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Autore: Bad Devil    18/11/2016    1 recensioni
“Niente... pensavo solo che potrei abituarmi a questo.”
“Vedermi mangiare?”
Edward rise, quasi soffocandosi col proprio boccone. Attinse disperatamente al proprio bicchiere d’acqua, scongiurando la morte e prendendo tempo per formulare la propria risposta. Ci aveva pensato parecchio durante la giornata e, col passare delle ore, gli sembrava l’occasione migliore che avesse avuto fin’ora per dirglielo.
“Intendevo... avere qualcuno con cui parlare... un amico?”
[PRE-SLASH Scriddler / RiddleCrow ][Prequel][Menzione di Abuso e Violenza]
[AU - Parte della raccolta "Riddler's Box of Memories"]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L'Enigmista, Scarecrow
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Riddler's Box of Memories'
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Titolo: “The Chronicles of the Scrawny Cat and the Boy who wanted better things”
Autore: Cadaveria Ragnarsson
Fandom: Batman
Personaggi: Jonathan "Scarecrow" Crane; Edward "The Riddler" Nygma
Pairing: Nessuno; Pre-Scriddler
Genere: Malinconico, Angst
Rating: R
Avvertimenti: Menzione di Abuso e Violenza
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non sono reali, né di mia proprietà. Inoltre sono maggiorenni. Non ho nessun diritto legale su di loro a differenza degli autori e, dalla pubblicazione di questo scritto, non vi ricavo un benché minimo centesimo.

Note: Questa storia fa parte della raccolta "Riddler's Box of Memories", concettualmente basata sull'idea di Edward e Jonathan cresciuti insieme, prima di diventare i villains di Gotham.



The Chronicles of
the Scrawny Cat and the Boy who wanted better things



Era il secondo fine settimana in cui Mary Keeny sarebbe stata fuori città, il quinto da quando lei e Jonathan si erano trasferiti da Arlen. Avevano venduto la proprietà (“che tu, piccolo bastardo, non erediterai!”) e cercato un posto più quieto dove vivere, lontano dalle chiacchiere e le male lingue che la bisnonna aveva mal sopportato negli anni, soprattutto da quando la meretrice ingrata di sua nipote Karen si era fatta ingravidare dal primo uomo su cui aveva messo gli occhi addosso, portando vergogna sul nome già infangato della famiglia Keeny. Jonathan avrebbe voluto capire cosa si provasse a sentire disprezzo sul nome della propria casata, ma la bisnonna, quando aveva escluso l’idea di seppellirlo vivo e in fasce come proposto dalla figlia, aveva rifiutato di dargli il suo cognome in favore di quello di suo padre, che si era lasciato alle spalle nulla più che quello, prima di fuggire da Arlen con la stessa velocità con cui era entrato nelle grazie di sua madre. Non che avesse fatto molta differenza, comunque. Sebbene il ragazzo si chiamasse Jonathan Crane, per tutti lui era noto come il nipote bastardo di Mary Keeny, notizia che era giunta anche nella loro città attuale, per qualche motivo a loro ancora ignoto. L’assenza della bisnonna aveva portato dei benefici: Jonathan passava più tempo possibile fuori casa e, invece di dormire nel proprio letto, si coricava sul grande divano del soggiorno, prendendo sonno col discreto sottofondo della televisione. Quella sera non avrebbe fatto eccezione: si era diretto al negozio più vicino per procacciarsi la cena quando, passando di fronte al parco giochi vuoto, aveva scorto la presenza di una figura familiare.

“Nashton?”

Fu certo di averlo riconosciuto, soprattutto vista la rapidità con cui quello si era passato le mani sul volto, come a voler nascondere qualcosa.

“Keeny.” Fu la sterile replica, ma il ragazzo non aveva osato voltarsi.

Lui e Edward erano stati forzati a diventare vicini di banco, poche settimane prima. Jonathan era sempre stato silenzioso e passivo a lezione mentre il rosso, al contrario, aveva fatto del proprio peggio per mettere in mostra la propria superiorità anche nei confronti degli insegnanti. Atteggiamento che avevano digerito male e che, nel giro di poco, l’aveva spinto a guadagnarsi il banco in fondo alla classe, proprio accanto a quello di Jonathan. Questi lo aveva mal sopportato sin dai primi istanti perché, dio, Edward sapeva essere chiassoso pur restando in silenzio, lo aveva provocato nel tentativo di imporsi anche su di lui, ma il più grande aveva saputo rigirare la situazione a proprio vantaggio, mettendolo a tacere una volta per tutte. Non era un idiota, la rapidità con cui consegnava le relazioni era pari solo a quella dell’altro, così come la propria media scolastica, nonostante utilizzasse il tempo delle lezioni per recuperare qualche ora di sonno. Quello era stato sufficiente a Nashton per smettere di cercare il suo odiare con tutte le sue forze.

A dire il vero i due avevano cominciato a parlarsi sporadicamente, durante la giornata, talvolta addirittura passando le pause pranzo assieme, ma ancora non potevano considerarsi amici.
Quello no.

“Che ci fai qui?” Domandò Jonathan, con un tono più stupido di quello che avrebbe voluto usare. Con un balzo superò la bassa cancellata che recintava il parco giochi, avvicinandosi.

“A-abito qua vicino.” Fu la risposta dell’altro, detta con insicurezza e voce rotta.

L’istinto gli diceva di andarsene, che avrebbe fatto meglio a tirar dritto e ignorarlo visto che Edward sembrava non desiderare altro, ma non lo fece, sinceramente incuriosito. Lo avvicinò a passo lento, chinando il capo per riuscire a guardarlo in volto, nonostante l’altro lo tenesse forzatamente rivolto verso il basso, altrove per non incontrare il suo sguardo.
“Ti senti bene...?”

Fu solo allora che scorse la piccola mole di fazzolettini insanguinati che il ragazzo reggeva tra le mani. I bordi di alcuni erano stati strappati, probabilmente in preda al nervoso, mentre alcuni brandelli riempivano il piccolo spazio tra le sue gambe.

“Vattene, per favore.” Aveva detto questi, ancora senza alzare lo sguardo, ma Jonathan era come paralizzato, impossibilitato a muoversi. La sola risposta era un chiaro segno che no, non stava bene per niente, ma la sorpresa e la curiosità erano tali da impedirgli di andarsene.
“Nash-”

“VATTENE!” E finalmente, nel gridargli addosso, aveva alzato lo sguardo su di lui, lasciandolo senza fiato. Nonostante la mano premuta contro il viso, era evidente che qualcuno lo avesse colpito. Una guancia era gonfia, presto avrebbe mostrato il livido, ma a monopolizzare la sua attenzione era la vista del sangue che continuava a scendergli dal naso in maniera copiosa. Era oltretutto evidente, che avesse pianto. Senza pensarci cercò nella propria tracolla, estraendone poco dopo un pacchetto di fazzoletti quasi pieno.

“Tieni.”

