Crossover
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Autore: Darik    16/05/2009    2 recensioni
La loro guerra durava ormai da migliaia di anni, secondo i parametri umani. E questa guerra sembrava destinata a finire con lo sterminio totale. E invece stava per giungere ad un inaspettato punto di svolta, dalle molteplici implicazioni. Nota: l'aspetto dei Transformers è quello del film del 2007, tuttavia la mia storia vuole essere un omaggio all'intera saga, quindi ci saranno citazioni anche delle altre serie sugli eroi di Cybertron. Ma state tranquilli, non è necessario conoscere quest'ultime per capire la trama.
Genere: Azione, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7° CAPITOLO

“E’ tutto finito”.

Megatron spense il monitor, uno dei tanti in quella grande sala di controllo.

Ormai le rocce avevano riempito completamente il pozzo vulcanico con il ponte.

All’ultimo era arrivato qualcuno, uno dei bersagli prediletti: Asuna Kagurazaka.

Aveva dimostrato una forza notevole, essendo riuscita in qualche modo a giungere fino alla loro base e a sfondare la porta che neanche Optimus Prime era riuscito ad abbattere.

Davvero un ottimo soggetto.

Peccato che fosse ormai andato perso.

Nella sala arrivò Soundwave insieme a Brawl e Blackout.

“Mio signore, si è concluso tutto positivamente?” domandò il primo.

“Ovvio, Soundwave. E’ andato tutto come Lui aveva profetizzato, il che non mi stupisce. Seguendo i suoi avvertimenti sul fatto che un giorno sarebbe arrivato qualcuno da Cybertron per fermarci, abbiamo costruito l’accesso principale alla nostra base in modo che risultasse anche una vera e propria trappola. E come immaginavo, Prime ci è caduto in pieno. Ora prepariamoci alla partenza!” ordinò Megatron.

“Spero che quel bastardo Autobot sia morto in maniera orribile e consapevole dei suoi fallimenti!” ghignò Brawl.

“Prime è morto da eroe!” replicò seccamente Megatron.

I tre Decepticons si fermarono, lasciando che il loro leader continuasse ad andare avanti.

Megatron se ne accorse ma li ignorò.


“Oh come è tardi! Accidenti!”

Asuna correva a perdifiato lungo il corridoio insieme a Konoka e Hakase.

Quando finalmente raggiunsero la porta della loro classe, tutte e tre tirarono un sospiro di sollievo.

La campanello suonò.

Hakase guardò l’orologio. “Abbiamo spaccato il secondo”.

Entrarono, le altre erano già tutte dentro, sedute in modo composto e sorridenti.

Anche loro tre andarono a sedersi.

Asuna notò che mancava Evangeline.

E Negi, stranamente, non era ancora arrivato.

La ragazza rimase alquanto perplessa. “Perché Negi non c’è? Ora che ci penso, dato che abitiamo nella stessa stanza, doveva venire insieme a me e Konoka”.

Si girò verso la sua amica. “Ehi Konoka, ma Negi non si è visto stamattina?”

Konoka alzò le spalle: non ne sapeva nulla.

“Che strano.” Asuna si voltò verso il banco dietro il loro. “Ehi Yue, hai visto Negi?”

Yue non disse nulla, rimase assolutamente immobile, con una faccia sorridente e lo sguardo fisso in avanti.

“Ma…. Ma che succede?”

Asuna chiamò le altre sue compagne: stavano tutte ferme, con la stessa espressione di Yue.

Prontamente la partner di Negi si alzò in piedi. “Che diavolo sta succedendo qui?!”

“Kyahhhh!”

“Cosa? Konoka! Hakase!”

Asuna vide le sue compagne venir strappate dai loro banchi e sollevate da qualcosa di invisibile.

Aguzzò lo sguardo e vide dei fili assai sottili avvolti intorno alle loro braccia e alle loro gambe.

“Aiutaci Asuna!!” gridarono le due ragazze.

Asuna mise mano alla sua carta Pactio, non trovandola.

Fece allora per saltare verso le sue due amiche, quando anche le altre ragazze vennero sollevate dai loro banchi, restando sempre con la stessa espressione.

Tutte le componenti della III A salirono fino a raggiungere un immenso spazio nero che aveva preso il posto del soffitto.

Era da quello spazio nero che provenivano i fili che avevano legato tutte.

Asuna inorridita osservò impotente quello spettacolo.

Poi notò la strana posizione delle sue compagne, che penzolavano inerti attaccate a quei fili come se fossero state …

“…marionette…”

Una strana voce giunse alle sue spalle.

