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Autore: Grim_KingCobra    15/11/2016    0 recensioni
Tom Marvolo Riddle: l’infanzia, l’adolescenza, la “trasformazione” in Lord Voldemort. Come un bambino dallo strano taglio di capelli diventa il più grande Mago Oscuro che la Gran Bretagna abbia mai visto.
NB: le parti racchiuse da «» sono prese direttamente dai libri di Harry Potter
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Altro contesto
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Alla porta dell’orfanotrofio non bussava quasi mai nessuno. La direttrice aveva sempre paura di trovarsi davanti un altro bambino senza una casa, oppure un genitore che per scelta o per necessità non poteva più occuparsi di suo figlio. Quella mattina era già pronta, a malincuore, ad indicare un altro orfanotrofio perché erano mesi che era al completo, ma quando aprì la porta si trovò davanti una figura inaspettata. L’uomo era incredibilmente alto, sembrava più stanco che anziano, ma aveva il viso dolce, la barba grigia che gli copriva il petto e un insolito lunghissimo capotto. “Salve, sono Albus Percival Silente, è l’Orfanotrofio Wool?” disse Silente gentilmente. “Salve, sì mi dica, come posso aiutarla?” rispose la signora Cole, sollevata di aver aperto la porta ad un adulto. “Cercavo un bambino. Sono un insegnante di una scuola fuori città e Tom risulta iscritto, sono venuto a prenderlo, se per lei va bene” “Aspetti…Tom? Intende Tom Riddle? Ma ne è sicuro?” disse la direttrice incredula, mentre invitava il suo ospite ad entrare. Gli fece strada verso il suo ufficio, aprì la porta e lo fece accomodare su una poltrona difronte ad un piccolo tavolino da thè in legno un po’ traballante. Silente si mise a sedere mentre cercava di spiegare l’esistenza di una scuola che per i babbani non doveva esistere. “Sì esatto è proprio lui. Sa, noi trattiamo casi difficili come questi, abbiamo ricevuto il fascicolo di Tom, siamo in costante contatto con il comune…” non ebbe il tempo di finire la frase che venne interrotto. “Ah sì benissimo, avevo detto che qualcuno doveva preoccuparsi dell’istruzione di questi ragazzi” “Dove ha detto che si trova questa scuola?” riprese senza prendere fiato. “Fuori città, molto fuori” rispose Silente in fretta. “Ah, capisco. Bene, vuole vedere il ragazzo?” Silente annuì e la seguì giù per le scale, verso le camerate. Si fermarono davanti la numero 6. La signora Cole lasciò entrare Silente che riconobbe subito il giovane Tom che sedeva da solo sul suo letto. «Come stai, Tom?» chiese Silente. Tom non si girò a guardare chi era arrivato. Il suo sguardo era fisso su un gruppo di ragazzi, un paio d’anni più grandi di lui, che parlavano a qualche letto di distanza dal suo. Silente notò che lo sguardo non era né d’odio né di rancore, ma d’interesse, un interesse strano, certo, ma non cattivo, almeno non sembrava cattivo. Dopo qualche secondo Tom si girò, guardò quell’uomo alto negli occhi e con aria disinteressata disse “Chi è lei? Come fa a sapere il mio nome?” «[…] Mi chiamo professor Silente e sono venuto a offrirti un posto a Hogwarts, la mia scuola... la tua nuova scuola, se vorrai venire». Tom lo guardò incredulo. In 11 anni non era mai venuto nessuno a trovarlo. In 11 anni nessuno si era mai interessato minimamente a lui, tranne la direttrice: aveva un rapporto di sincero rispetto con lei. In 11 anni, quell’uomo barbuto era l’unica persona estranea all’orfanotrofio con cui avesse parlato, e gli stava offrendo un posto in una scuola? Perché? Perché proprio a lui e non a qualcun altro? “Perché?” chiese alla fine Tom, i pensieri che aveva in testa uscirono praticamente da soli. “Sai, Tom, la mia è una scuola speciale, non possono venirci tutti” “Io sono speciale” ammise “Lo so, per questo sono qui” si interruppe, ma poi riprese “Ad Hogwarts sono tutti ragazzi speciali come te” Gli occhi di Tom si illuminarono. Era la prima volta che sentiva dell’esistenza di altri come lui, iniziò a pensare che forse non sarebbe stato ‘quello strano’ per sempre. “Ma… ma io non sono pazzo, sono diverso ma non pazzo” iniziò a diventare sospettoso. «Lo so che non sei pazzo. Hogwarts non è una scuola per pazzi. È una scuola di magia». Silenzio. Lo sguardo di Tom passò da stupore a eccitazione in meno di due secondi. Magia: quella parola gli rimbombava in testa. Era una possibile spiegazione razionale a tutto? Era un mago? Per questo era diverso, per questo i suoi compagni non lo capivano? E Penelope? Era l’unica che aveva provato a capirlo, anche se non c’era riuscita del tutto. Era una maga anche lei? La testa iniziava a scoppiargli. Ripercorse tutte le cose strane accadute lì dentro, tutti gli avvenimenti che non avrebbero altra spiegazione se non la magia. Forse era vero, forse