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Autore: Blue Eich    13/11/2016    7 recensioni
[E se Sarah ed Helena alla nascita non si fossero mai separate?]
Annuì, vergognandosi profondamente della propria codardia. Aveva sempre fatto finta di niente, sperando di non vederla, che smettesse da sé. Non voleva staccarsi, continuando a nascondere il viso tra i suoi capelli che profumavano di un delicato shampoo alla cannella. Biondi come il grano.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felix Dawkins, Helena, Sarah Manning, Siobhan Sadler
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Remember of November'
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Finale

 

Toronto, novembre 2001



La ragazza camminava con fretta per le strade canadesi, il cappuccio della hoodie scura calato sulla testa, le mani nascoste in tasca e la faccia torva. Il suo passo era spedito, sì, ma una meta non l'aveva.
Le immagini di poco prima la invadevano. La punizione, la tazza che si frantumava con un frastuono cristallino, le urla della signora S, lei che sbatteva con rabbia la porta ignorando il richiamo dei fratelli. Le era grata per averli accolti, ma in certi momenti detestava profondamente quella donna. Tu non sei mia madre, non darmi ordini. Parole sputate con odio, a cui era seguito un silenzio angoscioso. Il freddo di novembre aveva sbollito quell'ira, lasciando posto solo all'amaro in bocca.
Quando incrociò una panchina sul proprio cammino, decise di sedersi. I lampioni che vedeva a margine del sentiero presto si sarebbero accesi, accompagnando l'arrivo del crepuscolo. Era circondata dagli aceri da zucchero in pieno foliage: le loro foglie a stella si depositavano al suolo di tanto in tanto, colorandolo a chiazze delle più varie gradazioni di colori caldi. Tuttavia, lei non coglieva la meraviglia di quello spettacolo naturale. Restò immobile a lungo, con le mani congiunte, fissando la pozzanghera dinnanzi a sé, un torbido specchio della realtà. Con la matita e l'eyeliner un po' colati, stretta nella felpa troppo larga, sembrava una delinquente. Quel pensiero le strappò un sorriso mesto. “Complimenti, Sarah Manning: bella maschera” si disse, cinica.
Con un gesto quasi inconscio, portò la mano nella tasca anteriore dei jeans ed estrasse il portafoglio di pelle, dove a spiccare erano senz'altro le borchie sul bordo. C'era qualche scontrino del tabaccaio spiegazzato, la carta d'identità e poche monete. Così poche che, forse, qualche caramella avrebbe potuto comprarla, ma un pacchetto di sigarette no. Sbuffò: mancavano ancora tre giorni alla paghetta – misera, ma sempre meglio di niente. Prima di richiudere, sbirciò nella prima tasca. La fotografia era al suo posto. L'unico scatto fugace che avesse da neonata insieme alla gemella. Erano sdraiate e si tenevano per mano, ma non sorridevano – all'orfanotrofio non ce n'erano di motivi per sorridere. Proprio quella foto aveva convinto la signora S a cominciare le pratiche per l'adozione, durate anni e anni. Si sentiva male al pensiero che la signora S avesse lottato per loro, due rifiuti della natura che non voleva nessuno. In quella foto era racchiuso il loro candore, la prova che erano indissolubilmente legate e non potevano fare a meno l'una dell'altra. Vagabonda anche con la mente, si perse a contemplarla in ogni dettaglio: le braccine paffute, il castano di Helena che aveva già iniziato a schiarirsi, la piega nel bordo in basso…
A distrarla, fu una gocciolina fresca che le s'infranse sulla punta del naso. Volgendo lo sguardo al cielo, si accorse che le nuvole ingrigite minacciavano pioggia. Era trascorsa più di un'ora: ormai la signora S probabilmente aveva già dimenticato il litigio, tornando alle sue faccende. Perciò sarebbe rientrata senza dire niente – e se nessuno le era corso dietro, era perché sapevano che l'avrebbe fatto.

