Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
Segui la storia  |       
Autore: Nemainn    10/11/2016    7 recensioni
Andrea non sa cosa si cela dietro il fascino delle sue amate calli, tra i palazzi di Venezia, oltre le sue acque che placide riflettono la luna.
Il mistero di ciò che sta oltre il velo gli viene svelato e tutto quello che conosceva, o credeva di conoscere, diventa un ricordo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

Capitolo 
- 3 -
- Il Tradimento -


 

«Sono stato imperdonabile.»
Andrea fissò il suo Sire da dietro il tavolo dello studio, impassibile.
«Chi è Ludovico? Non... non sono geloso. Non mi interessa per quello, ma pare che sia una presenza che vi ossessiona e il mio aspetto fomenta tutto quello.»
«Sei praticamente identico a lui. Qualcosa ti ho raccontato...» Andrea annuì e Federico proseguì. «Era uno dei tanti talentuosi castrati di Venezia, un giovane del popolo privato della mascolinità da bambino, cresciuto nel conservatorio con la musica come unico scopo di vita. L'amava con la passione del più focoso degli amanti, la sua voce era tra le più meravigliose al mio orecchio e mi innamorai di lui dalla prima volta che lo sentii. Tutto, in lui, mi aveva stregato: il suo passo sul palco, le movenze, il modo in cui sembrava guardare dritto nel cuore di tutti. Era poesia fatta carne, era melodia fatta sangue. Era la bellezza profana di un uomo che uomo non è. Mi innamorai perdutamente, Andrea. Il mio cuore mortale batteva unicamente al ritmo delle musiche su cui la sua voce si librava. Venezia era ricca in molti sensi, oro, argento, arte, ma soprattutto di musica: tra le calli, nei viali tra i palazzi e negli angoli delle piazze, ovunque c'erano canti e lui era sempre lì, in quel piccolo teatro colmo come pochi grazie a lui. Ogni personaggio che sul palco interpretava era un successo, il suo aspetto era tale che nei panni di una fanciulla ingannava anche il più attento e cinico occhio. Lo seguivo, di spettacolo in spettacolo, abbeverandomi della sua arte e divenni un suo patrono. Alla fine degli spettacoli ci intrattenevamo assieme e scoprii il suo amore per ogni arte, la sua mente brillante oltre ogni immaginazione, viva come un fuoco e altrettanto luminosa. Era colto, più di quanto potessi aspettarmi, amava i classici latini e sapeva dissertare di Ovidio e Catullo; aveva mani dotate per la pittura e gli feci conoscere il Tiepolo. Tale era la sua bellezza che anche lui ne rimase abbagliato, usandolo come modello per svariate tele e affreschi, in panni così diversi l'uno dall'altro che talvolta era un santo, altre un demonio, in una persino la vergine Maria... quella volta risi di cuore, dicendogli che perfino la madre di nostro Signore poteva celare il peccato, visto il modello» Federico scosse appena il capo, seduto sulla poltrone di pelle guardava il suo pupillo, notando