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Autore: MissVillains    12/11/2016    2 recensioni
Un ladro e una poliziotta. Una sfida che va avanti da anni e che nessuno ha mai vinto. Chi riuscirà a dare scacco matto all'altro?
Storia partecipante al concorso "Vincere? Roba da cattivi" indetto da milla4 sul forum di EFP
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ciao a tutti! Dopo non so quanto tempo eccomi di nuovo a pubblicare qualcosa.
Prima di iniziare con la vostra lettura, vi voglio dire che questa storia ha partecipato al contest "Vincere? Roba da cattivi" indetto da milla4 sul forum di EFP

Un gioco di guardie e ladri

 
L’acqua zampillava dalle tubature. Goccia dopo goccia toccava il camminamento delle fogne. Qualche topo ogni tanto spuntava fuori alla luce delle poche lampade, che servivano le rare volte in cui qualche addetto ai lavori scendeva in quell’anticamera degli Inferi. Le fogne di Greenmove non erano il miglior posto in cui stare. L’aria era irrespirabile per il puzzo e si annidavano batteri in ogni dove.                                                                 D’improvviso una figura umana passò per quel piccolo camminamento. Era imbacuccata in un pesante impermeabile e portava in mano una busta della spesa. Andava avanti di fretta e ogni tanto toccava le pareti, cercando qualcosa. Fino a che una serie di mattoni non si mosse, rivelando una camera segreta. La figura controllò di non essere seguita da nessuno e poi entrò lì dentro, richiudendosi la porta alle spalle.      E fu come se di lì non fosse mai passato nessuno.
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Le auto della polizia sfrecciavano veloci per la città. In ufficio il commissario della polizia McBort con il suo miglior agente Stephanie Bell stava osservando una cartina della città mentre urlava ordini alle pattuglie.
-Pattuglia 027, andate verso Brighton Street. Pattuglia 034, voi dirigetevi verso il ponte vecchio. Chiudete tutte le uscite della città. Non ci può scappare anche questa volta.-
E poi cadde rumorosamente sulla sua sedia di pelle, sbuffando.
-Non è possibile. Non può esserci scampato anche questa volta.- E poi si voltò verso Stephanie
-Signore, non so che dirle. Anche perché mi è sembrata abbastanza stupida la sua mossa di andare in un grande magazzino a fare compere. Insomma è forse il ladro più ricercato dello stato, una delle menti più geniali e poi esce come se nulla fosse, come se non sapesse che lo cerchiamo notte e giorno. Secondo me è stata un’azione premeditata per mostrarci che è ancora in giro e che è pronto per un altro furto.-
-Potrebbe essere. In fin dei conti abbiamo già visto in passato che non lascia mai nulla al caso. Vorrei solo sapere cosa sta architettando, per metterlo una buona volta al fresco-

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L’uomo, appena entrato nel suo rifugio, mise la borsa della spesa sopra un vecchio tavolo di legno, l’unico dei cinque ad essere ancora libero. Gli altri avevano sopra armi varie, cellulari, gioielli, attrezzi da scasso e una serie di cianfrusaglie, inutili per chi non fosse solito del lavoro di ladro. Alle pareti erano appese mappe della città con segnati in rosso alcuni edifici, come la banca centrale o il commissariato di polizia. Senza contare le centinaia di foto di vari angoli della città, dove erano messe bene in mostra le varie telecamere di sicurezza. Era stata proprio una di quelle a mostrare alla polizia che lui era in giro per il centro commerciale. Ovviamente l’aveva fatto apposta. Lui, il grande ladro Austin Morris non era così stupido, dato che conosceva l’esatta posizione di tutte le videocamere. Era una sfida. Voleva dimostrare che lui stava continuando ad agire e che era sempre in movimento, pronto a colpire alla prima occasione.                        Aprì la busta della spesa. Dentro c’erano delle scatole di the nero, il suo preferito. Si fece quindi una tazza di the, per rilassarsi. Dopo la sua passeggiata pomeridiana doveva mettersi a lavorare per completare il piano per svaligiare il cavou della banca.