Trovò l'ingresso chiuso a chiave. Di sicuro, Felix si era offerto di accompagnare la signora S al centro commerciale, per convincerla con i suoi occhioni supplichevoli a comprargli gli shorts strappati che voleva tanto, visti la settimana precedente sfogliando una rivista. Sorrise al pensiero che, se non altro, avrebbe potuto prestarglieli senza problemi.
«Sono tornata» annunciò a gran voce, mentre i suoi piedi sgusciavano via dagli anfibi neri, che finirono accatastati nell'angolo con un calcio. Nessuno le rispose e cominciò a insospettirsi. Forse Helena era andata insieme a loro, nella speranza di farsi prendere un gelato o un hot dog. In caso contrario, sperava che al massimo avesse svaligiato il frigorifero, o usato il suo MP3 senza permesso, saltando sui letti con la musica a palla. Ma dal silenzio tagliente che regnava in casa Sadler, sembrava un'ipotesi improbabile.
Ti prego, tutto ma non quello.” Il cuore di Sarah cominciò a galoppare e corse in camera. Niente. L'MP3 era ancora lì dove l'aveva lasciato, sul comodino, con le cuffiette attaccate.
«H-Helena?» tentò di nuovo, aggirandosi circospetta per il corridoio.
Rimaneva solo una stanza: il bagno. E le sue paure prendevano forma, nell'avvicinarsi alla porta. Chiusa. Col cuore in gola e le mani tremanti, si accostò alla liscia superficie. Una voragine di terrore ancora più grande la inghiottì, perché uno dei suoi incubi peggiori si era appena avverato. Riusciva a udirla perfettamente.
La bionda ridacchiava euforica e mugolava per via del bruciore sulla carne, di piacere e dolore fusi insieme. Viva, un accendino immaginario a infuocare anche la sua anima, corrodendole le viscere. E più sentiva bruciare, tagliando la cute tenera come un coltello taglia il burro, più voleva continuare. Incidere più a fondo sulle scapole e scendere giù, con calcolata calma, per completare il suo disegno. Avvertiva disperatamente il bisogno d'inspirare quell'odore metallico, un'inebriante e stimolante droga.
Nel nascere, ogni nuova lacerazione gettava fuori un uragano di emozioni, un fiume senza fine. Invece quelle vecchie si riaprivano, come cuciture squarciate, infiammando atrocemente e compiacendola anche di più. Passò l'indice su una delle linee da cui sgorgava quel dolce rosso, sinuosamente, per succhiarlo e assaporare il gusto di se stessa. Rise di nuovo, libera e appagata nel suo bagno di follia.
«Helena
Il tono di Sarah, stavolta, era stato più fermo – quasi autoritario. Quelle risa macabre cessarono e qualcosa si scontrò con un brusco tintinnio sulle piastrelle.
«Smettila…» disse, abbassandosi, con l'orecchio premuto sul legno e l'orrore negli occhi lucidi. «Ti prego, ti prego, smettila…» sussurrò, ormai rannicchiata a terra.
L'orfana avanzò a tentoni, perché ogni movimento le causava fastidi alla spina dorsale, fino a sfiorare l'uscio col palmo. Si accucciò piano, per finire nella stessa posizione, avvolgendosi le ginocchia.
«Helena, fammi entrare» intimò la sorella, cercando di nascondere l'incrinatura della voce. «Sono qui, okay?»
E come un automa, sempre molto adagio, lei tornò in piedi e girò la chiave a destra per sbloccare la serratura. Sarah si alzò con uno scatto, perché voleva abbattere il muro che le divideva. E lo abbatté, abbracciandola così forte che per poco non si sbilanciarono. “Stupida, stupida, stupida.” Reggendosi con le dita alla sua schiena nuda, se le trovò imbrattate di sangue. Sfiorò uno dei lunghi tagli aperti che correvano fino all'altezza dei fianchi, ma al sentire la gemella soffocare un gemito si ritrasse subito, timorosa.
«Scusa
In seguito a quella dichiarazione carica d'angoscia, piombò il silenzio. L'una si cullava nelle braccia dell'altra: solo così potevano dire di essere davvero complete e di sentirsi protette. Un abbraccio che avrebbe potuto essere eterno, perché nessuna delle due voleva scioglierlo.
«Per cosa?» chiese Helena, dopo un po', in un roco mormorio.
«Perché non ti ho impedito di farlo di nuovo.» Sarah abbassò il capo, stringendo più forte il suo corpo inerte, come per evitare d'incrociare il suo sguardo così ingenuo – l'avrebbe distrutta. «Ti ho lasciata sola
«Tu… Lo sapevi?»
Annuì, vergognandosi profondamente della propria codardia. Aveva sempre fatto finta di niente, sperando di non vederla, che smettesse da sé. Non voleva staccarsi, continuando a nascondere il viso tra i suoi capelli che profumavano di un delicato shampoo alla cannella. Biondi come il grano.

