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Autore: _unknown_    19/11/2016    3 recensioni
[Fanfiction partecipante al contest “Truth or dare? Love is in the air” indetto da Sethmentecontorta sul forum di EFP ](seconda classifiacata e vincitrice premio creatività e premio fanfiction preferita dal giudice)
è questa una storia, mai raccontata. Forse per noia, forse per mancanza di coraggio. Una storia sepolta nel cuore di una dei due protagonisti. Un racconto di un amore, che non ha fatto in tempo a definirsi tale. Un sentimento mezzosangue, a metà tra un’ illecita collaborazione e un’impossibilità di staccarsi fino in fondo l’uno dall’altro. Un rapporto clandestino, germogliato e mai sbocciato nel corso di quel tempo che senza fretta scorre, senza fermarsi mai. Quel tempo che crea, distrugge e ricostruisce, guasta e riaggiusta e fa da sfondo ad una favola bizzarra che un autore dispettoso ha privato del lieto fine.
[MelloxHalle]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Halle Lidner, L, Mello, Near
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Angolo me
Inizio immediatamente salutando tutti voi, approdando per la prima volta in questa sezione come scrittrice.
Questa storia parlerà di una delle mie Ship supreme, che si non ha alcun motivo di esistere, but let me dream. Il racconto parlerà della coppia MelloxHalle seguendo tappa per tappa, lo sviluppo nell’anime. A tal proposito mi sembra corretto e doveroso affermare che si la maggior parte della storia prende spunto dall’anime, tuttavia vi sono scene di altra derivazione: inventate da me o lievemente ibridizzate con il manga, il tutto fatto per esigenze(?) di trama, ma che in alcun modo attaccano la storia di partenza.
Fatta questa precisazione ringrazio la giudice del contest, fornitrice di un’occasione per scrivere su death note (che sia un bene o un male non lo so)  e per aver fornito una proroga, senza la quale non sarei qui.
Detto questo vi saluto augurandovi buona lettura!
_unk_
 
 
Autore: _unknown_
Titolo: Nankurunaisa
Fandom: Death note
Pacchetto: Δ 
Introduzione: è questa una storia, mai raccontata. Forse per noia, forse per mancanza di coraggio. Una storia sepolta nel cuore di una dei due protagonisti. Un racconto di un amore, che non ha fatto in tempo a definirsi tale. Un sentimento mezzosangue, a metà tra un’ illecita collaborazione e un’impossibilità di staccarsi fino in fondo l’uno dall’altro. Un rapporto clandestino, germogliato e mai sbocciato nel corso di quel tempo che senza fretta scorre, senza fermarsi mai. Quel tempo che crea, distrugge e ricostruisce, guasta e riaggiusta e fa da sfondo ad una favola bizzarra che un autore dispettoso ha privato del lieto fine.
 
 
 

Nankurunaisa

 
con il tempo si sistema ogni cosa
 
 
28 Febbraio 2013.
Los Angeles
 

Non avrebbe mai creduto che la casa di Los Angeles le sarebbe mancata così tanto. Era passato già un mese dalla risoluzione del caso Kira e dalla morte di Light Yagami. E da due settimane appena  aveva lasciato il Giappone, certa di una sola cosa: non ci avrebbe messo più piede.
Erano successe fin troppe cose in quella terra lontana, che adesso le appariva colma di insidie. Troppe morti, troppo dolore, persino lei, che del rischio e del pericolo ne aveva fatto il suo mestiere, per la prima volta, aveva provato paura.
No, quell’esperienza non si sarebbe mai più dovuta ripetere. Mai più.
Restava distesa sul suo comodo letto spazioso, a fissare il soffitto bianco e asettico, improvvisamente degno di ogni sua attenzione. Rifletteva, in silenzio. Forse per ingannare il tempo o forse sé stessa.
Quello era il giorno, lo sapeva.
Un solo ultimo sforzo e si sarebbe lasciata definitivamente tutta quella storia alle spalle.
L’ultimo sforzo, si, ma il più faticoso. Una parte di lei, la donna, supplicava con forza che lei restasse lì ben a fondo tra le sue lenzuola, senza uscirne per nessuna ragione al mondo, ma un’altra, l’agente segreto, le imponeva di farsi forza e uscire allo scoperto, adempiere al suo dovere.
Non poteva ignorarlo.
Lui, da un mese esatto, la stava aspettando.
Forte di questa consapevolezza, tirò un sospiro profondo, come a volersi infondere un coraggio che in fondo non era certa di possedere e si mise in piedi, barcollando appena, perso per qualche istante l’orientamento.
Si trascinò senza troppa fretta verso la porta del bagno, varcandone, dopo aver preso un respiro profondo, la soglia  e ritrovandosi poco dopo lì, faccia a faccia con la propria immagine riflessa allo specchio. Si avvicinò esitante, per poi poggiare una mano tremante su essa. Solo adesso se ne accorgeva. Quella strana e pericolosa avventura aveva cambiato qualcosa di impercettibile e al contempo così chiaro nel suo aspetto, nel suo sguardo. Era diversa, una donna diversa, un’ Halle diversa.
Sospirò ancora, per poi raccogliere i capelli biondi in una coda alta e infilarsi svelta sotto la doccia, sperando che almeno essa potesse in qualche modo placare quel flusso di pensieri che impetuoso fuoriusciva dalla sua testa, confondendola, destabilizzandola.
Tutto ciò che ottenne, tuttavia, fu l’effetto contrario. Insieme a quell’acqua talmente calda da arrossare la pelle erano fuoriusciti anche i ricordi, apparentemente distanti, come appartenuti a una vita precedente, ma in realtà accaduti solo qualche mese addietro. Le si erano ripresentati uno dietro l’altro, taglienti come lame, affilati come rasoi, eppure lei era rimasta immobile a lasciarseli scivolare addosso insieme al getto della doccia. In un certo senso se lo aspettava. La sua mente non l’avrebbe lasciata in pace tanto facilmente. Rimase lì, ferma, ad occhi spalancati e assenti, per un tempo infinito, per poi tornare in sé, avvolgersi in un candido asciugamano ed avviarsi verso la propria camera.  Ma neanche stavolta, suo malgrado, il suo cervello ebbe pietà di lei, riportandole davanti agli occhi il ricordo più amaro, quello a cui però sentiva di tenere di più.
Una sola scena, proiettata dalla sua mente contorta e decisamente masochista.
Come tutto aveva avuto inizio.
 