Dal modo in cui il rosso lo aveva guardato, era certo che avesse considerato l’idea di lanciarglieli addosso, ma l’ovvia necessità di averne di puliti fu maggiore e lo spinse ad accettarli. Non lo ringraziò, ma ne prese uno, premendoselo contro il naso. Il primo pensiero di Jonathan fu che qualcuno dopo le lezioni avesse avuto la meglio su di lui (conosceva la sensazione), ma la scuola era finita da ore e quel sangue era fresco. Prese posto sull’altalena al suo fianco, silenziosamente, fatta eccezione per il piccolo cigolio che questa aveva prodotto. Edward non aveva obiettato, limitandosi a tamponarsi il viso col fazzoletto ed ignorare il suo sguardo.

“Sono caduto.” Disse dopo diversi istanti, esitante. Jonathan aveva inarcato un sopracciglio senza proferir parola, ma era evidente che quella fosse una menzogna. Oscillò il peso sulle lunghe gambe, muovendosi appena sull’altalena, restando in ascolto.
“Stavo scendendo le scale e sono scivolato.” Disse ancora, voltandosi verso di lui e fare un mezzo sorriso ironico, che forse avrebbe avuto l’intenzione di convincerlo sulla leggerezza della situazione. Jonathan lo assecondò.

“Doveva essere un gradino bello grosso.” Disse.
“Ha anche un nome?”

Non gli sfuggì la nota di scherno nella voce dell’altro, ma Edward non colse la provocazione, distanziando il fazzoletto per scoprire se sanguinasse ancora. Fortunatamente, no. Oscillò le gambe come il ragazzo al proprio fianco, dondolandosi appena sull’altalena.

“Che ci fai qui?” Domandò, più per cambiare argomento che non per interesse. A quel punto una distrazione sarebbe stata più che benvenuta.

“Abito qua vicino.” Rispose allo stesso modo Jonathan, stendendo le gambe e dandosi un po’ di spinta, senza troppo successo.
Era troppo alto.

“La bisnonna è via per altri due giorni. Stavo andando a comprare qualcosa per la cena.”

“I tuoi genitori?” Keeny scosse solo la testa, in dissenso.
Edward si asciugò il viso, stringendo i denti nel passarsi la mano sulla guancia colpita, non chiedendo altro.
“Dovresti metterci del ghiaccio.”

“Finito.”

Vi era qualcosa di profondamente sbagliato nel sentirlo replicare in modo quasi monosillabico, ma ancora Jonathan non si azzardò a insistere sulla questione. In fin dei conti non erano affari che lo riguardassero.

“Posso prendertene un po’ al negozio.” Propose senza pensare.
“O quello, o qualcosa di fresco da metterci contro.”

Il rosso aveva nuovamente alzato lo sguardo su di lui, sorpreso da se stesso per star anche solo considerando l’idea.

“Lo apprezzerei molto.”

Keeny allora si alzò senza esitazione, muovendo qualche passo verso la cancellata che poco prima aveva scavalcato. La porticina d’ingresso del parco era a poco più di venti metri, troppo distante per non spingerlo a superarla di nuovo a quel modo. Edward sembrò esitare a lungo prima di parlare ancora, fermando il compagno prima che fosse troppo lontano.

“Vedi la casa in fondo alla strada?” Domandò.
“Quella dalla facciata bianca, col giardino?”
Jonathan annuì.

“E’ casa mia. Se ti andasse di prendere qualcosa da mangiare anche a me...” ma non finì la frase, la proposta era ovvia.
“Ti renderò i soldi.” Il ragazzo considerò le sue parole, decidendo infine di replicare con un mezzo sorriso incoraggiante.

“Ci vediamo lì.”

Si incamminò quindi lungo la strada, in direzione del supermercato più vicino, a passo svelto. Cenare fuori casa non sarebbe stato un problema, con la bisnonna assente, ed era più che evidente che Nashton avesse bisogno di supporto e compagnia. Per quanto questi fosse stato ostile con lui all’inizio, non l’aveva mai schernito quanto gli altri per la sua statura o magrezza, né si era mai rivolto a lui con soprannomi sgraditi e ridicolizzanti, cosa più che sufficiente per Jonathan per fare un tentativo e aiutarlo. Il supermercato era quasi vuoto a quell’ora, fatta eccezione per poche persone solitarie come lui e qualche anziano in cerca di contatto umano. Non vi badò, dirigendosi a passo svelto verso il reparto pronto soccorso e prendendo un paio di buste di ghiaccio istantaneo, fermandosi poi per recuperare qualche confezione di noodles precotti. Non gli sarebbe servito altro. Pagò e uscì rapidamente come era arrivato, avviandosi quindi verso casa del rosso. Controllò più volte le case vicine, volendosi assicurare di bussare alla porta giusta. Suonò il campanello quasi con timore, sperando di non incorrere in qualche familiare del ragazzo, ma quando la porta si aprì vi fu soltanto Edward.

“Hai fatto in fretta” commentò questi sorpreso, facendosi da parte per farlo entrare.

“A quest’ora non c’è quasi nessuno.” rispose sterile, muovendo qualche passo all’interno dell’abitazione per poggiare la busta sul tavolo della cucina.
Ne estrasse subito il ghiaccio.
“Spero vada bene.” Disse porgendoglielo. Il ragazzo annuì e seguendo le brevi istruzioni scritte sulla scatola fece pressioni al centro, ottenendo istantaneamente una sacca gelida da premersi contro il viso. Il primo impatto era stato quasi doloroso, aveva digrignato i denti e si era lamentato appena, ma presto la piacevole sensazione di fresco gli diede il sollievo agognato.
Si era ripulito il volto, notò Jonathan, cambiando anche la camicia con una maglia più comoda e adatta all’ambiente domestico.
“Ho preso dei noodles per cena. Sei solo?” Il rosso annuì rapidamente, volgendo poi lo sguardo alla cucina, mentre il ragazzo svuotava le buste di cibo istantaneo sul tavolo. Ne aveva prese quattro.

“Acqua calda o padella?”

“Padella.”

“I miei preferiti.”

Lo sentì ridere appena e si rincuorò del fatto che il suo umore sembrasse migliorato nel giro di poco tempo. Si diedero una mano a vicenda nel preparare la cena e quando questa finalmente fu pronta presero posto a tavola, l’uno di fronte all’altro. Consumarono il pasto prevalentemente in silenzio, distratti appena dal rumore della televisione, accesa per compagnia. Nonostante l’evidente disagio della situazione, fu piacevole. Edward aveva consumato le proprie porzioni lentamente, quasi faticando a finirle; al contrario Jonathan le aveva spazzolate con una rapidità disarmante, come se non avesse mangiato per giorni. Gli offrì dell’acqua, sempre reggendosi la busta gelata contro il volto. Presto questa avrebbe perso effetto, ma non sarebbe stato necessario utilizzare anche la seconda. Quella l’avrebbe conservata per occasioni future, tanto di sicuro non gli sarebbero mancate.
Lo sguardo di Keeny era distratto dalla televisione, si portava la forchetta vuota alle labbra, quasi senza pensarci, forse desiderando vi fosse altro da mangiare. Ha gli occhi blu, notò il rosso, ammaliato. Non che non vi avesse mai fatto caso, beninteso, ma non si era mai accorto di quanto fossero grandi e blu, o di quanto il suo fisico fosse spaventosamente magro sotto gli abiti larghi in cui si avvolgeva ogni giorno. La maglia era ampia e lunga, di troppe taglie più grandi per lui (forse persino una S femminile gli sarebbe stata larga) ma era chiaro che questo fosse dovuto per privilegiare la lunghezza della stessa. Gli scivolava lungo una spalla, scoprendo la clavicola spigolosa e la curva del petto incavata, anche se appena intuibile. Sapeva che Jonathan era stato spesso preso in giro per la sua magrezza (lo chiamavano Spaventapasseri?), ma al di là di ritenerlo un gesto inutilmente crudele, non si era mai soffermato a pensarci troppo. Lo aveva creduto anoressico, inizialmente, perché nessuno poteva essere così magro e stanco come lui senza che vi fosse una spiegazione dietro, ma non aveva mai chiesto. Ora che lo aveva visto mangiare, iniziò a ricredersi.

