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Autore: Hermit_    11/11/2016    3 recensioni
E se Sherlock fosse un bambino di appena otto anni? Cosa succederebbe se John e Mary, ormai sposati, volessero scoprire qualcosa di più sul misterioso ragazzino che siede sull'asflato vicino al loro appartamento da giorni?
"Okay." John spalanca le braccia, boccheggiando alla ricerca di qualcosa con cui ribattere. "Adesso basta. Devo andare a lavorare."
Gli mostra l'indice prima di voltargli le spalle, come per raccomandargli di stare bene. L'altro fa un mezzo sorriso, sapendo che quello che dovrebbe stare attento non è lui, è John.

[Storia partecipante al contest Bambini & Ragazzi, voglia di guai! di Rebecca04 sul Forum di EFP]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BABY SHERLOCK

 

 

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"Cosa?" chiede tra i denti John Watson, concentrato nell'impresa di radersi senza ferirsi. 

Una donna lo raggiunge, appoggia le mani ai due lati della porta del loro bagno dalle piastrelle color azzurro marino e sospira. "Ho detto… è ancora lì, John."

"Davvero?" Finisce in fretta e si sciacqua il viso non degnando di uno sguardo sua moglie Mary Watson, ancora in pigiama. "Prima o poi se ne andrà."

"John."

Quando Mary cantilena il suo nome in quella maniera significa solo una cosa... Ubbidiscimi o sei morto.

"Oh, e va bene." Alza gli occhi al cielo esasperato ma il sorriso di Mary gli fa tornare subito il buon umore. Qualsiasi cosa per vederla felice.

Strofina l'asciugamano sul viso e finalmente la nota, la piccola macchiolina di sangue poco sopra il mento. Cazzo. Si è ferito.

 

 

"Allora..." John strofina le mani tra loro, alzandole subito dopo per nascondere in esse un respiro di aria fredda. Sa che probabilmente il suo naso è completamente rosso in contrasto con il viso pallido, conseguenza delle temperature decisamente basse, e sa anche che il suo abbinamento guanti-sciarpa-cappello viola non gli danno un'aria da duro, ma... insomma, è solo un bambino! Cosa gli importa del fatto che i suoi occhi lo stiano fissando in maniera talmente tagliente da spingerlo quasi a mettersi in ginocchio e pregare di scusarlo per qualsiasi cosa abbia commesso? Un suo sguardo equivale a una presa in giro, o un rimprovero, o una critica. Punti di vista.

Perché Mary aveva voluto così tanto che gli andasse a parlare? è inquietante il modo in cui lo fissa.

"Che hai da guardare? Non devi andare a lavorare?"

"Com-cosa?" John chiude gli occhi, strofinandosi le tempie con la mano guantata. "Cosa?"

"Il lavoro. Hai presente? Fai il medico. Ti stanno tutti aspettando, ti conviene andare." Il piccolo alza un sopracciglio, come se stesse pensando che sia uno stupido. Ed effettivamente John si domanda se lo sia davvero.

Santo cielo, è un bambino. Un bambino che pensa che una persona di almeno venti anni più di lui, sia uno stupido.

"Quanti anni hai?"

"Otto."

"Otto." John annuisce e si inumidisce le labbra con la lingua, nascondendo la sua incredulità. "Certo, otto. E come… come fai a sapere che faccio il medico?"

"Facile. La tua valigetta. Potrebbe significare che sei un uomo d'affari, ma niente smoking e -senza offesa- non ne hai la faccia, potevi essere un muratore o idraulico e lavori simili ma non sei abbastanza muscoloso, per cui doveva essere un lavoro molto umile ma che comprendeva una valigetta, a meno che non si fosse trattato di tutt'altro. Ma sono le otto di mattina e tu vai in giro ancora intontito con le macchie di caffè a farti compagnia, doveva trattarsi sicuramente di lavoro. L'unica alternativa è il medico."

Quando finisce, John si rende improvvisamente conto di avere la mascella spalancata. E quello sarebbe un bambino di otto anni?! 

"E per-?"

"Ti stanno tutti aspettando, ti conviene andare? Oh be', il tuo cellulare. Sta vibrando da quasi cinque minuti, fermandosi e ripartendo subito dopo. Si tratta di messaggi, dalla tua segretaria probabilmente, o il tuo capo. Boh. Sono molto insistenti."