Novembre 2012
Los Angeles
 

Quel lavoro si stava rivelando più complicato del previsto. Del resto doveva aspettarselo, neanche l’investigatore più intelligente al mondo aveva risolto quel caso. Perfino L era rimasto ucciso. Tuttavia Lidner si riteneva fiduciosa; credeva a pieno nelle capacità di Near, sapeva che lui avrebbe portato Kira in galera. Non avrebbe saputo spiegarne né il come né il perché. Lo sapeva e basta. Qualcuno avrebbe parlato di intuito femminile, ma lei probabilmente ne avrebbe riso, quei luoghi comuni da romanzo rosa davvero non facevano per lei. Non era certo la donna a nutrire questa convinzione, era l’agente Halle Lidner dell’SPK. E si fidava ciecamente del suo capo.
Tuttavia, svariate volte, non poteva fare a meno di chiedersi dove i suoi ragionamenti li stessero portando, non riusciva a non interrogarsi su quali avvenimenti fossero conseguenze da lui rigorosamente calcolate e quali invece frutto di più o meno fortunate coincidenze.
Iniziava a dubitare, sempre più spesso, su cosa avrebbe dovuto fare. Su come avrebbe dovuto agire nelle circostanze più disparate e pericolose, come quella nella quale si stava ritrovando proprio in quel momento, quando, appena rientrata in casa si era ritrovata davanti una figura, di qualche centimetro più bassa di lei, avvolta dalla penombra e da un cappotto scuro, con una pistola tra le mani .
“Fatti vedere!” tuonò imperiosamente, con gli occhi zaffiro ridotti a due fessure. Non aveva paura, ne aveva sgominati a bizzeffe di ladri in casa.
La figura davanti a lei cominciò a muoversi, come risvegliata da uno stato di trance, camminando a passi cadenzati verso di lei che ancora non aveva cessato di squadrare l’intruso da capo a piedi. Forse, suo malgrado, cominciava a capire. E una parte di lei sperava di sbagliarsi. Quello davanti a lei era un uomo, ne notava le spalle larghe e i fianchi stretti, fasciati ad arte in quell’eccentrico cappotto dal cui cappuccio fuoriuscivano, come impazzite, lunghe  ciocche color del grano.
L’uomo avanzò verso di lei fino a che separarli non rimasero solo tre passi, per poi portarsi le mani ai bordi del cappuccio e scostarlo, mostrandole il volto. O quello che ne rimaneva.
Halle ebbe appena il tempo di portarsi una mano alla bocca, solo qualche istante dopo aver lasciato sfuggire dalle proprie labbra un singulto.
Non poteva crederci.
“Mello…” quel nome abbandonò la sua bocca, con una naturalezza che riuscì a lasciarla interdetta. Lui…era davvero lì a casa sua?
Il ragazzo grugnì in risposta voltando di scatto il viso e mostrandole ancora meglio le bende e le fasciature che lo ricoprivano, dalla fronte per tutta la guancia, fino ad arrampicarsi a tratti sul collo e – immaginava – anche su petto e schiena.
“Dunque tu…sei ancora vivo?”
Attese per secondi interminabili una risposta, senza mai ottenerla. Tutto ciò che ebbe indietro fu un rantolo esasperato, prima che egli incatenasse il suo unico occhio buono nei suoi e sbottare
“Dici sempre cose così ovvie, Lidner?”
Questa volta fu lei a voltare il viso ridicolosamente in fiamme, profondamente infastidita dall’essere stata messa a tacere in quel modo così stupido. Prese un respiro profondo indurendo lo sguardo più di quanto già non avesse fatto.
“Che cosa ci fai qui, Mello?”
Le garze nascosero per la maggior parte quello che sembrava essere un ghigno sghembo, ma lei lo notò alla perfezione. Incrociò le braccia attendendo una risposta.
“Mi serve un posto dove stare, Lidner”
Nulla di inaspettato per le orecchie della giovane, immaginava che dietro quella strana improvvisata si stesse nascondendo un obiettivo del genere. Lei era Halle Lidner, meglio degli altri avrebbe potuto servirlo, meglio degli altri avrebbe potuto accontentarlo. Mello voleva tutte le informazioni di Near per poterlo anticipare ed essere finalmente il migliore, lei doveva essergli semplicemente sembrata il mezzo più efficace per arrivare al suo acerrimo rivale. Era fin troppo semplice arrivarci.
Sorrise sardonica, incrociando  le braccia davanti al petto.
“E chi ti dice che io voglia concedertelo?”
Lo sentì sghignazzare in un filo di voce, facendole venire una gran voglia di prenderlo a schiaffi.
L’uomo davanti a lei la guardò sprezzante prima di impugnare saldamente la sua pistola e puntargliela a qualche centimetro dal volto.
Stavolta fu lei a ghignare beffarda. Si avvicinò ulteriormente a lui afferrandogli il posto con un gesto secco per posizionare la pistola contro di sé, all’altezza del cuore.
“Vuoi spararmi, Mello?” disse ridacchiando. “Potresti farlo, ma… poi chi ti dirà tutto ciò che ti serve sapere?”
Mello sussultò, spiazzato, permettendo ad Halle di allargare ancora un po’ il suo sorriso. Non poté evitare di chiedersi come avesse fatto a capire le sue intenzioni. Doveva ammettere che Near aveva saputo scegliere bene i suoi collaboratori. Grugnì infastidito, gettando la pistola in un angolo della stanza, ancora avvolta nella penombra. La donna davanti a lui continuava a sbeffeggiarlo facendogli montare una rabbia nera. Odiava essere messo con le spalle al muro.
Irascibile, afferrò Halle per il colletto della camicia per poi sbattersela contro, incombendo su di lei nonostante l’altezza non fosse dalla sua parte.
“Che mi dici di questo invece?” la voce si ridusse a poco più che un sibilo, l’occhio non bendato ridotto a una fessura cerulea e i muscoli guizzanti, pronti a scattare nervosi ad ogni rumore. Tuttavia Lidner, non sembrò per nulla turbata  da lui, soffocò solo parte del suo ghigno, stretta in una morsa che poco le permetteva di respirare liberamente, ma la sua spavalderia fu ancora intatta ad animare la sua successiva provocazione.
“Near… aveva decisamente ragione” lo osservò irritarsi ancora di più. “Sei troppo impulsivo”
Come scottato da quell’osservazione, l’allontanò bruscamente da sé. Halle non perse tempo a ripristinare il proprio equilibrio; prese a fissarlo con aria di sfida.
“E sia” acconsentì “In fondo…non mi dispiaci neanche troppo.”
Lo superò a testa alta, per poi avviarsi ad accendere finalmente la luce, immaginando a malapena il boccone amaro che stava mandando giù il suo nuovo coinquilino.
“Di sopra trovi il bagno e la tua camera da letto, cerca di non metterti nei guai” Mello la guardò di sbieco prima di borbottare qualche insulto al suo indirizzo e incamminarsi verso il divano in pelle che capeggiava al centro della stanza. Lidner sorrise trionfante, ci sarebbe stato sicuramente da divertirsi.
***
I primi giorni di convivenza forzata erano trascorsi in un modo abbastanza pacifico, non considerate le continue occhiatacce assassine che Mello le rivolgeva in qualsiasi momento a causa di quelle frecciatine velenose che si divertiva a scagliargli contro. A parte quello però, le interazioni tra loro erano spesso ridotte al minimo sindacale: pranzavano insieme, facevano a turni per il bagno e spesso Halle si concedeva di spifferargli qualche dettaglio sul caso Kira, curandosi di non rivelare troppo e di non rispondere alle domande più insistenti del biondo che con stizza sbuffava contrariato e si allontanava da lei. Come prevedeva, la situazione aveva un che di comico e tra le altre cose doveva ammettere che in fin dei conti quel Mello fosse un ragazzo molto educato, sotto quegli strati di strafottenza e di arroganza. Non se lo aspettava davvero, molto probabilmente alla Wammy’s house tenevano particolarmente alle buone maniere. Erano passati già cinque giorni, da quell’improvvisa irruzione, ma dalle labbra del ragazzo non era uscita una sola sillaba riguardante il suo piano: Halle era decisa a scoprirlo, non poteva fare a meno di chiedersi perché si ostinasse a vivere lì se non avrebbe potuto in alcun caso ottenere informazioni. Aveva cercato di capirlo da sé, ma non vedeva una singola ragione valida, anche sforzandosi. Decise per questo motivo di chiederglielo. Glielo avrebbe spiegato, con le buone o le cattive.
Era appena rientrata a casa, dal lavoro. Aveva aperto la porta e gettando malamente il cappotto bianco sulla sedia più vicina, a passo deciso si era diretta verso il divano, parandosi davanti a un Mello comodamente stravaccato su di esso.
“Di’ un po’…” cominciò con voce ferma, tentando invano di richiamare l’attenzione di quello che dal canto suo non aveva spostato di un millimetro lo sguardo dal soffitto.
“Cos’è che vuoi esattamente da me?”
Nessuna risposta. Il silenzio più totale, come se nessuno avesse parlato.
Halle serrò i pugni lungo i fianchi, odiava essere ignorata.
“Ehi… rispondimi!”. E anche quel tentativo fallì. Mello voltò appena il capo incastrando l’occhio color del cielo con i suoi di ghiaccio, sbuffò divertito per poi alzarsi con un balzo dal divano e superarla, diretto al piano di sopra, come se lei fosse stata invisibile.
Lidner attese che sparisse dalla sua  visuale prima di digerire il colpo. Urlò frustrata per poi lanciarsi al suo inseguimento.  Non appena terminate le scale si guardò intorno, notando così una luce accesa filtrare da sotto la porta del bagno. Si avvicinò con cautela, ma appena posata la mano sulla maniglia fu costretta ad arrestarsi udendo uno strano rumore del tutto simile a un gemito da dietro la porta.
Prese un respiro profondo, poi spalancò la porta con decisione, senza esitare un istante.
Ma nel vedere la scena che le si era palesata davanti agli occhi, non riuscì a trattenere in singulto impressionato e mortificato.