come fosse diverso, stavolta, da Ludovico. La luce dura negli occhi, il portamento che pur essendo elegante era frutto di un secolo fatto di uomini e gesti rozzi e grezzi. Gli abiti moderni, le labbra strette in un'ombra di cupa irritazione. Era altrettanto brillante, altrettanto geniale, eppure la luce che Ludovico emanava sembrava tingersi di toni cupi sfiorando quel suo infante. Andrea era una versione meno solare e ardente di Ludovico, ma non di meno ne era lo specchio. «Io, come ogni Giovanni, conoscevo gran parte dei segreti della Famiglia, ma il più grande tra essi mi era ancora celato in quei giorni. Conoscevo la nostra potenza, la nostra storia, ero fedele alla nostra Famiglia come chiunque vi appartenesse, eppure decisero di rivelarmi il più grande tra i misteri solo la notte in cui il mio Sire mi diede l'immortalità. La mia abilità nella necromanzia, come umano, era già al di là di quella di alcuni infanti, ma non sarebbe mai aumentata fintanto che la mia carne fosse stata mortale e il Velo così lontano da me. Ero solo un uomo e c'era un limite che mai avrei potuto valicare e così mi scelse: mi tolse il sangue dalle vene, si nutrì, mi diede la sua linfa come io feci con te. Ma non era pietoso: era antico, freddo e calcolatore e, per distogliermi da ogni distrazione, al mio primo risveglio, affamato e con la sete che mi rendeva un animale, l'unica fonte di cibo in quella stanza era Ludovico. Mi nutrii di lui fino a ucciderlo, rendendomi conto solo quando era ormai tardi del fatto. Ho ucciso io stesso chi amavo, Andrea, ed è per questo che rivederlo in te mi causa sia dolore che gioia.»
Andrea rimase in silenzio, mentre le spalle si rilassavano e scivolava un po' di più nella grande e massiccia sedia. Alla fine si alzò, la felpa grigia leggermente lisa che sembrava un po' troppo grande per lui per come le mani spuntavano di poco dalle maniche, e si sedette sul bracciolo della poltrona dove Federico, immobile, lo osservava.
«È la somiglianza che crea problemi, quindi? È solo il mio essere così simile a lui che ti ha portato a desiderare di donarmi tu stesso l'immortalità? Per quello mi hai scelto?»
«Non solo. Diciamo che la somiglianza ha fatto sì che insistessi molto per poter essere io ad abbracciarti, ma è stato il tuo talento il fattore determinante. La tua mente, la tua abilità, sono fuori dal comune.»
Andrea annuì, mentre alzava lo sguardo incontrando quello del suo riflesso nell'antico specchio, occhi duri e pieni di ombre che celavano pensieri profondi che venivano sepolti sempre di più nelle pieghe del suo silenzio. Infine sorrise a Federico e, poggiandosi con il fianco contro lo schienale della poltrona, indicò i volumi che aveva sulla scrivania; così iniziarono a parlare della passione che smuoveva entrambi, mentre quella storia veniva sprofondata dentro la mente di Andrea, al sicuro.