John tira fuori dalla tasca il cellulare, sbloccandolo per controllare il registro dei messaggi. Sono tutti di Rosalie nota, la sua segretaria. In molti gli ha scritto di muoversi, in altri lo minaccia di morte in caso non si fosse presentato in ufficio a momenti.

Cavolo, il moccioso ci aveva preso in pieno.

Quest'ultimo non distoglie lo sguardo da John e assottiglia gli occhi per riuscire a scovare qualche altro dettaglio per qualcosa che ancora non stava quadrando nella sua testa, evidentemente. "Perché non hai sentito la vibrazione? Hai dei problemi alle orecchie? No, nessun apparecchio. è la vecchiaia? Strano, non hai subito la stessa cosa agli occhi e porti ancora bene gli anni, né rughe né capelli bianchi. O forse quelli un po' sì. Deve trattarsi di qualcos’altro. Ma cosa?”

"Okay." John spalanca le braccia, boccheggiando alla ricerca di qualcosa con cui ribattere. "Adesso basta. Devo andare a lavorare."

Gli mostra l'indice prima di voltargli le spalle, come per raccomandargli di stare bene. L'altro fa un mezzo sorriso, sapendo che quello che dovrebbe stare attento non è lui, è John.

 

 

"Ci ho provato” giura John, facendo un broncio che Mary trova tenerissimo. "Quel bambino non è normale, è.... boh, un genio."

Lei inclina la testa, sorpresa. "Non so perché ma mi aspettavo un insulto."

"Oh lo avrai. É insopportabile, inquietante e si crede chissà chi." 

"Ma...?"

"Ma è un genio, appunto! Dobbiamo fare qualcosa, magari è scappato da qualche istituto di persone speciali, o.…"

Mary lascia sulla tavola il riso al curry preparato per loro, e sedendosi dall'altro lato alza un sopracciglio. "Non correre con l'immaginazione, John. Qual è il suo nome?"

"Ehm... il suo nome?"

"Non gli hai chiesto il nome?"

Si sente rimpicciolirsi di fronte allo sguardo di rimprovero di sua moglie, e deglutendo distoglie lo sguardo. "Gli ho chiesto l'età."

"E non hai pensato di chiedergli anche il nome?"

Se solo ci fosse stata anche lei, su quel marciapiede, avrebbe capito il perché.

John si alza e pensieroso sposta con un dito la tenda dalla finestra. Mary si volta a guardarlo.

"É ancora lì, vorrei tanto sapere cosa combina tutto il giorno."

"Avresti potuto chiederglielo." Gli fa presente, lei.

"Già." Si volta di nuovo verso il tavolo, notando quasi per la prima volta il cibo sopra il suo piatto. "Quello l'hai preparato tu?"

"Uoh, ti pare?"

"Giusto. Che domanda stupida."

 

 

"Ho capito, sai?"

"Uh?"

John si volta; lo sguardo tagliente del bambino lo trafigge, e sente ancora più freddo del normale. Affonda le mani nelle tasche del giubbotto, pensando che a nulla è servito cercare di passargli vicino e non guardarlo sperando di non avere a che fare con lui una seconda volta.

Certo, anche lui è preoccupato per un bambino solo in mezzo alla strada con il freddo tipico di Londra, ma quello non è un bambino normale, lo sa.

"Ieri mia moglie è passata per lasciarti un po' di riso."

"Già."

Il piatto è ai suoi piedi, ancora avvolto dalla carta stagnola. Non l'ha nemmeno aperto. 

Da quanto tempo era che non mangiava? Doveva avere per forza fame.

"Stavo dicendo... Ho capito perché non hai sentito la vibrazione."

"Cos-" Si ricorda improvvisamente del discorso dello scorso giorno, non che l'avesse dimenticato. Non si può dimenticare una cosa del genere. Però ... Perché lui ci stava pensando ancora?

"Hai perso un po' l'udito, per via di un forte rumore, qualcosa di talmente forte da far perdere l'udito. Una bomba." Sorride, senza emozione, alzando leggermente gli angoli delle labbra, in qualche modo soddisfatto della propria deduzione.

E John ammette che ha ragione. 

Si muove indeciso sul posto. "Hai indovinato." Poi ricorda improvvisamente la conversazione avuta con Mary. "Qual è il tuo nome?"

"Sherlock." tagliente, deciso.