Mello, ormai privo della maglietta, si era tolto tutte le bende che lo ricoprivano, mostrandosi così pieno di cicatrici. Quando si accorse di quanto accaduto fece brillare nei propri occhi una scintilla di folle ira. Fece per aprire bocca, ma lei riuscì a precederlo.
“Scusami.” Disse solamente, mentre piano aveva preso ad avvicinarsi a lui. Mello cercò di ritrarsi il più possibile, ma come in un vicolo cieco, si ritrovò bloccato in quella spiacevolissima situazione.  Il suo orgoglio in quel momento urlava disperato. Non voleva che qualcuno lo vedesse così… sfregiato.
“Vattene” sibilò velenoso, mentre prendeva tra le mani la boccetta del disinfettante e delle garze pulite. Doveva medicarsi. Halle si portò una mano alla bocca, profondamente mortificata. Era un gemito di dolore, quello che aveva sentito prima. Che stupida… e adesso se ne stava immobile come una statua di sale mentre quello si tamponava delicatamente le ferite, dal volto al collo, alla schiena. Ma se per le prime era stato facile, lo stesso non si poteva certo dire per la sua spalla, che non riusciva a raggiungere per intero senza digrignare i denti per il dolore, dato da un movimento illecito per il suo fisico gravemente compromesso.
La sua lingua fece tutto da sé.
“Lascia, faccio io” e detto questo afferrò il disinfettante, per poi mettersi dietro di lui.
“Odio ripetermi, Lidner” disse in una minaccia, ma lei non vi badò. Le sue intimidazioni non le facevano alcun effetto. Gli sottrasse senza fiatare le garze dalle mani e lentamente prese a tamponargliele per tutta la spalla fino a dove si arrampicava la ferita: emanava ancora un calore spropositato che quasi infastidiva la punta delle sue dita. Non gli fu difficile allora immaginarsi come dovesse essere stato quell’ incidente, come il fuoco avesse dissolto la pelle chiara, come le fiamme avessero sfrigolato sulla carne viva, incidendosi per sempre su di essa. Quella stessa carne che non del tutto cicatrizzata pulsava rabbiosamente rossa più dello scarlatto.
Ne tamponò delicatamente ogni angolo, curandosi di controllare la sua espressione riflessa nello specchio davanti a loro. Sembrava a tratti infastidito, poi apatico, poi ancora nervoso  e non mancavano le volte in cui stringesse i denti per il dolore di un gesto troppo avventato.
Finita la schiena, la garza si soffermò sul profilo del collo, poi sulla spalla e si avventurò sul braccio prima e sul petto poi. Mello non mostrò neanche una parte del proprio imbarazzo. Con l’aiuto dello specchio, premendosi delicatamente contro di lui, medicò fino all’ultimo centimetro le sue ferite, per poi afferrare nuove fasciature e coprirle affinché non si infettassero.
“Chi… chi è stato a salvarti?” chiese sottovoce, la spavalderia di qualche ora prima lontana anni luce.
“Non lo conosci… non ha senso che faccia il suo nome. È un mio collaboratore” rispose quello semplicemente. Halle capì al volo di chi potesse trattarsi:  Mello avrebbe preferito morire piuttosto che farsi aiutare da qualcuno che avesse medesime o maggiori capacità delle sue; restava dunque una sola persona.
“Il terzo successore di L.” e non ottenne alcuna risposta. Non ne aveva bisogno, comunque.
Approfittò di quel silenzio per fasciargli velocemente le ferite, poi riprese a parlare.
“Ti pesa tanto…essere così?” Mello sbuffò divertito a quella domanda, stirò sul volto un sorriso di scherno e prese a fissarla attraverso lo specchio
“È stato difficile da digerire” iniziò, e lei per un attimo si chiese se si stesse riferendo alla sua condizione fisica o semplicemente al fallimento suo piano.
“Ma, vedi Lidner…In due parole posso riassumere tutto quello che ho imparato sulla vita: va avanti.
Halle si pietrificò all’istante. Non credeva che dalla bocca di Mello potesse venir fuori una frase di quel calibro, lui che pur di vincere era stato disposto a perdere la vita, che pur di essere il primo non disdegnava i più contorti sotterfugi, vittima di quella determinazione che riusciva a portarlo ai limiti dell’ infantilità.
“Ti riferisci a L” concluse a voce alta.
Mello non le rispose ancora una volta. Le sottrasse dalle mani i lembi delle nuove bende per poi bloccarli alla buona e infine, voltò appena il viso fermandolo a qualche centimetro da quello di lei  che vedeva da dietro la spalla. Rimasero così. Occhi negli occhi. Il blu del mare contro l’azzurro di ghiaccio. Halle rimase perfettamente immobile, le labbra lievemente dischiuse per la sorpresa. Non si aspettava una reazione del genere.
Rimasero a fissarsi a lungo, fino a vedere dell’altro anche l’anima, poi semplicemente, il ragazzo si mosse.
Si voltò nuovamente e la superò per uscire dal bagno, senza neanche essersi rivestito. Ma appena giunto sulla soglia, si arresto ancora e senza voltarsi parlò un’ ultima volta.
“Tutto quello che voglio è catturare Kira. Ciò che voglio da te è invece che tu mi porti da Near, quando lui mi chiamerà”
E uscì, chiudendosi in camera, senza più uscire per quel giorno.
Halle schiaffò nervosamente una mano sullo specchio, in preda a una serie di emozioni contrastanti, a una tremenda emicrania e alla consapevolezza su come agire, da lì in poi.
***
E i giorni, dal canto loro, erano trascorsi. Era già passata una settimana da quell’episodio e le cose tra i due coinquilini sembravano andare per il verso giusto. Halle si era ritrovata ad avere a che fare con un Mello sensibilmente diverso da quello che Near aveva descritto con i suoi ragionamenti. Vi ritrovava certamente la determinazione, la ritrosia e l’autorevolezza, ma si accorgeva sempre di più di altro in lui: come una sorta di maschera, ancora sotto le cicatrici ormai libere, fatta di delusioni e di amarezze, di frustrazione e malinconia, che celava inesorabile la parte di lui più umana, che ormai stanca non premeva più per venire fuori. Anche Mello si era accorto che la sua coinquilina fosse molto diversa da come inizialmente l’aveva inquadrata: una donna forte, intelligente, determinata e immensamente bella; aveva iniziato a farci caso proprio in quella sera, notando per la prima volta il corpo sinuoso e snello, le mani calde e affusolate, la pelle diafana e gli occhi chiari e limpidi che spiazzavano perfino lui, che non aveva mai prestato attenzione a quel genere di cose.
Halle si stava abituando in fretta al biondo. E fu proprio questo – si disse – il motivo per cui si sentì spaesata per un istante quando Near le aveva detto senza mezzi termini, che sarebbe stata proprio lei a portargli Mello, in qualche modo.
Nel rincasare, si era presa del tempo. Voleva pensare a cosa avrebbe dovuto fare per adempiere al suo compito senza far notare di aver tradito l’albino. Del resto, lei non lo aveva fatto. Non deliberatamente, almeno.
Non appena varcata la soglia di casa, si pressò velocemente un dito sulle labbra per intimargli silenzio assoluto e Mello, con la coda dell’occhio la vide, scattando sull’attenti .
Prese a seguirla senza fare alcun rumore, fino ad arrivare davanti alla porta del bagno, dietro cui elle si chiuse ed esclamò a gran voce.
“Near… tolgo le cimici per fare la doccia”
E lì fu tutto chiaro. Più limpida del sole la consapevolezza che il momento fosse giunto. Mello e Near finalmente si incontravano di nuovo.
Halle rimase chiusa in bagno per una manciata di minuti, uscendo da lì lievemente rilassata e con un asciugamano a coprire il suo corpo ancora umido.
Tre passi appena oltre la soglia e si ritrovò una pistola puntata a pochi centimetri dal volto.
“Portami al quartier generale”
Lo guardò sprezzante negli occhi, per nulla intimorita da quella messa in scena. Sorrise.
“Devo prima parlarti di alcune novità sul caso Kira”
E, con il consenso del suo superiore, ella raccontò tutto, dalla prima alla loro ultima scoperta, dalla prima alla loro ultima supposizione e Mello ascoltò attentamente in un silenzio religioso, meditando su ogni sua parola. Quando finì, tra loro scese il gelo. Si guardarono negli occhi a lungo, poi Halle indietreggiò di un  passo.
“Vado a vestirmi, poi andiamo da Near” e fece per voltarsi ed entrare nella propria camera, ma non vi riuscì; vi fu un pugno chiuso sul suo polso a bloccarla, facendola sussultare, e a voltarla ancora. E sopravvenne poi una mano ad afferrare un lembo dell’asciugamano che la copriva, strattonandola in avanti.
Prima che riuscisse a fiatare si era ritrovata tra le braccia di Mello, con le labbra sulle sue che già sfregavano con insistenza. Spalancò gli occhi dalla sorpresa, colta alla sprovvista da quel gesto così inaspettato, e si perse ad osservare il volto contratto del ragazzo, ritrovandosi infine costretta a richiuderli non appena avvertì la pressione della lingua calda che cercava di farsi spazio tra le sue labbra, ora leggermente dischiuse. Posò le mani ai lati del suo petto, dandogli pieno accesso alla sua bocca, che quello esplorò con calma, stuzzicandole la lingua a intraprendere una danza lenta e sensuale che le spense il fiato nel petto. Halle ricambiò con passione, ipnotizzata da quel retrogusto di cioccolato – frutto di tutte le tavolette che ingurgitava quello – e dalla morbidezza  sorprendente  delle labbra, sebbene lievemente screpolate. Solo dopo un tempo infinito i due si staccarono, ansimando, per aver trattenuto il respiro troppo a lungo. Lidner capì di essere arrossita, sentendo un improvviso calore alle guance. Mello le rivolse un sorriso sghembo.
“Consideralo… un gesto di riconoscenza”. Halle lo guardò e a sua volta sorrise.
Si voltò una seconda volta, avviandosi nella camera da letto. Impiegò qualche minuto a vestirsi, poi tornò da lui, che già aveva riafferrato la pistola.
 