Era strana perché era sia maschile sia femminile.

“Se non vuoi unirti a loro…. Allora muori!!”

Asuna si voltò, qualcosa di inconcepibile la assalì.

La ragazza gridò.


“Arghhhh! Vai via!!!” strillò Asuna agitandosi.

Si alzò di botto, col fiatone.

“Un… un sogno… ma dove sono?”

Intorno a lei, coperta di polvere, graffi e lividi, si intravedevano leggermente solo rocce.

Ed era parecchio buio, c’era solo una fievole illuminazione blu.

“Siamo sepolti sotto le rocce” disse qualcuno.

Asuna trasalì e alzò la testa.

Sopra di lei c’era quel misterioso robot, i cui occhi era la fonte di quella fievole luce.

Asuna riuscì a vedere che con la schiena e le braccia il robot reggeva degli enormi macigni.

Ma il resto del suo corpo era avvolto dall’oscurità, anche se di sicuro si trovava proprio davanti a lei.

“Scusa se non riesco a fare più luce, ma il 99% della mia energia è stata convogliata nelle braccia e nelle gambe per reggere tutto questo peso” riprese Optimus Prime.

“Non… non fa niente…” rispose Asuna alzandosi. “Ma dove siamo finiti? Cosa è successo?”

“Il nemico ci ha fatto cadere addosso svariate tonnellate di rocce”.

“E… e come mai non ci hanno schiacciato?”

“Tu sei entrata nel pozzo quando le rocce stavano per investire il punto in cui ti trovavi. Sono saltato sopra di te per proteggerti e raggiungere insieme la porta, ma siamo stati travolti. Non so per quanto siamo caduti, ma il fato ha voluto che cadessimo in un anfratto sul fondo del pozzo. Le strette pareti dell’anfratto hanno esercitato una pressione frenante sulle rocce, permettendomi cosi di sorreggerle. In caso contrario, saremmo morti schiacciati da un pezzo” spiegò Prime.

“Uh… si, certo. Un momento” Asuna guardò freneticamente in tutte le direzioni “mi stai dicendo che siamo bloccati qui? Sepolti vivi?!”

“Temo di si. E io purtroppo non potrò reggere queste rocce in eterno”.

“Forse l’aria si esaurirà prima della tua forza. E per me sarà un vero guaio. Maledizione! Le mie amiche! Quei cosi… chissà cosa gli hanno fatto! E chissà cosa faranno a Konoka e Hakase! Dobbiamo uscire da qui!” sbottò Asuna.

“Temo che non ci sia più niente da fare” disse Optimus.

“Ehi, robot, ti stai forse arrendendo? Ti credevo un tipo più intraprendente”.

“Io…”

Prime appariva abbattuto.

Asuna riconobbe quell’atteggiamento: era il comportamento di chi sembrava aver perso la voglia di fare, combattere. Vivere.

Ma era un comportamento che certo lei non condivideva.

“Usciremo di qui!” disse risoluta. “Allora, esaminiamo le possibilità: puoi chiedere aiuto?”

“C’è troppo materiale sopra di noi, nessun segnale passerebbe” rispose Prime.

“E allora…” Asuna cominciò a cercare nel buio le pareti dell’anfratto, trovandole presto.

Tastando, calcolò che l’anfratto doveva avere una forma allungata, e che probabilmente partiva da una base abbastanza larga per poi restringersi verso l’alto, esercitando cosi quella pressione frenante.

“Caspita. Beccare uno spazio cosi stretto in caduta libera e sovrastati da tonnellate di rocce. Se questo non si chiama culo…” mormorò la ragazza.

“Hai detto qualcosa?”

“Niente. Allora, dato che non possiamo salire né chiamare aiuto, scaveremo!”

“In quale direzione?”

“Verso il mare. Secondo te in quale direzione si trova?”

“Dietro di te. Ma io non posso scavare in questa condizione” obbiettò Prime.

“Non preoccuparti. Scaverò io”. Asuna spavalda tirò fuori la sua carta Pactio.

La sua spada era andata persa nella caduta, ma poteva rievocarla.

“Adeat!” esclamò.

Lo grossa spada apparve nella sua mano.

“Questo ti sarà d’aiuto” disse Prime.

Asuna sentì qualcosa cadere dietro di lei, si chinò e cercò al buio per terra.

Le sue mani afferrarono quello che sembrava essere un grosso cilindro metallico.

Non appena lo toccò, il cilindro emise una forte luce.

“E’ uno dei miei fari. Gli ho infuso abbastanza energia per avere tre ore di autonomia. Spero che ti bastino” spiegò l’Autobot.

