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Autore: Blue_Passion    13/11/2016    3 recensioni
Amulet Hinamori è una normale studentessa del liceo "Seyo Accademi" dove studia psicologia per realizzare il suo sogno, ma quando diventa una stagista al "Seyo Madhouse" la sua vita cambierà grazie all'incontro con il suo paziente, il misterioso e famigerato criminale pazzo "Stregatto".
[Il titolo potrebbe cambiare più avanti; storia ispirata a Joker e Harley Quinn, si ispira solo! Non è uguale quasi per nulla] [Aggiornamenti incostanti]
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Past and Blood kiss


Lo fisso, estasiata e quasi impaziente, ma tenendo lo stesso una certa calma.
Non dico niente, la frase “allora? Cos’è successo?” potrebbe farlo incazzare a addio passato.
Si siede sul tavolo, per poi distendersi e girarsi verso di me, squadrandomi con gli occhi.
-Avvicinati confettino-
Piano faccio come mi ha detto, e stringo le mani a pugno per non toccarlo.
-Siediti-
Lo faccio, non staccando mai il mio sguardo da quello di lui e con la voglia di baciarlo.
-Allora, sei pronta a morire dentro? –
Annuisco, poggiando i gomiti sul tavolo e tendendomi un po’ verso di lui.
-Allora bene, cazzo-
 
 
La vedo, effettivamente riesco a vederla. Non capisco nulla quando ci ripenso, quando ho solo voglia di cancellare il passato e ringraziare il fato per quello che sono.
Merda, sembro uno normale…MA CHE CAZZO MI PRENDE?! È colpa tua, lo so, piccola e inutile ragazzina, giuro che quando sarò uscito da questo buco ti ammazzerò, si, e lo farò baciandoti, stringendoti il cuore e legandoti a me.
-Merda, è vivido come se fosse ieri-
-Cosa? –
-Il ricordo, innocente e piccola Jolly, il ricordo di tutto, io…ero un bambino, il piccolo e innocente Ikuto Tsukiyomi, quello era il mio nome quando è iniziato, vita monotona, normale, famiglia unita e felice, mente sana e pulita, senza tracce di quello che sono. Avevo un sogno, ricordo che volevo diventare violinista, come quello scemo di mio padre, e…tanti amici, ne volevo così tanti che alla fine gli ho allontanati tutti. Mia madre era bella, con dei lunghissimi capelli biondi e occhi ametista, sempre sorridente e vivace, felice-
Mi metto a sedere, osservando Jolly che sembra curiosa come un gatto: non sai che la curiosità lo uccide, il gatto?
-Lei era come una luce nelle nostre vite, quella che mi capiva, quella che mi stava accanto, quella che mi consigliava cosa fare nei momenti di buio e colei che non mi lasciava mai senza amore, sotto forma di cibo, di tocchi o semplicemente di sguardi. Ricordo un sentimento lontano, vagamente, le volevo bene, immagino. L’ho perso, ho perso tutto quel dannatissimo pomeriggio! –
Sbatto il pugno sul tavolo, ricordando, questa merda di vita chi cazzo me l’ha fatta fare?! Ma si, lui, la causa di tutto è sempre e solo LUI!
 
-Ikuto, cosa vuoi fare da grande? –
-Il violinista! –
-Ahahah, tale e quale a tuo padre, mio piccolo gattino-
La donna dai capelli biondi mi diede un buffetto sulla guancia, facendomi sorridere e ridere; ero felice di averla come madre.
-Dov’è papà? –
-Impegnato, sta lavorando ad una nuova canzone-
-Ma non c’è mai! –
-Lo so, ma tesoro è il suo lavoro, lui ci ama, ricorda, e le canzoni le compone tutte per noi, non scordare mai-
Annuii, non convinto, ma annuii lo stesso, perché mamma non mentiva, non mentiva mai.
-Mamma? –
-Si tesoro? –
-Mi prometti che non mi lascerai mai? -
-Prometto-
Mai.
 