 

Erano passati mesi, Natale era arrivato e dimenticato. Aveva partecipato ai festeggiamenti, per poi vedere il cupo inverno diventare primavera e poi estate ancora più d'una volta. Durante una delle festività del 4 novembre, data importante per i Giovanni, finalmente Federico aveva deciso di presentarlo, facendolo entrare a tutti gli effetti nella società dei Fratelli. Andrea si era ormai abituato agli eccessi di quelle feste: li viveva con un certo distacco, sapendo che al rientro il suo Sire sarebbe stato malinconico come sempre, rivedendo in lui Ludovico, e che avrebbe dovuto assecondarlo. Aveva fatto buon viso a cattivo gioco, mentre Federico guardava lui vedendo il motivo per cui aveva fatto di tutto per abbracciarlo lui stesso, fingeva non gli importasse. Ogni volta che in quegli anni si diceva che non era nulla di che, finché poteva attingere alla vastità della conoscenza del suo Sire, però, sapeva che mentiva.
Guardando fuori dalla finestra dello studio Andrea scosse il capo, obbligandosi a tornare con la mente al presente e smettere di rivangare il passato. Il suo Sire era via da diversi giorni, ormai, ed era raro che mancasse di dargli notizie. Non era preoccupato, non ancora, almeno, era certo sapesse badare a sé, eppure era agitato. Le assenze di lui si erano fatte sempre più lunghe e frequenti, così come i suoi silenzi.
Gli aveva detto di rimanere lì, con lui, che non era necessario si trovasse un altro posto dove vivere e lui aveva accettato di buon grado: la biblioteca di Federico era immensa e più che rifornita e rispondeva a ogni suo desiderio di conoscenza, almeno per il momento.
Chiuse il volume in sanscrito, mentre una specie di brivido lo metteva su chi va là: qualcosa non andava bene. Non aveva sentito rumori, ma era improvvisamente certo di non essere più solo. Prima però di poter fare qualunque cosa tre massicci uomini entrarono in volata nello studio, afferrandolo e iniziando a malmenarlo. 
L'iniziale reazione di Andrea, opporsi e contrattaccare, fu fermata dalla logica. Erano ghoul dei Giovanni, se avesse opposto resistenza avrebbe fatto solo danni: qualcosa non tornava, non aveva il quadro completo della situazione. Sentiva la sua carne aprirsi e lacerarsi sotto i colpi e trattenne il desiderio di sanare le ferite per non liberare la bestia che risiedeva in ogni vampiro, mentre sentiva accuse irate che non capiva. Gli chiedevano di Federico, dov'era, lo accusavano di tradimento, di aver violato i sacri segreti della famiglia, di averli venduti. I colpi piovevano impietosi e la confusione, e la paura, erano tenute a bada solo dalla volontà del giovane che si appellava a essa con tutta la sua forza per non liberare il mostro irrazionale che viveva in lui, come in ogni altro vampiro, per non lasciarsi andare a quelle tenebre e perdersi, giocandosi probabilmente la vita e ogni possibilità di salvezza.
Gli misero un sacco in testa, chiudendolo ben stretto e ovattando il mondo attorno a lui mentre lo trascinavano, pesto e malconcio, per le braccia. Per il giovane ci fu solo buio e dolore, fino a quando non si sentì scaraventare su un pavimento e con uno strattone rude il cappuccio gli fu tolto.
Si trovava in una stanza grande, così opulenta da essere fin troppo piena di elaborati accessori e orpelli, di preziosi, tele antiche di bellezza tale da commuovere una pietra e ogni genere di bellezza che mani mortali, e forse immortali, potevano creare. Andrea si guardò attorno senza riconoscere il luogo notando, davanti a lui, ai lati di un tavolino che ospitava una massiccia scacchiera di madreperla, un uomo e una donna che non riconobbe, mentre poco lontano, su una poltrona, Domenico leggeva un libro. 
La donna fece un'espressione di disgusto vedendo Andrea sul pavimento, osservandolo come si poteva guardare un insetto sgradevole. 
«Vi siete forse bevuti il cervello? Così rovinerà il tappeto!» 
L'uomo alzò gli occhi al cielo e si rivolge ai tre energumeni che avevano ridotto Andrea in quello stato pietoso. 