“Vorresti qualcos’altro?” Domandò, cortesia imposta per la gratitudine che aveva nei suoi confronti: il ghiaccio era stato un miracolo inaspettato. Jonathan lo aveva guardato quasi speranzoso, indugiando però sulla risposta che Edward prese per affermativa. Si alzò e aprì uno sportello della cucina, tirandone fuori un pacco chiuso da una molletta da bucato.

“Può andare?”
Il ragazzo aveva annuito, facendo del proprio meglio per nascondere un ampio sorriso alla vista di quella confezione di biscotti al cacao.

“Prendine quanti ne vuoi.” E mentre con un sorriso grato le dita dell’altro ne rubavano uno, Edward non poté fare a meno di pensare che quel ragazzo avesse le mani più belle che avesse mai visto. Dita lunghe, dritte, spaventosamente magre, ma aggraziate. Peccato per le unghie, pensò infine, mal trattenendo una smorfia alla vista di queste: lunghezza irregolare, sporcizia e parti rosicchiate. Edward agguantò un paio di biscotti a propria volta, disponendoli l’uno contro l’altro prima di morderli entrambi. Una piccola ossessione che si era portato avanti negli anni, che però riusciva a tenere sotto controllo senza problemi.

“Come mai sei solo?” Gli chiese ad un certo punto, facendolo voltare. Jonathan farfugliò qualcosa a bocca piena, masticando poi in fretta per riuscire a riformulare la propria risposta in modo che fosse comprensibile. Edward rise divertito.

“La mia bisnonna è andata a sistemare alcune faccende fuori città.” Spiegò.
“Ci siamo trasferiti da pochi mesi e...” scosse la testa “non lo so, probabilmente ci sono problemi con dei documenti che mi riguardano ed è dovuta andare di persona.” Il rosso aggrottò le sopracciglia, analizzando attentamente le informazioni ricevute.

“Ha lei la tua custodia legale?”
Jonathan annuì, incerto se confidarsi oltre, ma siccome l’altro non aveva chiesto, si era limitato a tacere.

“E tu come mai sei solo?”

“Mio padre lavora quasi sempre di notte” rispose vago.
“La paga è più alta e i soldi ci servono da quando mia madre... se n’è andata.”
Il più grande prese un altro biscotto e se lo portò alle labbra con calma, ricambiando lo sguardo di Edward, incerto quanto il proprio.
Era normale sentirsi così a disagio con qualcuno?

“Non tornerà prima delle otto.” Gli disse e Jonathan ebbe la certezza di leggere sollievo nei suoi occhi. Iniziò a pensare che i lividi sul suo volto fossero opera di qualcuno di ben più grosso di un loro compagno di scuola.

“Senti... hai finito biologia? La scadenza è domani.”
Jonathan annuì, indicando con un cenno la tracolla che, stupidamente, si era dimenticato di svuotare, prima di uscire a comprare la cena.

“Posso chiederti di consegnare anche il mio?”
Il ragazzo si fermò a contemplare le possibilità delle sue parole.

“Resti a casa?” Il rosso annuì, indicandosi poi il volto.

“Fosse stato l’occhio, avrei potuto coprirlo con del fondotinta, ma...” si sfiorò la parte lesa con la punta delle dita, stringendo i denti di conseguenza.
“Non riuscirò a farlo su una parte così estesa, non senza che si noti.”
Ad ogni parola, Keeny ebbe sempre più la certezza che quell’episodio di violenza ora chiaramente testimoniato, fosse in qualche modo abituale.

“Va bene.” Gli disse, evitando di indugiare con lo sguardo sulla grossa chiazza violacea che si stava lentamente aprendo sul suo zigomo e sulla guancia.
“Nessun problema.”

“Se potessi, poi, evitare di far parola a qualcuno-” Ma Jonathan non lo lasciò nemmeno continuare, annuendo rapidamente e sorridendogli appena.

“Non lo dirò a nessuno.”
Edward ricambiò il sorriso con un po’ di incertezza. Sperò di potersi fidare delle sue parole, non che avesse molta scelta, ma non era mai stato così aperto nei confronti di qualcun altro e farlo per la prima volta per una cosa del genere gli aveva creato parecchi disagi. Lo vide prendersi un altro biscotto, divorandolo quasi famelico e senza pentimento.

“Non credevo mangiassi così tanto.” Disse sincero, soprattutto divertito dalla sua reazione.
Il ragazzo si era girato quasi incredulo, pulendosi le labbra da eventuali briciole.

“Non crederai anche tu che” si spinse due dita in bocca, non realmente, riferendosi alle teorie sulla sua anoressia.

“Beh...”

Jonathan allora rise di gusto, genuinamente divertito e per nulla a disagio dall’argomento. Si era lasciato ricadere contro lo schienale della sedia, coprendosi il volto con una mano per provare a quietarsi. Non riuscì particolarmente bene nell’intento.

“Stando a tutto quello che dicono, io dovrei passare in bagno metà della mia giornata per avere quest’aspetto.” E nel dirlo si sollevò la maglietta, mostrandogli l’addome scavato e i fianchi ossuti e spigolosi. Edward rise divertito, onestamente colpito nel realizzare quanto l’altro fosse effettivamente magro.

“E tu saresti gay!” A quelle parole però, il sorriso gli si congelò, mentre sul volto dell’altro si apriva un ghigno stupito.

“Oh.”

Edward arrossì di colpo, odiandosi per la reazione che aveva tradito in anticipo qualunque scusa avesse potuto inventare per negare la cosa.

“Io non-” ma l’altro, come prevedibile, aveva ricominciato a ridere, lasciando il rosso completamente a disagio. Non durò molto e, non appena Jonathan fu in grado di parlare normalmente gli rispose.

“Non l’avrei detto.”

“Non lo so, ok?!”

“Non lo sai?” E vistosi impossibilitato a negare, Edward annuì.
Era uno sbaglio, forse il più grande errore della sua vita, ma in quel momento provò ad essere sincero.

“Forse... non ci ho mai pensato.” Evitò di dire che più volte in passato si era ritrovato a considerare attraente qualche ragazzo, ma non in via esclusiva. Guardò Jonathan di sottecchi, curioso per la sua reazione, questi non si scompose. L’idea sembrava non creargli problemi.
“Potrebbe essere vero.” Afferrò un biscotto, provando a canalizzare la propria attenzione su di esso, piuttosto che sul disagio che l’intera conversazione gli stava procurando. “Se pensi sia possibile, forse non dovresti escludere l’dea.” Replicò Jonathan sincero, pensando alle sue parole.
“Un universo in cui Mark ha ragione è spaventoso, comunque.”