Il viaggio verso il quartier generale fu silenzioso, i passi di entrambi lenti e cadenzati. La tensione era alle stelle e la loro meta adesso si presentava a pochi metri.
Di quel colloquio tra – probabilmente – due tra le tre menti più brillanti in vita, risultò a Lidner ai limiti del surreale, non era riuscita a soffermarsi più di tanto sui loro discorsi. Tutto quello che era stata capace di fare era stato frapporsi fra lui e Near per evitare un’ inutile carneficina, non rispondendo alla domanda della sua coscienza – per il bene di chi?
Aveva fatto da spettatrice, insieme agli altri dell’SPK, mentre loro si scambiavano informazioni. Kira si serviva di uno strano quaderno magico, non aveva alcun senso, ma Near ci credeva e così anche lei.
E infine aveva osservato Mello tornarsene indietro, uscire dal quartier generale e andare via, diretto chissà dove. Era rimasta imbambolata a fissare l’uscio per un istante appena, poi era tornata in sé.
“Near… se non c’è altro io andrei” disse all’albino che dandole le spalle continuava a montare e smontare uno dei suoi robot.
“Si, grazie Lidner.” Rispose a tono monocorde. Lei fece per uscire.
“Ma gradirei che restassi in contatto con Mello, come hai fatto finora.” E lei sussultò appena. Acconsentì e finalmente uscì dalla stanza.
Quello che vide, una volta rientrata in casa, non la sconvolse per niente. Lo sapeva. Sapeva perfettamente che al suo ritorno l’avrebbe trovata vuota, purificata da ogni traccia che attestasse il suo passaggio, fatta eccezione per un solo pezzo sgualcito di carta con sopra dei numeri scarabocchiati. Lo afferrò tra le mani. Quello era solo l’inizio.