-Ikuto! Il pranzo! –
Mi girai, osservando mia mamma corrermi incontro, in mano una scatola con del bento dentro, racchiusa in un fazzolettino blu scuro.
-Scusa, cercherò di ricordarmene-
Lei sorrise, mi strinse a sé e mi passò il pranzo, dandomi poi un bacio sulla guancia e salutandomi.
Quelli erano i momenti che adoravo di più, quando mia mamma mi trattava ancora come un bambino nonostante avessi già quattordici anni; sarei andato al liceo a poco.
 
-Figliolo-
-Si papà? –
-Cosa vuoi fare? –
-Di scuola? –
-Certo, tua madre vorrebbe saperlo ed anche io-
-La scuola di psicologia-
Mi padre strabuzzò gli occhi, guardandomi confuso.
-Ma non volevi diventare un violinista? –
-Si, ma chi l’ha detto che non posso fare entrambi? Il violino lo so suonare, ho avuto un ottimo insegnante, e il cervello umano mi incuriosisce così tanto! La mente, il perché a volte viene deviata, cause e conseguenze, tutto! –
Mio padre rimane interdetto ancora per qualche istante, prima di scoppiare a ridere e scompigliarmi i capelli.
 
-È stata una delle poche volte che il vecchio ha effettivamente riso, rideva raramente, e di solito succedeva quando mia madre scivolava su una delle parti che lasciavo in giro per casa, atterrando sempre sul divano e facendo volare tutto il cibo che portava, sgridandoci poi perché ridavamo e lasciavamo in disordine la casa, scoppiando a ridere anche lei appena noi ci mettevamo ad aiutarla a pulire e si calmava. Lui era un uomo molto simili a me…no fragolina, non di carattere, ma di aspetto, solo che sembrava un po’ un emo in riposo, con quei capelli che apparivano stirati, e quell’espressione troppe volte così seria, ma sorrideva, capitava, e poi tutto è precipitato, in un solo istante lui ha smesso di essere lui ed io mi sono ritrovato all’inferno. Sai, al tempo frequentavo la prima superiore, la tua stessa scuola, la tua stessa classe, e la tua stessa voglia di scoprire-
 
-A dopo tesoro! –
Mia mamma mi strinse a sé, dandomi un bacio sul naso per poi lasciarmi andare, mentre barcollavo all’indietro per la forza con cui mi ero spinto via da lei che improvvisamente mi aveva rilasciato.
Finni con il sedere per terra, scoppiando a ridere.
-Scusami piccolo! –
-Mamma, non ho più due anni, tra poco ne compirò quindici! –
-Già…come passa il tempo, ma per me tu rimarrai per sempre il piccolo Ikuto, il mio gattino-
Mi alzai, andando da lei e abbracciandola forte, dandole un bacio sulla guancia.
La sovrastavo già di cinque centimetri buoni, mia madre non era mai stata una tipa troppo alta, al contrario di mio padre, e io avevo preso proprio da lui.
-Ti voglio bene Ikuto, allora a dopo, buona giornata-
-Ti voglio bene anche io mamma, passa una buona giornata anche tu-
E con questo la lasciai e mi avvia a scuola, come ogni altra mattina.
 
-Che vuoi? –
-Hey Tsukiyomi, siamo un po’ scontrosi oggi, no? –
-Sta’ zitto e lasciami in pace Akihiro…sul serio, oggi non è il caso-
Il ragazzo davanti a me sbatté la mano sul tavolo, facendo sobbalzare il mio vicino e alzare un sopracciglio a me.
-No, ho deciso che oggi giocherò con te e allora lo farò-
Sospirai, alzandomi e guardando da tutta la mia altezza l’idiota davanti a me.
Aveva dei capelli nocciola spettinati e occhi marroncini, un ragazzo nella norma si direbbe a prima vista, ma in realtà era solo l’idiota più grande di tutti i tempi.
Suo padre possedeva la società che cooperava con mio padre, che da qualche anno aveva ereditato la società del padre di mia madre, e da allora questo idiota non faceva altro che rompermi le palle.
-Akihiro, seriamente, non è giornata, smettila di rompermi e pensa a studiare per il compito di dopo invece, mi dispiacerebbe se prendessi un brutto voto di nuovo-
-Non capisco, hai un sacco di ragazze che ti corrono dietro, un sacco di ragazzi che vorrebbero essere tuoi amici e tu rimani da solo, non degnando nessuno di uno sguardo, tra cui me che sono il figlio del collega di tuo padre, e non fai altro che studiare…qual è il tuo problema? –
-Essere stanco di gente comune a cui interessano solo le apparenze e sono qui solamente perché vogliono farsi notare…al contrario di te io sono qui per studiare la mente umana, non per cazzeggiare-
Akihiro si stizzì, girandosi e andandosene, mentre mormorava dei sacramenti.
Scuotei la testa, sospirando e ridacchiando, per poi risedermi aspettando l’ora della verifica; avevo mal di testa, ma non mi importava, e anche se mia madre mi aveva consigliato di rimanere a casa quel giorno avevo deciso di andare a scuola lo stesso: il dovere prima di tutto.
 