Nashton rise nervosamente, apprezzando come l’altro stesse cercando di distrarlo e tirarlo su di morale.

“...a te non capita mai?” Domandò infine, quasi con un sussurro.

“Uhm?”

“Di pensare ai ragazzi, quando...” non terminò la frase, lasciando intendere il seguito.

“Oh, no.” Keeny aveva alzato le braccia in segno di resa, scostandosi poi il ciuffo corvino dal volto e prendendo un altro biscotto. “Non mi interessano quelle cose.” Gli confidò sincero, portandosi il biscotto alla bocca. L’educazione che la bisnonna gli aveva impartito era stata sempre molto rigida al riguardo. Lei stessa si era assicurata di inculcargli l’idea che il piacere fisico fosse quanto di più immondo vi potesse esistere. Edward sembrò incuriosito dalle sue parole.

“Non ti tocchi... mai?”

Jonathan scosse la testa.

“Solo quando non posso davvero farne a meno.” Nascose il proprio imbarazzo in una mano, ripulendosi le briciole dalle dita sui jeans.
“Ho sentito a sufficienza la mia bisnonna dare a mia madre della puttana e della dissoluta,” disse “o quanto il piacere carnale sia basso e condannabile e,” diede un morso al suo biscotto “come questo genere di cose sia sporco.” Al suo sguardo perplesso si affrettò ad aggiungere “non so quanto lei ne sia responsabile, ma lo trovo disgustoso.” E quella era, grossomodo, la verità. Certo, aveva omesso la parte in cui la bisnonna aveva rimarcato più volte il concetto che fosse lui ad essere disgustoso, che nessuna l’avrebbe mai voluto e che se non fosse stato per la sua immensa carità cristiana, lui sarebbe stato seppellito poche ore dopo la nascita. Non ti ha amato nemmeno la tua stessa madre, non illuderti che qualcun altro lo farà, parole amare di cui si era convinto e che, nel tempo, erano riuscite ad alimentare le sue insicurezze.

“Anche le femmine?”

“Anche le femmine.”

Edward sembrò contemplare l’idea a lungo, prima di proferir parola. Era sorpreso quanto lui per aver intrapreso una conversazione così personale con una persona che, in tutta onestà, non conosceva affatto, eppure i due sembravano potersi parlare tranquillamente. Aveva la sensazione di potersi fidare di lui, tutto sommato.
v “Confido che questa conversazione resti privata.” Gli disse Keeny, in parte rassicurandolo sul mantenere il segreto per la parte concerne la sua mezza ammissione.

“Assolutamente.”

Restarono entrambi in silenzio a lungo, spezzato dal sottofondo del televisore e dal pessimo film che avevano iniziato a guardare durante la cena.

“Se non hai fretta di tornare a casa, ti andrebbe di guardare qualcosa? Ho dei dvd in camera.” La proposta gli era sorta spontanea, forse più legata al fatto che trovasse piacevole la sua compagnia e che non si sentisse di stare da solo, che non per qualcos’altro.
Jonathan aveva esitato, pensoso, ma infine aveva annuito.

“Prima però vorrei una sigaretta, se non ti dispiace.” Si era alzato, prendendo il pacchetto dalla tracolla e pronto a uscire eventualmente in giardino, ma Edward l’aveva fermato dall’andarsene.

“Puoi farlo tranquillamente in casa.” Gli disse. “Anche mio padre fuma, non farti problemi.”
Al suo consenso, allora, Jonathan si accese una sigaretta, appoggiandosi al bancone della cucina dove Edward gli aveva indicato un posacenere.

“Grazie per il ghiaccio.” Mormorò ad un tratto, con lo sguardo ora rivolto al pacchetto ancora sigillato. “Mi dispiace di averti urlato addosso al parco.”
Jonathan scosse la testa, per nulla intenzionato ad accettare le sue scuse.

“Eri sconvolto, nessun rancore.” Lo rassicurò, inspirando profondamente e rilasciando poco dopo, ripensando al modo in cui lo aveva trovato. Se non l’avesse notato, probabilmente Edward sarebbe stato ancora lì al parco, obbligato ad usare ogni minimo spazio libero di quei fazzoletti già zuppi di sangue, per tamponarsi il volto. Il rosso ringraziò per la sua comprensione, giocherellando con la busta del ghiaccio ormai appena fresca. La strinse in mano come un antistress, punzecchiandola nervosamente con le dita e deformandola, sovrappensiero.
“Non mi sono dimenticato di pagarti la mia parte” lo rassicurò ad un tratto, ma Jonathan aveva scosso ancora una volta alla testa, lasciando cadere elegantemente la cenere nel posacenere.

“Non importa.” Gli disse sincero “La prossima volta in cui mi servirà qualcosa, ricambierai la cortesia.”
Edward aveva sorriso appena a quelle parole, pensando di aver trovato, per la prima volta, un amico. Era strano pensare a Keeny in quei termini, eppure era certo che la dì in poi le cose sarebbero andate meglio, il ragazzo sembrava una persona tranquilla e con cui valesse la pena passare il tempo, al contrario degli stronzi con cui aveva a che fare ogni giorno. La sola idea di poter condividere con qualcuno il peso di quelle interminabili giornate, gli suonava piacevole.

“Ti piace Game of Thrones?” gli chiese ad un tratto, fuori contesto, pensando a cosa avrebbero potuto fare una volta in camera.
Jonathan aggrottò le sopracciglia, incerto.

“Parli delle ‘Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’?” Edward annuì compiaciuto, ammirato nel vedere che sapesse dell’esistenza dei libri.
E’ uno che legge!, pensò entusiasta.

“Ho letto il primo libro.” Gli rispose il ragazzo, indugiando poi se dire altro. “Non credo che il secondo arriverà tanto presto in biblioteca.”

Oh mio dio, frequenta le biblioteche!

“E la serie? L’hai vista?” Jonathan, se possibile, sembrò ancora più in difficoltà.

“Non sapevo ne esistesse una serie.” Ammise quindi dopo un po’, sincero, prendendo una profonda boccata di fumo.
Non guardava molta televisione e questa, di solito, era accesa solamente durante i pasti, ad uso e consumo della sua bisnonna.

“Cosa guardi, allora?” Domandò l’altro curioso, a sto punto. Che non l’avesse mai vista, poteva aver senso, ma che non sapesse nemmeno della sua esistenza era strano.
Jonathan rise nervosamente, un po’ imbarazzato.

“Chiedimi di Beautiful, so quasi tutto, o di qualsiasi altra stupida soap opera diano per televisione dopo il telegiornale.”
E sperò che Edward capisse il suo sarcasmo e intuisse la risposta da sé.

“Bisnonna, giusto.” Gli sorrise, comprendendo perfettamente la situazione.
“Ti piacerebbe guardarla? Ho scaricato le prime tre stagioni.”

Il ragazzo annuì, sembrando sinceramente contento della proposta. Spense la sigaretta nel posacenere e si discostò dal ripiano, contento della proposta (e ancora in parte confuso dal termine stagione, ma per il momento preferì non indagare).
Aiutò il rosso a sparecchiare il tavolo e prese la propria tracolla, pronto a seguirlo in camera, mentre questi aveva preso con sé entrambe le confezioni di ghiaccio istantaneo, i biscotti e una bottiglietta d’acqua.