Dicembre 2012
Tokyo

 
Il viaggio era stato lungo e sfiancante. 
Il gruppo dell’SPK era approdato in terra straniera da solo qualche giorno e lei voleva già tornarsene indietro. Quel posto le metteva i brividi. Le sembrava di avvertire nell’aria il pericolo, unito con gli elogi a Kira che in quella terra era più forte che mai. Tutto ciò era disgustoso, non riusciva a trovare altre parole per descriverlo.
Nel nuovo quartier generale, Near aveva già preso ad elaborare nuove teorie e ad incaricare ognuno di loro di seguire tutti quelli che secondo lui lo avrebbero portato alla verità: Kyomi Takada, Teru Mikami ed infine Light Yagami, sospettato di essere il primo e vero Kira.
Infiltrarsi nel corpo di sicurezza di Takada: quello era il suo compito, quantomeno quello ufficiale. Ma vi era dell’altro. Near glielo disse una volta rimasti soli, con tono monocorde, guardando fisso davanti a sé.
“Ci sono alte probabilità che Mello, sia arrivato in Giappone prima di noi. Vorrei che ti mettessi in contatto con lui, hai il permesso di parlargli dei nostri risultati”.
Lidner annuì in silenzio, per poi allontanarsi dal quartier generale ed eseguire gli ordini.
 