-Non l’avessi mai fatto, tutto, tutto. Non avessi mai attraversato il portone di casa quella mattina, non avessi mai detto NO a mia madre, andando a scuola lo stesso, magari adesso sarebbe diverso, sarei…diverso-
 
-Sono a casa mamma! –
Entrai dal portone, guardandomi intorno e sospirando.
Strano, la casa era troppo silenziosa e non c’era l’ardente suono dell’olio che sfrigola nella padella il mercoledì sera, quando tornavo a casa solitamente.
-Mamma? –
Mi guardai intorno, poggiando la tracolla all’entrata e andando in cucina, trovandola vuota.
Percorsi tutto il piano inferiore, non trovando mia madre, così decisi di andare di sopra; probabilmente era in camera sua, forse non si sentiva bene.
Raggiunta la porta della camera dei miei mi fermai, sentendo uno strano odore provenire da dentro, in più la porta era socchiusa, molto particolare dato che mia mamma la teneva sempre chiusa quando ci era dentro.
Bussai piano, e non ricevendo risposta decisi di entrare a controllare…al centro della stanza, stesa accanto al letto c’era mia madre, inerte e con uno sguardo vuoto, un buco in mezzo al petto da cui sgorgava ancora a fiotti il sangue che andava a sporcare il pavimento e il letto, colorando il candido vestito di mia madre e i suoi biondi capelli.
Mi avvicinai cautamente, sbarrando sempre di più gli occhi man mano che mi avvicinavo per poi farmi cadere accanto al suo corpo, prendendolo tra le braccia e osservandolo.
-Mamma…-
Le accarezzai il viso, la strinsi a me, le baciai le guance e la fronte, cullandola, sussurrandole parole dolci…inutile, lo sapevo come funzionava, non sarebbe tornata da me, e in questi casi avrei dovuto rimanere forte.
Strinsi gli occhi, accorgendomi solo allora di avere la vista appannata e le lacrime che scorrevano libere sulle mie guance, bagnando quelle già umide di mia madre.
La poggiai a terra, mettendola come era prima e scesi di sotto, chiamando gli idioti che dopo avrebbero portato via mia madre per vedere che era successo, e prendendo poi il nastro adesivo.
Velocemente tornai in camera, segnando i bordi del corpo di mia madre con il nastro giallo, riprendendo il corpo di mia madre e portandolo al piano inferiore, posandolo sul divano.
Lì scoppiai, stringendola a me, gridando, imprecando e piangendo.
Chi aveva potuto fare una cosa del genere a mia madre? Chi?
Sentii bussare, e subito collegai le voci preoccupate alla porta come quelle dei vicini…probabilmente stavano ascoltando la mia straziante disperazione.
Non mi mossi, non ne avevo la voglia e avevo paura che se avessi lasciato andare mia madre lei sarebbe sparita, per sempre.
Sentii la porta aprirsi con un tonfo, e la voce del marito della vicina di casa si propagò per la casa.
-Ikuto, Ikuto cosa è successo? –
Avevo mal di testa, e il sangue di cui ero ricoperto non aiutava, ma non riuscivo a finire di piangere, di stringere mia madre, ancora leggermente calda.
Ascoltai i passi sempre più vicini al salotto arrivare di corsa, ascoltai le esclamazioni dei miei vicini quando mi videro, accettai il tocco delle loro mai sulle spalle, e accettai il fatto che tutti erano orripilati dalla verità davanti a loro: mia madre era stata assassinata.
Mi staccai da lei, tenendola con un braccio mentre con quello libero recuperavo il mio cellulare, chiamando tremante mio padre.
Uno squillo, due squilli, tre squilli…finalmente rispose.
-Ikuto, che vuoi? Lo sai che sono a lavoro…-
-Mamma-
-Ikuto? –
-Mamma non c’è-
-Che vuoi dire, Ikuto? –
-Mamma è…andata-
-Ikuto, cosa vuoi dire, Ikuto?! –
-Mamma è morta…-
E a quel punto, la prima volta che lo dissi, quando dissi finalmente che mia madre era morta svenni, accasciandomi sul corpo della donna che tanto mi aveva amato e che mi aveva cresciuto, ormai spento e privo di quella sua vivacità che la caratterizzava.
 
