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Autore: nikita82roma    20/11/2016    3 recensioni
La storia ricomincia qualche giorno dopo la fine degli eventi di The Memory Remains. Sembrava che l'azione congiunta di Gibbs e di Noah avesse portato tranquillità nella vita di Ziva e Tony ed invece non sarà così. Qualcuno, ancora una volta, tornerà dal passato perchè vuole una cosa che Ziva conosce molto bene: Vendetta. Si salveranno da soli o avranno bisogno di un aiuto inaspettato? Ma nel loro passato ci sono altre cose ancora rimaste in sospeso e arriveranno tutte a turbare una serenità che si illudevano di aver raggiunto, aprendo vecchie ferite e procurandole nuove, ma soprattutto obbligandoli a fare i conti con se stessi e le proprie paure e con la propria capacità di sopportare il dolore fisico e mentale. Long TIVA
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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See you brought out the best of me
A part of me I've never seen
You took my soul and wiped it clean … 

 

Quella mattina mi svegliai con un’idea ben precisa, dovevo sapere quali progressi c’erano stati in merito alla vicenda di Tony. Erano giorni che nessuno mi aggiornava su nulla, che non sapevo più niente. Non mi avrebbero più tenuta lontana da quel caso, lo dovevo a me stessa e lo dovevo soprattutto a Nathan. Lasciarlo all’asilo fu meno difficile di quanto avessi immaginato.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono non sapevo se quello che stavo vedendo doveva farmi essere felice o ancora più arrabbiata. Gibbs, McGee e Bishop erano in piedi davanti allo schermo a visualizzare la scheda di un marine ucciso e con loro c’era Tony. Feci qualche passo nella loro direzione e si accorsero della mia presenza. Tony mi guardò ed io guardai lui. Rimanemmo immobili alcuni istanti solo a guardarci, poi lui si avvicinò con passo veloce a me che ero rimasta allibita nel vederlo lì, apparentemente in buona forma, vestito di tutto punto come in una qualsiasi giornata di lavoro. Quando fu abbastanza vicino abbozzò un sorriso e mi abbracciò. Non ebbi nè la forza nè la voglia di ricambiare il suo abbraccio, appoggiai solo la testa sulla sua spalla pendendomi qualche istante per rielaborare la cosa. Era lì, stava bene, non c’era niente da indagare, niente da scoprire, niente da sperare.
Era lì.
Stava bene.
E non mi aveva detto nulla. Non aveva chiamato, non aveva avvisato. Da quanto era tornato? Per quanti giorni aveva fatto vivere me e Nathan nel dubbio di non sapere dove fosse, se stesse bene, ed anche se era sempre vivo e sarebbe tornato. Sentii un moto di rabbia salirmi dentro e le sue braccia che erano come una morsa di ferro ustionante. Lo allontanai senza troppi riguardi e senza dire nulla me ne andai nel mio ufficio.
Nessuno si aspettava di vedermi, ma nessuno se ne curò più di tanto, tranne Lisa che mi venne ad abbracciare, chiedendomi di raccontarle tutto quello che era accaduto e cosa era successo a Tel Aviv. Gli chiesi di Tony e mi disse che era tornato a lavoro da qualche giorno. Mi raccontò di come lo avevano trovato e di come si era stato lasciato libero a poca distanza da lì. Era tutto ancora più complicato.
Provai a ricostruire mentalmente quegli ultimi giorni ma non trovai in realtà nessun collegamento se non che Tony doveva essere stato liberato un giorno prima di Rivkin.
Glover mi salutò con freddezza, come sempre, mi diede solo un plico di fogli da analizzare e tradurre, tutte conversazioni senza alcun significato. Mi sembrava di essere tornata ai tempi di Tel Aviv quando Nathan era appena nato.

