere ad una zebra o ad un ippopotamo. Che ci faceva in quella divisa una volpe? La madre lo aveva accolto con uno degli ultimi abbracci che lui avrebbe tollerato volentieri e l’aveva guardato dritto negli occhi chiedendogli se avesse fatto amicizia, com’erano i cuccioli al quartier generale degli Scout Ranger.

In quel momento, il piccolo Nick aveva sentito la gola bruciare e la lingua pizzicare: non si era mai accorto che la verità fosse così sgradevole di tanto in tanto. Sentiva dentro di sé l’urgenza, il bisogno di raccontare alla madre tutto: il giuramento finito con l’assalto di cinque cuccioli che ridevano e lo schernivano e giocavano un gioco che l’aveva terrorizzato a morte.

Voleva raccontare di quanto fosse sgradevole la sensazione della bocca chiusa da una museruola, il laccio di cuoio che stringeva sulla nuca e tirava i peli, il freddo degli anelli di metallo ai lati del muso. E poi voleva raccontare ciò che gli faceva più male di tutto quello che la museruola gli aveva fatto; raccontare di come si era sentito spaesato al pensare che quel giuramento lui l’aveva fatto con tutta l’onestà che sentiva di possedere.

coraggioso, leale, disponibile e affidabile.

Erano quattro termini che trovava di una bellezza infinita, quattro parole che risplendevano nel mezzo del vocabolario e quanto si era esercitata davanti allo specchio per riuscire a dirle senza far tremare la voce, senza pensare ad altro, addirittura cercando il tono giusto con cui dirle. E le parole non erano state sbagliate: il tono, l’intenzione, nemmeno il fervore e la lieve impazienza di far parte di quel gruppo ed avere la possibilità di vantarsene con tutti gli animali che avrebbe incrociato durante il tragitto di ritorno erano stati sbagliati. La sua mente di cucciolo era arrivata alla soluzione più logica che poteva esserci.

Lo sbaglio era lui dentro quella divisa.

Anche se sei…una volpe?

E con gli occhi della mente aveva visto il mostro più spaventoso che potesse esistere, talmente terrificante che non era mai stato in grado di immaginarselo: sé stesso che si separava lentamente dall’abbraccio della madre, la guardava con un gran sorriso e piantava gli occhi dritti nei suoi.

“Tutto bellissimo, mamma: adoro quel posto e mi sono fatto un sacco di amici”.

Si era sbagliato: era quella visione la parte veramente dolorosa di tutto quel giorno. Le aveva mentito spudoratamente, riuscendo addirittura a guardarla negli occhi. Ed in quel momento, precisamente in quell’istante, decise che mai più avrebbe sofferto nuovamente quel dolore: dopo una notte passata con il muso schiacciato contro il cuscino, soffocando i singhiozzi con il terrore che la madre lo sentisse, ritoccò i dettagli della sua risoluta decisione.

Quel dolore sarebbe diventato parte di lui e l’avrebbe incastonato talmente bene da farlo diventare il suo prezioso compagno, la sua spia d’allarme oltre il quale sarebbe stato completamente in balia del suo lato debole.

Perche…anche tu hai un lato debole?

Oh, eccome se ce l’ho. Ed è sempre stato al mio fianco.


Come in un flash, Judy rivisse la pausa al bar, rivedendo quella manciata di istanti e sentendo le budella torcersi allo stesso modo. Doveva veramente cominciare a credere nelle premonizioni? Al destino? Oppure all’esistenza di un Grande Coniglio oltre le nubi che l’aveva particolarmente a cuore?

Perché per quale altro motivo avrebbe dovuto pensare a loro quando il cavallo nero di Jack aveva mangiato quello bianco di Nick?

Alopex era riversa a terra, al centro di una pozza rossa che si espandeva lenta. Nick non riusciva a distogliere gli occhi dal corpo, oppure non voleva, mentre Jack continuava a guardarlo come fosse una bomba pronta ad esplodergli in faccia. Nelle orecchie di tutti riecheggiava ancora la risatina di Bellwether e Judy sentiva il proprio sangue ribollire, accompagnata da un desiderio di fare del male che mai in vita sua aveva provato.

