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Autore: Levyan    11/11/2016    0 recensioni
Due anni dopo gli eventi dello speciale Omega Ruby e Alpha Sapphire, molte cose sono cambiate. E molte vecchie conoscenza avranno modo di reincontrarsi ad Holon, un resort per Allenatori in cui tradizioni e leggende sono sostituite da comodità e attrazioni. Sarà necessario far fronte ad un nuovo pericolo. Purtroppo non tutti gli amici che si hanno accanto sono sempre quello che crediamo siano.
Ma la follia è come la gravità, basta solo una piccola spinta.
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Levyanbräu (Pokémon Adventures)'
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Ceneri e Piume
Prologo: Come Essere Nati E Risorti Insieme
 
 
Petalipoli, Hoenn
5 ottobre, stesso anno degli eventi dello special Omega Ruby e Alpha Sapphire
 
Lino stava in piedi, immobile, sull’uscio della casa dei suoi genitori, con gli occhi ricolmi di lacrime e le occhiaie scavate nei suoi pallidi zigomi. In mano teneva stretta una Ball al cui interno era celato un Flygon, quel Flygon che Norman gli aveva regalato anni prima, quando lo aveva incontrato ad Orocea. Grazie a quel Pokémon era riuscito a raggiungere la Torre dei Cieli e a risvegliare Rayquaza assieme al padre del suo miglior amico. Il suo mentore.
Per molto tempo aveva ricordato con malinconia quel giorno. Le emozioni che tornavano a galla quando ripensava a tale impresa erano fortemente contrastanti: la sensazione dovuta al fatto che il suo maestro avrebbe sicuramente preferito Ruby al suo posto, la gratitudine nei confronti di quell’uomo per aver riposto la sua fiducia in lui e per averlo fortificato in quel modo, la delusione che gli rievocava il pensare a se stesso come ad un Dexholder, cosa che non era mai stato, ma che avrebbe desiderato con tutta la sua anima.
‒ Norman ‒ mormorò.
E in quel momento, davanti a lui, quasi tutto il popolo della sua cittadina era sceso per strada nell’oscurità di quella tiepida notte. Tutti rivolti verso la Palestra che era appartenuta al leggendario Inseguitore della Forza. La persona migliore che lui avesse mai conosciuto.
Nelle spire del buio punteggiato da un cielo luminoso e senza nuvole, un secondo firmamento ondeggiava lentamente per la strada. Migliaia di candele, semplici lumi stretti tra le mani di chi, durante il breve periodo della sua permanenza, aveva imparato a conoscere Norman.
Petalipoli piangeva la scomparsa del suo Capopalestra.
E così Lino, che nell’intenzione di aggregarsi al gruppo aveva deciso di non versare lacrime e uscire anche lui per dare un ultimo saluto a Norman, non era riuscito ad oltrepassare il vialetto di casa senza commuoversi.
Il ragazzo si fece forza, raccolse gli ultimi frammenti di animo che aveva in corpo e si portò avanti senza sentire il peso dei propri passi sul selciato.
Si mosse in una galleria ipnotica di luci fioche e spiraleggianti. Vide volti di persone che conosceva, le quali, consce del legame che univa Lino a Norman, lo guardavano con sincera pietà negli occhi. Udì i commenti pregni di ammirazione di numerosi Allenatori locali che avevano fatto tesoro degli insegnamenti del loro Capopalestra nel corso degli anni.
Tuttavia, il suo cervello non riuscì a trattenere nulla. Lino si ritrovò senza sapere come in mezzo alla folla, davanti alla porta della Palestra, paralizzato alla vista della sua esile figura riflessa nella porta di vetro di quest’ultima. Proprio lì dove solitamente vedeva Norman immobile ad attenderlo per una nuova sessione di allenamento.
Accanto a lui, si materializzò una sagoma conosciuta, anche questa la vide dal riflesso. E un brivido gli corse lungo la spina dorsale. Aveva le braccia incrociate sul petto, gli occhiali occultavano il suo sguardo e teneva stretto in mano il cappello che portava sempre con sé. Ruby tratteneva con fatica le emozioni. Forse si era anche lui ripromesso di non piangere se non in solitudine.