Farsi ammettere nel servizio di sicurezza di Takada era stata la cosa più semplice avesse mai fatto. Non avevano neanche controllato i suoi trascorsi, limitandosi solo a porre domande su quanto amasse Kira. Nessun problema. Era sempre stata brava a mentire.
Tirò un sospiro di sollievo, nel rientrare nel piccolo appartamento  che aveva preso in affitto. Abbandonò il cappotto su una sedia, estraendo da esso un biglietto sgualcito, per poi stendersi sul letto e rigirarsi tra le mani il proprio cellulare.
Doveva farlo.
Lentamente, ricopiò sul display tutte le cifre di quel biglietto, prese un respiro profondo e chiamò. Squillò tre volte appena, poi riattaccò, iniziando a contare
uno
si mise comoda, poggiando la schiena contro il muro
due
stirò un sorriso nervoso, cercando di rilassarsi
tre
il telefono prese a squillare.
Accettò la chiamata all’istante, premendosi con forza il cellulare contro le orecchie
“Pronto?”
“Lidner…” quella voce per lei era inconfondibile. Prese un respiro profondo, pensando bene a come iniziare il suo discorso
“Ci sono novità sul caso Kira” disse semplicemente e poté giurare che l’altro in quel momento stesse sorridendo.
“Ti ascolto” rispose.
E Halle non si trattenne. Raccontò per filo e per segno ogni singola loro scoperta, ogni singola deduzione di Near, ottenendo in cambio alternati assensi che le assicuravano che egli fosse ancora in linea.
Parlò ininterrottamente, scordandosi quasi di respirare.
“È tutto?” chiese Mello, sentendola tacere. Lei affermò solamente.
“Devo ringraziarti, Lidner. Dì a Near di escludere a priori Misa Amane: quella ragazza è troppo stupida per essere il secondo Kira”.
La bionda cercò di sfruttare l’occasione.
“Tu…sei in Giappone, non è così?”. Sentì ridacchiare di gusto.
“Credevo fossi più sveglia di così, Lidner.” Rispose vago continuando a ridere.
“Dove ti nascondi, Mello?” disse con tono duro, ma a questa domanda non ebbe risposta. Aveva riattaccato.
Halle sospirò pesantemente, lanciando il cellulare ai piedi del letto. Non sarebbe finita così. Assolutamente.
***
I giorni a Tokyo erano tutti uguali. Scortare Takada nei suoi impegni, fare rapporto a Near, tornare a casa e chiamare Mello. Un continuo susseguirsi di azioni a ritmo serrato che iniziavano davvero a pesare, nonostante fossero passate solo due settimane.
Kyomi Takada era una donna senza carattere che nascondeva sotto un nome relativamente importante la propria debolezza. Se Mello aveva escluso Misa Amane dai giochi, lei era più che convinta che ella non fosse Kira. Non direttamente almeno.
Di questa e di altre deduzioni, proprie e del proprio capo, si ritrovava a discutere ogni sera con il biondo, restando talvolta per ore intere al telefono. E capitava molto spesso che tra una soffiata e l’altra, lei prendesse a porgli domande di diversa natura. Gli chiedeva sempre come stesse, dove fosse, cosa stesse facendo e lui puntualmente rispondeva sfottendola o restando vago ed enigmatico.
Quella sera, Halle era tornata a casa prima del previsto. Takada non aveva preso impegni e non poté non gioirne. Una serata senza strani individui dalla dubbia moralità e intelligenza attorno era sempre ben accetta.
Afferrò il cellulare, digitando velocemente il numero, se lo poggiò sull’orecchio, in attesa.  Bastarono tre squilli.
“Lidner!” salutò il suo interlocutore, con voce ghiaiosa e seria.
“Ho delle novità importanti da raccontarti” rispose lei, glaciale come il marmo. Sentì ridacchiare con soddisfazione.
“Beh…che aspetti a dirmele?!”
Silenzio.
“La situazione si fa delicata, Mello” iniziò lei, facendolo smettere di ridere. “Near pensa di essere sempre più vicino alla verità, ma per questo motivo mi ha raccomandato massima discrezione, se qualcuno dovesse intercettarci, tutti i nostri sforzi andrebbero in fumo.” Mello ringhiò rabbiosamente.
“Se non puoi dirmi nulla, perché mi avresti chiamato Lidner?” sibilò a denti stretti, ostentando una calma fin troppo forzata.
“Non ho detto di non poter dirti nulla. L’unica alternativa sarebbe quella di incontrarci.” Finì a stento la frase, poi udì una risata sguaiata che echeggiò per tutta la stanza.
“E credi davvero che io cada in questo sporco giochetto per farti scoprire dove mi sto nascondendo, Lidner?! Credi davvero che io sia così stupido?!”
“Ti manderò via mail il mio indirizzo. Poi fa come meglio credi” rispose Halle, ignorandolo del tutto, certa di averlo mandato su tutte le furie quando si accorse che Mello aveva attaccato, senza neanche ribattere. Stavolta fu lei a ridere di gusto.
 