Sfidando sé stessa, si volse infine verso la pecora: puntava loro contro una pistola scarica e gli occhi erano talmente sbarrati che sembrava che da un momento all’altro sarebbero scivolati fuori dalle orbite. Accanto a lei sentì il ticchettio dei denti di Nick che cozzavano tra loro: tremava di paura, di rabbia, di dolore. Cercò a tentoni la sua zampa e la strinse.

“Hai la zampa rotta, Nick” mormorò.

“Judy…” mormorò lui in risposta. “Tienimi stretto…o allontanati da me”.

“Il primo animale nella spazio è stato un predatore” disse Bellwether. La voce era instabile, tremula, ma potente e vittoriosa. “Ma il primo ad essere clonato è stata una pecora”. Pigiò il grilletto ed un ennesimo ticchettio vuoto riempì la sala. “Il predatore è morto nel tentativo, ma la pecora è sopravvissuta: noi siamo le più forti. Le prede sono i più forti”.

Davanti agli occhi di Judy il mondo subì una brusca frenata: prima la zampa di Nick che svaniva da sotto la sua, una folgore rossastra davanti ai suoi occhi. Poi fu il turno dei suoni: il ticchettio di una pistola, se quella di Bellwether o di Jack non era importante, la stampella che cadeva a terra con una serie di tonfi metallici e poi un gorgogliante verso pregno di una crudeltà che non esisteva.

Per ultimi nuovamente i denti che produssero un ticchettio diverso, più soffocato, più liquido. Poi un breve rumore di zuffa, unito ad uno strozzato respiro ed infine un ruggito nell’aria.

Il ruggito del leone.

Judy sbatté le palpebre, realizzando la scena davanti a sé e cercando ovunque la forza sufficiente almeno di coprirsi la bocca con le zampe per non urlare. Bellwether volse debolmente la testa, inzaccherando di altro sangue le fauci di Nick piantate attorno al suo collo e le sorrise.

“Veramente bello…” spirò. “Il…ruggito…”.

Le sue orecchie captarono lieve una cacofonia di suoni del tutto nuovi provenienti da fuori, da lontano. Non riuscì ad interessarsene, presa com’era dalla vista del suo collega: stava tornando in sé e la prima cosa che fece fu spalancare la bocca e lasciare andare la pecora con urgenza e sconcerto. Era curvo sulla braccia e la zampa ingessata era a qualche centimetro da terra; la volpe rimase a fissare gli occhi ormai spenti di Bellwether, poi si girarono verso di lei.

 E la paura le esplose dentro come un vulcano, paralizzandola sul posto e tramutando il suo sguardo. Si perse negli occhi verdi di Nick, implorandolo involontariamente di non prendere anche lei, di non saltarle addosso in quel modo perche sarebbe morta d’infarto alla vista dei suoi muscoli scattare. Era curvo, con la divisa e la bocca invasi da una chiazza scura e gocciolante rosso. L’aria si congelò per qualche istante poi Nick su alzò ed uscì, senza dire una parola. Judy avrebbe voluto seguirlo,

perché?

parlargli,

di cosa?

rassicurarlo e dirgli tutto: ciò che aveva visto e ciò che vedeva, ciò che aveva sentito e ciò che in quel momento sentiva. Ed era un impulso urgente, come se il Grande Coniglio stesse nuovamente parlando con lei e la stesse incitando a farlo.

Perché esisteva la concreta possibilità che un’altra occasione non ci sarebbe stata.

Il suo corpo tuttavia non si mosse, la sua voce non uscì, i suoi occhi continuarono ad essere invasi dal terrore e fu solo la figura di Jack che, pistola alla zampa, si mise al suo inseguimento che la coniglietta riprese all’istante il controllo del suo corpo. Immobilizzò la lepre e lo disarmò torcendogli la zampa dietro la schiena.

“Fermo Jack” disse, chiedendosi se fosse funzionale il matrimonio tra una voce tremula ed un tono deciso.

“Ma che stai facendo?” ringhiò lui. “Non l’hai visto?”.

“Sì, l’ho visto” replicò lei, il tono sempre più deciso e la voce sempre più tremante. “Ho visto: basta così Jack. Basta sangue…”.