Quando arrivò l’ora di andare via fu una liberazione. Finalmente potevo andare a riprendere mio figlio e dargli, almeno a lui, una bella notizia ed una certezza: il suo papà stava bene.
Le porte dell’ascensore si stavano per chiudere quando la mano di Tony si mise tra di loro forzandole a riaprirsi ed entrando di prepotenza. Sapevo già cosa avrebbe fatto ed infatti l’ascensore si bloccò poco dopo aver cominciato la discesa.
- Dobbiamo parlare - Mi disse duramente come se fossi io quella in errore.
- Te lo ricordi adesso che dobbiamo parlare, Tony? - Risposi sarcastica
- Non potevo dirti nulla.
- Già. Cosa è una vendetta? Vuoi ripagarmi con la stessa moneta di quando io ti tenevo all’oscuro delle cose?
- Non è così Ziva.
- Sei stato realmente rapito Tony? O era una messinscena?
- Ziva come puoi pensare…
- Come posso? Da quando sei tornato Tony? Quattro o cinque giorni? Lo sai come siamo stati io e tuo figlio in tutto questo tempo? Lo sai cosa vuol dire non riuscire a calmare il suo pianto perché due giorni fa Tony, quando tu eri già tranquillamente qui in ufficio come se se nulla fosse, non voleva tornare a Washington perché tu non c’eri? Lo sai cosa vuol dire non sapere cosa dirgli, non potergli promettere che sarebbe andato tutto bene perché non lo sapevo?
- Ziva, calmati non ti fa bene agitarti… - Aveva cambiato il suo tono, ora era dispiaciuto e premuroso e mi fece arrabbiare ancora di più
- Calmarmi? Non mi fa bene agitarmi? Tu non sai quanto mi sono agitata io in questi giorni Tony, non sapendo che fine avevi fatto. Posso capire che non ti interessava nulla farlo sapere a me, però a tuo figlio Tony ci dovevi pensare. A Nathan lo dovevi. Questo non lo posso accettare. Non posso pensare che nostro figlio ha passato ore a piangere mentre venivamo a casa perché tu non c’eri ed invece tu eri qui e non ti sei degnato di dirci nulla.
- Mi dispiace Ziva. Mi dispiace molto.
- Ti dispiace Tony? Ti dispiace come quando ti sei buttato tra le braccia della prima che è capitata? Ti dispiace come quando mi hai lasciata sola nel letto con nostro figlio? Come quando mi hai fatto riportare la tua fede da Gibbs? Nathan è tuo figlio Tony. Non puoi dirmi “mi dispiace”. Tra poco avremo anche lei, dirai mi dispiace anche a lei se ti dimentichi di comunicarci che sei vivo e stai bene?
Sbloccai l’ascensore che riprese la corsa verso il piano terra mentre rimanevamo in silenzio senza averci più nulla da dire. Uscii e lo sentii seguirmi fino alla mia auto.
- Ziva! - Mi voltai - Vai a prendere Nathan?
- Andiamo - gli dissi facendogli segno di salire - Sarà felice di vederti.

 

—————————

 

- Papà!
Il volto stupito di Nathan e la sua voce squillante mi fecero fare il primo grande sorriso da tanto tempo. Era cresciuto e non era solo una mia impressione. Mi piegai sulle gambe per abbracciarlo mentre mi veniva incontro correndo e con vigore si mi si buttò addosso.
- Ciao ometto! Sei sempre più grande!
- Andiamo a casa?
- Sì piccolo, andiamo a casa…
Gli risposi senza pensare alla reazione di Ziva, ma credevo che non avrebbe avuto nulla in contrario. Mi alzai e lo portai in braccio fino all’auto di sua madre, mentre lui mi rimaneva aggrappato al collo nello stesso modo che avevo visto fare con lei, quando l’aveva riabbracciata appena tornati a Washington. Ero felice di quella sua dimostrazione d’amore sincera, Nathan non era uno che regalava il suo affetto facilmente, ma allo stesso tempo ripensavo alle parole di Ziva che mi aveva detto poco prima in ascensore e mi sentii tremendamente in colpa.
- Papà viene a casa. - Comunicò Nathan a sua madre e la sua non era una domanda ma un dato di fatto. Da quanto era diventato così autoritario?
- Certo Nathan, papà viene a casa. - Mi lanciò uno sguardo tagliente che non sapevo come interpretare.

Appena entrati Nathan mi trascinò nella sua stanza e come prima cosa mi fece vedere i suoi due pupazzi giganti, un leone ed un dinosauro. Ci sedemmo per terra sul tappeto per giocare con loro e lui mi raccontò come li avevano vinti, mimando il gesto di Ziva che sparava al bersaglio, mi disse che anche lui aveva sparato ma non era tanto bravo e che tutti dicevano che per vincere doveva portare il papà ma la mamma era stata brava ed aveva fatto tutti buchi al centro. Mi venne da ridere immaginandomi Ziva sparare a delle sagome in un parco giochi ma mi stupì ancora di più il fatto che aveva fatto fare un gioco simile a Nathan viste le sue riserve ad usare le armi in sua presenza.
- Ci andiamo insieme? - Mi chiese alla fine dei suoi racconti
- Se la mamma è d’accordo certo che ci andiamo! E prendiamo altri pupazzi grandi così! Gli risposi prendendo in mano il leone e buttandoglielo addosso tra le sue risate. Poi finimmo col rotolarci sul tappeto e lui mi salì sopra per poi stendersi sopra di me ed abbracciarmi. Lo strinsi forte e solo in quel momento capii quanto mi era mancato.
Guardai verso la porta e mi accorsi che Ziva era lì ferma a guardarci, le sorrisi e lei se ne andò.
- Tra poco è pronta la cena - Mi disse mentre era già sparita dalla mia vista.
Mi rialzai e tirai su Nathan. Gli dissi di continuare a giocare mentre io andavo a parlare con la mamma.