era davvero un mago, ma come poteva fidarsi di quell’uomo? Una delle poche cose imparate fino a quel momento era il classico e sacrosanto ‘non fidarsi di nessuno’. Ma la curiosità era troppo grande per non dare corda a quel cosiddetto Professore. «È... è magia, quella che so fare?» non riusciva a mascherare la sua eccitazione. Silente se ne accorse, e incuriosito forse più di Tom, chiese: «Che cos'è che sai fare?» «Di tutto» […] «Muovo le cose senza toccarle. Faccio fare agli animali quello che voglio senza addestrarli. Faccio capitare cose brutte a chi mi dà fastidio. So ferirli, se voglio». Calò di nuovo il silenzio. Silente di certo non si aspettava una risposta del genere. Non era la prima volta che un professore di Hogwarts andava a trovare nati babbani per invitarli nel mondo magico. Era un compito noioso in realtà: cercare le parole per spiegare a 11enni e, soprattutto, ai loro genitori l’esistenza di bacchette, pozioni e incantesimi non era semplice. Molto spesso qualche genitore babbano sveniva dallo shock, quindi toccava anche far riprendere i sensi ai deboli di cuore. Non era la prima volta, invece, che un mago veniva ‘scoperto’ in un orfanotrofio: in questo caso era più semplice, andava convinto praticamente solo il ragazzo, quanti orfanotrofi cercano di tenersi i bambini fino a 18 anni? Silente per la prima volta si era offerto volontario, per andare a trovare Tom, perchè voleva conoscere di persona l’erede di Salazar Serpeverde. Sapeva la storia della madre, della ‘nobile’ discendenza, della sua relazione con il giovane babbano Riddle. Era curioso e allo stesso tempo preoccupato di come sarebbe stato quell’incontro, di come avrebbe reagito Tom sapendo di essere un mago, sapendo di essere un Serpeverde di nascita. Ovviamente non gli avrebbe mai rilevato l’origine della sua famiglia in quell’occasione: sarebbe arrivo il momento adatto, anche se non sapeva ancora quando. La chiacchierata con l’erede di Salazar aveva preso una piega non del tutto inaspettata ma comunque strana. Silente guardò Tom senza dire una parola, il suo sguardo era un misto di stupore, curiosità e paura: come può un ragazzo di appena 11 anni pensare di utilizzare i propri poteri magici per fare del male? Rifiutandosi di vedere della cattiveria intrinseca in Tom, spiegò quella reazione come la difesa di un bambino abbandonato alla nascita e isolato dai suoi compagni. L’occasione per lui di andare via dall’orfanotrofio era un assoluto riscatto, aveva la possibilità di ricominciare daccapo, farsi degli amici, avere una famiglia. «A Hogwarts» continuò Silente, «si insegna non solo a usare la magia, ma a controllarla. Tu, di sicuro inavvertitamente, hai usato i tuoi poteri in un modo che non viene né insegnato né ammesso nella nostra scuola. Non sei il primo, e non sarai l'ultimo, che consente alla propria magia di prendere il sopravvento: ma devi sapere che Hogwarts può espellere gli studenti, e che il Ministero della Magia - sì, esiste un Ministero - punisce chi infrange la legge con severità ancora maggiore. Tutti i nuovi maghi devono accettare, entrando nel nostro mondo, di attenersi alle nostre leggi». Alla notizia delle regole da seguire e dell’esistenza di un Ministero Tom non sembrò sorpreso, piuttosto infastidito: si sentiva prigioniero di leggi e comportamenti che avrebbe volentieri abolito all’interno dell’orfanotrofio ed era sicuro che ci sarebbero state regole altrettanto incomprensibili e assurde in quella nuova scuola. Nascondendo ogni tipo di emozione si limitò ad annuire e a cambiare velocemente argomento, passando a una questione che non aveva mai affrontato con nessuno fino a quel momento. «Mio padre era un mago? Si chiamava anche lui Tom Riddle, mi hanno detto». «Temo di non saperlo» rispose Silente con dolcezza. Naturalmente mentiva, ma sapeva benissimo che non era il luogo e il momento adatto per rivelare questo tipo di cose. «Mia madre non può essere stata magica, se no non sarebbe morta» Era come riaprire una vecchia ferita che non si è mei rimarginata completamente. Tom si era sempre sentito abbandonato dalla madre, pur sapendo che era morta poco dopo la sua nascita (dinamica che certamente non dipendeva da lei). Pur sapendo che sua madre non avrebbe voluto lasciarlo, dentro di sé si era sempre sentito ferito da questa morte improvvisa, come se la madre, ai suoi occhi, non avesse lottato abbastanza per rimanere in vita, come se suo figlio non fosse un motivo sufficientemente valido per resistere. A maggior ragione l’idea che la madre fosse una maga sperava fosse impossibile: sarebbe stata la prova inconfutabile che non le importava niente di lui se, pur disponendo di poteri ai più sconosciuti, non era rimasta.
   
 
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