L’aria fuori dalla centrale era invasa da una spessa nebbia azzurra: vista da fuori, la città doveva apparire veramente spettacolare. L’ufficio del capitano Bogo era esattamente com’era sempre stato: pile di rapporti palesemente ignorati a lato della scrivania e la ventola che girava pigramente ad una velocità che non avrebbe sollevato nemmeno un granello di polvere, ma che scandiva il tempo con un cigolio costante che diventava un rumore di sottofondo fino a svanire nella normalità della stanza.

In quel momento tuttavia, le orecchie di Judy erano piene di quel cigolio, accanto alle parole che il bufalo aveva appena detto con quella serietà che aveva imparato a non mettere in discussione e tanto meno prendere per uno scherzo.

“Agente Hopps?” richiamò Bogo. “Hai capito gli ordini?”.

“No, capitano…” mormorò lei, facendo fremere il naso. Lui sospirò.

“Dichiaro Nicolas Wilde soggetto potenzialmente pericoloso latitante” ripeté. “Il tuo compito sarà quello di arrestarlo sotto l’accusa di duplice fericidio”. Nemmeno lei sapeva cosa avrebbe dato per contestare quell’ordine, di dire che Nick non era un fericida, ma nemmeno se avesse potuto dare l’intero universo sarebbe servito effettivamente allo scopo. Accanto a lei, Jack Savage guardava il nulla davanti a sé con la sua aria tornata sobria e professionale.

“Non ha ucciso lui Alopex” mormorò Judy con un filo di voce.

“Vero” assentì lui. La sua espressione non cambiò. “Ma lui è responsabile dell’uccisione di Dawn Bellwether e Benjamin Clawhauser: a casa mia, fanno due animali morti per zampa sua. Inoltre…”. Alzò la voce, bloccando sul nascere la frase che la coniglietta stava per dire. “A quanto ne so, tu non hai fatto assolutamente nulla per impedirglielo; non ti accuserò di favoreggiamento, ma finirà inevitabilmente sulla tua scheda, a meno che non lo catturi e lo metti dietro le sbarre”.

“Al diavolo la mia scheda!” proruppe lei. “Nick è un agente di questa stazione!”.

“Gli agenti di polizia non sono esenti dalle denuncie” replicò Bogo, tranquillo. “E nemmeno dalle condanne: ho provveduto personalmente a radiarlo dal corpo di polizia e adesso è un ricercato”.

“Wilde ha agito per proteggerci” disse la voce di Jack accanto a lei. Judy non poté credere alle sue orecchie. “Bellwether ci puntava contro una pistola e avrebbe fatto fuoco”.

“Savage…” borbottò il capitano, volgendo lo sguardo su di lui. “Mi sorprende che proprio tu stia prendendo le difese di Wilde”.

“Non sto prendendo le difese di nessuno” di schermì lui. “Espongo i fatti così come sono andati: non ha aggredito senza un motivo”.

“Ma ha aggredito” replicò lui. “Ed ha ucciso: alla legge basta questo per dichiararlo un ricercato e a voi dovrebbe bastare per dargli la caccia”.

“Capitano Bogo…” mormorò Judy. Sapeva che il suo superiore aveva ragione e non c’era nulla che lei potesse fare per evitare una cosa simile. Quindi fece l’unica cosa che le venne in mente. Assicurare la sopravvivenza dei Quattro Cavalli, aveva detto Alopex: uno era stato mangiato e non avrebbe permesso che gli altri tre facessero la stessa fine; proprio no. Sganciò il distintivo dal corpetto e lo depose sulla scrivania.

“Do’ le dimissioni dal corpo di polizia” disse mestamente. Era la seconda volta che si toglieva il distintivo per quel motivo e sapeva che questa volta non l’avrebbe mai più avuto indietro. Bogo e Jack la guardarono con occhi colmi di sorpresa.

“Hopps?” muggì infine Bogo. “Devo forse pensare che non intendi dare la caccia ad un criminale?”.

“Assolutamente no, capitano” replicò lei. “Io mi rifiuto di dare la caccia a Nick: lascio la polizia perché lo faccio per questioni personali, che non dovrebbero mai intaccare il lavoro di un buon poliziotto”. Scosse la testa. “Io non sono più degna di questo distintivo”.

“Tu sai che nulla cambierà, vero?” chiese piano il bufalo. “Altre squadre troveranno Wilde e verrà arrestato in ogni caso. E con lui, tutti coloro che lo proteggeranno”.