Ricordò la prima volta che Siobhan le aveva portate in campagna: un ampio tappeto di verde si estendeva a perdita d'occhio, per chilometri e chilometri. Girasoli, soffioni, papaveri. I muggiti in lontananza, gli stivali di gomma sporchi di fango e le manine di terra.
Sarah a un certo punto Helena non l'aveva vista più, perché si era acquattata tra le ariste per farle uno scherzo. Innocente come un micio convinto di essere una tigre, pronto all'agguato.
«Dove sei? Dai, non lasciarmi da sola!» piagnucolava la castana, col broncio. Si addentrava nel campo, spostando goffamente i fusti mossi dalla brezza per avanzare; la paura di aver perso ciò che di più importante aveva al mondo le stringeva il cuore. Non sarebbe tornata a casa senza di lei, a costo di setacciare quel folto labirinto d'oro per tutta la notte.
«Buh!» Poi l'altra era sbucata fuori, aggrappandosi alle sue spalle con le unghie. E dopo un urletto di sorpresa erano rotolate al suolo, ridenti, schiacciando alcune spighe sotto i loro corpicini identici.
Siobhan sorrideva da lontano al vedere le sue pulcine divertirsi così candidamente, mentre Felix la tirava con insistenza per la manica del cappotto, impaziente di raggiungerle.

Non sapeva dire perché quel momento le fosse rivenuto in mente. Ma al sfiorare di nuovo la sua schiena tempestata di tagli, tracciati con lenta cura, a Sarah sfuggì un singhiozzo. Troppo sconvolta per accorgersi che l'insieme formava un'opera d'arte: delle ali da angelo sfilacciate. Un tatuaggio di cicatrici da cui colava ancora quel fluido scarlatto, bagnando la pelle candida di Helena e rilasciandole endorfine in circolo. Si beava di quella piacevole sensazione, leggera come un palloncino, la mente che galleggiava nel nulla.
Infatti alzò gli occhi con sincera curiosità. «Perché piangi, sestra
«Perché sei un'idiota» sibilò la bruna, tastando un altro dei solchi con delicatezza e causandole un sussulto. All'avere i polpastrelli bagnati del suo sangue caldo si sentiva complice di quel suicidio, una perpetua agonia. «Prometto che ti farò ascoltare tutta la musica che vuoi e ti darò il mio dolce tutte le sere… Ma ti prego, non rifarti più del male.»
«Non volevo farti piangere, sestra» rispose semplicemente la bionda, accarezzandole con la mano una guancia umida che sporcò senza volere, per fermare la discesa prepotente di un'altra lacrima. Una lacrima che dopo il delicato contatto con il suo indice si colorò di una tenue sfumatura cremisi, come una goccia d'acqua che si unisce ad un acquerello. «Se fa stare male te, non mi taglierò più.»
L'aveva detto. Aveva usato quel verbo che la raggelava, provocandole un blocco allo stomaco. L'odore ferroso di cui l'aria era pregna le entrava nelle narici, al punto che le sembrava di averne il sapore salato sulla lingua. Stare in quel bagno le dava alla testa. Ma doveva respirare profondamente per scacciare l'angoscia da dentro di sé e farsi forza. Raccogliere il taglierino sporco di denso rosso, pulire con un po' di carta igienica le macchie che risaltavano sul pavimento bianco. Ma, soprattutto, far sedere la sorella a bordo della vasca, per medicarla con un batuffolo di cotone. Tutto prima del ritorno della loro madre adottiva e del fratellastro.
Helena sopportò l'azione del disinfettante senza lamentele, tremenda, come se le stessero scorticando via la carne di dosso. Nonostante ciò stava immobile, boccheggiante. L'innocenza nei suoi occhi persi era capace di sciogliere il cuore impietrito di Sarah: doveva prendersi cura della bambina sperduta in lei, che ogni tanto tornava a galla dal passato. Sempre pronta a uscire fuori, come quel giorno nello sconfinato campo di frumento.