Asuna sorrise. “Grazie”.

Posò quella specie di maxitorcia dietro di lei, andò verso la parete indicata e cominciò a scavare.

I suoi colpi erano ampi fendenti che tagliavano grosse porzioni di roccia sbriciolandole.

Asuna ci mise pochissimo a scavare una galleria, abbastanza grossa perché anche Prime ci passasse, magari a cavalcioni.

Certo la ragazza non sapeva se scavare in quella direzione era davvero la cosa giusta.

Potevano benissimo esserci chilometri di roccia tra loro e la libertà.

E nessuna libertà se avesse deciso di scavare verso il basso.

E se fossero sbucati sotto il livello del mare?

L’acqua avrebbe riempito la galleria all’istante.

Non credeva che quel robot potesse venir danneggiato dall’acqua, ma certamente lei si.

Tuttavia non avevano molta scelta.

Dopo parecchi minuti di scavo intervallati dal dover prendere la torcia per spostarla man mano che Asuna avanzava, e dopo aver penetrato almeno una quarantina di metri di pietra, la spada tagliò un'altra porzione di roccia e poi colpì il vuoto.

Asuna avanzò di qualche passo con le braccia in avanti e controllò quel vuoto nero.

Toccò i bordi della galleria che aveva scavato.

E oltre non c’era nulla.

Poi una leggera e fresca brezza le investì il viso.

Andò a prendere la torcia e si affacciò oltre il buco che aveva aperto: davanti a lei c’era una caverna, o meglio una galleria da dove in passato probabilmente scorreva il magma.

Raggiante, Asuna recuperò la torcia e tornò indietro da Prime. “Ce l’ho fatta! Ho trovato un’altra galleria. E’ sicuramente collegata con l’esterno, arriva aria. Io vado avanti, tu preparati a mollare quelle rocce per saltare nella galleria che ho scavato”.

“Sono contento che tu possa cavartela. Ma io non vengo” fu la risposta di Prime.

“Eh? Che intendi dire?”

“Quello che ho sentito prima, sul ponte, mi ha finalmente fatto capire i miei errori e la mia stupidità. Tu sei veramente abile, coraggiosa e altruista. Te la caverai meglio senza di me”.

Asuna rimase quasi scandalizzata. “Ti si è fritto il software?!”

Prime scosse la testa. “No. Semplicemente mi sono reso conto che non sono affatto diverso da chi combatto. Sul mio pianeta sono conosciuto come un protettore dei deboli, forte e coraggioso. Eppure pur partendo da motivazioni diverse, nei fatti ho sempre considerato quei deboli come degli inferiori. Proprio come il nemico. Troppo consapevole della mia forza e troppo timoroso per la loro incolumità, non ho mai accettato un consiglio, li ho sempre tenuti il più possibile lontani dall’azione.

Non ho mai avuto fiducia in loro.

Non mi sono mai veramente fidato dei miei compagni, e neppure degli umani come te.

Avrei potuto avvertirvi, elaborare insieme delle strategie.

E invece ho avuto troppa fiducia in me stesso, col risultato di voler fare tutto da solo, ignorando indizi cosi chiari sull’evoluzione del nemico. E sono caduto nella più banale delle trappole.

Se una cosa del genere fosse accaduta sul mio pianeta, avrei sicuramente condannato a morte tutti coloro che si fidavano cosi ciecamente di me.”

“Ma se lo facevano “ribatté allora Asuna “avranno avuto i loro motivi. Tu sei davvero forte e coraggioso. Lo hai dimostrato prima con me. Mi hai salvata dalla rocce, quando invece avresti potuto benissimo fregartene di me e cercare di raggiungere la porta soltanto. E mi hai aiutata adesso”.

“Posso anche essermi arreso, ma non per questo lascerò che qualcuno muoia per colpa mia” spiegò Prime.

“E allora dammi una mano. Non ti rendi conto che anche se esco da qui, dovrò combattere da sola contro dei mostri? Forse anche contro le mie compagne. E tu non vuoi aiutarmi?”

“Ti sarei solo di peso”.

Asuna allora si mise irritata una mano sul volto.

Poi piantò con forza la sua spada nel pavimento. “Stammi bene a sentire, giocattolone spaziale! Non so cosa avesse in mente il tuo programmatore o quello che era, ma resta il fatto che se in passato hai fatto la figura dell’idiota, la stai facendo anche adesso!”

Prime restò sorpreso da quel commento. “Che intendi dire?”