Sherlock?

"Un nome alquanto singolare."

"I miei." Il piccolo alza le spalle, e per una volta sembra così normale. Ma John ha altri pensieri in quel momento: Il bambino ha quindi dei genitori? Allora perché questi ultimi hanno lasciato il figlio da solo su quel marciapiede? Che l'abbiano abbandonato? O ci sono state altre ragioni?

"Bene, Sherlock. Hai una casa o un posto dove vivere?"

Il piccolo alza gli occhi al cielo, come esasperato, mentre un piccolo boccolo cade dritto sui suoi occhi. "Tu e tua moglie. Vi sentite tanto misericordiosi? Ogni giorno mi guardate dalle finestre del vostro appartamento, mi venite a parlare, mi portate cibo, adesso vorreste riportami a casa... Vi sentite più in pace con voi stessi in questo modo?"

John spalanca gli occhi, sorpreso. "N-no... Vogliamo solo aiutare un bambino."

Un bambino che sembra tutto meno che l'essere un bambino. 

"Non ho bisogno di aiuto."

Un suo sguardo, freddo, ricade su di lui, e John sussulta dalla potenza di quella freddezza nel volto di un bambino. 

"Okay." Alza le mani al cielo, come per simulare una resa. "Non ti disturberemo più." 

Ormai ha capito, John Watson, che non si può trattare Sherlock come un bambino. 

 

 

"Ho detto di no, Mary."

"Però..." Lei è ancora indecisa, guarda con tristezza fuori dalla finestra, come se riuscisse con un solo sguardo a tele trasportarsi su quel marciapiede. "É così solo."

"Non vuole che interveniamo. L'ha detto espressamente. Ci vede, sai? Guardarlo fuori dalla finestra, intendo. E non vuole."

"Ma è un bambino!" Si volta quasi furente verso di lui. "Cosa ne sa di quello che vuole o non vuole? Non riesce ancora a capirlo!"

"Fidati, lo capisce."

Mary fa una smorfia incredula, di fronte alla calma del marito, tranquillo a leggersi il giornale seduto sulla sua solita poltrona. Come può essere così indifferente? 

Il giorno prima anche lui era preoccupato per Sherlock, cosa era cambiato quel pomeriggio?

"Ci hai parlato." Esordisce facendo tossire John, che testardo non sposta lo sguardo dal giornale. "Cosa vi siete detti?"

Lui non desiste per qualche secondo, poi sospirando chiude il giornale e lo lascia sul tavolino. Nervoso tamburella le dita sul bracciolo della poltrona. "Niente, solo... Il suo nome, mi ha detto il suo nome e gli ho chiesto se avesse una casa, una famiglia." Il che in parte è vero.

"E lui?"

"Si chiama Sherlock."

"Che nome... singolare."

"è la stessa cosa che ho detto io."

"Non sviare il discorso. Poi cosa ha detto? Ce l'ha la famiglia?"

"Beh sì, ha dei genitori."

"Ha i genitori?! Che razza di genitori ha se lo lasciano a marcire su un marciapiede con questo freddo?!"

John desiste dal farle notare che è stata esattamente la stessa reazione che ha avuto lui, e invece si alza cercando di tranquillizzare sua moglie.

"Oh, se li trovassi... gliela farò pagare” dice intanto lei, mettendosi la sciarpa intorno al collo e legandosela stretta. Cerca di afferrare il giubbotto che le ha preso lui cercando invano di farla ragionare, e glielo sfila di mano facilmente. "Che vuoi, John? Faccio quello che avresti dovuto fare tu, molto prima."

"Non è così, Mary, fidati di me." La rincorre per le scale, più velocemente che può e la ferma con una mano sulla spalla quando è ormai vicina alla porta. "Non vuole; lo dice lui. Non vuole essere salvato. E non è un bambino, Mary."

Lei lo guarda quasi con tristezza, per poi togliergli la mano dalla spalla. "Mi dispiace, devo farlo."

Ed esce, sotto lo sguardo esasperato di John.

 

 

"Sherlock, vero?" 

Il bambino alza lo sguardo sul viso della giovane donna, abbassandolo subito dopo.

"Ehi rispondimi, è maleducazione non rispondere quando qualcuno ti fa una domanda."

"Sì” rivela allora lui. 

"Bene."