“…com’è giusto che sia” mormorò lei, voltandosi ed uscendo mestamente dall’ufficio. Venne raggiunta poco dopo da Jack.

“Che stai facendo, Judy?” chiese. La voce era perplessa, lo sguardo confuso. “Vuoi veramente gettare alle ortiche tutto il tuo lavoro? I tuoi sacrifici, tutti i tuoi progetti…”.

“Tu lo sai che noi conigli siamo abitudinari vero?” replicò lei. “Ed anche molto possessivi”. La lepre non capì la domanda, ma Judy non attese una sua risposta. “Io non voglio lavorare con un compagno che non sia Nick: è lui il mio compagno e nessun altro. Preferisco lasciare la polizia che doverlo chiudere in una cella per il resto della sua vita”.

“Lui farebbe lo stesso per te?” chiese lui, incrociando le zampe. La coniglietta in quel momento si rese conto di odiarlo: odiava il suo modo di parlare, di camminare, di fissarla dritta negli occhi come per leggere cosa ci fosse dietro di essi e di squadrarla dalla testa ai piedi quando le rivolgeva appena uno sguardo.

“Ha ucciso Clawhauser per me” replicò lei. “Ero l’unica preda in quel laboratorio: perché avrebbe dovuto infettarsi con il siero e combattere un predatore come lui se non per tenermi al sicuro?”.

“Non sarà più la stessa cosa, Judy” commentò lui scuotendo la testa. “Ho respirato quel siero…e so quello che ho visto”. Lei si accigliò.

“Io ho visto te uccidere Alopex” ringhiò.”E poi tentare di fare lo stesso a Nick: pensi veramente che prenderò anche solo in considerazione l’idea di starti a sentire? Non appena Bogo lo scoprirà…”.

“Evidentemente Alopex ci aveva visto giusto…” interruppe lui, soprappensiero. “È evidente, Judy…”. La sua espressione cambiò: la freddezza venne disintegrata per un attimo da un velo di reale, puro, autentico panico. “…tu non hai visto quello che ho visto io”.

“E cosa avresti visto di così spaventoso?” chiese lei. “Fino a dieci minuti prima con Alopex ci lavoravi”.

“Non so spiegartelo, mi dispiace” scosse la testa lui deglutendo nervosamente. “Tutto quello che so è che la loro vista…mi ha riempito di una tale paura che la sola cosa che riuscivo a pensare era di rimanere in vita con qualunque mezzo”.

“Ma cosa stai dicendo?”. Adesso Judy era veramente inquieta. “Alopex non era cambiata né era impazzita…”.

“Lo so” annuì lui. “Quello che non mi spiego è proprio questo: loro erano perfettamente normali, non erano cambiati: ma io ho sentito comunque che dovevo ucciderli…o mi avrebbero ucciso loro”.



Era alquanto bizzarra la sua convinzione che Nick sarebbe stato nel suo appartamento, anche se era fondata su parecchie considerazioni perfettamente logiche e dettate dal fatto che avevano trascorso gli ultimi mesi vivendo praticamente in simbiosi. Lui sapeva di essere un ricercato ed avrebbe sicuramente cambiato aria per un po’.

Ma non era pensabile che Nick Wilde, un animale territoriale per natura, non sarebbe passato da casa a prendere qualche suo effetto personale. Tutto quello su cui doveva scommettere era di trovarlo ancora. Era fortunata che il suo appartamento non era molto lontano dalla centrale di polizia e poté destreggiarsi per le strade invase dalla nebbia.

La città era strana, invasa da suoni che lei non aveva mai sentito e completamente priva del rumore del traffico e del vociare delle bancarelle: quelli che sentiva erano senza dubbio dei versi. Per qualche secondo Judy si fermo è rivolse le orecchie al cielo nascosto dalla nebbia; erano dei versi animaleschi, ma diversi da quelli che era abituata a sentire. Disarticolati, senza un vero messaggio che lei potesse capire. Deglutì, incapace di non pensare che quello fosse frutto di quella nebbia che le aleggiava intorno.

“Io sono Judy Hopps” disse, parlando con sé stessa: la parola ce l’aveva ancora, ma tutto intorno a lei stava rapidamente nascendo il caos. Tornò a correre di gran carriera, avvertendo un sordo timore nascerle dentro; rimase un suo fedele compagno finché non chiuse il portone della palazzina in cui abitava Nick.