La camera di Edward si trovava al piano superiore, oltre lo stretto piccolo corridoio che si intravedeva già dall’ingresso dell’abitazione. La stanza era di forma quadrata, non molto grande e ordinata oltre i limiti concepibili dall’uomo. In un angolo, dallo stesso lato della porta vi era il letto, disposto per la parte lunga contro il muro, mentre accanto ad esso vi era un piccolo comodino su cui troneggiavano una lampada e un orologio. La finestra non era molto grande e serviva a spezzare l’ambiente tra questo e la scrivania che occupava l’angolo adiacente, ampia e sgombra se non ad eccezione del portatile e di un’altra lampada. Accanto ad essa vi erano due librerie piene di libri, testi scolastici, alcuni fumetti e statuette di personaggi che Jonathan non aveva mai visto in vita propria. Sulla parete rimasta, vi era un armadio a muro a tre ante, bianco, come il resto dell’arredamento. Edward aveva chiuso la porta a chiave, dietro di sé, gesto che gli procurò un’occhiata interrogativa da parte dell’altro. Solo allora sembrò rendersi conto di averlo fatto.

“Scusa, forza dell’abitudine” si giustificò con un mezzo sorriso e una risata nervosa, sbloccandola nuovamente e invitando Jonathan a prendere posto sul letto, mentre lui si era diretto alla scrivania per accendere il computer. Keeny eseguì senza problemi, sedendosi sul letto e guardandosi intorno spaesato.

“Credo che nemmeno con tutta la buona volontà del mondo, riuscirei a tenere la mia camera pulita e in ordine come la tua.” Disse sincero dopo un po’, alzandosi poi per guardare la libreria di Edward con più attenzione. Non si era sbagliato: era piena di fumetti, oltre che di libri interessanti. Peccato che Jonathan ne avesse già letti la maggior parte, almeno di quest’ultimi. Prestò particolare occhio alla piccola collezione di bamboline (action figures, lo aveva corretto), non avendo mai visto nulla del genere prima d’ora.

“Cersei Lannister” gli disse ad un tratto, indicando una statuetta piccola e caricaturale di una donna bionda con un abito scarlatto. Jonathan la prese tra le mani con esitazione, quasi avesse timore di romperla al sol tocco, rigirandosela poi tra le dita per guardarne i dettagli. Non troppi, dovette ammettere, era di fattura dozzinale, ma decisamente graziosa e rassomigliante al personaggio.

“E’ carina...” disse, riponendola poi sul ripiano.

“Ho un debole per le Funko Pop.” Aveva replicato quindi Edward, messo poi a disagio dal suo sguardo incerto.
Quella è una Funko Pop.”

Jonathan rise della propria mancanza di conoscenza in materia, ma fu impossibilitato a negare che fosse un modo estremamente adorabile di rappresentare dei personaggi. Ve ne erano diverse dello stesso tipo, tra cui una un po’ più grande e verde, mostruosa e con dei tentacoli sul viso.

“Cthulhu!” La riconobbe, quasi con entusiasmo.
“Leggi Lovecraft?!”

Edward gli sorrise di rimando, annuendo in seguito.

“Ho letto qualcosa, sì, ma preferisco giocarlo di ruolo.” E alla faccia attonita dell’altro, il rosso aveva sospirato sconfortato.
“Ricordami di introdurti al meraviglioso mondo dei giochi di ruolo, un giorno.”

“Ci conto.” Rispose sincero, curioso di scoprire di più sull’argomento. Lui non aveva mai avuto occasione di entrare in contatto con quel genere di cose, ma viste da fuori sembrarono facilmente appetibili e interessanti. Edward aveva spostato il portatile sulla sedia che aveva occupato fino a pochi istanti prima, attaccando poi la batteria ad una presa vicino al letto.

“Quando vuoi.” Aveva detto, facendogli cenno di sedersi nuovamente. Aveva quindi preso posto sul letto dal lato del cuscino, sfilandosi le sneakers verdi e invitando Jonathan a fare lo stesso, lasciandogli spazio sufficiente per star comodo. Keeny si era seduto compostamente, i primi minuti, ma alla fine aveva ceduto e, sfilandosi gli anfibi e appoggiando la schiena al muro, aveva incrociato le gambe. Il primo episodio finì rapidamente, disturbato solamente dal rumore dei biscotti e da qualche scambio di commenti, così come il secondo. Erano appena le dieci di sera passate quando decisero di proseguire con la visione e fu circa a metà del sesto episodio che Jonathan crollò addormentato, scivolando lentamente contro il muro e adagiandosi sul cuscino. Edward lo aveva preceduto da un po’, ma quando la spinta dell’altro lo aveva svegliato, quella di usare la sua gamba come guanciale e rimettersi a dormire gli era sembrata l’idea migliore.

Quando alle sette e mezza suonò la sveglia di Edward, furono dolori.

Jonathan fu il primo a svegliarsi. Si era mosso lentamente nell’avvertire del peso sulle gambe, ma a dispetto della situazione non reagì malamente, posando una mano sul fianco di Edward e scuotendolo leggermente. Questi, invece, era praticamente trasalito, saltando via a quel semplice contatto e tirandosi a sedere il più in fretta possibile, ancora non sveglio a sufficienza da capire cosa fosse successo. Jonathan ritrasse la propria mano di scatto, in apprensione, mentre l’altro aveva mormorato qualcosa che non riuscì a comprendere, seguito da un gemito di dolore.

“Mio dio, la schiena.” Aveva ripetuto quindi più chiaramente, portandosi una mano al costato e provando a stiracchiarsi.

“Ci siamo addormentati.” Disse Jonathan stupidamente ovvio, scostandosi le ciocche corvine dal viso e guardandosi attorno.

“Almeno tu avevi un cuscino!” Fu la replica secca di Edward, ancora in parte scosso dal brusco risveglio. Non che Keeny fosse stato incauto, nel farlo, ma a lui non piaceva essere toccato, soprattutto se non aveva il tempo di accorgersene prima.

“Per pietà, spegni la sveglia.” Implorò, allungandosi sul letto di Edward solo per potersi stirare appena, prima di alzarsi. Probabilmente non era stata una buona idea quella di guardare un episodio dopo l’altro, un po’ se ne pentiva ora, ma sul momento la voglia di andare avanti era stata troppo forte da contenere. Edward si era alzato, incerto sui propri passi, solo per poi voltarsi verso l’altro.

“Caffè?”

“Sì, ti prego.”

Edward, senza aggiungere altro era quindi sceso al piano di sotto, lamentandosi appena per i dolori.
Jonathan si lasciò ricadere seduto sul letto, coprendosi il volto con le mani per provare a riprendere contatto con la realtà. Sembrò rendersi conto solo allora di aver passato un’intera notte fuori casa, ma a dispetto della situazione era riuscito a dormire bene, anche se solo per qualche ora. Il letto di Edward era comodo, non come il proprio il cui materasso era vecchio e di qualità scadente e, dalla posizione del cuscino, era evidente che Jonathan lo avesse preso durante la notte, tirandone un angolo verso di sé solo per potervi poggiare il viso. Edward non era stato così fortunato: ancora non se ne spiegava le dinamiche, ma se aveva passato davvero la notte appoggiato alla sua coscia, allora meritava tutta la comprensione possibile.
Solo in quel momento si ricordò che, probabilmente, avrebbe fatto ritardo a scuola, dovendo tornare a casa propria per prendere i libri. Scattò quindi in piedi, indossò gli anfibi e scese rapidamente in cucina, dove trovò Edward intento a trafficare con il bollitore del caffè.