“Intendo dire” riprese Asuna “che continui a fare gli stessi errori. Prima da solo avevi deciso di non aver bisogno di nessuno e non ti fidavi degli altri. E ora ti sei autocondannato, da solo hai deciso di non saper fare nulla e non ti fidi di chi ti dice che non è vero. Be, io ora andrò a salvare le mie amiche, a qualunque costo. Spero di poter contare sul tuo aiuto. Se invece vuoi restartene lì come una bella statuina, fai pure, mi arrangerò in qualche modo.

Ma lascia che ti dica solo una cosa: gli eroi non sono quelli privi di difetti, ma coloro che sanno riconoscere di aver sbagliato e si impegnano per non commettere più gli stessi errori. Tu la prima cosa l’hai fatta, spero che riuscirai a compiere anche la seconda. Ora è meglio che la pianti o comincerò a sputare sentenze”.

Asuna si avviò lungo la galleria che aveva scavato.

Lasciando Prime solo e nel silenzio.


Konoka e Hakase erano chiuse prive di sensi in due capsule.

I raggi di alcuni scanner attraversavano il loro corpo.

Soundwave supervisionava l’operazione.

Si girò verso la porta percependo qualcuno dietro di lui. “Starscream. Cosa stai facendo qui? In questo laboratorio possiamo entrare solo io e lord Megatron”.

“Quelle sono le nostre future schiave. Voglio semplicemente vederle” rispose Starscream.

“E’ una strana spiegazione. Sembra di più una scusa”.

“Scusa per fare cosa? Le ho viste e ora me ne vado” concluse Starscrem indietreggiando e andandosene.

Soundwave non lo perse di vista finché non scomparve dentro un ascensore.

Quando fu certo di non essere più visto, Starscrem fece rientrare una minuscola antenna parabolica in un piccolo scomparto nascosto tra i meccanismi della spalla destra.

“Soundwave, tutti questi anni come scienziato ti hanno davvero rammollito come intercettatore”.


Quella galleria sembrava non finire mai.

E Asuna non sapeva neanche che ore fossero, dato che l’orologio le si era rotto durante la caduta nel pozzo.

Anche per la direzione poteva solo limitarsi a seguire la corrente d’aria, sperando che la fortuna l’assistesse.

In fondo l’aveva già fatto più volte in quella giornata: le aveva permesso di seguire quel robot trasformato in camion.

Asuna aveva usato l’energia potenziante del pactio e aveva cominciato a compiere balzi di decine e decine di metri per stare dietro al gigante meccanico.

E c’era riuscita, anche se più volte aveva rischiato di perderlo.

La fortuna l’aveva aiutata ancora quando il misterioso robot era scomparso in una specie di raggio tele portante.

Lei era riuscita a infilarsi in quel raggio poco prima che si esaurisse.

E anche se poi l’aveva fatta riapparire in mare a centinaia di metri dall’isola, era comunque arrivata.

Inoltre era riuscita a seguire di nascosto il gigante e a trovare l’accesso mimetizzato prima che si chiudesse.

E infine si era salvata da quella caduta di rocce.

Perciò la fortuna poteva pure concederle qualcos’altro.

Dalla direzione opposta alla sua arrivò un forte rumore accompagnato da una luce altrettanto forte.

Asuna sguainò la sua spada.

Le pareti della galleria erano troppo lisce per offrire nascondigli.

Perciò poteva solo fronteggiare la fonte di quel rumore.

Una luce abbagliante sbucò da dietro una leggera curva.

Asuna si coprì gli occhi e indietreggiò mentre il rumore si avvicinava.

Quando i suoi occhi si furono abituati alla luce, la ragazza vide di cosa si trattava e si spostò a destra.

Un grosso camion rosso e blu si fermò affianco a lei.

Una portiera si aprì e Asuna salì prontamente sedendosi dentro l’abitacolo.

La giovane picchiettò sul volante, che aveva al centro un volto vagamente umano e di colore rosso. “Hai visto che non era poi cosi difficile?”

“In effetti si” disse una voce proveniente da un punto indefinito. “Ora usciamo da questa galleria e diamoci da fare. A proposito, mi chiamo Optimus Prime”.

“E io Asuna Kagurazaka. Senti, mentre cerchiamo l’uscita, che ne diresti di spiegarmi l’antefatto di tutto questo casino?”


Megatron contemplava i tre enormi cerchi che aveva davanti a se.

C’era voluto molto tempo per riuscire, con le risorse locali, a costruirli e adesso erano finalmente pronti.

Presto, molto presto, i cybertroniani avrebbero dimostrato a intere moltitudini di essere la razza superiore per eccellenza.