«Mettetelo su una sedia» ordinò con voce pacata.
Il giovane venne sollevato di peso e messo senza troppe cerimonie su una pregiata sedia in noce. 
La donna guardò l'uomo, stupita, ed esclamò in tono offeso: «Lo fai anche accomodare? Pensavo lo dovessi uccidere!»
A quelle parole Andrea sgranò gli occhi, facendo scorrere lo sguardo sui tre Fratelli davanti a lui. Ucciderlo? Cosa aveva mai fatto per meritarsi ciò? 
«Perché prima non provate a domandargli qualcosa per capire se è coinvolto?»
La voce di Domenico, quasi annoiata, si levò. Con aria distratta girò una pagina, non aveva neppure sollevato gli occhi dal libro.
«Ovvio che è coinvolto» ribatté la donna. «Inutile girarci attorno.» 
L'uomo soppesò tra le mani un pezzo della scacchiera, osservando poi Andrea con attenzione. Non aveva l'aria di qualcuno coinvolto, aveva uno sguardo smarrito, spaventato. Era troppo giovane per aver già assimilato certe doti dei più anziani e decise di dargli una possibilità.
«Hai idea del perché sei qui?» gli chiese, mentre con un gesto automatico si passava la mano tra i corti capelli bianchi. Andrea strinse le labbra, agitato, osservando quel Fratello sconosciuto che dimostrava, all'apparenza, una sessantina d'anni. 
«Gabriele, questa è un'assurdità!» Esclamò la donna, stizzita, per zittirsi non appena l'altro alza una mano in un gesto secco e chiaro. 
«Lascia che parli, Annamaria» il suo sguardo si portò su Andrea. «Allora?»
«Immagino che il mio Sire abbia fatto qualcosa, ma io sono allo scuro di tutto» la mente del giovane lavorava febbrilmente: cosa aveva mai potuto fare, Federico? Si impose di stare calmo, di pensare, mentre si drizzava. Aveva pur sempre un orgoglio e una dignità.
«Certo, lui non sa nulla!» L'ironia gocciolava dalle parole della donna, mentre con il cavallo mangiava l'alfiere di Gabriele.
«Dov'è Federico?» domandò l'uomo, spostando un pedone e facendo così apparire per un istante un sorriso sul volto di Annamaria.
«Non lo so...» Andrea aveva lanciato degli sguardi a quella stanza mai vista, ma quelle ricchezze così ostentate gli facevano pensare a un solo luogo, un posto di cui il suo Sire gli aveva parato: il Mausoleo. Uno dei luoghi più protetti e in un certo senso sacri, della famiglia. «Non ho idea di dove sia o di cosa abbia fatto. O credete abbia fatto.»
«Scacco!» La voce della donna era squillante come la tromba del giudizio universale mentre spostava la torre. A quel punto si alzò, avvicinandosi ad Andrea con aria irritata.
«Non cercare di prenderci in giro, piccola nullità! Fai a malapena parte della famiglia, sei solo un inutile peso!»
Lo sguardo di Andrea si accese di rabbia e la voce di Gabriele interruppe la donna.
«Calma, calma, Annamaria. Non essere così dura. Il ragazzo ha ottime doti, in realtà. La tua è solo invidia perché lui, quasi ai margini della nostra famiglia, destreggia l'Arte Nera molto meglio del tuo pupillo di Unico Sangue, che ha ben due anni più di lui...» l'uomo mosse, mangiando la torre con un piccolo sbuffo. «Vieni qua a finire la partita, anche se perderai in quattro mosse.»
«Quattro mosse...?» Voltandosi e raggiungendo la scacchiera la donna si mise a studiarla con attenzione, mentre Gabriele si alzava, avvicinandosi ad Andrea.
«Se Andrea dice di non sapere dove sia Federico io gli credo, puoi assicurartene tu stesso.» Domenico, in tono deferente, si rivolse a Gabriele che a quelle parole assottigliò lo sguardo, mettendo due dita sotto il mento di Andrea per costringerlo a guardarlo negli occhi.
Quella sensazione gli era conosciuta, Federico aveva usato su di lui quella capacità in passato. Andrea detestava quella forma di obbligo, che dominava la sua mente e lo costringeva ad abbandonare ogni difesa, ubbidendo ciecamente e senza nessun controllo a ciò che gli veniva detto. 
«Raccontami del tuo Sire e di quello che ha fato negli ultimi tempi.»