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-Ciao amore. Come è andata oggi a lavoro?- Stephanie
 sorrise, il suo ragazzo era già arrivato a casa, come al solito, e si stava già preoccupando di preparare la cena. L’agente si sdraiò sul divano.
-E’ successo qualcosa di brutto? Di solito appena entri in casa inizia a parlare e non si riesce più a fermarti- Le chiese Diego, preoccupato, sedendosi vicino a lei.
-Diciamo che non è stata una delle mie giornate migliori. Morris si è fatto rivedere e ho paura che stia architettando qualcosa. Lui sta sempre pesando a come mettere nel sacco la polizia. E io non sono ancora riuscita a prenderlo.- disse sbuffando. Odiava sentirsi così impotente, come se non riuscisse a fare niente.
-Sai, potrei essere geloso di questo ladro. In fin dei conti lo nomini sempre.-
La ragazza lo guardò storto.
-Come puoi minimamente pensare che mi possa piacere un ladro? E poi ho scelto te e continuerei sempre a scegliere te.-
-Beh, stando così le cose so io come farti stare meglio.- E senza nessun altro preavviso la baciò. Stephanie adorava quando faceva così, quando riusciva a farla stare meglio solo con un semplice bacio. Anche se sapeva come sarebbe finita: i vestiti abbandonati per l’appartamento, la cena lasciata a raffreddarsi e loro due a riscaldarsi a vicenda nel letto, dimenticando tutto e tutti.

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Due giorni. Mancavano solamente due giorni prima della sua grande impresa. Dopo aver svaligiato la banca centrale sarebbe entrato nella leggenda. Sarebbe diventato il più grande dei ladri. E finalmente si sarebbe potuto prendere una bella vacanza in qualche paradiso tropicale. Ovviamente dove non era possibile l’estradizione.
Il piano della fuga era perfetto: avrebbe raggiunto su un’auto rubata al momento il confine dello stato, poi avrebbe continuato il viaggio fino all’aeroporto più lontano possibile su bus pubblici, ovviamente indossando cappellini e occhiali da sole per non farsi riconoscere. Appena arrivato in aeroporto avrebbe acquistato un biglietto per il primo volo per un paese straniero dove non avrebbero potuto prenderlo. Ovviamente tutto questo sotto falso nome e con un falso passaporto, che si era già procurato al mercato nero. Era perfetto, nulla sarebbe potuto andare storto. L’unica cosa che gli sarebbe dispiaciuto non vedere era la faccia che avrebbe fatto l’agente Bell dopo la sua fuga. Odiava quella poliziotta. Di solito si diceva che tra due nemesi, aventi entrambe la stessa intelligenza, ci potesse essere alla fine un rapporto di amore/odio. Ma non era così. Lui la detestava con tutto sé stesso. Non perché lei fosse bella, intelligente e famosa in città. Quello lo era anche lui. Ma perché in fondo lei aveva altre cose che lui non avrebbe mai avuto: un lavoro onesto e una famiglia. Dopo anni di pedinamento, per capire i punti deboli della giovane, aveva scoperto che era fidanzata. Anche lui una volta era stato innamorato. Ma non si possono portare avanti relazioni se si è un ladro. E ogni volta che questi pensieri iniziavano a presentarsi nella sua mente, lui li ricacciava via, pensando ai soldi. Alle montagne di soldi che aveva rubato e che avrebbe rubato in futuro. Quando pensava a quello, alla ricchezza, ogni cosa svaniva. Perché alla fine i soldi erano per lui la felicità. L’unica felicità che aveva conosciuto e che avrebbe continuato a conoscere.
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Stephanie si alzò. La notte di sesso era stata meravigliosa e l’aveva aiutata a schiarirsi le idee. Diego era ancora addormentato, nudo sotto il lenzuolo leggero, forse sognando quello che era successo tra loro due, dato che sul suo viso era accennato un sorriso. Lei invece era sveglia e con la mente lucida. Si vestì con la sua solita divisa blu e si legò i lunghi capelli castani in una coda. Fece una colazione veloce, tornò in camera e baciò delicatamente il suo ragazzo Su una guancia. E poi andò verso il commissariato. Aveva molto lavoro da fare.
Appena entrata in ufficio l’aspettavano tutta una serie di video di sorveglianza da guardare, alla ricerca di qualche indizio su dove lui potesse essere. Ad una parete aveva appeso tutti gli articoli di giornale che parlavano di loro due. Vittorie e sconfitte di entrambi, ma senza che lei riuscisse ad arrestarlo una volta per tutte. Era così geniale da avere sempre un piano di fuga. Ma questa volta sarebbe stato diverso. Lei l’avrebbe acciuffato.