Il ragazzo si trovava lontano da Hoenn quando lo avevano avvertito del fatto che un incendio si era portato via le due persone che lo avevano messo al mondo, devastando casa sua ad Albanova.
‒ Lino ‒ lo chiamò con la voce piegata dalla forza dei singhiozzi che non si era concesso. ‒ devo parlarti… ‒ mormorò.
 
 
Iridopoli, Hoenn
21 marzo, l’anno seguente
 
Ai Capipalestra era concesso sfidare la Lega Pokémon in qualsiasi momento. Molte altre volte era accaduto che un Capopalestra decidesse di mettersi alla prova e cercare la vittoria contro Superquattro e Campione. Lo stesso Adriano, ben sei anni prima aveva detronizzato Rocco conquistando il mantello di tessuto bianco che contraddistingueva il più forte Allenatore della regione di Hoenn. Per poi lasciare di nuovo il titolo al suo predecessore.
Qualcuno, quel giorno, aveva fatto lo stesso.
Anche il Metagross di Rocco tornò sconfitto nella sua sfera. Il suo sesto Pokémon, il suo ultimo Pokémon. Il Campione emise un sospiro colmo di comprensione. Sentiva dentro di sé la delusione che provava nei confronti della sua persona, ma allo stesso tempo sapeva che non c’era nessuna vergogna nell’ammettere la propria sconfitta.
E una seconda volta vedeva il mantello del campione strappato dalla propria schiena. Una persona normale si sarebbe abbattuta psicologicamente già dopo la prima. Lui no, invece.
Lui era fatto d’acciaio.
Ma come tutti sanno, anche l’acciaio si piega dopo un po’. E a piegarlo era stato quel ragazzo che sorprendendo tutti aveva ottenuto il titolo di Capopalestra che era appartenuto a suo padre.
Ruby riprese fiato. Flygon, il Pokémon che gli era stato donato da Lino tempo prima e che un tempo era stato proprio di Norman, rientrò nella sua Ball, parecchio affaticato per lo scontro.
‒ La vittoria è tua, Ruby, sei il Campione della Lega della regione di Hoenn ‒ annunciò Rocco.
Il ragazzo, stranamente taciturno come si era mantenuto per tutta la lotta, camminò fino al centro del campo facendo lo slalom tra i crateri, le buche e le crepe create dai loro Pokémon nella foga dello scontro.
Rocco lo imitò. I due si strinsero la mano e il perdente si privò del simbolo della sua carica, cedendolo a Ruby. Il ragazzo non indossò subito il mantello, se lo poggiò sulla spalla e guardò Rocco dritto negli occhi. Non portava gli occhiali, quel giorno, lasciò che i loro sguardi si incrociassero genuinamente, senza alcuna barriera a dividerli.
Rocco vide uno strano bagliore nelle sue iridi del colore del rubino, ma non disse nulla. Lo condusse nel silenzio generale alla sala d’onore e gli illustrò tutte le procedure necessarie per la registrazione della sua Scheda Allenatore. Ruby le eseguì con pazienza e precisione.
Infine, Rocco lo portò, sotto gli sguardi rispettosi nei confronti del loro nuovo sovrapposto di Drake, Fosco, Frida e Ester all’ufficio del Campione nella sede della Lega di Iridopoli.
Ruby, concluso il tour introduttivo alla sua nuova vita, commentò soltanto: ‒ Come prima cosa, al mio posto, intendo raccomandare Lino per la carica di Capopalestra di Petalipoli.
Rocco non rimase stupito, lì per lì cacciò un sorriso inconsistente.
‒ Dovrà comunque superare l’esame e registrarsi all’Associazione Pokémon ‒ lo informò.
‒ Lo ha già fatto ‒ ribatté Ruby con sicurezza. ‒ Mentre noi lottavamo, ho ordinato che venissero testate le sue capacità per un eventuale rimpiazzo ‒ quindi assottigliò lo sguardo. ‒ Sono certo che abbia già superato l’esame.
E così fu: Lino divenne il nuovo Capopalestra di Petalipoli, Ruby prese la corona del Campione e Rocco rifiutò per la seconda volta di essere declassato a Superquattro, prese invece in mano il suo desiderio di migliorare e partì per Holon.