Costretto a dire tutto quello che sapeva da quegli occhi, da quel potere che odiava e che gli imponeva l'obbedienza, Andrea iniziò a parlare, obbligandosi a mantenere un tono calmo e distaccato.
«È stato via spesso. Fin da subito, capitava che fosse assente per tutta la notte, a volte un paio di notti. Non era molto frequente inizialmente, anche se non si è mai fermata negli anni. Ma negli ultimi mesi la cosa è diventata la normalità. Lo vedo pochissimo e, quando c'è, è distratto. Io... io però non mi sono mai permesso di chiedergli nulla: è il mio Sire, non ne ho certo il diritto...» fermandosi per un istante a pensare, il giovane poi proseguì. «Tornava stanco, con troppa fame, cupo. Mi lasciava compiti di piccola entità da svolgere per lui, conti, cose così, mi dava libri da studiare e poi, la notte successiva, spariva di nuovo. Non ho davvero idea di dove andasse o cosa facesse, anche se me lo sono chiesto... davvero pensate che mi sarei messo a spiare o interrogare Federico?»
Mentre parlava i pensieri del giovane erano sempre più cupi e venati di rabbia. Il suo Sire in quale immenso guaio lo aveva cacciato? Lo aveva abbandonato lì a pagare le conseguenze delle sue colpe, davvero aveva fatto ciò?
Lo aveva tradito fino a quel punto?
Sapeva benissimo che solo l'intervento di Domenico, che aveva spinto Gabriele a indagare, forse l'avrebbe salvato. Eppure non era detto che l'estraneità ai fatti lo mettesse al sicuro.
Non appena lo sguardo di Gabriele lasciò gli occhi di Andrea, il giovane sentì la sua mente e il suo corpo nuovamente liberi.
«Il tuo Sire ha insegnato l'Arte Nera a un esterno della famiglia. Ci ha tradito ed è fuggito, insultando con la sua slealtà tutti noi.»
Andrea spalancò la bocca, sconvolto. 
«Ha fatto cosa...?» disse in un soffio, angosciato. Quella era la prima, più grande e assoluta regola: non si insegnava al di fuori della famiglia e, anche all'interno di essa, solo a chi ne veniva ritenuto meritevole e degno.
«È progenie di un traditore! Che paghi lui, per iniziare!» il sibilo furioso di Annamaria interruppe Gabriele; la voce di Domenico, però, ancora una volta si levò in difesa del giovane.
«Reputo sarebbe un errore. È giovane, promettente. Federico lo ha sempre tenuto in disparte rispetto alla Famiglia, ma sono convinto che se ne avesse la possibilità, Andrea farebbe tutto ciò che è in suo potere per onorarci come si conviene.»
«Quindi dovrei permettere alla progenie di un traditore che merita solo di morire, di calpestare il suolo della nostra amata Venezia? »
«Perdonatemi se mi intrometto...» la rabbia animava Andrea. Il tradimento di Federico, nei suoi confronti e in quelli della Famiglia, aveva acceso in lui l'odio. La sua voce era bassa, decisa, mentre guardava negli occhi Gabriele. «Sono estraneo al delitto del mio Sire, non sono colpevole di un simile tradimento! Quello che ha fatto è giusto sia punito, ma avete avuto ogni prova della mia estraneità... datemi la possibilità di dimostrare la mia fedeltà alla nostra Famiglia! Non vi chiedo il perdono, ma una possibilità, di meritarmi ciò che vi domando.»
«E perché dovrei fidarmi di te?»
«Garantisco io, per lui.» Domenico parlò, posando il libro che aveva tenuto tra le mani fino a quel momento.
«Tu?» Gabriele si voltò, squadrando l'altro con attenzione. «Ti faresti carico di una simile palla al piede?»
«Sono certo che sarà in grado di fare strada.»
«Te lo chiedo ancora una volta, ne sei certo?» Alla domanda, Domenico annuì. «E allora sia. Solo perché sei vicino a Salvatore e durante le sue assenze sei la sua voce qui al Mausoleo. Il neonato è bandito dalla città, vi potrà tornare solo se...» si voltò verso Annamaria, «qual era quel dominio dove gli spiriti sono agitati?»
«Bologna» rispose lei. 
Gabriele si voltò ancora una volta verso Andrea. «Solo se riuscirai a stabilire un'enclave all'interno del dominio di Bologna. A quel punto valuterò nuovamente la tua posizione. Sei d'accordo?»
