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Autore: LarcheeX    16/11/2016    0 recensioni
Olivia non è mai stata entusiasta di niente, men che meno del momento in cui sua madre le ha imposto il trasferimento dai tranquilli e anonimi sobborghi attorno a Newhaven alla frenetica Londra.
Sebbene abbia di fronte a sé la promessa di un futuro più emozionante di quello che la aspetta nella campagna inglese, è ritrosa e intimorita: varrà la pena uscire dalla propria zona di comfort?
La semplice storia di un'avventura da tutti i giorni: quelle amicizie che rendono i giorni meno grigi, quell'amore che rende le ore più luminose, quelle occasioni che rendono la vita degna di essere vissuta.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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1. Nobody's Home

La giornata era cominciata col tedio usuale, sebbene con piccole e apparentemente impercettibili differenze che trovarono risoluzione solo la sera con una delle notizie più traumatiche che avesse mai ricevuto.
Come aveva fatto ogni giorno fino a quel fantomatico ventuno di novembre, Olivia si era alzata al suono della sveglia del cellulare, e si era seduta sul letto, ancora avvolta dalle coperte di lana, nella contemplazione ottusa che coglie chi è costretto a destarsi contro la propria volontà. Sapeva di essere piena di cose da fare e posti dove andare, ma rimaneva imbambolata a fissare il vuoto, assonnata.
Quando la seconda sveglia cominciò a squillare, si decise ad uscire da quella trance mattutina e prepararsi per la scuola: strisciò i piedi fino all’armadio, si tuffò dentro una rassicurante felpa e un largo paio di jeans, e, allacciatesi le consunte scarpe da ginnastica, si era diretta con stanchi passi verso il bagno. Non dedicò moltissimo tempo alla propria immagine riflessa, non essendo né capace né interessata a truccarsi, per cui scrutò per qualche secondo le lentiggini sul naso e sulle guance magre, strizzando gli occhi per la luce, le sopracciglia disordinate, un paio di insignificanti brufoletti sulla fronte, resistente remora di un’adolescenza giunta al termine, per poi dedicarsi a tolettatura e denti.
Avrebbe dovuto fare colazione, ma non si era abituata a farla quando avrebbe dovuto e dopo tanti anni faticava a far scivolare qualsiasi cosa, solida o liquida che fosse, dentro il proprio stomaco in un orario precedente alle undici del mattino.
Afferrato lo zaino, dedicò un’ultima occhiata alla propria immagine riflessa, appiattendosi con le mani i capelli corti per evitare che denunciassero troppo esplicitamente la sua poca voglia di pettinarsi.
« Ma’ vado » annunciò con fare atono, uscita dalla propria camera, dirigendosi verso la porta d’ingresso, e sua madre emise un suono di assenso, impegnata com’era sullo schermo del computer.
Strano, pensò.
Prese in mano le chiavi di casa e uscì.
Il cielo era grigio, coperto di nuvole, e trasmetteva il proprio colore smorto a qualsiasi cosa si trovasse sotto: erano color topo le macchine, di piombo le strade e color gainsboro i volti delle persone che popolavano come fantasmi quel martedì mattina nel suo piccolo paese. La quiete delle sei e mezza faceva sembrare quel paesaggio semi-urbano come se facesse parte del set di un film muto, in bianco e nero, ugualmente noioso, aggiunse poi Olivia tra sé e sé.
Camminò in silenzio, con le cuffiette ben calcate dentro le orecchie per escludere ogni suono esterno, concentrata sulle note degli She wants revenge come se stesse ascoltando l’omelia di un pastore dopo la lettura del Vangelo, fermandosi solo per aspettare l’autobus alla solita fermata.
Abitando in un paese che non aveva il lusso di ospitare un liceo tra i pochi edifici comunali, era costretta a viaggiare verso Newhaven, nelle cui strutture scolastiche confluivano quasi tutti i giovani della zona sud-est dell’East Sussex.
Olivia detestava doversi svegliare prima per compiere quella traversata, e detestava i suoi genitori quando elogiavano la tranquillità di quell’insulso villaggio immerso in un’odiosa campagna priva di attrattiva, ma dopo anni di alzatacce e mugugni, si era tristemente abituata a quella pesante routine.
Prendeva l’autobus alle sei e mezza per poter stare alle sette e un quarto alla stazione di Newhaven, per poi camminare per venti o venticinque minuti fino alla sua scuola, che apriva l’accesso alle lezioni alle otto.
Alla stazione incontrava puntualmente Coreen, vestita di tutto punto, avvolta in un adorabile cappottino con i bottoni giganti, le gambe magre e toniche che spuntavano dalla gonna, che la salutava muovendo il braccio a cui era appesa la borsa.
Olivia conosceva Coreen dalle elementari, perché erano finite vicine di banco e avevano fatto amicizia perché entrambe avevano lo stesso astuccio rosa e viola, e avrebbe davvero voluto descrivere la loro amicizia come “forte” o “solida” a scapito delle differenze che erano fiorite dall’inizio del liceo, ma, in fondo al proprio cuore, sapeva che non fosse possibile.