-Qualche domanda piccola? –
Lei alza lo sguardo, guardandomi calma, come se la storia non l’avesse presa così tanto, come se…si aspettasse qualcosa di più.
-Non sei impazzito così, vero? Di solito ti fa cadere in depressione una cosa del genere…chi l’ha fatto, chi l’ha uccisa? –
-Ahahahah! Tu sì che sei brava intelligente…no, non sono impazzito così, è stato quello svitato di mio padre che l’ha fatto, troppo rotto dalla morte del suo amore da accorgersi che aveva il suo frutto davanti, per accorgersi che la vendetta non era tutto, troppo cieco, troppo…tutto, è uscito fuori strada, ha smesso di essere lui ed è diventato un’altra persona. È lui che mi ha guidato alla follia, inizialmente era poco, ma dopo due, tre, quattro mesi che non riuscivano a trovare un singolo indizio sulla morte di mia madre lui esplose. Elettroshock. Mia cara, perché pensi che non ne soffra? Io ho visto il tuo sguardo “l’ha già subito”, diceva questo. Beh si, ed è stato proprio il mio vecchio a farlo la prima volta! Prima leggero, e man mano avanzando negli anni sempre più forte, appena mi rifiutavo di fare qualcosa ZZZZZZZ! Lui mi puniva! E questo è stato solo l’inizio, child-
 
-Papà? –
-Si Ikuto? –
-Cosa fai ogni giorno? Sei sempre meno presente…ti vorrei accanto in questo periodo-
-Ikuto sono impegnato, non chiedermi l’impossibile-
-Non te lo sto chiedendo! Sto solo cercando di passare un po’ più di tempo con te! Da quando è morta mamma ti sei rinchiuso in quello studio e quando esci non mi degni di uno sguardo! Che ho fatto di male? Incolpi me per la sua morte?! –
Una mano sulla bocca mi fece zittire, e mi ritrovai a fissare lo sguardo furioso di mio padre.
-Non la nominare, non nominare quella donna Ikuto! E già che ci siamo, per la tua insolenza lo testerò su di te-
Cercai di divincolarmi, di liberarmi da quell’uomo tanto forte e tanto diverso da mio papà, che piano mi trascinava in una stanza sconosciuta della casa, nella parte inferiore, quella che di solito preferivo evitare per via dei rumori molesti e il rimbombo piuttosto inquietante.
In poco mi ritrovai legato ad una sedia con un bavaglio in bocca, mentre fissavo con le lacrime agli occhi mio padre che trafugava di qua e di là prendendo vari pezzi di un macchinario.
In poco mi mise davanti agli occhi due strani cilindri, metallici e collegati a due cavi. Li teneva con due guanti di gomma blu, e mentre non ne capivo affatto il motivo accese qualcosa, qualcosa che fece fare uno strano rumore ai due cilindri.
In poco si avvicinò alle mie tempie, e nel momento in cui poggio gli affari su di esse sentii come se la vita mi abbandonasse, come se il mio cervello non avrebbe retto, e nemmeno il mio cuore. Emettevo grida strozzate a causa della benda in bocca, mentre lacrime uscivano a fiotti dalle mie orbite spalancate; fra non molto mi sarebbero partiti i bulbi oculari, me lo sentivo.
Non fu così, la tortura continuò per minuti, ore, e quando finì io non capivo quasi più nulla, ero diventato simile ad un vegetale; no, la mia mente non si era fritta, mio padre aveva usato diverse potenze di elettricità per far in modo di farmi soffrire di più ma di non friggermi il cervello del tutto, quindi ragionavo perfettamente, ma a quanto pare il sistema nervoso si era momentaneamente fottuto.
Lui uscì dalla stanza mormorando qualcosa che non capii, lasciandomi riprendere lentamente, e facendomi realizzare che effettivamente quella cosa qualcosa mi aveva fatto: era scattato un interruttore, un cavo si era scollegato e al suo posto se ne era aggiunto un altro…mi ero appena rotto.
 