Si appoggiò alla porta e prese il fiato, scacciando celermente il fugace pensiero su un Nick senza controllo, preda di qualche effetto del vaccino, che l’avrebbe attaccata nell’istante in cui i loro occhi sarebbero entrati in contatto. Si armò del suo sguardo risoluto e percorse velocemente le scale fin davanti alla sua porta, trovandola aperta; senza più pensare, irruppe nell’appartamento chiamando con urgenza il partner.

L’appartamento era a soqquadro, esattamente come si era aspettata, ma a peggiorare le cose erano tracce di artigli su mobili e pareti, i cuscini sparpagliati dappertutto ed il televisore rovesciato. Mosse lentamente un passo e due orecchie rosse guizzarono da dietro lo schienale del divano, seguite da un paio di occhi verdi pregni di ansia con un pizzico di curiosità. La coniglietta sorrise.

“Nick!” esclamò, sollevata. “Oh, ero così in pensiero!”. Lui continuò a guardarla con lo stesso sguardo, come se non la riconoscesse, poi si nascose nuovamente dietro il divano senza dire una parola. Judy si avvicinò ancora. “Nick, che hai?” chiese. “Sono io, volpe ottusa! Dai, dobbiamo muoverci: Bogo ti sta dando la caccia e…”.

“WOW! WO-WO-WOWOWOW” replicò lui. A Judy si gelò il sangue nelle vene: Nick comparve da dietro il divano, timoroso, scrutandola attentamente ed avvicinandosi piano sulle quattro zampe. La coniglietta arretrò di un passo: il primo istinto fu di cercare la pistola nella fondina, poi si ricordò di non avere più nemmeno una fondina.

“Nick…” mormorò con gli occhi sgranati dal panico. “Ti prego, dimmi che mi riconosci: smettila di fare il cretino e alzati”. Lui per tutta risposta si fermò, rimase immobile per qualche secondo, poi uggiolò rovesciandosi sulla schiena e dandole la pancia. La coniglietta raccolse tutto il suo coraggio e fece un passo nella sua direzione; ne fece un secondo, poi un terzo e la volpe era sempre sdraiata a terra, immobile, che la guardava con quegli occhi verdi rimasti espressivi. Uggiolò di nuovo.

“Nick…” mormorò ancora, stavolta con una voce pregna del dolore portato dalla consapevolezza. “Ti prego, parlami…”. Arrivata accanto a lui, s’inginocchiò ed allungò titubante una zampa, posandogliela sul lato della testa. Lui la annusò e, con un sospiro, gliela leccò velocemente. “Dì qualcosa!”.

Con movimenti lenti, lui si rimise sulle zampe solo per sedersi. La guardò negli occhi per qualche altro secondo, poi rovesciò la testa all’indietro, squarciando l’aria con un acuto, prolungato, penetrante ululo.




NOTA DELL’AUTORE:

bene signori, l’attesa è finita: con questo aggiornamento si chiude la fic I QUATTRO CAVALLI. Ho dovuto fare un capitolo più lungo dei precedenti, ma alla fine ho raggiunto il mio scopo.

Ci tenevo a ringraziarvi nuovamente per lo straordinario successo che ha avuto anche questo seguito, forse non schiacciante come quello di
THE WILDE CASE ma ugualmente sorprendente ed ovviamente molto soddisfacente. La stesura è andata un po’ a rilento, me ne rendo conto, ma spero che alla fine il risultato sia valso la vostra pazienza.

Anche qui ho lasciato parecchi punti oscuri: il messaggio di Bogo a Bellwether, il caso Tujunga ed altri che sicuramente ci sono sparpagliati per questi nove capitoli ma che in questo momento non mi vengono in mente, ma fidatevi che non l’ho fatto per lasciarvi con il fiato sospeso (ok, forse un pochino si… :P).

Dulcis in fundo, annuncio che prossimamente sarà online l’ultimo capitolo della serie,
DISTOPIA SCARLATTA, e non escludo a giorni un teaser nel mezzo, anche per soddisfare coloro che si aspettavano una vicenda meno cupa e drammatica e più romantica. Manco a dirlo, mi impegnerò per regalare una storia che sia al massimo, quella che un pubblico come voi merita.

E come sempre, alla prossima, Stay Tuned

Leonhard
   
 
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