Ma per farlo avrebbero prima dovuto abbassarsi ad usare i migliori delle razze inferiori.

Un piccolo prezzo che valeva la pena pagare per ottenere il trionfo assoluto.

Lo stesso valeva per il sacrificio che aveva appena dovuto compiere Megatron stesso.

Che toccò la robusta e spessa piastra pettorale posta a protezione della sua Scintilla vitale.

E anziché di uno, era meglio parlare di due sacrifici.


“Wow, che storia, sembra davvero un film di fantascienza. E hai pensato a come tornare? I tuoi Autobots saranno in pensiero per te”.

La narrazione di Optimus sulla sua storia aveva chiaramente eccitato Asuna.

“Non lo so. Non ci ho pensato ancora. Prima dovranno essere sconfitti i Decepticons. Se non sarà possibile, mi adatterò a vivere qui” fu la risposta.

Era ormai da mezz’ora che correvano in quella lunga galleria.

Ma ne sarebbero usciti sicuramente, dato che i sensori di Optimus aveva già rilevato l’uscita.

“Tra poco saremo fuori” avvertì l’Autobot “Abbiamo il vantaggio della sorpresa, i Decepticons ci credono morti. Quindi potremo usare la stessa entrata di prima. Troviamo le tue amiche e chiamiamo rinforzi”.

“E come? “ domandò Asuna.

“Io ho bisogno di un terminale per collegarmi ad internet e a Magic-net. Ma se raggiungiamo i computer dei Decepticons potremo non solo avvertire i maghi, ma anche inviare loro tutto il materiale sul nemico, in modo che sappiano cosa aspettarsi”.

“Però come faremo ad entrare dallo stesso punto? Il ponte è crollato, il pozzo ostruito”.

“Penso che non avremo problemi invece. Siamo arrivati”.

La galleria terminò vicino alla costa e finalmente Asuna rivide il cielo.

Prontamente scese dal camion, Optimus si trasformò e se la caricò sulle spalle.

Poi cominciò agilmente a correre lungo la scogliera frastagliata, fino a raggiunge la grotta leggermente sommersa da cui erano entrambi entrati la prima volta.

Optimus premette il pulsante nascosto, la porta si aprì e si inoltrarono nuovamente in quel corridoio.

“Ricordati” disse Prime alla sua compagna “che quasi sicuramente la magia non funziona su noi cybertroniani. Ma le analisi sull’energia chiamata Ki che ho compiuto su Magic-net, indicano che questo tipo di energia funziona. Se attacchi, dovrai usare il Ki”.

Asuna annuì ed evocò la sua spada, Optimus la fece scendere ed estrasse uno dei suoi fucili.

Non incontrarono nessuno e raggiunsero l’ingresso al pozzo.

Ostruito dalle rocce che avevano riempito quest’ultimo.

Asuna si guardò in giro. “E adesso?”

Optimus fece scorrere la mano libera lungo la parete che precedeva la porta bloccata. “Prima che tu arrivassi, dietro di me era sbucato dal nulla uno dei Decepticons, Soundwave. Mi ha colpito e spinto sopra il ponte. Megatron le ha davvero pensate tutte. Ci deve essere una porta mimetizzata qui.. ed eccola infatti. E’ nascosta molto bene, la capti con i sensori tattili ma è invisibile ai sensori a lungo raggio. Per questo la prima volta non l’ho notata”.

La mano del robot scorse da sopra a sotto su una porzione del muro.

Optimus tirò fuori la sua spada, la conficcò nel muro.

E una grossa porzione del muro scivolò via.

“Ho distrutto la serratura. Ora muoviamoci”.

I due percorsero un altro corridoio e infine arrivarono in una stanza gigantesca con le pareti ricoperte da macchinari con strane forme.

Optimus e Asuna si addentrarono in quel nuovo luogo.

“Cos’è questo posto?” domandò la ragazza.

“E’ un laboratorio” rispose Prime. “I miei sensori indicano che la materia è di origine terrestre, ma la tecnica di costruzione è cybertroniana”.

Asuna osservava quelle astruse apparecchiature.

Non si azzardò neppure a immaginare la loro funzione.

Erano già impressionanti le loro dimensioni.

Quello era chiaramente un luogo frequentato da giganti: le pareti e i congegni dovevano essere alti almeno una ventina di metri.

Guardandosi attorno, notò alcuni oggetti che le erano familiari, ovvero tavoli in metallo e sedili.

Alti tuttavia almeno tre metri.

E alcuni ancora di più.

