Nei suoi occhi azzurri riesce a scorgere un riflesso familiare , ed è costretto a distogliere lo sguardo non appena il dolore rincasa tra le pareti d'ossa della gabbia toracica.
Si sente una storia triste John Watson.
Una melodia stonata, un violino senza il suo La. Un piccolo e fragile aeroplanino di carta. Una vaga imitazione. Un simbolo rubato ad una storia che non gli appartiene. Un ricordo sbiadito dal tempo, logorato dal dolore e come tale, vaga senza meta nella distratta e vana ricerca di un luogo in cui fermarsi, che possa accoglierlo e concedergli ristoro da quel viaggio infinito e solitario.
Uno posto che possa colmare quell’immensa assenza a cui non riuscirà mai ad abituarsi.
Ma non sembrano esistere città, case, persone nè tanto meno aeroporti di carta capaci di farlo sentire di nuovo a casa. Meno solo e triste, fragile e pallido come una pagina vuota.