Andrea annuì, non era una vera scelta. O accettava quella sfida, tutt'altro che semplice, o sarebbe morto lì, probabilmente per mano dello stesso Gabriele.
«Sono onorato della possibilità che mi volete concedere» disse senza abbassare gli occhi, aggrappandosi all'orgoglio per non iniziare a urlare e bestemmiare per quell'idiozia. Come poteva fare una cosa simile? Era un esilio, una punizione che lo tagliava fuori da Venezia e dai suoi studi. Un modo di tenerlo in disparte, probabilmente un'esca per il suo sire. Non era possibile credessero davvero lui fosse in grado di fare ciò e, a essere sinceri, lo dubitava lui stesso. «Farò del mio meglio, e porterò a termine la missione che mi avete affidato.»
Gabriele annuì, facendo poi un gesto brusco con la mano. «Sbattetelo fuori da Venezia.» 
Domenico sgranò gli occhi: «così su due piedi?»
«Se è in gamba come dici se la caverà.» 
Domenico strinse le labbra e sollevò Andrea di peso dalla sedia, rivolgendo uno sguardo ferreo a Gabriele. 
«Me ne occupo io.»
Lo trascinò fuori e recuperando la sua ghoul le ordinò di portargli delle scorte. Il giovane penzolava letteralmente tra le sue braccia, sporco e con gli occhi pieni di rabbia. In breve tempo la ghoul fu di ritorno con delle sacche di sangue che Andrea prosciugò, curandosi e riprendendo le forze.
Domenico valutò per tutto il tempo il giovane: aveva scommesso su di lui, mettendo in gioco la sua reputazione e probabilmente anche di più. Si chiese se Andrea dovesse sapere anche un'ultima cosa e infine decise che dirgliela, lo avrebbe rafforzato nei suoi intenti. O spezzato.
«Sono andati a prendere anche tuo padre, quando sono arrivati da te» Domenico fece una lunga pausa in cui Andrea lo guardò, senza battere ciglio, in attesa. «Dovevano dare un esempio, sembrava fosse coinvolto. A quanto pare aveva prenotato dei viaggi per Federico, svolgendo per lui una serie di pratiche per permettergli di viaggiare. Tuo padre è morto.»
Il silenzio sembrò calare sulla mente di Andrea.
Sapeva che sarebbe sopravvissuto al padre, era ovvio. Logico.
Però era stato ucciso per colpa di Federico, del tradimento del suo Sire.
L'odio che al tradimento subito era nato in lui divampò ferocemente, mentre il suo sguardo diveniva affilato e duro.
«Ucciderò Federico. Lo troverò e lo ucciderò. Ha tradito me, la Famiglia, ha causato tutto questo... il mio è un esilio, chiamalo come vuoi, ma quello è. Non potrò più procedere nello studio dell'Arte Nera, non ho neppure potuto dire addio a mio padre.» 
Quell'ultima frase, quella vestigia di umanità, sembrò quasi scuotere Domenico.
«Riuscirai, tornerai, e allora io stesso ti insegnerò, Andrea.»
Guardando la sua ghoul, Domenico sospirò. «Simona ti porterà a prendere il primo treno per Bologna, rimarrà con te fino a lì. Nutriti di lei e concentrati sulla tua missione. Così su due piedi è tutto quello che posso fare.»
«Grazie.»
«Andate, ora.»
Andrea annuì e infilandosi una maglia pulita portata dalla ghoul la seguì, osservando con occhi nuovi la sua Venezia. 
L'avrebbe rivista, decise.
I Giovanni avevano agito, uccidendo suo padre per complicità.
Non si poteva tradire la famiglia, eppure era certo che ogni atto di tradimento da parte del padre non fosse voluto. Poteva essere stato tratto in inganno.
Dubitava che si fossero sprecati a indagare un minimo per un mortale, soprattutto uno che già aveva disubbidito in passato.
Avrebbe trovato Federico, gli avrebbe estorto la verità e l'avrebbe portato davanti la famiglia, lui o la notizia della sua morte e sarebbe tornato lì, alla sua città.
A qualunque costo.


 
Fine

 
 


 

 

 


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, ogni commento è utile e aiuta!
Anche mettere la storia tra i seguiti/preferiti è un silenzioso segno di apprezzamento, se pensate che meriti :D

Se volete saperne di più c’è sia il mio gruppo che la mia pagina!

Se volete venite a trovarmi!
Le Storie di Nemainn
Nemainn EFP

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade / Vai alla pagina dell'autore: Nemainn