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Autore: QuelloStranoEremita    19/11/2016    0 recensioni
L'agente Marion è giunto in Italia in missione esplorativa super segreta. Sotto falsa identità dovrà ottenere informazioni che potranno essere potenzialmente pericolose per il bene di tutti.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo una lunga scarpinata, Marion giunse finalmente nei pressi delle mure di Bologna. Il traffico era leggero, nonostante fosse giunto nel centro della città, e poche persone percorrevano i marciapiedi grigi che contornavano le strade di asfalto bollenti. Marion avvertiva che nella città faceva decisamente più caldo. La sua camicia si inumidì, il manico della ventiquattr'ore divenne scivoloso, e l'afa opprimente lo affannò così tanto che fu costretto a fermarsi un paio di volte prima di raggiungere quella che da lontano sembrava essere un punto di raccordo di grandi strade a più corsie. Era giunto a Porta San Mamolo, o almeno così dicevano i cartelli che circondavano quell'incrocio. Della porta, però, non vi era traccia. Si aspettava di vedere almeno un arco, o qualche traccia dell'antica muratura, come aveva visto nelle foto dei primi dossier che aveva studiato su Magisterion. Rimase deluso. Guardò il suo orologio, su cui aveva una mappa abbastanza dettagliata della città. Aveva bisogno di un punto di ristoro dove potersi rifocillare, e doveva anche cercare un luogo dove poter passare la notte. Forse si sarebbe dedicato alla ricerca di un “ostello” o meglio ancora di un “ristorante”, dove avrebbe potuto interagire per la prima volta con gli esseri umani. In ogni missione era sempre spinto da una profonda curiosità verso i mezzi di comunicazione e socialità usati dalle specie che doveva analizzare. D'altronde, aveva sempre partecipato come agente del nucleo di esplorazione proprio per questo. Prima del piacere, però, avrebbe dovuto anche cercare una connessione internet: più presto avrebbe ufficializzato la propria falsa identità, più presto avrebbe potuto iniziare la sua “nuova vita”. L'unico problema era che il suo orologio non gli avrebbe fornito questa informazione: la mappa dava solo i nomi delle strade e i monumenti principali di Bologna e dei dintorni. Marion si risolse dunque nel cercare qualcuno a cui chiedere. Con le mura alle spalle, s'incamminò per la via principale. Era il primo pomeriggio, e in quel momento non passava anima viva. L'asfalto friggeva le ruote delle poche auto parcheggiate, e stranamente molti locali erano chiusi, alcuni con cartelli alle vetrine che mostravano a caratteri cubitali “Chiuso per ferie”. Marion inveì contro la pigrizia dell'umanità, ma a bassa voce. Proprio in quel momento passò un uomo in maglietta e pantaloncini corti, dalla pelle e dai capelli scuri, a cavallo di una bicicletta. Marion richiamò la sua attenzione.

“Mi scusi! Signore, mi scusi!” disse lui in italiano.

Il ragazzo, giunto a una decina di metri davanti a Marion, frenò bruscamente e si voltò osservandolo con una faccia tra il sospettoso e il sorpreso.

“Mi scusi” disse Marion, che lo aveva raggiunto, “saprebbe dirmi dove posso trovare un luogo per potermi connettere a internet?”

Il ragazzo strizzò gli occhi.

“Un internet point?” chiese lui.

<> pensò Marion. “Sì, esatto, avrei bisogno con urgenza di un internet point. Sa dove si trova?”

“C'è uno qui vicino. Di dove sei? Non parli bene l'italiano”

A Marion si strinsero i cuori. “Sì, infatti sono straniero e sono arrivato qui oggi. Ho bisogno di internet, dove devo andare?” affrettò.

“Sali su mia bici, ti accompagno. Sono di strada. Io mi chiamo Rommel, piacere” si offrì il ragazzo, tendendogli la mano.

Marion gliela strinse, si presentò e lo ringraziò. Salirono insieme sulla bicicletta e mentre Rommel pedalava, Marion soddisfò alcune delle sue curiosità.

“Tu non sei italiano, Rommel. Di dove sei?”

“Io di Bangladesh. Tu?”

“Io sono inglese, vengo da Londra”

“Bello. Sei studente straniero?”

“Sì, studio medicina”

“Caspita, intelligente”

“Tu che cosa studi?”

Rommel rise. “Io non studio, io lavoro. Ho un negozio di frutta e verdura. Mio cugino ha internet point, io ti sto portando lì”.

Sfrecciavano velocemente nelle strade libere, raccontandosi le loro origini e della loro vita. Marion ne approfittò per ripassare di nuovo la sua storia, mentre Rommel ne approfittò per scambiare due chiacchiere con il suo nuovo strano amico straniero.

Giunsero in breve all'internet point. Marion smontò goffo dalla bici, mentre Rommel ripartì subito, salutandolo e scusandosi per la fretta. “Devo scappare, tra poco devo aprire negozio. Alla prossima” urlò da lontano, sbracciandosi per far vedere il suo saluto.

“Grazie, Rommel!” esclamò Marion. Alzò poi l'orologio alla bocca, premette un pulsantino di lato e sussurrò: “Primo contatto con un essere umano, positivo e amichevole. Un'ottima prima impressione. Spero siano tutti così”.