-Ti ho detto di ubbidirmi, ragazzo! –
-Scusi padre…io ho pensato fosse meglio così, non ne è uscito nessuno ferito e le informazioni le ho-
-Prendetelo-
Mi ritrovai dopo poco legato per i polsi al soffitto, quasi come se fossi un salame. Sapevo che mi aspettava, e l’altra parte non vedeva l’ora.
NO, NON ASPETTARLO! SE LO CHIEDI LUI LO FARA’…NO, NON LO FARA’, O FORSE SI? IKUTO!!! SMETTILA!!!
Questa CAZZO DI VOCE! La mia, MIA! Mi stava uccidendo, mi sembrava di essere pazzo, schizofrenico. Chi sente le voci? Beh, non io, io ne sentivo solo una, ed era l’opposto di me…bipolare, ecco cosa ero.
Da quanto andava avanti così? Giorni? Mesi? Anni? Mio padre era uscito di senno, non avevano trovato l’assassino, così lui aveva deciso di entrare a far parte della malavita e cercalo per conto suo.
-Allora ragazzo, che ti ho detto? –
-Di ascoltarti-
Non lo guardai, tanto sapevo che sguardo aveva in volto: crudele, sadico e truce, deluso.
Nessun briciolo dell’uomo che era un tempo risiedeva ancora all’interno del suo animo, nemmeno un po’, ed io lo odiavo, lo detestavo per questo.
Ridacchiai, alzando la testa e guardandolo. Merda.
-Che hai da ridere? –
Non rispondei, solo continuai a ridacchiare, come uno scemo, come un’idiota.
-Ragazzo, che cazzo hai?! –
-Ti odio, ecco cosa ho! Sai che ti dico? Sono stufo, stufo di ascoltarti sempre e venire punito se cerco di non uccidere…da quando è morta mamma sei uscito di testa! Lei non avrebbe voluto che tu finissi così, secondo te io sono felice? Non voglio vendetta?! Eppure non mi sono arreso, perché mamma voleva che inseguissi i miei sogni, al contrario di te…-
Un ceffone mi fermò, facendomi ridere e invitare quel vecchio a fare quello che mi spettava, che non tardò ad arrivare.
Una scossa, due per l’esattezza, all’altezza delle tempie si espansero per tutta la testa, causando un mio grido, un grido prima profondo, che piano si trasformò in un verso acuto sempre più strozzato, fino a che non divenne una risata stridula, macabra e del tutto anormale.
-Smettila di ridere, ogni volta che ti faccio questo trattamento ridi sempre di più, ma che hai che non va?! –
-Ahahahah! Ed io che ne so, sei tu che me lo fai, SEI TU! AHAHAHAH! –
-Basta! –
Staccò gli arnesi dalle mie tempie, e in poco mi ritrovai a perdere sangue dalla schiena…non credevo fossimo ritornati nel medioevo, davvero la gente frustava ancora i prigionieri? Ahahah…esilarante.
Venni lasciato così, appeso, senza nessun supporto e sanguinante, con la testa che pulsava e le mie risate che si espandevano per tutto l’edificio, facendo rabbrividire tutti i galletti che giravano da quelle parti, facendosi grandi solo per le pistole.
 