Bene. Brava, Mary. Idea geniale quella di venire a parlargli senza sapere nemmeno cosa esattamente dire.

Prima si sentiva così carica, immaginava di prenderlo e portarlo a casa sua, magari dandogli qualcosa di caldo prima, invece adesso... I suoi modi di fare sono stati così schivi, è sembrato non volerla nemmeno guardare. Un po' riesce a capire il marito, quando le racconta di tutte le loro discussioni.

"Fa freddo." Decide di dire infine, spalancando le braccia. "So che non bisognerebbe fidarsi di una sconosciuta, ma hai già parlato con mio marito, no? Siamo brave persone. Puoi venire a stare da noi per un po'."

Sherlock sbuffa un sorriso, come per deriderla, e Mary incrocia le braccia sotto al petto, accigliandosi. "Che c'è da ridere?"

"Non ho bisogno di aiuto” sillaba le parole come se Mary fosse troppo stupida per capirlo, e ciò la fa innervosire ancora di più. "Sto lavorando, lasciatemi in pace."

"Stai lavorando?" É la risposta impassibile della biondina.

"Sì. Faccio il detective."

Più che quello che dice, è il modo in cui lo dice a far sorprendere Mary. è sembrato così tremendamente serio. I bambini a volte prendono così sul serio i giochi. Non riesce a trattenere un sorrisetto, mentre finalmente inizia a riconoscere in lui un bambino di otto anni. "Ah, sì? Fai il detective? E a che cosa lavori, di preciso?"

Sherlock le rivolge un'occhiata che ha tutto meno che divertimento. "Faccio seriamente il detective."

Mary sorride, adesso quasi nervosa. "Lo so, lo so."

Lui la guarda qualche altro secondo, poi torna a guardare fisso davanti a sé. "Come mai non c'è il tuo compagno insieme a te 'sta sera? Fate a turni per venirmi a parlare?"

Cavolo, che caratterino. 

"Non è voluto venire lui."  

Decide di accucciarsi ai suoi piedi, mentre Sherlock la squadra confuso per qualche altro secondo.

"Dimmi, dove sono i tuoi genitori?" prova di nuovo a chiedergli con tutta la dolcezza possibile.

"Non sono affari tuoi” replica lui, tranquillamente, lasciando di stucco Mary. "Vi decidete a lasciarmi in pace tu e tuo marito?"

"Sei proprio un maleducato." 

Mary si alza, squadrandolo quasi con rabbia. Sa che è un bambino, ma ha degli atteggiamenti davvero antipatici. E si sa che se c'è qualcuno che non sopporta la maleducazione, è proprio lei.

Impettita gli volta le spalle e torna al suo appartamento.

"Avevi ragione." Annuncia aprendo la porta di casa. Strofina gli stivali sporchi sul tappeto, iniziando a togliersi giubbotto e sciarpa.

"Lo so." John sospira.

"Ecco, sto già iniziando a pentirmi. Dovrei tornare lì e cercare di convincerlo, non possiamo lasciarlo là fuori da solo."

"Calmati” le dice raggiungendola e mettendole le mani sulle spalle la conduce alla poltrona, dove la fa sedere. "Adesso ci facciamo un bel thè caldo e mi spieghi cosa ti ha detto."

"Va bene."

John sparisce in cucina, ma dopo qualche secondo Mary inizia a parlare. "Ha detto di essere un detective."

"Cosa?" La voce di John giunge acuta, segno che stesse gridando, e lei lo imita. "Ha detto di essere un detective."

"Stava giocando." Provò a dire lui, sporgendosi dal salotto. 

"L'ho pensato anch'io. Ma...se fosse vero?"

"Nah."

"Eppure tu stesso dicevi che ti sembrava una specie di genietto."

John tornò in salotto, con due tazze in mano. Una la diede a sua moglie. 

"Lo so, ma... Dai, Mary, un detective?"

"Perché avrebbe dovuto dirlo, sennò?"

"Non lo so, io…" John si guarda intorno, sospirando. "Non lo so."

"Senti," Le dice poi, guardando il suo viso intristito. "Facciamo così. Lui vuole essere lasciato in pace e noi lo lasceremo in pace, per tutto domani. Poi gli riparleremo dopo domani e gli chiederemo nuovamente se vuole stare un po' da noi. Ci stai?"

"E se dicesse di no?"

"Ehm..."