Evidentemente quei Decepticons non avevano tutti la stessa altezza.

“Ho trovato un terminale per chiamare rinforzi” disse Prime dirigendosi verso una poltrona che stava davanti ad un grosso schermo.

La poltrona era parecchio alta, eppure Optimus ci si sedette sopra senza problemi, prese Asuna e la poggiò sulla consolle.

Poi con sicurezza cominciò a premere i pulsanti di una enorme tastiera.

Lo schermo si accese, riempiendosi di scritte simili a geroglifici, incomprensibili per Asuna.

Che suggerì: “Oltre a chiamare qualcuno, sarà meglio cercare di scoprire cosa vogliono fare i Decepticons”.

“infatti” disse Prime, che iniziò a scandagliare il contenuto del computer.

Intere colonne di misteriose scritte apparvero succedendosi a gran ritmo.

Asuna trovò fastidiosi quei segni cosi veloci. “Hai il tempo di leggere quelle scritte?”

“Si, il nostro tempo di lettura è minore del vostro” spiegò Prime “Userò i termini che usate voi umani per i vostri computer e il vostro calendario. I file più vecchi portano la data del 1910, ovvero quando hanno cominciato a costruire questa base”.

Asuna emise un fischio. “1910!? Cavolo, ma da quanto tempo quei Decepticons sono sulla Terra?”

“I dati sulla zona in cui sono caduti indicano che si trovava in Siberia. Era una località chiamata Tunguska. Ed era il 1908. Ho dei dati su Tunguska. Un enorme e sconosciuto corpo luminoso esplose vicino al terreno di una foresta. L’esplosione rase al suolo chilometri di alberi creando anche un piccolo lago. Gli studiosi terrestri pensano ad un meteorite o ad una cometa”.

“E invece si trattava della violenta entrata in scena del nemico. Ma tu hai detto di essere entrato in quel portale poco dopo che vi erano entrati loro. Allora come mai sei arrivato adesso e in maniera molto più silenziosa?”

“Posso ipotizzare che per qualche misterioso principio fisico, il minuto trascorso tra la loro partenza e la mia si è trasformato in decenni sulla Terra. Inoltre io sono partito quando il portale stava per esaurirsi, quindi la poca energia rimasta mi ha fatto compiere un arrivo più tranquillo”.

Prime riprese a digitare sulla tastiera. “Questo è molto interessante. C’è una sezione sui mutamenti fisiologici provocati dalle energie del portale”.

“Mutamenti fisiologici?!” commentò perplessa Asuna.

“Si, è davvero incredibile! Le energie del portale hanno modificato la struttura molecolare dei Decepticons, permettendo loro di fondersi fisicamente con gli esseri umani. In un rapporto simbiotico. E la procedura è semplicissima: basta far toccare alla vittima la Scintilla che noi cybertroniani abbiamo nel petto, il nostro cuore. Una volta fatto questo, i Decepticons possono passare dal loro aspetto originale ad un aspetto umano e viceversa. Possono mimetizzarsi alla perfezione tra gli umani. Non oso pensare cosa provano le vittime fuse con quei malvagi. Per cambiare l’aspetto umano devono fondersi con un’altra persona il cui dna va a sostituire quello precedente”.

Asuna rabbrividì. Perché le venne un sospetto. “E il processo può essere invertito?” domandò ansiosa.

“Non lo dicono. Non devono essersene preoccupati. Deve essergli bastato sapere che potevano ripetere quell’operazione a loro piacimento. Comunque non credo che abbiano usato questo sistema con le tue compagne. Loro sono 28, più quel Negi. I Decepticons sono solo sette” la tranquillizzò Prime. “Comunque c’è una stranezza. Dentro questo programma c’è un sotto-file criptato. Hanno usato la chiave Omega per coprirlo”.

“Chiave Omega?”

“E’ un particolare codice di sicurezza, impossibile da decriptare. Soltanto io e Megatron lo conosciamo. Lo usavamo per dati particolarmente preziosi”.

Optimum usò quel codice. “Ah, i Decepticons sanno di essere immuni alla magia. Ma la loro refrattarietà alla magia gli impedisce anche di usarla. Però il file nascosto dice che se un Decepticon si fonde con un mago, allora potrà usarne i poteri. Anzi, in questo modo annullerà persino l’immunità propria dei cybertroniani”.

Asuna si accigliò. “E allora perché questi dati sono nascosti?”

Optimus ci rimuginò sopra. “Probabilmente perché Megatron non voleva correre il rischio che i suoi seguaci diventassero più forti di lui. I Decepticons, tranne Soundwave, seguono Megatron per paura. Se potessero, non ci penserebbero due volte a ribellarsi”.