Coreen era rimasta affascinata dalle lusinghe della popolarità, e faceva di tutto per rientrare tra le grazie della fauna del sesso opposto: aveva fatto crescere i capelli e se li piastrava accuratamente ogni mattina, si truccava con precisione, sfumando l’ombretto e dipingendo con particolare maestria la linea dell’eyeliner, applicando maschere di fondotinta e blush per rendere più aggraziato il proprio viso, e si vestiva con abiti deliziosi, femminili, che sul suo corpo scolpito da esercizi casalinghi ma costanti risultavano perfetti.
Olivia non condannava quel modo di acconciarsi, e, anzi, lo trovava estremamente adatto per lei, ed era contenta che Coreen si trovasse a proprio agio con quello che indossava, ma non riusciva a togliersi dalla mente che fossero stati i vestiti alla moda il triste inizio di quella convivenza leziosa: insieme al desiderio di apparire appetibile ai maschi, aveva cominciato a sviluppare un carattere sempre accondiscendente, sempre gradevole, sempre amichevole, volubile, a seconda delle persone con cui si accompagnava, vagamente ipocrita, ed era stato quel cambiamento a far ritrarre Olivia.
Non l’aveva mai difesa nei momenti in cui qualche ragazzetto borioso l’aveva presa in giro per la sua sciattaggine, non mancava di rimarcare quanto poco si curasse, talvolta si dimenticava di rispondere ai suoi messaggi e spesso ignorava i tag che Olivia le indirizzava sui social network, ma non riusciva a liberarsi di lei.
Non tutto era diventato negativo, e non poteva certo dimenticare i pomeriggi in cui Coreen la portava a Brighton con la macchina, in cui passeggiavano chiacchierando con leggerezza lungo le banchine o i moli sul mare, o di quelli che passavano a sfogliare riviste ridacchiando, o a guardare con desiderio i profili dei bei ragazzi dei dintorni, ascoltando le canzoni che amavano, o a pianificare qualche uscita notturna a dispetto dei rispettivi coprifuoco.
Con quei pensieri contrastanti a frullarle nelle orecchie, una volta arrivata alla stazione, si sfilò le cuffiette dalle orecchie e corse incontro alla sua amica che come ogni giorno la aspettava sotto una tettoia, dopo aver parcheggiato la macchina.
« Buongiorno » la salutò, col tono ancora smorzato dal sonno.
« Ciao Oli. »
Camminarono fino a scuola, scambiando di tanto in tanto qualche parola sul tempo, o su quello che avevano fatto in classe, o su cosa si aspettavano in classe. Come al solito, Coreen aveva cominciato a lamentarsi del ragazzo con cui era uscita, di quanto non le piacesse fare sesso orale con lui, di quanto puzzasse la sua area genitale, con la solita aria di superiorità e alterigia che la caratterizzava, e Olivia si ritrovò ad ascoltare in silenzio, alzando gli occhi al cielo di tanto in tanto, ma per fortuna quella lieve tortura giunse prematuramente ad una fine, perché arrivarono davanti all’ingresso della scuola.
« Vado a salutare qualche amica, ci vediamo a pranzo? » si era congedata Coreen, e, senza nemmeno aspettare che rispondesse, si fiondò verso un trio di ragazze dai capelli lunghi almeno quanto i suoi.
Sapeva che a pranzo non si sarebbero viste, per un motivo o per un altro, per cui non si preoccupò nemmeno di infastidirsi per quel comportamento insensibile, ed entrò, trovando posto nell’aula ancora vuota. Avrebbe, come al solito, consumato un pasto rapido e solitario nell’angolo più remoto della mensa, nella speranza di essere notata il meno possibile.
Non era mai stata particolarmente brillante a scuola, probabilmente perché trovava difficile concentrarsi in un posto pieno di persone, per cui non ricordava mai nulla in particolare di quanto accadesse. Pure le materie che aveva scelto per l’esame finale non avevano attrattiva, e compilava ogni questionario e eseguiva ogni compito con inerzia, strappando un voto attorno al settanta su cento, bastevole ai suoi genitori per non lamentarsi del suo scarso rendimento scolastico.
Essendo le sue capacità sociali piuttosto scarse, inoltre, non aveva stretto amicizia con nessuno di coloro che frequentavano i corsi con lei, altro motivo per il quale glissava sempre sul periodo scolastico con completo disinteresse. In più, era talmente anonima che persino i professori tendevano a dimenticarsi di lei, e non la riprendevano se era distratta né la elogiavano se migliorava.
Il momento più interessante era l’uscita, e focalizzava tutta la sua attenzione su quella.
Durante le ore di lezione non faceva altro che pensare a cosa avrebbe fatto in particolare, appena messo piede fuori dall’istituto, pregustava il the che avrebbe versato nella solita tazza, il film o l’episodio che avrebbe guardato, la cena che avrebbe mangiato…
O comunque, tutte quelle occupazioni in cui si sarebbe immersa volentieri se, appena tornata a casa, sua madre non l’avesse trafitta con un gelido: « Tesoro, tra due settimane ci trasferiamo a Londra. »
  
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