"Lo portiamo su di forza."

John ridacchia. è in questi momenti che sente di amare davvero la sua Mary e si ricorda delle due qualità che l'hanno portato a sposarla; testardaggine e compassione.

"Sì. Lo portiamo su di forza."

 

 

"John?"

"Dimmi."

"Vieni a vedere." 

John si alza dalla poltrona e raggiunge la moglie, ferma davanti alla finestra. "Cosa c'è?"

Lei si fa leggermente da parte e apre ancora di più la tenda, permettendo anche a lui di vedere. 

"Ma quello... chi è?"

Sherlock, come al solito, è seduto sul marciapiede, espressione fredda e postura retta, ma c'è un piccolo dettaglio che cattura l'attenzione dei due; vicino a lui c'è un altro ragazzino di non tanti anni più grande che gli sta parlando. Nessuno dei due sembra però molto contento della presenza dell'altro.

"Ma chi sarà?"

"Non ne ho idea, è già venuto a trovarlo prima?"

"Penso di no. Mai” risponde Mary, sempre più preoccupata.

Intanto sul marciapiede di Baker Street, Sherlock guarda sempre più male il ragazzo davanti a sé. "Che sei venuto a fare qui, Mycroft?"

Il piccolo fa un sorrisetto. è un po' in sovrappeso e i capelli sono lisci al contrario dell'altro, sembra molto più sicuro di sé. "Prova ad indovinare, fratellino."

Sherlock stringe le mani in pugni, distogliendo lo sguardo dalla figura del fratello. "Sto lavorando, lasciami in pace."

"Mamma e papà sono molto preoccupati."

"Così hanno mandato te a controllarmi?"

"Esattamente." Risponde, orgoglioso di se stesso. Si crede tanto superiore solo perché è il più grande fra i due e può uscire da solo. Sherlock non lo sopporta. 

"In che modo staresti lavorando, esattamente, fermo qua fuori?"

"Guardo."

"Guardi?"

"Osservo, per l'esattezza."

Mycroft alza un sopracciglio. "Be', riferirò a mamma e papà che stai bene. Vado."

"Aspetta."

Si gira, curioso, verso il fratello che con sua sorpresa arrossisce leggermente alle guance. "Puoi non dirgli dove sono?"

Mycroft fa un sorriso molto simile ad un ghigno. "Non lo faccio mai, lo sai."

Gli volta le spalle e gli mostra la mano in segno di saluto, allontanandosi.

Lui sospira internamente, ma poi lo vede girarsi nuovamente verso di lui: "Lo sai che ci sono quei due tipi del palazzo di fronte che ci stanno spiando da tutto il tempo, vero?"

"Ovvio."

 

 

"Sherlock, Sherlock, Sherlock... Niente, non mi dà quasi nulla." John sospira, computer sulle gambe ed espressione pensierosa. "Ah, no, aspetta. Forse qualcosa."

"Dovremmo chiedergli il cognome” suggerisce Mary. 

"Mi sento già abbastanza stalker in questa maniera. Guarda, qua parla di un certo Sherlock Holmes, sarà lui?"

"É un bambino?"

"Sì, otto anni. Dice che ha vinto le olimpiadi di matematica della sua scuola, in logica e calcoli. Wow, e partecipava anche la scuola media."

"Beh, lo sapevamo che era un genio dopotutto. Cos'altro c'è scritto?"

John sposta la pagina su e giù con il mouse, alla ricerca di altre informazioni. "Ha i genitori. Entrambi. Lavorano e boh, sembrano normali."

"Ma allora perché...?" Mary si gratta la testa, pensierosa. "Dobbiamo fare qualcosa, John."

"Gli andremo a parlare, come avevano deciso ieri."

Mary nega con la testa e John si riscopre a pensare di avere paura delle idee che probabilmente le stanno frullando in testa.

"Dobbiamo fare di più."

"Cioè?"

"Cioè chiamare i suoi genitori."

John non commenta, non le dice se per lui è una buona o cattiva idea. Semplicemente perché non lo sa. Ed è per questo, che dopo meno di una mezz'oretta, si ritrovano a ricopiare il numero dei genitori dal sito e chiamarli, ansiosi.

"Non abbiamo nemmeno pensato a cosa dire..." Prova a farle presente John ma subito viene zittito da uno "shh” di Mary.