Ovviamente, la Lega di Hoenn non sarebbe mai più tornata quella di prima.
 
 
Albanova, Hoenn
20 settembre, lo stesso anno
 
Sapphire si chiuse la porta alle spalle. Il suo rientro a casa non era stato udito da nessuno.
Nessuno, viveva sola con suo padre, non che fossero poi tante le persone all’ascolto in attesa del suo ritorno. Comunque, essendo entrata a casa alle tre di notte era felice di non aver svegliato il professor Birch.
Cacciò uno sbadiglio lunghissimo, avrebbe voluto fare una sorpresa al genitore che non la aspettava per quel giorno. Era di ritorno dalla regione di Unima, nella quale aveva passato due mesi alla conquista delle palestre assieme ad Emerald e Blue.
Sorrise pensando alla parola Dexholder. E senza rendersene conto aveva già preso dal mobile che era in salotto la foto che aveva scattato il reporter che aveva seguito le vicende sue e dei suoi amici al Parco Lotta cinque anni prima. C’erano i Dexholder di Kanto, Johto e poi Ruby ed Emerald che con lei formavano il trio di quelli di Hoenn. Tutta gente tosta, gente con cui poi nel tempo aveva stretto un legame sempre più forte.
Quella sera si sentiva un poco malinconica, ma probabilmente era a causa del sonno. Decise che era il momento di riposare. Si scolò quasi mezzo litro di latte freddo direttamente dal cartone preso dal frigo quindi, con passo felpato, si diresse verso camera sua. Posò sul comò la borsa su cui aveva fissato le otto medaglie di Unima e si svestì gettando i suoi abiti a terra. Serpeggiò sotto le coperte con addosso la biancheria intima e una maglietta di quattro o cinque taglie più grande di lei che le arrivava quasi fino alle ginocchia. Era la prima cosa che le sue dita avevano trovato dentro il cassetto dei panni. Fu avvolta dalle spire del sonno quasi istantaneamente.
Dormì serena per parecchie ore. Verso le sette del mattino, suo padre diede uno sguardo alla sua camera, scoprendola appisolata nel suo letto, sorrise sorseggiando il cappuccino che aveva in mano. Ormai sapeva come comportarsi con Sapphire, da due mesi a quella parte ogni mattina aveva l’abitudine di controllare se la figlia fosse tornata a casa di nascosto durante la notte. La lasciò dormire in pace e si dedicò ad altro.
Sapphire aprì gli occhi stuzzicata dal sole verso le undici e mezza. Stiracchiò i muscoli e si scoprì cercando di far assorbire al corpo un po’ di quel piacevole tepore di cui l’aria era pregna. Settembre si avvicinava al termine, ma ad Hoenn era ancora estate. La ragazza respirò a pieni polmoni, aria di casa, aria di compleanno. Scattò in piedi.
Il lembo inferiore della maglietta che aveva utilizzato come pigiama le svolazzava attorno alle cosce come un vestito. Uscì dalla camera, si appese affacciandosi al corrimano delle scale e sporgendosi con metà del busto verso il piano inferiore.
‒ Pa’, sono tornata! ‒ esclamò felice.
Intravide suo padre in cucina intento a spruzzare riccioli di panna montata su una torta dal colorito marrone sicuramente promettente.
‒ Non sai quante ricette ci sono su internet sotto la voce “torte da preparare in meno di tre ore” ‒ commentò l’uomo facendosi spuntare un sorriso. ‒ Ben tornata e buon compleanno, pestifera ‒ la salutò.
Sapphire si ritirò su e decise che prima della torta forse era un’ottima idea quella di darsi una lavata. Era un abitudine che aveva preso dal momento in cui aveva ripreso a vivere nella villetta che lei e il padre condividevano ad Albanova e non più nella capanna sugli alberi del Bosco Petalo. Tutto sommato lo trovava rilassante. Una seccatura, ma comunque rilassante. Tolse la t-shirt e la biancheria ed entrò nella cabina doccia del suo bagno. Terminata la doccia, ne uscì insieme ad una fitta nebbia di vapore acqueo che si diffuse in tutta la stanza, si avvolse in un asciugamano celeste e ne strinse un altro più piccolo attorno alla sua ribelle chioma castana. In attesa che il tessuto assorbisse l’acqua rimasta sul suo corpo, controllò la placca di gommapiuma incorniciata e appesa al muro su cui aveva applicato tutte le medaglie guadagnate durante gli anni. Un gran numero, per una della sua età.