Mezz’ora dopo, il citofono del suo appartamento squillò. Lei si alzò con calma e aprì, senza neanche accertarsi di chi fosse. Lo sapeva già.
Se lo ritrovò davanti, sull’uscio della porta, del tutto avvolto in un enorme cappotto nero, che celava di lui ogni cosa, anche il volto.
Rimase imbambolata a fissarlo, la spavalderia di poco prima morta e sepolta. Mello ridacchiò.
“Vuoti il sacco qui o mi fai entrare?”
E lei, lo fece accomodare.
Con poche grandi falcate fu dentro. Si tolse il cappuccio, scoprendo il volto. Halle chiuse la porta dietro di sé. Dopo più di un mese, finalmente si rivedevano. Gli indicò con un cenno del capo di accomodarsi. Trascorse un’ora in cui Halle, spiegò per filo e per segno tutte le nuove scoperte di Near:  la colpevolezza di Teru Mikami e la certezza che qualcuno stesse manovrando Takada in primis. Come sempre quello ascoltò in silenzio, talvolta alterando lo sguardo, indignato dal non aver captato certi indizi, ma lei non vi badò.
Finita la loro discussione, si alzò e lei lo riaccompagnò alla porta. Fece per aprirla, ma quello allargò un sorriso sghembo, si avvicinò pericolosamente a lei, la prese per le spalle e se la tirò contro, baciandola.
Cozzarono entrambi contro il muro più vicino, ma sembrarono non accorgersene neanche. In pochi istanti le lingue erano intrecciate insieme, giocavano a rincorrersi e già poco dopo la bocca di Mello si avventurava sul collo niveo di Halle, mordendo succhiando, leccando e assaporandone il sapore.
Lei s’incastrò le dita con le ciocche dei capelli biondo grano, premendoselo contro quanto più possibile, per farsi seviziare. Non si era resa conto di nulla, ma una parte di lei sapeva che sarebbe successo.
La sua camicia sparì poco dopo, prima che lei se ne rendesse conto, seguita poi dalla maglietta di lui che invece era già sceso a lambirle le clavicole sporgenti, mentre le mani, disegnavano già cerchi lascivi sull’addome tonico.
“Mello…” sussurrò in un gemito, per poi sentirlo sorridere contro di sé. Mello risalì il suo profilo, marchiandola ancora, per poi riappropriarsi delle sue labbra. Presero a baciarsi con  passione e Halle lo indirizzò verso la camera da letto.
Una volta dentro, le ginocchia di Mello toccarono il bordo del materasso una manciata di secondi dopo. L’uomo si ritrovò così disteso con Halle a sovrastarlo. Si staccò da lei, per poi portarla sotto di sé con un colpo di reni. Si fiondò poi sul suo petto liscio, affondando il volto e la lingua nell’incavo dei suoi seni, ancora in parte celato dalla biancheria. Halle strinse con forza le sue spalle, riconoscendo la consistenza diversa della cicatrice che aveva medicato.
Il biondo insinuò una mano sotto la coppa del reggiseno, mentre con l’altra aveva già preso a trafficare con i suoi pantaloni eleganti, liberandole le gambe lunghe e lisce poco dopo. Sollevò il viso, osservando il suo volto arrossato, gli occhi liquidi di piacere, la fronte imperlata di sudore, il respiro affannoso, per poi sorridere e sfilarglielo rivelando finalmente le curve abbondanti. Raggiunse ancora le sue labbra, ingaggiando l’ennesima lotta, voglioso di averla, di farla sua.
Dalle labbra gonfie e piene di lei uscirono lamenti e gemiti che si persero nella sua bocca. Halle si sentiva naufragare, in balia delle onde del più intenso piacere mai provato. Così grande, così  bello. Gli prese il volto fra le mani, sentendolo sussultare per un istante appena, mentre quello già si apprestava a trafficare con i suoi pantaloni in pelle. Li abbassò freneticamente, poi decise di superare l’ultima barriera che lo separava  dalla vista del corpo nudo di lei. Giocherellò con l’elastico degli slip, poi prese a stuzzicarla con le dita e solo quando sentì un gemito più acuto degli altri la spogliò dell’intimo, lo raccolse nel pugno e lo gettò da qualche parte nella stanza.
Il bacio si sciolse poco dopo e lei nascose il volto nell’incavo del suo collo mentre questo continuava a seviziarla, con quelle mani inaspettatamente esperte. Sentì un fruscio e capì che il momento era ormai arrivato. Mello le allargò le gambe accomodandosi tra esse e fissando gli occhi nei suoi, con una lentezza disarmante, entrò dentro di lei. Ed il piacere li fece ruggire.
Si stese interamente sopra di lei, prendendo a mordere la sua spalla, e iniziò a spingere con colpi secchi e ben assestati. Ad Halle tutta quella situazione sembrava surreale. Era surreale il modo in cui tutto questo stesse accadendo ed era surreale il piacere in cui stava annegando lentamente. Le spinte divennero man mano più urgenti. L’apice per entrambi era vicino. Lei lo raggiunse per prima, assalita da un calore impetuoso e piacevole, lui la seguì poco dopo, riversandosi nel suo corpo. Le crollò addosso, sfinito, per poi spostarsi di fianco a lei, continuando a stringersela contro, senza un vero motivo.
Halle si appoggiò esitante al suo petto, timorosa di un rifiuto che però non arrivò. Rimasero in un silenzio intimo e religioso, per niente di peso.
“Mello?” lo richiamò lei, rompendo quel limbo. Il biondo si voltò a guardarla di sbieco.
“Halle…”
Rimase di sasso.
Era la prima volta che la chiamava per nome. Non Lidner, Halle. Arrossì appena, prendendo fiato e coraggio.
“Sarebbe tutto più semplice.” Iniziò titubante. “Se solo voi… tu e Near vi alleaste…sarebbe tutto più semplice”. Ecco, lo aveva detto. Iniziava a essere stanca di stare al centro tra due fuochi, tradire l’uno con l’altro, continuamente. Voleva davvero aprirgli gli occhi e fargli capire che loro due, insieme, sarebbero stati più forti di Kira. Più forti anche di L.
Quello rise piano, poi si voltò verso di lei, incatenandola ai suoi occhi.
“Hai ragione. Sarebbe più semplice, ma meno soddisfacente.” Lei scosse la testa nervosamente, ma lui continuò. “Non mi aspetto che tu capisca…riuscirci da solo è la cosa che più mi preme al momento, io dev..”
“C’è in gioco la tua vita, Mello!” lo interruppe furiosamente lasciandolo interdetto. Nessuno si era permesso mai di farlo.
“Non mi importa niente della mia vita, so già di essermela giocata, sto solo aspettando di vedere come.”
Lei si portò le mani alla bocca, profondamente turbata, ma quello non reagiva. Si avvicinò lentamente premendo le labbra sulle sue. Mello l’assorbì passivamente per poi alzarsi e iniziare a rivestirsi.
Posatosi il cappotto sulle spalle, fece per uscire.
“Tornerai domani?”
Si voltò a guardarla, senza scherno, e annuì in silenzio. Poi uscì.
 
 23-26 Gennaio 2013
Tokyo.

 
Era già passato più di un mese dal suo arrivo in Giappone.
Erano cambiate così tante cose in quel lasso di tempo. La svolta più radicale era avvenuta quella fredda sera di Dicembre. Le lunghe telefonate erano diventate lunghe nottate trascorse a parlare prima, a fare l’amore poi. Era successo tutte le volte ed era come se entrambi non riuscissero più a fare a meno di naufragare l’uno nell’altro, fino a perdersi senza rimpianti.
E come ogni sera si era messa comoda sul suo letto ad aspettare che quel citofono squillasse, ma il tempo passava lento e di Mello non c’era traccia.
Era quasi mezzanotte quando la suoneria del suo cellulare la risvegliò dal sonno in cui era piombata.
“Pronto?”
“Ti ho svegliata?” rispose una voce per lei inconfondibile.  Lei mentì spudoratamente.
“Come mai non sei venuto?” sentì un mezzo sospiro.
“Vorrei che rispondessi a qualche mia domanda, puoi farlo, Halle?”
“T-ti ho già dett…”
“Non hai nulla di cui preoccuparti, è finita ormai” e rimase in silenzio. Come faceva a saperlo? Mello ne approfittò.
“Ha già un piano per incastrarlo, non è così?” lei sussurrò un flebile si in risposta.
“Ti va di raccontarmelo?” domandò con insistenza. Halle prese un respiro profondo.
“Usare il quaderno. Davanti a noi”. Mello sussultò appena, ma lei se ne accorse.
“Vuole far scrivere il suo nome?” il silenziò che seguì fu solo una conferma.
“Ho capito. Devo pensarci io.” Halle sgranò gli occhi, sperando di sbagliarsi. “C-che cosa vuoi dire, Mello?”
Ma lui la ignorò ancora.
“Quando?” chiese imperioso.
“Cinque giorni” disse lentamente “ Da oggi”. Ci fu silenzio, come se Mello stesse pensando a cosa dire.
“Ti chiedo di tenere tutto questo per te, grazie Halle.” E riattaccò, senza darle il tempo di replicare. Lidner lanciò con rabbia il cellulare per terra, si stese a letto cercando senza successo pace da quel crescente turbamento. Che cosa aveva intenzione di fare? E soprattutto perché proprio adesso, per la prima volta la ringraziava?
***
Non aveva smesso di tormentarsi sul quell’ultimo colloquio neanche per un attimo. Specialmente perché nei tre giorni dopo di lui non aveva avuto più notizie. Aveva continuato a macchinare ipotesi su ipotesi per settantadue ore ininterrotte, ma poi nel vederselo davanti, su una moto e con un casco integrale mentre cercava di rapire Takada, aveva realizzato.
“Mello…” sussurrò, facendolo voltare appena verso di lei. Sospirando, infine, indirizzò la donna verso di lui .
 