“Capisco. Ma quei dati non dicono niente sulle mie compagne?”

Il leader Autobot riprese la ricerca. “Ne parlano eccome. I Decepticons hanno selezionato la tua classe dopo aver controllato nel mondo magico quali fossero gli umani col maggior potenziale. E la III A è risultata essere il maggior concentrato di potenziale magico del mondo”.

Asuna sentì un altro brivido lungo la schiena. “Oh mio Dio! Allora cosa gli avranno fatto?”

Altri file vennero aperti da Optimus, che si bloccò.

Asuna si preoccupò ancora di più. “Che… che succede?”

“Ho trovato una cosa davvero strana. In questo file è contenuta la voce ‘Marchiatura’. L’ho aperta e come fonte mi indica… questo!”

Sullo schermo apparve un qualcosa che Asuna non si sarebbe mai aspettata: un albo a fumetti.

Non riusciva a leggerlo bene, perché scritto in inglese.

Optimus continuò a leggere i dati. “E’ un fumetto americano. I Decepticons si sono concentrati sulla vicenda della protagonista, tale Rachel Summers. In questo numero si narra di come un cattivo del futuro, Ahab, abbia sottoposto questa Rachel e altre persone ad un processo chiamato marchiatura. Il processo consiste nel riscrivere il dna delle persone, in modo da inserirvi un’obbedienza assoluta nei confronti di Ahab. Non è come l’ipnosi o il lavaggio del cervello. Non è una questione di forza di volontà. Per la vittima obbedire al suo aguzzino diventa naturale e necessario quanto il mangiare o il respirare. E sembra che i Decepticons siano riusciti a replicare questa invenzione fumettistica”.

“Però non capisco cosa c’entra con i Dece…”

Asuna impallidì.

Era cosi ovvio.

“Marchiatura…. Marchiate…. Come se fossero schiave… o bestiame…”

La giovane cadde in ginocchio, cominciando a piangere.

Silenziosamente, a capo chino.

Optimus la guardò, non sapendo cosa fare.

Non le aveva detto tutto, e cioè che stando a quei dati i Decepticons neanche stavolta si erano preoccupati di stabilire se quella marchiatura era un processo reversibile o meno.

La possibilità di rimediare, e quella di non poter fare nulla, andavano quindi di pari passo.

E non le aveva detto neppure dell’ennesima stranezza: secondo quei file, Megatron aveva ordinato a Soundwave di far credere morti Evangeline MacDowell e Negi Springfield.

Improvvisamente i suoi sensori di movimento rivelarono qualcosa che si stava avvicinando.

Optimus spense i dati dal computer, prese Asuna e si riparò dietro alcune colonne vicine al corridoio da cui erano arrivati.

Se avesse provato a correre, chi stava arrivando lo avrebbe sicuramente rilevato.

Quindi abbassò al minimo i suoi flussi di energia.

La luminosità dei suoi occhi diminuì.

Era una procedura rischiosa, ci volevano quindici secondi per riportare l’energia al massimo.

E in quindici secondi un Decepticon poteva fare molte cose.

Si aprì una porta ed entrò Soundwave.

Nelle mani teneva due capsule, con dentro Konoka e Hakase addormentate.

Asuna sussultò a quella vista.

I suoi occhi da disperati divennero rabbiosi.

Optimus se ne accorse e allora emise un sottilissimo raggio olografico dagli occhi, un raggio che si fermò proprio davanti ad Asuna, formando una frase in giapponese sospesa in aria.

“Non muoverti e non fare rumore. Stai calma e vediamo cosa succede. Quello è Soundwave”.

Asuna si trattenne, mentre Soundwave premette i pulsanti di una tastiera sul muro.

Il muro si aprì rivelando la presenza di due croci a X, con dei blocchi alle sommità.

Dietro le croci c’era una specie di griglia rossa.

Con grande attenzione Soundwave poggiò le due capsule a terra, prese le ragazze e le mise sulle croci.

I blocchi scattarono intorno ai polsi e alle caviglie delle prigioniere.

Soundwave tirò fuori una sorta di telecomando e lo attivò, la griglia cominciò ad emettere energia, energia che poi passò alle croci.

Konoka e Hakase gridarono per il dolore.

“NOOOO!!” gridò Asuna.

“Allarme!” esclamò sorpreso Soundwave, che fece uscire dalla sua spalla destra un cannone.

Prime riportò al massimo la sua energia.

Ma per farlo gli occorrevano quindici secondi.