-Tsukiyomi! Sta’ più attento! Ma che hai? In prima eri così attento, sempre a prendere appunti, ora è già tanto se non ti vedo con lo sguardo perso-
Guardai distrattamente la professoressa, ridacchiando mentalmente e alzandomi, uscendo dall’aula incurante degli sguardi increduli dei miei compagni e di quello incazzato della prof.
Mi diressi in giardino, dove ridendo mi buttai a terra, stringendomi la pancia e iniziando quasi a rotolarmi.
-Amico, ma che hai? –
A sentire quella voce mi calmai, guardando chi aveva parlato -apparentemente- con me, incontrando lo sguardo divertito di due ragazzi di prima.
-E a voi che importa? Non è che andate in giro a chiedere “cha hai” al primo pazzo che vedete che ride a terra, vero? –
-Beh non se ne vedono molti in questa scuola, siamo noi i dottori, non i pazienti, quindi che hai? –
-Niente, solo che la mia prof di psicologia fa certe facce…-
-Capisco! A proposito, io sono Kukai! –
Quello dai capelli nocciola e gli occhi verdi mi porse la mano, che non tardai a stringere.
-Io sono Nagihiko, piacere-
Strinsi anche la mano del ragazzo dai lunghi capelli viola e gli occhi nocciola, per poi tirarmi in piedi.
-Io sono Ikuto, e credo che da oggi voi sarete i miei nuovi migliori amici-
 
-Bene, per la prossima settimana voglio una relazione dettagliata sul Cappellaio Matto e su Stregatto, con una relazione a parte su Alice nel paese delle meraviglie e i suoi personaggi; ditemi, perché il Cappellaio è impazzito? Cos’ha che non va la sua mente? E Stregatto come mai sorride sempre, cosa lo spinge a farlo? Voglio anche sapere il perché sono stati creati e cosa rappresentano, potrebbero essere due punti di riferimento per il cervello umano, li studierete e di sicuro capirete qualcosa di più sui matti del manicomio di cui vi occuperete questo anno-
Il mio film preferito. Un misto di pazzia allo stato puro e macabri ambientamenti, Alice nel paese delle meraviglie. Quello originale, ovvio, quello nuovo è meno…pazzo.
-Allora amico, che fate di speciale questa settimana? –
Kukai arriva insieme a Nagi e subito mi dà un pugno sulla spalla, facendomi storcere le labbra e stringere la spalla già ferita.
-Nulla, tu Ikuto? –
-Io…nulla di speciale; ragazzi, vi piace Alice nel paese delle meraviglie? –
-Beh, ecco, si e no. È troppo strano, ma Alice è troppo tenera! A te piace? E il tuo personaggio preferito? –
Abbassai lo sguardo, ghignando.
Lo rialzai, sorridendo felice e in un modo un po’ inquietante.
-Si che mi piace, il punto di vista psicologico è meraviglioso e…Stregatto, lui sorride di più di tutti-
 