“Mangi qualcosa?” Domandò il rosso, tenendo un cucchiaino in bocca. Le parole erano poco chiare, ma comunque comprensibili.

“Non ne ho il tempo, nemmeno per il caffè” Gli rispose Jonathan, quasi in ansia “devo passare a casa a prendere libri”, ma Edward dissimulato, accogliendolo con un cenno della mano e invitandolo a sedersi, agitando il cucchiaio per indicargli la sedia.

“Ti presto i miei. Confido che me li restituirai perfetti come te li ho dati.” E Jonathan dovette ammettere che quella fosse un’idea fantastica. Si lasciò cadere su una sedia della cucina, poggiando infine la fronte contro il tavolo, sconfitto. Fu il profumo del caffè a farlo reagire e, non appena ebbe la tazza tra le mani, ne prese un gran sorso. Pian piano il mondo sembrò riguadagnare senso e divenne persino più bello quando il rosso gli forzò tra le labbra una fetta di pane tostato, prima di prendere posto a tavola a propria volta. Edward di fronte a lui era un disastro: spettinato e con gli abiti in disordine. Se non fosse stato per il grosso livido sul suo zigomo, forse avrebbe persino riso, ma in quel momento non gli sembrò adeguato.

“Hai una riga in faccia.” Gli disse semplicemente, beccandosi un’occhiata torva da parte dell’altro.

“Sì.” Asserì “E’ dei tuoi jeans.” Lo informò, buttando una manciata di cereali nel latte e affondandovi il cucchiaio.

“Oh, scusa.” Rispose quindi Jon, piccato “la prossima volta che deciderò di addormentarmi senza preavviso, mi assicurerò di farlo dal lato che preferisci.” Si guardarono a lungo e, sarcasmo a parte, risero entrambi. Edward si lamentò per il male al collo e alla schiena, ma Jonathan non ebbe il cuore di dirgli di aver dormito quasi perfettamente. Certo, non era stato comodo, ma tutto sommato non poteva lamentarsi.
Vuotò la propria tazza di caffè in pochi minuti, ora più sveglio e cosciente del mondo che lo circondava.

“Dov’è il bagno?” Domandò per necessità, almeno intenzionato a sciacquarsi il viso prima di uscire nuovamente. Seguì le indicazioni di Edward e quando ne uscì una decina di minuti dopo, trovò sul tavolo i libri del ragazzo e il suo compito di biologia.
“Ricordati di consegnarlo.” Si raccomandò. Jonathan aveva annuito, svuotando la propria tracolla e sostituendo i propri testi con quelli dell’altro. Il proprio compito era già al sicuro nel quaderno degli appunti e non si amò mai così tanto come in quel momento, per aver deciso di avere un raccoglitore solo per tutte le materie.

“Quando posso tornare?” Gli chiese, ovvio com’era che avrebbe dovuto passare nuovamente a recuperare i libri lasciati e restituire quelli presi in prestito.
Rimase fermo sulla porta, in attesa di una risposta.

“L’ora di ieri sarebbe perfetta. Se ti va, possiamo mangiare di nuovo assieme.”

“Devo comprare qualcosa?” Edward però aveva scosso la testa e sorriso.

“Questa volta vedrò di cucinare.”

Jonathan rimase in silenzio a lungo, prima di replicare, lo sguardo smarrito in quello dell’altro.
Non era l’idea che qualcuno cucinasse per lui, la causa del crampo allo stomaco che aveva avuto. Non era per il modo in cui Edward si era dimostrato bendisposto nei suoi confronti, nonostante il burrascoso inizio, né per l’aver ricevuto più in una notte, da una persona, che non in quasi vent’anni di vita. La semplicità delle parole del ragazzo era stata più di quanto avrebbe mai sperato trovare in qualcuno: una persona che attendesse il suo ritorno (seppur per un motivo blando come dei libri), che fosse disposta a preparargli la cena, pur di avere la sua compagnia. Avrebbe potuto tacere, continuava a ripetersi, avrebbe potuto riprendere le proprie cose senza chiedermi di restare, ma non l’aveva fatto. Lo avrebbe aspettato e gli avrebbe preparato da mangiare, solo per la sua compagnia, come fanno gli amici, come fanno le persone normali.

“Non sei obbligato, se non vuoi...” si era affrettato a rassicurarlo Edward, in parte ferito dalla sua lunga esitazione. Credeva di aveva travisato i fatti e che Jonathan non fosse interessato a conoscerlo e a passare del tempo in sua compagnia, non dopo quello che aveva visto e saputo, ma alle sue parole, questi sembrava essersi scosso. Si era mosso in maniera nervosa, scuotendo la testa rapidamente, pronto a riempirlo con l’assenso più carico di entusiasmo che Edward avesse mai testimoniato in vita propria.

“Lo voglio! La cena; tornare! Va bene!“ Si imbarazzò alle sue stesse parole, decidendo saggiamente di fermarsi e prendere fiato, prima di parlare ancora.

“Va bene.” Ripeté, stavolta con più calma, ma per l’espressione che aveva in volto, Edward non poté fare a meno di sorridere divertito a propria volta, contento. Annuì incoraggiante prima di indicargli la via con un cenno.

“Farai tardi, se non vai. A stasera!”
Jonathan si allontanò dall’abitazione con sul volto l’espressione più serena che avesse avuto in anni.

La giornata era trascorsa lenta e priva di stimoli, come consuetudine. Jonathan aveva consegnato i compiti di biologia di entrambi, facendo poi del proprio meglio per non crollare addormentato durante le lezioni. Non ebbe particolare successo in quella parte del piano, ma il resto della mattinata era filato liscio e senza intoppi. Aveva consumato il proprio pranzo in solitudine sulla terrazza, un croissant e un paio di sigarette, prima di tornare in classe per le lezioni pomeridiane. Al termine di queste e ancora in anticipo per l’appuntamento con Edward, Jonathan si recò a casa propria, volendo controllare che tutto fosse in ordine e desideroso di una doccia e un cambio d’abiti pulito. Scivolò in un pantalone militare e in una maglietta a maniche lunghe nera, scendendo poi al piano di sotto per recarsi a casa di Edward. L’ora era prossima, era puntuale.
Suonò il campanello e venne accolto alcuni istanti dopo dal proprio compagno di classe.

“Ehi!” Lo salutò, più cordiale di quanto non fosse stato in mattinata, ora evidentemente più a proprio agio nell’essere pulito e in ordine.
“Entra, la cena è quasi pronta!”
Jonathan eseguì, raggiungendolo in cucina e prendendo posto alla stessa sedia che aveva occupato la sera precedente.
Lo sguardo gli cadde sul televisore acceso.

“Stai guardando Frozen?”

“Risposta semplice: no, con un se. Risposta complessa, con un ma.”
Jonathan scosse la testa, decidendo di non indagare sulla questione.