Sorrise.
Si alzò e decise di indossare qualcosa di decente. Mise un paio di slip puliti e di sopra la maglietta dentro la quale aveva dormito quella notte, rimase senza il reggiseno, non che ne avesse per forza bisogno, non era una ragazza particolarmente prosperosa, ma avere il busto libero e comodo dentro una maglietta gigante le dava un senso di libertà e freschezza incredibile. Aveva ancora i capelli bagnati quando tolse l’asciugamano che aveva messo in testa, ma diede ugualmente due passate di spazzola alla faccia delle doppie punte. Pensò di asciugarli col phon, ma iniziava a diventare impaziente nei confronti della torta che la stava aspettando al piano di sotto.
“Se stamattina devo proprio fare la femmina” pensò. “…almeno devo farla bene” e si convinse ad asciugarsi i capelli con cura e pazienza. Quando spense l’asciugacapelli aveva la faccia tutta rossa per il caldo e la chioma impazzita che esplodeva da tutte le parti. Uscì dal bagno e posò gli occhi su un pezzo di stoffa rosso che aveva lasciato appeso allo specchio. Lo prese. E la dolce curva del suo sorriso si appiattì un poco. La sua vecchia bandana.
Sono sicuro che ti staranno bene.
Aveva detto Ruby quando le aveva donato quella assieme al resto del completo la prima volta. Ricordò per quale motivo l’aveva messa lì, tastò il tessuto con le mani e rivolse verso di sé la parte interna. La portò fino al naso, ne assaporò l’odore. La strinse a sé.
Le faceva bene, ogni tanto, le ricordava che quel ragazzo era effettivamente esistito nella sua vita e non se lo era immaginato.
Non parlavano da parecchio tempo, lei e Ruby, da quasi un anno. Ricordò il giorno in cui il Ruby tanto fissato con le Gare e l’eleganza dei propri Pokémon aveva deciso di prendere il posto di suo padre come Capopalestra di Petalipoli, e ci era riuscito con gran facilità. La parentesi era durata poco, il suo allenamento doveva portarlo oltre.
E mentre lei cercava di ristabilire un contatto con quello che sembrava ormai un bambino intento a sfogare la sua sofferenza nella lotta, lui diventava sempre più forte, tanto da sconfiggere i Superquattro della regione e anche Rocco, alla fine.
Una volta divenuto Campione, probabilmente aveva pure scordato che faccia avesse Sapphire. Miglior Coordinatore e Allenatore di Hoenn allo stesso tempo, era come se fosse stato la fusione di due persone diverse… come se avesse in sé lo splendore la classe di Adriano e la potenza distruttiva di Rocco.
E lei che si lamentava di non riuscire mai a vederlo… ora soltanto entrando in edicola almeno due o tre riviste patinate con sopra la faccia di Ruby le saltavano subito all’occhio.
Suo papà aveva detto: “ognuno sfoga il dolore in maniera differente”. Ma era difficile credere che uno che faceva da testimonial per gli spot di vari brand di vestiti, che era il giudice delle competizioni nazionali alle quali non partecipava per rispetto degli altri concorrenti, che aveva persino messo il suo nome su una fragranza maschile di una firma costosissima non dava proprio l’idea di star affrontando i suoi fantasmi, ecco.
Sapphire gettò la bandana sul letto. Non la indossava da parecchio, la ripugnava. Così come la ripugnava vedere ogni volta il faccino perfettamente rasato e curato di Ruby sul cartellone pubblicitario di un paio di jeans Levi’s, per un intervista esclusiva su SInnoh tv, per un commento personale ad un nuovo musical di Sciroccopoli.