"Pronto?" La voce di una donna, limpida e melodiosa, risuona al telefono. "Chi parla?"

"Scusi signora." Mary guarda esitante John. Preme il tasto del vivavoce. "Lei è la signora Holmes?"

"Sì, sono io. Con chi parlo?"

"Sono Mary e vicino a me c'è mio marito, John Watson."

"Vi conosco?"

"Ehm veramente no, ma noi forse conosciamo suo figlio."

Inizia ad essere una pessima idea, pensa John allontanandosi e massaggiandosi la fronte con aria pensierosa. 

"Mio figlio? Quale?" Improvvisamente la sua voce ha un'intonazione ansiosa e sorpresa, e Mary scambia uno sguardo d'intesa con il compagno.

"Sherlock. Ha detto di chiamarsi così."

John si avvicina nuovamente interessato e sente in sottofondo la voce della donna chiamare il nome del marito, dicendo che due "tizi" dicevano di avere notizie di Sherlock.

"Dica, diteci tutto. Come sta? Sta bene? Dov'è adesso? Che sta facendo?"

Mary corruga la fronte, sospettosa. "Come, scusi? Mi chiede che fa il suo figlioletto, Sherlock Holmes, un bambino che avete abbandonato per strada a morire congelato o dalla fame, genitori di... di...!"

A niente è servito negare con la testa energicamente, Mary non gli stava dando retta! 

Si è decisamente lasciata troppo andare, pensa, non collegando cervello e bocca, e adesso si trovano nei casini.

"Non meritate un bambino intelligente e bravo come lui! Be', a volte è un po' maleducato ma rimane un bravo bimbo! E adesso vi saluto!"

Mette giù la cornetta mentre un improvviso brivido di consapevolezza la pervade e le fa capire di aver appena fatto una cazzata. Davanti a lei John ha le mani fra i capelli, la faccia sconvolta.

"Ops."

 

 

"Te lo richiederemo, Sherlock. Ti serve aiuto? Una casa? Un letto? Del cibo? Qualsiasi cosa."

Sherlock pensa di essere seriamente ad un passo dall'uccidere quei due tipi, impiccioni fino al midollo, se solo non fosse così contro la violenza.

Ma poi un'altra cosa cattura la sua attenzione: Emily Johnson, sospettata numero uno del caso che sta seguendo, finalmente fa una cosa sospetta.

"Sherlock? Ci potresti degnare di una risposta?"

Li fulmina e tira fuori invece la fotocamera, sbrigandosi a scattare la foto che la incriminerà.

Non è stato nemmeno un po' difficile, pensa deluso. 

"Allora?"

Volta lo sguardo nella loro direzione, quasi dimentico della loro presenza e fa un mezzo sorriso. "Me ne vado."

"Eh?"

Si alza lentamente in piedi, afferrando il borsone che è per terra, e se lo mette a tracolla. "Ho finito il mio lavoro. Adesso posso andarmene."

Mary e John si rivolgono uno sguardo, incredulo e sospettoso.

"E dov'è che vai?"

"Dal mio cliente. Gli darò le prove che la moglie lo stia davvero tradendo."

John ridacchia, nervoso. Un ragazzino di otto anni non dovrebbe sapere queste cose, e poi... lavora davvero come detective?

"A-aspetta, tu... sei davvero un detective?"

Il piccolo Sherlock alza un sopracciglio. "Non mi faccio pagare ma a volte ascolto le richieste che alcuni fanno a mio padre e che lui rifiuta, e decido di risolverli io. È il mio passatempo, e la mia passione. Ma non sono affari vostri."

Incrocia le braccia sotto al petto, aspettando che loro ribattino con qualcosa ma l'unica cosa che esce dalla bocca di John è: "tuo padre... fa il detective?"

Sherlock sospira esasperato. "Sì, perché?"

"Quindi i tuoi genitori non ti hanno abbandonato, sei tu che..." Bianco come un lenzuolo, John vede Mary sedersi sul gradino del marciapiede come se dovesse perdere i sensi da un momento all'altro. Le si avvicina preoccupato: "Tutto bene?"

"Sì, io... Ho sbagliato a dire quelle cose, loro erano preoccupati per loro figlio mentre io..."

"Ma hanno comunque sbagliato a lasciarlo da solo qui, non credi?"

"Si può sapere di cosa diavolo state parlando?!"  