“Novità?” Gli chiese, ora intento a rigirare il contenuto di una pentola alta.

“Ho consegnato tutto” lo rassicurò per prima cosa, mettendo mano alla propria tracolla per estrarre un piccolo plico di fogli pinzati.
“Sono le schede del programma di biologia.” Gli disse, poggiandole sul tavolo.
“Mi sono permesso di ritirare le tue, sapendo di dover venire qui.” Edward annuì, apprezzando il gesto.

“Ti ringrazio. Fisica ha spiegato?” chiese “Letteratura?”
Jonathan sorrise un po’ imbarazzato.

“Potrei aver dormito un po’...” parole che Edward accolse roteando gli occhi.

“Non so nemmeno perché te l’ho chiesto. Non importa, comunque: sono un passo avanti a loro.”
Jonathan inarcò un sopracciglio al suo pavoneggiarsi, ma non lo questionò, sollevato dal fatto che il ragazzo sembrasse più simile al solito sé, rispetto alla sera precedente.

“Come va la faccia?”
Edward si voltò verso di lui, sorridendo appena e puntando il livido con un dito.

“Non può peggiorare.” Lo rassicurò, quasi di buon umore.
“Fa ancora male, ma il ghiaccio è stato veramente utile. Se tutto va bene guarirà durante il weekend e lunedì potrò tornare a scuola.”

Jonathan annuì, certo che per allora il livido si sarebbe sbiadito a sufficienza da poter almeno essere coperto, come aveva intuito Edward facesse in quei casi. Doveva essere abile in quello, Jonathan si riteneva un buon osservatore, ma mai aveva notato qualcosa del genere.
“La cena è pronta!” Annunciò il rosso, scolando della pasta e mescolandola con del pesto in una grossa pirofila.
“Spero tu abbia fame perché ne ho preparata parecchia!”
Jonathan rise, portandosi una mano allo stomaco contorto dai crampi.

“E’ la notizia migliore della giornata.”
Lo rassicurò, non vedendo l’ora di affondare la forchetta nel piatto e saziarsi. Le porzioni preparate dal rosso erano davvero abbondanti, ma Jonathan riuscì senza problemi a finirne due piatti, sotto lo sguardo incredulo dell’altro che continuava a osservarlo curioso e soddisfatto, anche se evidentemente sovrappensiero.

“Cosa c’è?”
Il rosso scosse la testa, sorridendo appena, imbarazzato.

“Niente... pensavo solo che potrei abituarmi a questo.”

“Vedermi mangiare?”

Edward rise, quasi soffocandosi col proprio boccone. Attinse disperatamente al proprio bicchiere d’acqua, scongiurando la morte e prendendo tempo per formulare la propria risposta. Ci aveva pensato parecchio durante la giornata e, col passare delle ore, gli sembrava l’occasione migliore che avesse avuto fin’ora per dirglielo.

“Intendevo... avere qualcuno con cui parlare... un amico?”

Jonathan rimase in silenzio, sinceramente colpito dalle sue parole. Non che non avesse pensato o sperato all’eventualità di un simile risvolto, ma la sola idea che qualcuno potesse davvero essere interessato a conoscerlo e trascorrere del tempo con lui gli era ancora estranea.

“Non lo stai dicendo per pietà o per fare una battuta del cazzo, vero?”

“Perché mai dovrei- sei davvero così paranoico?”
Keeny ricambiò il suo sguardo, ancora analizzando le sue parole.

“No.” Il rosso iniziò a giocare nervosamente col tovagliolo.
“Ero sincero e, a dirla tutta, l’idea iniziava a piacermi.”

Che Nashton non avesse amici era fuor dubbio. Anche se in modo diverso, i due ragazzi erano tediati allo stesso modo a scuola, tra solitudine forzata e battutine, Jonathan in parte si pentì di aver dubitato delle sue parole, ma anni e anni cresciuto da una donna che aveva fatto del suo peggio per azzerare la sua autostima avevano lasciato il segno e, sinceramente, aveva difficoltà a credere nella buona fede altrui.

“Mentirei se dicessi di non averci pensato anche io.” Gli confidò, guardando altrove.
“Potrei abituarmici.” Rispose semplicemente, spostando lo sguardo su di lui e sperando che intendesse.
Non rimase deluso.

“Sei sempre così strano o hai avuto una giornata particolarmente pesante?” Domandò Edward per spezzare la tensione, sorridendo appena.

“Non lo so. Sarei quasi curioso di sentire la risposta complessa su Frozen, ora.”

“Ow, Keeny. Questo è un colpo critico.”

“Un venti di dado.” Rispose automaticamente, realizzando di aver compreso cosa avesse detto.
“Un colpo critico è un venti di dado, vero?”

Edward sospirò sconfortato.

“Sei sempre così strano.”

Il resto della cena trascorse tranquillamente, tra chiacchiere vaghe e commenti sul cartone animato ormai quasi al termine. Jonathan aveva aiutato l’altro a sistemare e rassettare la cucina, dovendo porre rimedio al posacenere che aveva rovesciato nel tentativo di svuotarlo, fortunatamente senza che questi si rompesse.

“Ti va di continuare a guardare GoT?” Ci mise un po’ a realizzare che GoT fosse l’abbreviazione per la serie che avevano iniziato la sera prima.

“Oh. Certo.” Poi sorrise “spero non sia una scusa per darmi la colpa del tuo mal di schiena, di nuovo.”
Edward lo guardò oltraggiato, come se gli avesse detto la peggiore delle offese.

“Quando stanotte sei crollato mi hai spinto!” si difese, infervorato “ero appoggiato al muro e mi sei caduto addosso, cosa avrei dovuto fare?”

“Svegliarmi?” Edward distolse lo sguardo, imbarazzato.

“Ero stanco, non potevo usare il cuscino e ho improvvisato.”

“Con la mia gamba, ho notato. Peccato che il segno della cucitura sia svanito,” gli disse, stando al gioco “ti donava.”

Gli dona anche il viola, pensò l’istante successivo notando come quel livido orrendo sul suo viso si accostasse dignitosamente al verde dei suoi occhi. Edward lo precedette sulle scale, fermandosi nel vederlo ancora in piedi in cucina, speranzoso.

“Cosa?” E poi l’illuminazione. “Mio dio hai ancora fame. E’ questo?”
Jonathan abbassò lo sguardo, impossibilitato a negare, guadagnandosi un sospiro rassegnato da parte dell’altro.

“Secondo scaffale. Prendi i biscotti che preferisci.”
Non se lo fece ripetere e una volta presa la confezione che gli parve più appetibile, salì le scale, entrando nella stanza del ragazzo. Edward aveva già sistemato il portatile sulla sedia, cercando tra le cartelle la puntata giusta. Aveva aggiunto le puntate successive a una playlist, per non doversi alzare e occuparsene per il resto della nottata.

“E’ una cosa genetica, o...?”

“Uhm?”

“Nella tua famiglia. Avete tutti questo metabolismo spaventoso?”
Jonathan parve riflettere a lungo sulla risposta.

“Immagino di sì.” Ricordava di aver visto una foto della sua bisnonna da giovane. Graziosa nei lineamenti, alta, priva di forme e spaventosamente sottopeso come lui. Per quanto odiasse ammetterlo, la somiglianza tra loro era forte.