A Tokyo, regnava il caos. Aveva saputo di una sparatoria e di una serie di disordini per tutte le strade, a causa della sparizione della conduttrice più in vista del paese. Patetico, davvero. Ma tutto quello passò in secondo piano: l’unica cosa che in quel momento le importava davvero era riuscire a capire che fine avesse fatto Mello. Cercò di reperire tutte le notizie utili, poi balzò in macchina verso Karuizawa.
Corse come se avesse avuto il diavolo alle calcagna, ma quando arrivò, non trovò altro che un immenso edificio, divorato dalle fiamme.
“C-cosa?” disse al vento caldo come l’inferno e alle fiamme che cancellavano rapidamente tutto ciò che avevano accanto. Sgranò gli occhi, realizzando solo in quel momento l’accaduto. Le sue labbra s’incresparono a fatica, da sole, per pronunciare pacatamente l’unica parola che la sua mente urlava disperata.
“Mello…”
 
28 Febbraio 2013.
Los Angeles
 
Lentamente e un passo alla volta, ci era finalmente arrivata.
Era lì, in piedi e in silenzio, di fronte alla sua tomba spoglia e vuota, perché di lui non era rimasto niente.
Una sola lapide bianca e asettica, con sopra una croce monumentale, sulla quale era incisa in nero una semplice M, in carattere gotico.
Accanto, giacevano i resti del suo mentore e quelli del suo unico amico. Near aveva insistito tanto per rimpatriarli.
Restava lì immobile, avvolta nel suo cappotto candido con in mano in tre rose rosse. Si, lo sapeva, era un banalissimo Cliché. Non avrebbe saputo spiegare a nessuno il turbinio di emozioni che le inondavano il petto e la mente, stroncandole il fiato; non sapeva cosa fare, le pareva tutto così surreale, così sbagliato, ma allo stesso tempo così doveroso, così giusto.
Quello era il suo ultimo saluto, ma più precisamente a cosa stava dicendo addio? Halle e Mello insieme non erano niente. Una collaborazione clandestina prima, una relazione carnale e segreta poi, ma niente di più.
E forse era proprio quello il punto.
Insieme non erano nulla. Non avevano potuto essere nulla. Non ce n’era stato il tempo. Uno strano scherzo del destino aveva impedito con tutte le sue forze che quel no si trasformasse in un forse.
Si, perché forse tra loro sarebbe finita comunque. Forse sarebbero bruciati in fretta. Forse non sarebbe comunque iniziato nulla. Forse invece sarebbero rimasti insieme. Ma non poteva saperlo e questo la distruggeva.  Sarebbe voluta rimanere impassibile per la morte di un conoscente, o disperarsi per quella di un amante, ma Mello non era né l’uno né l’altro. E questo la destabilizzava.
Si inginocchiò, poggiando i fiori sulla sua tomba e prese a fissare il marmo bianco, non sapendo cosa fare.
“Non credevo di trovarti qui, Lidner” si voltò di scatto trovandosi alle spalle il suo capo Near, sotto la scorta di Rester e Jevanni.
Stirò un sorriso di plastica “Neanche io”.
Near camminò lentamente, fino a raggiungere il suo fianco, stringendo tra le mani un piccolo libro sgualcito. “Non avrei  dovuto coinvolgerti in tutto questo, mi scuso di questo.” Ma lei scosse il capo, non avrebbe mai rimpianto di aver conosciuto Mello, neanche per un istante.
“Non devi. Mi ci sono coinvolta da sola e non me ne pento.” Near annuì lentamente e tacque per qualche istante.
“Ora che farai, Lidner?”
Halle sembrò pensarci un attimo, in cerca di quella risposta soddisfacente che poco dopo stava già correndo giù dalle sue labbra.
“Non lo so, ma vedi… In due parole posso riassumere tutto quello che ho imparato sulla vita: va avanti.” Lo sguardò dell’albino sembrò incupirsi per un istante. Poggiò accanto alle rose quel libro e voltatosi per andarsene disse: “Buona fortuna”. Poi si allontanò, con la sua scorta al seguito.
Quelle parole sembrarono infonderle una forza nuova, per chissà quale motivo. Si rimise in piedi, lisciandosi il cappotto con le mani.
“Non saprò mai cosa fossi per te, Mello. Sei stato per me un intralcio, uno sbaglio, un amico e un amante. Tutte queste cose insieme e nessuna fino in fondo. Sarà per questo che non riuscirò mai a scordarmi di te.”
Indietreggiò di tre passi, osservando il cielo terso, pronto a scatenare l’ennesimo diluvio.
“Addio, Mihael Kheel” sussurrò al nulla mentre un’ unica lacrima solitaria le rigava la guancia, le altre non avrebbero mai trovato il coraggio di venire fuori.
Un potente vento la investì, scompigliandole i capelli e lei sorrise appena, scuotendo il capo. Si voltò e con la stessa lentezza con cui era giunta se ne andò.
Ad ogni passo, la sua mente rievocava forsennata i baci, le carezze, tutte le volte che erano diventati una cosa sola, stringendosi l’uno all’altra fino allo spasimo. Faceva male, ma non lo avrebbe mai ammesso. Era sempre stata brava a mentire. Tutto ciò che avrebbe potuto fare era aspettare. Il tempo avrebbe curato le sue ferite e alla fine avrebbe ricordato quel ragazzo biondo con gli occhi di ghiaccio e la pelle di fuoco, con un sorriso privo di amarezza, ma pieno di dolce rassegnazione. Il destino le aveva giocato un brutto tiro, gettandola in quel limbo, ma, col tempo, se ne sarebbe tirata fuori, dando un nome a quel sentimento acerbo di doloroso piacere e superandolo, con una cicatrice in più, che ferma in un angolo del suo cuore avrebbe dato forma alla sua  persona.
Sapeva che sarebbe stato così. Doveva essere così.
La vita sarebbe andata avanti.
Sul come però, preferì non interrogarsi.
 
 
 




 
 
Nota a margine: il libriccino in mano a Near è lo scritto di Mello “Another Note” che il biondo in questione avrebbe voluto far arrivare sia a Kira sia a Near.
 
   
 
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