 
Stavano strette in quel lettino, a gambe incrociate, ma ad entrambe la vicinanza non dispiaceva affatto. La castana, anche se un po' riluttante, le passò la cuffietta sinistra sparandole nelle orecchie Should I stay or should I go, una delle sue preferite dei Clash. Dopo neanche mezzo minuto, Helena premette il tasto laterale per cambiare canzone. Appena partì Sugar Sugar, cominciò ad agitare la testa, catturata da quel vivace ritmo vintage.
«Ohhh, honey honey…»
Sarah dischiuse un occhio, scocciata, per premere l'altra freccia e far tornare la precedente. Ma tempo pochi secondi che Helena si sporse nuovamente per rimettere l'allegria degli Archies.
«You are my caaandy giiiirl!»
«Oh, ti prego, basta!» rise la sorella, cercando di tirarle un cuscino, ma lei anzi prese a urlare a squarciagola, dondolandosi.
«And you got me wanting yoouuu!»
«Sei stonata come una campana!»
«Ohhh, honey!»
Continuarono a ridere, finché anche Sarah, forse trascinata da quell'atmosfera giocosa, si unì a lei in quel coro sciocco, prendendole le mani e muovendole come quand'erano piccole. Tre minuti di complicità, di sorrisi, di spensieratezza. E quando le note finali si dissolsero, si ritrovarono ancora a ridacchiare, distese. Le mani non desideravano lasciarsi e gli occhi si scrutavano miti, con affetto.
Helena emise l'ultima risatina gongolante, prima di accoccolare la testa sul suo petto. E Sarah, un po' per stanchezza, non si oppose: da così vicine poteva sentire il suo cuore battere e le trasmetteva calore.
Perché era Sarah quella sempre fredda, in tutti i sensi, mentre la sua sorellina una ventata di dolcezza e pazzia di cui aveva bisogno per non crollare. Prese a giocherellare con una delle sue ciocche ricce, accarezzandola con premura, come un oggetto fragile.
«Ti voglio bene, sestra
Sorrise. Ed era uno dei sorrisi più sinceri che avesse mai fatto in vita sua. «Anche io, testa di rapa.»
«Non chiamarmi così.»
E l'ennesimo riso – suo, stavolta – si perse nell'aria, mentre l'altra cercava di zittirla con una cuscinata sulla faccia. Gemelle, per sempre. Nel bene e nel male.



 

Angolo Autrice
Salve.
Come penso sia ovvio, mi sono basata su una delle cattive abitudini che Helena ha abbandonato nella serie. Le immagino di diciassette anni, quindi adolescenti, all'oscuro della faccenda dei cloni – Sarah non ha ancora incontrato Cal, di conseguenza Kira non è ancora nata. La definisco What if? in base all'idea: cosa sarebbe successo se le due gemelle non si fossero mai separate, crescendo insieme?
Ho mantenuto l'infermità mentale di Helena, usando l'autolesionismo come suo modo per affrontare la situazione frustrante che vive – e ribadisco che lei, nella sua ingenuità, non trova in esso niente di male.
La data in alto è calcolata secondo l'anno di nascita di Sarah.
Penso sia la shot che ho sofferto di più a scrivere in tutta la mia vita, data la mia emofobia, ma proprio per questo ne vado estremamente fiera. Ci terrei a sentire più pareri possibili, perciò lasciate una recensione, se vi va.
Ringrazio la mia amica Cute Yeollie per l'insieme dello splendido banner e anche Tanny.
Alla prossima!
-H.H.-

 
   
 
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