“La mia bisnonna, almeno.”

“Tua madre? Tuo padre?” Jonathan si slacciò gli anfibi, lasciandosi poi ricadere sul letto.

“Non saprei.” Allo sguardo curioso di Edward si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, triste.

“Non li ho mai visti.”

“Sono morti?” Dovette mordersi la lingua, realizzando la sua mancanza di tatto, ma Jonathan non sembrò accusare il colpo.

“Non lo so. Non li ho mai visti e basta.” Edward si sedette affianco a lui, allungandosi quanto sufficiente per spegnere la luce, lasciando la stanza illuminata solamente dallo schermo del portatile di fronte a loro.

“Mi dispiace se ho detto qualcosa di indelicato-”

“Niente del genere.” Lo rassicurò, non del tutto sincero.
“Non posso darti una risposta migliore, però.”

Edward esitò a lungo prima di replicare. Appoggiò la schiena al muro e volse lo sguardo al cassetto della scrivania, in cui conservava la foto di sua madre. Al sicuro, lontana dallo sguardo dell’uomo che le aveva gettate via tutte solo per cancellarne l’esistenza dalle loro vite.

“La mia si è suicidata.” Gli disse ad un tratto. “Otto anni fa.”
Erano passati otto anni da allora, ma ancora il ricordo faceva male come il primo giorno in cui aveva dovuto affrontare la realtà. Fu contento di aver spento la luce, in quel momento.

“Come mai...?”

“Era depressa... credo. Così mi è stato detto.” Non ne era nemmeno sicuro.
“So solo che una sera l’ho chiamata e non mi rispondeva. Quando l’ho trovata era in bagno con i polsi tagliati. Già fredda.”
Una mano si strinse con forza al proprio ginocchio, cercando di resistere dal lasciarsi andare emotivamente al ricordo.

“Picchiava anche lei?” Si azzardò a chiedere Jonathan, sicuro di non aver interpretato male i segnali. Edward era stato bravo a nascondere la cosa, ma con altrettanta maestria il ragazzo sapeva riconoscere i segni dell’abuso. Edward si lasciò andare a una risata amara, colpito dalla perspicacia dell’altro. Non si era sbagliato: Keeny meritava la sua attenzione, dopotutto.

“Me lo chiedo spesso. A volte preferisco pensare che sia stata soltanto egoista.” Replicò
“Quando tornammo a casa dopo il funerale... quella fu la prima volta in cui mi colpì.” Jonathan rimase in silenzio.
“Non smettevo di piangere.” Era stato solo uno schiaffo, dato a mano aperta e nemmeno troppo forte, ma sufficiente per fargli capire che le cose sarebbero cambiate e che con la dipartita di sua madre non ci sarebbe più stato spazio per attenzioni e affetto. Edward affondò il viso contro le ginocchia, odiandosi per quelle lacrime che ancora, dopo anni, non riusciva a reprimere al ricordo. La vicina di casa si era presa cura di lui durante quel periodo, ma nemmeno con lei il ragazzo era mai riuscito a parlare apertamente della cosa. Quella era la prima volta che ci riusciva,da quando era accaduto e un po’ si odiò per aver scelto Keeny per farlo, perché non lo conosceva abbastanza da permettersi di confidarsi con lui a quel modo. Quando le parole avevano iniziato a sfuggirgli, una dopo l’altra, gli era stato impossibile smettere. Jonathan era rimasto in silenzio per tutto il tempo, pentito di aver posto una domanda così indelicata. Non aveva idea di aver toccato un tasto così dolente, non era stata quella la sua intenzione quando, senza pensare, gli aveva posto quella domanda. Non si era aspetta aspettato una reazione emotiva di quel genere e, nonostante il rosso stesse facendo del proprio meglio per nasconderla nel silenzio e buio della stanza, era evidente che stesse piangendo. Keeny agì d’istinto e, seppur con poca convinzione, gli passò un braccio intorno alle spalle, attirandolo a sé e sperando che quel gesto potesse in qualche modo porre rimedio alla situazione che aveva creato. Edward era trasalito al tocco e quasi l’aveva respinto, inizialmente, solo per poi cedervi e ricambiarlo maldestramente. Aveva nascosto il viso contro la spalla dell’altro, aggrappandosi alla sua maglia con le dita e cercandovi appiglio.

“Ci ho messo anni a capire che non gli servisse un motivo per farlo.” Provò a suonare calmo nel dirlo, ma la sua voce era rotta dall’agitazione, quasi soffocata contro di lui.
“Altrettanti per capire che questo non era normale.”

Jonathan aumentò la stretta, non sapendo nemmeno cosa fare. Rimase ad ascoltare, cingendolo anche con l’altro braccio e aspettando che continuasse.

“Ieri sera non c’era più birra in frigo, solo una cassa in garage.”
Gli aveva dato del buono a nulla, dell’idiota, solo per non aver provveduto a una cosa di cui non aveva minimamente idea. Lui si spaccava la schiena tutta la notte per mantenere il suo culo ingrato, badare alla casa sarebbe stato il minimo, eppure più volte l’uomo gli aveva portato via parte dei guadagni del suo part-time solo per mantenere i propri vizi.

“Non incolpo mia madre per la sua decisione...” gli disse ad un tratto.
“A volte desidero solo che avesse portato anche me con lei.”
Una mano di Jonathan gli si posò sulla testa, accarezzandogli lentamente i capelli. Non avrebbe mai creduto possibile ricevere confidenze tanto personali, non così in fretta, ma era evidente che Edward avesse bisogno di sfogarsi e quindi non lo questionò. Era stata colpa sua, in fin dei conti, sua e della sua indiscrezione.

“Mi dispiace.” Gli disse semplicemente.
Il rosso si ritrasse dal suo maldestro abbraccio, portandosi una mano al volto per cancellare i segni delle lacrime, resi fortunatamente invisibili dal buio della stanza.

“Speravo non fosse così evidente, ma...” le sue parole si smarrirono in una risata nervosa.
“Ci ha messo meno di un giorno a capirlo.”

“Riconosco... certe cose, diciamo.” Gli disse semplicemente, non volendo continuare e fu quasi grato a Edward per non avergli chiesto spiegazioni in merito.
Gli poggiò una mano sul ginocchio, cercando la sua attenzione.

“Tutto ok?” Si odiò per aver posto una domanda tanto banale, sapendo quanto fosse stupida e scontata la risposta, ma il rosso sembrò apprezzare.
Aveva annuito appena, per poi sospirare e poggiare la schiena al muro.

“Passami i biscotti.”

Quando finalmente iniziarono la visione della serie da dove la avevano interrotta, Edward non vi impiegò molto tempo prima di accucciarsi nel letto e posare di nuovo il volto contro la sua gamba.
Si era scusato con lui, chiedendogli il permesso per farlo. Doveva essere stanco, emotivamente drenato, sconfitto e siccome a Jonathan non creava problemi, lo lasciò stare, accarezzandogli i capelli distrattamente e preparandosi a una lunga notte insonne.

L’indomani si parlarono appena, entrambi sollevati che vi fosse il weekend di mezzo e che avrebbero potuto vedersi soltanto il lunedì.






End
Cadaveria†Ragnarsson


  
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