-Muori bastardo! Meriti solo di morire, sei tu che hai ucciso mia moglie! –
-Non è colpa mia se tuo figlio non degnava di uno sguardo il mio! Akihiro voleva solo averlo come amico e lui non ci parlava quasi per nulla…un’offesa terribile! –
-E mia moglie cosa centrava?! –
-Era solo un avvertimento-
Mio padre era furibondo, guardava quell’idiota che si era messo contro di lui con odio e una voglia omicida negli occhi pazzesca…da non credere, peggio di quando io lo facevo arrabbiare.
Lo vidi tirare fuori una pistola, sparando senza pensarci due volte a quello davanti a lui, che si accasciò a terra morto. Un buco in mezzo al petto. Morto. Proprio come mia madre.
-Ragazzo! –
Mi avvicinai di poco, guardandolo.
-Si? –
-Sbarazzatene-
-No! Non lo farò! Fallo da so…-
Un forte rumore ci fece tappare le orecchie e chiudere gli occhi, e nel momento in cui li riaprii mio padre veniva tenuto da un tizio travestito da un re leggermente particolare sospeso a mezz’aria per il colletto, che intanto lo fissava furibondo.
-Aruto, sei sul serio tu?! Come hai potuto farlo?! –
-Tu lo sai, tu lo sai stupido…tutto per Souko, tutto!!! –
-Beh mi spiace ma non posso permetterti di continuare, scusami-
In poco mio padre fece la fine dello stupido di prima, ma al contrario morì a causa di un forte CRAK nell’aria…il suo collo si era rotto.
Il tizio travestito poi si girò verso di me, guardandomi truce e avanzando a grandi falcate verso di me.
-Tu! –
Mi indicai, confuso.
-I-io? –
-Si! Tu devi fare la sua stessa fine! –
Spalancai gli occhi, alzandomi di scatto dalla mia precedente posizione accovacciata a terra e tentando di fuggire, venendo però ripreso da quello strano individuo.
Mi prese per il colletto, alzandomi e sporgendomi oltre la balaustra della passerella principale della fabbrica, mentre inutilmente tentavo di liberarmi.
-Lasciami, io non centro, voglio solo ricominciare ed avere una vita normale! Ti prego! –
-Perché dovrei lasciare andare il figlio di quel mostro?! Dell’ex uomo che una volta era il mio migliore amico? Sei marcio pure tu, quindi devi solo sparire! –
-No, ti prego! Voglio solo andarmene, lasciami! –
-Accontentato-
Il tizio che mi teneva mi lasciò andare, facendomi precipitare verso le vasche di acido/colorante che c’erano di sotto, e mentre quella piena del colore della morte si avvicinava pensavo che sarei finito con il colore che più preferivo: il nero.
 
Tossii, sentendo la gola in fiamme e il viso prudere, la pelle mi bruciava e avevo voglia di urlare, ma non ne avevo la forza.
Mi presi il viso tra le mani, strofinandomi con le unghie la pelle ustionata, guardandomi le mani.
Bianche, bianche come il latte e con le unghie nere. Non mi pare di essere andato a carnevale o ad una festa in maschera.
Mi alzai piano, togliendomi quello che era rimasto della camicia della divisa scolastica.
-Ma che è?! –
Mi guardai intorno, appoggiandomi ad un muro e notando un bagno non troppo distante da dove ero.
Ci corsi subito, aprendo il getto d’acqua e lavandomi il viso, sentendo giusto un po’ più di sollievo.
Arpionai il lavandino, sentendo conati di vomito salirmi in gola, e a quel punto osservai la mia immagine riflessa nello specchio.
Avevo i capelli con varie striature fantasia nere, le labbra color pece, la pelle pallidissima e gli occhi quasi incavati, con una specie di ombra che li contornava.
Sentivo la pelle più elastica, e appena spalancai la bocca notai i miei denti.
Bianchi, proprio come prima, ma…stranamente al posto dei canini avevo quelle che sembravano zanne, e l’insieme faceva ricordare un po’ un gatto.
Sorrisi, estendendo il mio già presente sorriso in un sorriso enorme e spaventoso, molto più largo di quelli che facevo di solito, da cui uscì una risata silenziosa, che poi si trasformò in un vero e proprio concerto.
In quel momento solo un nome mi venne in mente, solo uno: Stregatto.
 
-Ahahahahah! Che merda, non trovi? Ahahahah! –
-Quindi da quel momento tu sei sparito dalla circolazione normale? Ihihihih, frequentavi la mia scuola? –
-Si, si e si…lo puoi fare, del resto la biblioteca a scuola non chiude mai, vero? Ahahahah! Tranne di notte…hanno paura di qualche visitina…ahahah! –
-Avevi la mia prof di psicologia? –
-Beh…è una, quindi credo di si…salutala da parte mia sai! –
-Certo! –
Mi tiro in piedi, prendendola per il collo e fissandola. Rosate. Rosse. Torturate. Labbra.
La porto quasi alla mia altezza, rimanendo immobile. E in un attimo la attacco, senza pensarci due volte tentando di farle male in ogni modo possibile. Stranamente le mie labbra sono sulle sue, le mordono, le rompono e i miei denti tentano di staccarle la lingua, mentre la mia cerca di soffocarla, eppure sentire come si agita stranamente è la cosa più divertente della giornata.
Mi stacco, gustando ancora un po’ il gusto del suo sangue e guardandola. Bocca violacea, spaccata e sanguinante, sguardo stupito e perso, devoto. Una bambolina di cera che deve essere finita.
-Bene Jolly, sistemiamoci, la seduta è praticamente finita-
-S? –
-Mh? –
-Il braccio, che ti hanno fatto? –
Rido, rido come se avessi appena strappato l’occhio ad una delle guardie e la fisso, portandola di nuovo accanto a me.
-Piccola cara, sai quanto amo le catene io? Sai quanto amavo quelle della mia cella? Le guardie non erano felici delle mie lamentele sul fatto di non avere più quei giocattolini, così hanno fatto quello che fanno ad ogni prigioniero qui, mi hanno punito, come io farò con te molte, molte volte-
La vedo sorridere e la sento accarezzarmi il braccio ferito, ma non mi importa, perché sono perso, perso nella mia pazzia e nei suoi occhi, nella sua anima ormai crepata. Perché se gli occhi sono lo specchio dell’anima allora io riesco a prendere tutte le anime del mondo, le riesco a vedere e leggere, come sto facendo con quella di questa bambola. Una bambola matta, matta da legare.
 