Si accorse di star bollendo. Un po’ per il phon e un po’ per la rabbia. Un po’ di aria di Hoenn le avrebbe fatto bene. Spalancò la finestra ed uscì in balcone. Cercò di tornare a sorridere a quella luminosissima giornata stringendo con entrambe le mani la ringhiera e respirando profondamente a pieni polmoni.
Ma ovviamente anche lì qualcosa andò storto.
‒ Ehi… ‒ mormorò qualcuno accanto a lei.
Non si voltò neanche. Normalmente avrebbe reagito con prontezza di riflessi ad un intruso che si presenta sul balcone del primo piano di casa sua senza una buona scusa da raccontarle. Tuttavia, conosceva troppo bene quella voce. Rispose con indifferenza, mentre il suo cervello andava a mille per cercare di capire quante possibilità ci fossero che proprio lui si presentasse senza preavviso al suo balcone proprio in quel momento.
Sì, naturalmente, si trattava di Ruby. Sapphire lo scrutò con la coda dell’occhio, vide la sua figura longilinea appoggiata al muro, portava una maglietta nera dal colletto inquieto per via della brezza e dei pantaloni scuri con dei dettagli rossi che morbidamente avvolgevano sulle sue gambe snelle. In testa un casco di capelli più lunghi di quanto mai li avesse lasciati crescere, anche loro in continuo movimento. Ai piedi delle semplici Converse rosse.
Lei invece era mezza nuda e da quella prospettiva offriva anche uno spettacolo particolarmente sfacciato del suo lato b. Lentamente, per non dare nell’occhio, ritirò il bacino sulla stessa linea della spina dorsale e riprese una postura, per così dire, elegante. Ruby si fece avanti e si appoggiò anche lui, ma con i gomiti, alla ringhiera.
Ora Sapphire poteva vederlo meglio anche in faccia. Ovviamente non aveva un velo di barba, una macchia sulla pelle o un brufolo, ma riusciva bene a distinguere l’immagine della cicatrice che aveva sulla fronte. Ovviamente dovette impegnarsi per far tornare il respiro regolare dopo avervi posato gli occhi sopra.
‒ Che ci fai qui? ‒ domandò lei cercando di essere più distaccata possibile.
‒ Pensavo di venire a farti gli auguri di compleanno ‒ mormorò lui.
Sembrava sincero, privo di secondi fini o altro. Certo, un ragazzo sincero che però per mesi l’aveva completamente ignorata.
Mimò una smorfia lievemente indignata: ‒ E hai anche deciso di perdere tempo per fare questa cosa? ‒ domandò velenosa.
‒ Pensavo solo che ne valesse la pena ‒ ribatté lui.
Sapphire bofonchiò e fece per rientrare in casa.
‒ Aspetta ‒ la fermò lui. ‒ Solo un secondo.
La ragazza dagli occhi blu, seccata, gli diede una chance e si fermò con la mano ancora stretta sulla maniglia della finestra.
Ruby scosse la testa e fissò il terreno. ‒ Vorrei parlarti di tante cose ‒ disse. ‒ ma non posso proprio farlo… ‒ sussurrò con un filo di voce. Quindi si infilò una mano in tasca. ‒ Però ti ho portato un reg…
‒ Ma smettila ‒ sputò lei schifata rientrando in casa e chiudendo la finestra.
Ruby non provò neanche a fermarla, gli era sfuggita dalle mani come una saponetta bagnata. Rimase fuori dal balcone con la testa bassa e la mano immobile sul dono che avrebbe voluto darle.
Sapphire scappò dalla stanza facendo bene attenzione a sbattere la porta abbastanza forte da far giungere a Ruby il rumore. Si appoggiò con la schiena sul legno di quest’ultima.
‒ Sapphire, che succede? ‒ domandò suo padre dal piano di sotto.
‒ Niente… niente pa’ ‒ rispose lei. Si morse la lingua, aveva tirato fuori una voce ben poco sicura di sé dalla sua gola gonfia di emozioni soffocate.
‒ Tutto a posto? ‒ domandò il genitore intuendo qualcosa.