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Austin si svegliò e per prima cosa guardò il vecchio orologio digitale appeso alla parete. Era mezzogiorno. Aveva lavorato tutta la notte al suo grande piano ed era riuscito ad andare a dormire solo verso le tre di mattina. Ma ormai c’era quasi. Un solo giorno e il cavou sarebbe stato suo. La sua ultima impresa in quella città e la sua vittoria definitiva sulla detective. Perché lui sarebbe fuggito via con la refurtiva senza che lei potesse fare niente. Il piano di fuga che aveva progettato era inattaccabile. Ora doveva solo rivedere il piano per derubare la banca, ma era abbastanza sicuro di quello che aveva progettato: si sarebbe avvicinato a piedi alla banca, mascherato da barbone e con il suo cellulare, ovviamente rubato e modificato, avrebbe disattivato l’allarme principale. Da lì si sarebbe infilato in un condotto dell’areazione fino all’entrata del cavou. I progetti dell’edificio se li era procurati infiltrandosi in comune come architetto un mese prima e da quelli aveva segnato il percorso che avrebbe dovuto fare. Appena davanti alla cassaforte sarebbe arrivata la parte più difficile: aprirla. E non era come nei film, con aperture in base alle impronte digitali o alla retina degli occhi. Ma era un codice da 10 cifre che veniva prodotto da un computer ogni ora. In pratica o si aveva accesso al computer o era impossibile trovare il codice. Ma lui era uno dei migliori hacker e già da qualche giorno aveva iniziato ad infettare il computer centrale della banca con un virus. Doveva solo sperare di aver calcolato giusto i tempi, altrimenti sarebbe stata la fine. Se tutto questo andava bene, dopo aver preso la refurtiva, sarebbe uscito da dove era entrato e poi sarebbe fuggito. Era un piano rischioso, pieno di variabili che potevano far andare tutto storto. Ma era il piano di una vita, quello che aveva immaginato da sempre. Il piano che l’avrebbe portato alla vittoria e alla gloria.

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Aveva passato tutta la giornata a guardare registrazioni, ma non aveva ancora trovato niente. Così si era portata il lavoro a casa, nella speranza di trovare qualcosa. Per un caso fortuito Diego era in palestra, così sarebbe riuscita a visionare quei filmati senza distrazioni di nessun tipo.
Era quasi arrivata alla fine, sempre senza trovare niente, quando sentì il rumore delle chiavi. Il suo ragazzo era arrivato e ora sarebbe stata dura continuare a concentrarsi.
-Ecco qui la mia poliziotta preferita, intenta ancora a lavorare.- disse entrando in soggiorno e baciandola sulla bocca.
-Allora ancora nessuna traccia del tuo amico?- e indicò lo schermo della televisione.
-No, ancora niente. Ormai è da un’intera giornata che sto lavorando ma non ho trovato niente. E ho l’impressione che se deva capitare qualcosa, allora succederà domani.-
-Perché domani?- chiese lui stupito e curioso.
-Perché domani è l’anniversario del nostro primo incontro e ogni anno da sette anni lui fa qualcosa per ricordami che all’epoca non fui in grado di catturarlo, anzi finì in ospedale.
Lei ricordava tutto di quel giorno, di lui che stava scappando e le aveva sparato. Era sola. Era riuscita a trovarlo da sola. E lui le aveva sparato al petto. Per fortuna l’avevano trovata. Gli altri poliziotti erano giunti appena in tempo e l’avevano portata all’ospedale. Non ricordava molto di quei giorni. Se ci pensava rivedeva solamente lui con una pistola in mano e il rumore di uno sparo.
Al ricordo di quegli avvenimenti si sentì male. Odiava ricordare di essere stata così debole.
Diego aveva capito subito che la sua ragazza, al solo pensiero di quei giorni stava per avere una crisi di pianto e così le sussurrò dolcemente all’orecchio: -Beh, se non ti avesse sparato, forse non ti avrei mai conosciuta.-
Da un certo punto di vista era così, perché la prima persona che lei aveva rivisto dopo quella notte era stato lui, il suo medico. Quegli occhi azzurro cielo l’avevano portata fuori da un incubo, che ogni tanto le si ripresentava nel corso della notte. Ma per fortuna c’erano sempre quei due occhi azzurri a salvarla e a ricordarle che alla fine il bene vince sempre.