 
Mi tocco le labbra, traballando e rischiando di sbandare con tutto il peso del corpo verso diversi pali della luce. Bacio, lui mi ha baciata. Il mio primo bacio. Mi aveva detto cose che non erano mai uscite dalla sua bocca, io ero definitivamente sua.
Non mi bastava che rimanere “stabile” e chiedere a Somy come cazzo faceva ad essere il suo braccio destro. Ma quando? Al ritorno dalle vacanze? No…no prima, alla festa di capodanno, la organizzava il sindaco e ci andava tutta la città. Roba da matti. Ihihihihih! Matti!
Si, chiederò a capodanno a Somy che è successo, e finalmente io conoscerò cose che nessuno, nessuno sa sul mio Kitty.
 
 
Angolo pazza:
Ragazzi sto uscendo di testa! Okay, anche se è vero passiamo alla storia.
Lo so, ho una settimana di ritardo ma ripeto: scuola.
Dovreste essere felici però, ho scritto quasi tutto il passato di Ikuto.
Scusate se i tempi verbali variano dal presente al passato, però era necessario per i flash che aveva Ikuto, utili per far capire meglio tutto.
 
E finalmente hanno avuto il loro primo bacio, un bacio violento, veloce e pieno di sangue, poco descritto, semplice direi, ma lo hanno avuto. E questo è solo il primo, rendetevene conto. Sono tremendamente pazzi e Ikuto dimostra il suo “amore” per Amu attraverso questi gesti unici nel loro genere ma con un significato enorme alle spalle, anche se sembra che ad accorgersene sia solo Amu.
Sinceramente non so ancora se fare il prossimo capitolo già con la festa di capodanno o meno, ma probabilmente lo dividerò in due parti, anche se non saranno proprio due parti, direi più tutti e due ambientati lì ma con argomenti totalmente diversi.
 
Beh, che dire? Spero il capitolo vi sia piaciuto, che la fine non sia penosa e che Ikuto non abbia perduto troppa pazzia qui.
 
Capite che ormai Amu è proprio agli sgoccioli no? Jolly la possiede la maggior parte del tempo, e nei prossimi cappy Ikuto spiegherà qualcosa che farà capire il perché di questa Amu, ma non vi spoilero più nulla ;)
 
Okay, sulla copertina immaginatevi Ikuto che dopo un po' che pienge ridacchia, ecco, quella è l'immagine che vorrei dare ma che non c'è quindi metto questa.
Spero non sia penosa!

Cosa posso aggiungere? Grazie a tutti quelli che mi seguono continuamente e alla prossima!
Baci Blue!
 
P.S: vi prego avvertitemi se non capite qualcosa, se ci sono errori terribili di tempi verbali (dato che non sono un’esperta con il passato) e se ci sono errori nelle frasi.
Mi scuso anche se il titolo è sbagliato, vi prego di avvertirmi se non vuol dire “Passato e bacio di sangue” mettendomi la traduzione corretta in una recensione perché io giuro non so bene come si traduce questa cavolo di frase!
Grazie ancora!

   
 
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