E Soundwave fece in tempo a colpirlo con una scarica al plasma, scaraventandolo contro una parete che poi gli franò addosso.

Asuna però era già scesa dalla sua mano, e si lanciò contro Soundwave con la sua spada.

Il Decepticon la afferrò al volo con la mano sinistra. “Sciocca umana. I poteri magici di voi terrestri non possono nulla contro di noi. E non puoi fare più niente per loro due, il processo è istantaneo. E tra poco lo proverai di…”

Uno strano segnale sonoro arrivò dalla griglia.

Il volto di Soundwave non poteva assumere espressioni.

Ma la sua voce indicava uno stupore totale. “Non può essere! Che significa?!”

Lo stupore gli fece allentare la presa mentre controllava il telecomando.

Asuna ne approfittò per liberarsi le braccia e lanciare come un boomerang la sua spada.

Ma non contro il nemico, bensì contro una colonna metallica che stava dietro di lui.

Che venne tranciata in pieno e cadde.

Soundwave se ne accorse e si lanciò in avanti evitandola per un soffio.

Ma ad attenderlo più avanti c’era Optimus Prime, ripresosi del tutto.

L’Autobot menò un fendente con la sua spada che tagliò la mano del nemico liberando Asuna.

E con un altro fendente gli tagliò in due il cannone al plasma.

Soundwave urlò per il dolore e la sorpresa.

Dalla gamba destra tirò fuori una pistola e fece per afferrarla.

Asuna furiosa gli saltò addosso piazzandosi proprio davanti alla sua faccia e gli menò un pugno fortissimo sulla visiera che fungeva da occhio, danneggiandola parecchio.

“Bastardo! Marchiati questo!” esclamò rabbiosa la ragazza.

Senza una mano, la sua arma principale e con i sensori visivi danneggiati, Soundwave optò per la fuga, passando per dove era arrivato e chiudendo la porta.

“Una volta era più letale. Ma i mini-Decepticons che teneva nel petto sono morti da tempo” commentò Optimus.

Asuna corse da Konoka e Hakase, liberandole a mani nude dai blocchi.

“Notevole” pensò Prime mentre recuperava il telecomando che Soundwave aveva lasciato cadere.

Sopra un pulsante c’era un piccolo schermo.

Asuna scuoteva le sue amiche. “Ragazze! State bene? Rispondetemi, vi prego! Optimus!”

“Stanno bene. Qui c’è scritto che il processo è fallito. La taratura genetica è stata sbagliata, quindi il meccanismo di marchiatura non è stato reso compatibile col loro dna” rispose Prime.

“Grazie a Dio!”

Optimus si chinò sulle due ragazze e le scandagliò. “Devono avergli somministrato un sedativo. Aspetta”.

L’Autobot con due dita toccò le teste di Konoka e Hakase.

Che furono attraversate da una piccola scarica energetica.

“Tra qualche minuto si riprenderanno. Resta con loro, io inseguo Soundwave”.

Optimus corse dietro il nemico sfondando la porta col suo peso.

Attraversò un enorme corridoio di forma ottagonale, con al centro una passerella.

Improvvisamente avvertì un cambiamento di pressione nell’aria.

Ci furono tre esplosioni di luce, simili a lampi, all’altra sommità del corridoio.

Prime rallentò il passo tirando fuori uno dei suoi fucili.

E quando uscì, si ritrovò in una smisurata caverna: addossati sulla parete più esterna c’erano tre grossi cerchi, collegati ciascuno con delle passerelle ad una pedana centrale, che un’altra passerella collegava al corridoio dove si trovava lui.

Prime notò una piccola figura incappucciata ferma sulla pedana centrale.

Era chiaramente un essere umano, gli dava le spalle, ma dalle dimensioni non poteva certo essere un adulto.

“Chi sei?” domandò Prime.

La figura si girò: era un ragazzo, che avrà avuto quindici/venti anni, secondo i calcoli terrestri.

Il giovane sorrise alla vista di Optimus.

Quest’ultimo controllò nella sua memoria se c’erano dati sull’identità di quel terrestre.

E non c’erano.

Però la sua memoria lo avvertì che alcuni tratti corrispondevano a quelli di una persona ben conosciuta.

Optimus effettuò le dovute modifiche, ringiovanendo il volto dello sconosciuto.

E ottenne la risposta. “Tu sei Negi Springfield!” esclamò.

Negi piegò la testa su un lato.

Poi il suo sorriso si trasformò in un ghigno.

E i suoi occhi divennero rosso fuoco.

“Non esattamente, fratello”.

  
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