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Un giorno. Solo un giorno alla sua vittoria definitiva. Ed era lì, a pulire e a sistemare la pistola. Quella pistola che aveva già sparato molte volte e non aveva mai fallito, soprattutto se si trattava di un poliziotto. Tranne una volta. Lei. Lei oltre ad essere l’unica ad averlo sempre trovato, ad essere l’unica abbastanza intelligente da poterlo battere, era stata l’unica a sfuggire alla morte. Questo era solo un altro dei motivi per cui la odiava. Ogni tanto ripensava a quel momento, a quel corpo caduto a terra, in mezzo a una macchia di sangue che si allargava piano piano. Ma aveva sparato di fretta e aveva ormai anche gli altri poliziotti alle spalle. Altrimenti si sarebbe accorto subito che il colpo non era andato perfettamente a segno. E poi l’avevano trovata in tempo. E lei era ritornata subito in pista, pronta per catturarlo. E lui non le aveva più sparato. O perché non ne aveva più avuta occasione o perché, in fondo in fondo, gli piaceva di avere una nemesi, qualcuno che lo capisse a fondo e che cercasse di contrastarlo. Rendeva tutto simile alle storie che leggeva da bambino. Ma al contrario degli altri, non aveva mai voluto essere il supereroe, ma il cattivo.

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Pioveva a dirotto. Stephanie si era appena svegliata e la prima cosa che notò fu proprio la pioggia. Pioveva esattamente come sette anni prima. Sentì un formicolio al petto, nel punto in cui aveva quella cicatrice. Le succedeva tutte le volte che il tempo diventava più umido. Come se il suo corpo ricordasse cosa era successo un giorno di pioggia. Si alzò dal letto. Passando davanti al tavolo della cucina vide la mappa della città che aveva lasciato lì la sera prima. Erano segnati in rosso tutti gli edifici dove Morris aveva già compiuto un furto. Il centro commerciale; la gioielleria Goldful, la più antica della città; il municipio; il museo di arte antica, … Non aveva dimenticato niente. Ma poi guardò meglio. C’era un obiettivo che non era stato toccato e per di più si trovava al centro della mappa: la banca centrale. Era lì dove avrebbe commesso questo colpo.
Prese subito il cellulare a chiamò il suo capo. Questa volta sarebbero riusciti a prenderlo.