Marion si ritrovò davanti la vetrina di questo internet point piccolo e poco illuminato. Gli unici segni di riconoscimento erano una insegna generica bianca con scritte nere e un pannello di lampadine colorate lampeggianti che formavano la scritta “Aperto”, invitando chi era all'esterno in quell'antro che di primo acchito fece sospettare Marion della reale funzione di quel locale. Tirò un sospiro ed entrò, ventiquattr'ore alla mano. All'interno vi erano dieci computer apparentemente vecchi e impolverati. Uno di questi era occupato da un ragazzo dagli occhiali spessi e dalla pelle talmente pallida che i suoi baffi preadolescenziali risaltavano come se fossero stati disegnati con un pennarello nero indelebile. I suoi occhi erano fissi sullo schermo del pc, la cui luce rifletteva sulle sue guance candide e spelacchiate come fosse un'ologramma. Marion, stranamente, ne fu colpito.

“Buongiorno!” disse il signore di colore in fondo alla stanza, dalla sua vecchia scrivania.

Marion trasalì. “Buongiorno! Ehm... Avrei bisogno di un computer per connettermi a internet”.

“Numero 4” rispose il signore, indicandogli rapidamente uno dei computer. Marion si diresse al suo posto, si accomodò sulla sedia cigolante, si mise la sua valigetta in grembo e ne estrasse una piccola sfera d'acciaio. Delicatamente avvicinò la sfera al tower posto sotto la scrivania. Dalla sfera un raggio laser verde illuminò il tower, e in una frazione di secondo dei fili molto sottili ma resistenti uscirono dalla sfera, inserendosi all'interno della porta USB. Marion lasciò la sfera, che ora era agganciata al tower, prese il mouse e cliccò “Avvia caricamento dati” nella finestra che si era aperta sullo schermo del computer. La finestra si chiuse e lo schermo si spense. Il tower incominciò a emettere calore, mentre la ventola interna che avrebbe dovuto raffreddarla girava freneticamente, producendo un gran fracasso. Il padrone dell'internet point, grazie alle cuffie, non badava al rumore. Il ragazzo pallido, invece, alzò lo sguardo dallo schermo, guardò in direzione di Marion e aggrottò le folte ciglia. Marion evitò di incrociare i suoi occhi edulcorati dai fondi di bottiglia che erano quegli occhiali.

Una serie di scritte apparirono una appresso all'altra sullo schermo del suo computer. Queste indicavano che la falsa identità di Marion si stava realizzando: la sfera stava accedendo a server, violando password e caricando dati, tutto in maniera tecnicamente illegale. Fortunatamente, la tecnologia di cui disponeva lo rendeva assolutamente inattaccabile e al di sopra di ogni sospetto. Nessuno, nemmeno il migliore hacker sulla Terra, avrebbe potuto mai scoprirlo.

Un messaggio di errore lampeggiò: “Attenzione: Potenza di Calcolo Non Sufficiente. Inserire Hardware Aggiuntivo”. Marion non perse un istante: premendo alcuni pulsanti del suo orologio e avvicinandolo al tower, attivò un altro raggio laser verde. L'orologio, come la sfera, analizzò il computer e si connesse con fasci di fili sottili. “Sincronizzazione...” era scritto sullo schermo dell'orologio, che ora emetteva una tenue luce verdognola. Dopo poco, il computer si sbloccò, ricominciando a stampare scritte su scritte sul suo schermo. Il tower tornò a far baccano con la sua ventola, stavolta in misura minore, forse per via dell'aiuto dato dall'hardware aggiuntivo. Marion si asciugò il sudore e alzò lo sguardo. Il ragazzo pallido lo stava fissando. Marion capì che quel ragazzo non aveva smesso un attimo di fissarlo. Dalla sua posizione probabilmente non aveva visto quello che aveva combinato con orologio e sfera; di certo però stava destando sospetti. Il ragazzo continuava, stringendo ora gli occhi e lasciando capire che aveva compreso che qualcosa non andava. Marion doveva reagire. Continuò a guardarlo, alzò la mano sinistra, strinse i polpastrelli e, muovendo il polso su e giù, esclamò: “Cazzo guardi?”

Il ragazzo, improvvisamente intimidito, abbassò lo sguardo, sistemò gli occhiali sul suo naso, mise un paio di cuffie nelle orecchie a sventola e distolse l'attenzione da Marion, che tirò un sospiro di sollievo. A quanto pare, studiare certi comportamenti caratteristici italiani, come il “gesticolare”, era servito a qualcosa. Subito dopo, la scritta “Operazione Completata” riempì lo schermo nero del suo pc. La sfera d'acciaio si scollegò, cadde al suolo e si disgregò in una polverina d'acciaio molto fine. L'orologio si staccò ugualmente e tornò a sembrare un orologio normale. Marion era stremato da quella tensione: spense il pc, pagò quanto doveva al signore di colore che non si era accorto di nulla, ed infilò la porta in men che non si dica. Finalmente fuori, Marion tornò sereno, ignorando l'ultima occhiataccia del ragazzo dai baffetti imbarazzanti.

Era tempo di trovare un alloggio per la notte. Si incamminò e dopo poco tempo trovò un alberghetto che avrebbe fatto al caso suo. In meno di un'ora, Marion era finalmente riuscito a trovare una stanza in cui avrebbe potuto riposarsi. Arrivato, chiuse la porta, tolse i vestiti e la tuta e si gettò nel letto, le cui coperte verdi, pensò, erano una mimetizzazione perfetta. Sorrise alla sua pessima battuta e, ignorando la sua fame, si addormentò.

 

 

   
 
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