In realtà lo sa, Sherlock, di cosa stanno parlando, ma preferisce fingere di non saperlo. 

Mary e John si voltano verso di lui, esitanti, e lui non riesce a resistere: "Avete parlato con i miei?!"

"Sì, ecco, noi pensavamo…"

"Voi non avete capito proprio niente, invece!" Il ragazzino sbatte i piedi sull'asfalto dalla rabbia. "Perché vi siete immischiati così tanto? Qual è la vera ragione?"

"Nessuna. Siamo imperdonabili, hai ragione." Ammette lei e Sherlock spalanca gli occhi, sorpreso.

Per alcuni secondi non si sente niente, se non il rumore della gente intorno a loro, poi i due lo vedono spostare lo sguardo in un'altra direzione e le sue guance prendere colore. "Era buono il riso, comunque."

"Grazie! Non l'ho cucinato io ma grazie comunque." Mary sorride, probabilmente sapendo che la stava perdonando. 

"Adesso devo andare."

John guarda impotente il ragazzino fischiare per far fermare il taxi che sta passando proprio in quel momento di lì, non credeva che alla fine si sarebbe quasi affezionato alla sua presenza costante, così prima che lui possa partire si abbassa fino a vedere la sua faccia attraverso il finestrino. "Ti... rivedremo, un giorno?"

"Sì, un giorno diventerò un detective di fama mondiale e tutti conosceranno il mio nome. Ci rincontreremo sicuramente." Fiero, orgoglioso. John sorride. 

L'ultima cosa che vede è il taxi allontanarsi, fino a scomparire nelle affollate vie londinesi.

 

 

 

Dieci anni dopo...

 

"Mary, vieni a vedere!" 

John vide sua moglie distogliere l'attenzione dalle riviste di moda e gossip per portarla su di lui. Lo vede assorto nel giornale che ha davanti e non alza nemmeno lo sguardo mentre le indica con la mano un punto della pagina.

"Ehi, se volete leggere dovete comprarlo." L'edicolaio, un signore in sovrappeso dall'aria seccata, cappello rosso di lana e sigaretta in bocca, li guarda male. Mary cerca di trattenere la sua voglia impellente di rispondere a tono, e dice, invece: "Non si preoccupi, lo compreremo."

"Mary!" La chiama, petulante, John, e lei ritorna sulla pagina del giornale.

A caratteri cubitali, in prima pagina, c'è il titolo "IL GRANDE SHERLOCK HOLMES RISOLVE UN ALTRO CASO, MANDANDO IN PRIGIONE DUE MALVIVENTI" e stampato sotto, c'è la faccia dell'ormai cresciuto ragazzino, adesso un ragazzo molto bello dall'aria intelligente e i riccioli folti. Non importa del caso dei due mal viventi, John e Mary sono catturati dal ragazzo nella foto. è cresciuto, eppure sembra sempre conservare quella sua aria triste e fredda.

"A volte ancora ci penso, sai?" Incrocia le dita tra le sue, in un gesto spontaneo e rimette il giornale a posto.

"Ehi, voi due! Dovete comprarlo!"

Mary alza gli occhi al cielo e gli dà i soldi del giornale. "E menomale che oggi è natale."

Si allontanano e piano piano raggiungono la piazza, quando Mary parla ancora. "É un mito, quel bambino. è stato bello incontrarlo, rimarrà una storia molto piacevole da raccontare in giro, non pensi?" Gli si mette davanti guardandolo amorevolmente. 

John sorride e la bacia lentamente sulle labbra, senza approfondire. La verità è che non ci sono parole per esprimere un amore grande come il loro.

Nello stesso momento, nella stessa piazza e proprio dietro di loro, un taxi passa. É nero e sfreccia veloce per le vie della città. Al suo interno, il grande Sherlock Holmes.

 

 

 

Note d'autore:

Ci tengo solo a ringraziare Rebecca04 per la pazienza nel leggere il mio lavoro e sopratutto per aver creato questo contest che mi ha dato la possibilità di scrivere sul fandom di Sherlock. I suoi consigli sono stati utili e da allora faccio molta attenzione a non fare di nuovo gli stessi errori. Purtroppo ho dovuto ripubblicarla perchè è andata persa :c e quindi se ci tenete, e sopratutto se vi è piaciuta questa storiella, recensite!

Hermit_

   
 
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