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Era ormai a pochi metri dalla banca, pochi metri e il cellulare si sarebbe attaccato al sistema di allarme della banca, disattivandolo del tutto. Ma, svoltato l’angolo, vide una decina di auto della polizia e altrettanti poliziotti. Che fare? Tornare indietro e ritentare un’altra volta? No, impossibile. Quello era il giorno giusto per un furto del genere. Non poteva far avvenire una cosa del genere in un altro momento. O ora o mai più. Deciso, quindi, a continuare cercò di farsi notare il meno possibile, avvicinandosi al retro della banca che per fortuna non era controllato. Pensavano di averlo fregato, ma non avevano considerato la possibilità di un’entrata non grandiosa. Lei pensava di averlo capito, ma lui era stato più furbo.
Entrò dentro il sistema di aerazione e seguendo la mappa che si era portato riuscì a raggiungere il bunker del cavou. La cassaforte gigante era lì, di fronte a lui. Con il cellulare finì il lavoro di hackeraggio che aveva iniziato tempo prima inserendo un virus nel sistema. E la porta si aprì. Dentro centinaia di lingotti d’oro lo stavano aspettando. Era lì solo per lui. Aprì lo zaino che si era portato e iniziò a prendere quanti più lingotti poteva. Uno solo di quelli valeva milioni. Una decina e sarebbe stato sistemato a vita.
-Sapevo di trovarti qui.- disse alle sue spalle una voce ben nota. Lasciò la borsa, si girò e la vide. Lei, di nuovo lei in mezzo ai piedi
-Era ovvio che tu avessi trovato un altro modo per entrare qui dentro. Solo che il commissario non ha voluto ascoltarmi. Ma io sono qui e ti ho colto di nuovo con le mani nel sacco.
Austin iniziò a ridere. Aveva appena adesso realizzato che la dolce fanciulla non era neanche in divisa e non aveva la pistola con sé. Era lì per conto suo, il commissario non l’aveva voluta in servizio. Ma lei, così sicura di vincere, di vincere al loro gioco si era intrufolata lì dentro lo stesso, pur di prenderlo.
-Sei veramente una stupida a volte. Con cosa vorresti arrestarmi? Con le manette di aria? Ahahaha.-
-Beh, si dà il caso che esistono i cellulari e soprattutto i cercapersone di servizio. Appena ti ho visto ho lanciato l’allarme. Tra qualche minuto qui sotto arriveranno altri poliziotti e tu finirai al fresco.- disse la ragazza sorridendo. Aveva vinto e sentiva una gioia incredibile salirle su dal petto. Ce l’aveva fatta. Aveva fatto scacco matto al re del crimine.
-Astuta, molto astuta. Non è un caso se quel giorno ti ho lasciata vivere. Avevo sentito un po’ dentro di me che tu saresti stata l’unica a tenermi testa. L’unica che mi ricordava un mio vecchio amore, perso a causa di questo mio lavoro. Sei l’unica che sento come mia pari in questo modo di ignoranti. Ma purtroppo per te, oggi è il giorno della mia vittoria e della tua totale sconfitta.
Quello che accadde dopo fu come se accadesse tutto al rallentatore. Lui prese la pistola che fino ad allora aveva tenuto dentro la tasca interna del capotto, la tirò fuori e la punto contro di lei. La poliziotta tentò di avvicinarsi per disarmarlo. Ma lui sparò. Una volta, due volte, tre volte. Fino a che lei cadde, senza grazia in un lago di sangue che si allargava minuto dopo minuto. Tre colpi precisi al petto. Nessuna possibilità di salvezza. La pistola gli cadde di mano. Lo aveva fatto. L’aveva veramente uccisa. Aveva vinto.
Prese lo zaino e riuscì per lo stesso percorso di prima. Non sentiva niente, non provava niente. L’unica cosa che riuscì a percepire furono rumori di passi e grida miste a pianto. Gli altri poliziotti erano finalmente giunti.
Erano passati sette anni esatti dalla morte dell’agente Stephanie Bell e non era ancora stata dimenticata. Il suo ragazzo continuava a portare fiori sulla sua tomba e aveva deciso di dedicarsi totalmente al lavoro, non voleva più innamorarsi.
I suoi colleghi avevano appeso una sua foto in ufficio contornata di tutti gli articoli di giornale nei quali venivano citate le sue imprese.
Era ancora lì nel cuore di tutto.
E in quel giorno dell’anniversario della morte pioveva a dirotto. Era sera e il cimitero stava per chiudere. Non c’era nessuno. Ma, d’improvviso, un’ombra si manifestò. Un uomo con un cappello e un cappotto lungo nero si aggirava per i viali circospetto. Cercava qualcosa. E alla fine la trovò. La tomba di Stephanie.
Posò una piccola ghirlanda d’alloro, simbolo dei vincitori. E poi se ne andò, sparendo tra le ombre. E fu come se lì non fosse mai passato nessuno.



Note dell'autore: Allora, che ne pensate? Avreste mai immaginato una fine del genere?
Se avete commenti, critiche, giudizi o semplicemente voglia di parlare, fatevi pure avanti. Sono pronta a qualsiasi stroncatura, anche perchè ho imparato che sono i voti insufficienti quelli a farci migliorare e non di certo i 10.
   
 
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