‒ Sì, tutto a posto… ‒ ancora la voce tremolante. Strinse la maniglia, di getto riaprì la porta. Ruby era scomparso. Trasse un sospiro di sollievo. No, il sospiro si spezzò a metà del suo corso d’essere.
‒ Uh? ‒ Sapphire notò un qualcosa legato alla ringhiera del suo balcone, proprio nel punto in cui era appoggiata lei poco prima.
Uscì fuori e lo esaminò. Una bandana nuova, sicuramente cucita a mano da Ruby. Era di colore nero, anzi, più nero del nero. Al suo centro spiccava la classica Poké Ball stilizzata di una tinta blu scintillante. La ragazza ammise di trovarla carina, ma soltanto dopo aver superato il primo impulso di gettarla giù e farla volare via. Poi, si accorse finalmente che in mezzo ai due lembi del nodo che saldava la bandana alla ringhiera c’era intrecciato anche il filo di un gioiello. Era dello stesso colore della bandana, perciò non l’aveva notato.
Slegò il tessuto, separò i due oggetti ed esaminò il monile. Era una semplice collana, dalla catenina in stoffa di colore neutro, il pendente era costituito da una sola pietra dalla forma romboidale. La ragazza rimase stupita. Stranamente quell’oggetto le ricordava qualcosa.
Poi le venne in mente che Ruby non le avesse mai regalato gioielli, quel ragazzo l’aveva sempre sorpresa: tutto ciò che faceva, anche la più stupida delle azioni, si rivelava poi rivolto verso uno scopo più profondo. Oppure no, forse aveva mollato anche lui, forse era cambiato e adesso invece di regalarle vestiti che era sicuro le sarebbero stati bene le regalava gioielli. Stupidi gioielli.
Sapphire stringeva in mano quella collana insieme alla bandana che Ruby aveva utilizzato per assicurarla al suo posto. Il regalo del nuovo Ruby, quello che non le piaceva, avvolto nel regalo del vecchio Ruby, quello che… beh.
Non riusciva a capire, non riusciva veramente a capire.
Poi l’occhio le cadde su qualcosa che prima non aveva notato: una sottile scritta ricamata in filo blu proprio sopra la trapunta interna della bandana.
Chi è nato una volta sa già come risorgere
Una freccia di nostalgia la infilzò nel petto e una mazza di dubbi le colpì la nuca. Rientrò in casa non senza dare un’ultima occhiata al cielo circostante in cerca della sagoma del ragazzo che pochi istanti prima si trovava sul suo balcone, senza trovarvi nulla. Gettò bandana nuova e collana sul letto come aveva fatto prima e si diresse in bagno per bagnarsi il viso con qualche manata di acqua fresca.
Senza fare menzione dell’incontro, scese al piano di sotto riappiccicandosi alla ben e meglio una fattispecie di sorriso in faccia, suo padre aveva finalmente terminato la sua torta di compleanno.
‒ Hai fame? ‒ domandò l’uomo affettando il dolce.
‒ Non immagini quanto ‒ rispose lei entusiasta.
‒ Beh, oggi puoi concederti tutto il cibo che vuoi, piccola ‒ le sorrise dandole un buffetto sulla guancia.
Lei ricambiò il sorriso e affondò la prima cucchiaiata nel morbido impasto di colore brunito.
‒ Hai sentito la notizia? ‒ domandò il padre sedendosi di fronte a lei.
Sapphire lo guardò con aria interrogativa, aveva la bocca piena, non poteva rispondere.
‒ Hanno organizzato il prossimo Campionato Pokémon Internazionale, si svolgerà ad Holon tra un anno… ‒ illustrò Birch. ‒ Perché tu e i tuoi amici non vi iscrivete al torneo? ‒ propose con un sorriso gioviale.
Lei annuì titubante. Era più un incitamento a continuare il discorso che una risposta affermativa. Poi notò che il prof, facendolo strisciare sul tavolo con la sua mano, le aveva avvicinato una busta delle lettere blu. La ragazza la prese e la aprì. Era un biglietto di andata, soggiorno e ritorno dalla regione di Holon per le due settimane in cui si sarebbe tenuto il torneo.
‒ Buon diciottesimo compleanno, Sapphire ‒ sorrise il padre.
   
 
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