Mi sistemai la camicia e ripresi la giacca appoggiata sul suo lettino ed andai in cucina. Ziva stava finendo di preparare la cena.
- Beh, allora io vado… - Le dissi rivestendomi. Lei aprì il microonde tirando fuori un arrosto che controllò poi mise di nuovo a cuocere.
- Rimani a cena. A Nathan farà piacere se resti fino a quando non va a dormire.
- Certo. - Risposi a disagio. Avrei voluto sapere se faceva piacere anche a lei, ma non ebbi il coraggio di chiederglielo.
- Vuoi bere qualcosa? - Mi chiese aprendo il frigo
- Sì, grazie… quello che prendi tu.
- Oh non ti conviene e non credo ti piacerà! - Rise versandosi un succo di non so che cosa, poi aprì una bottiglia di birra e me la porse - Tieni, meglio questa
Le sorrisi e le nostre dita si sfiorarono per qualche istante mentre mi porgeva la bottiglia.
- Se vuoi puoi metterti qualcosa per stare più comodo, di là ci sono tutte le tue cose…
- No, non c’è problema, mi tolgo solo questa - dissi sciogliendo il nodo della cravatta e mettendola nella tasca della giacca poggiata su uno sgabello. Mi sbottonai un paio di bottoni della camicia ed arrotolai poi le maniche per stare un po’ più comodo. Ziva mi guardò e poi si avvicinò prendendomi le mani. Ebbi solo il tempo di appoggiare la bottiglia sul bancone.
- Cosa hai fatto Tony? - Mi chiese toccando le bende sui polsi.
- Nulla di grave, per liberarmi dalle corde con un pugnale, mi sono un po’ tagliato…
Mi accarezzò i polsi fasciati senza mai guardarmi negli occhi, fino a quando non le forzai sollevandole il mento. Aveva gli occhi lucidi e mi sentii morire.
- Ehy, occhioni belli, non piangere. - Le dissi cercando di sorridere.
- Tony, ti prego…
- Shh Ziva… Vieni qua… - La avvicinai a me e lascai che appoggiasse la testa sul mio petto, accarezzandole i capelli - Va tutto bene, sto bene…
Il suono del microonde che aveva ultimato la cottura fece ridestare Ziva e sciogliersi dal mio abbraccio. Maledissi quel coso in tutti i modi possibili.
- Vai tu a prendere Nathan? - Mi chiese mentre bevevo un altro sorso di birra. Annuii ed andai in camera da mio figlio.
La cena fu monopolizzata da nostro figlio che continuò a raccontarmi tutte le cose che aveva fatto da quando non ci eravamo più visti, dei suoi amici a Tel Aviv, di come la sorellina adesso si muovesse sempre più spesso facendo sussultare la mamma e tante altre avventure frutto della sua fantasia. Combatteva contro la stanchezza ed il sonno, una dura battaglia per non chiudere gli occhi che dopo aver mangiato anche il dolce cominciava a perdere inevitabilmente. Lo presi in braccio e lasciai che si addormentasse così, mentre gli accarezzavo i capelli. Io e Ziva ci scambiavamo occhiate che parlavano al posto nostro.
- Per fortuna gli avevi già fatto mettere il pigiama - mi disse dandogli un bacio sulla fronte.
- Lo porto in camera sua. - Sussurrai per non svegliarlo. Lo misi nel suo lettino rimboccandogli le coperte. Accesi la luce vicino al comodino e lasciai la porta accostata.

- Ora credo proprio che devo andare - le dissi quando ritornai da lei
- Devi o vuoi? - Mi venne incontro buttando via un panno che teneva in mano. Mi fissava dritto negli occhi con quello sguardo così profondo che mi sentii trafiggere.
- Devo. Non hai idea invece di cosa vorrei adesso… - distolsi lo sguardo dai suoi occhi, le accarezzai il volto con due dita facendo scivolare il dorso della mano sulla sua guancia, passando vicino alle labbra. - Ti amo Ziva. È l’unica cosa che non è mai cambiata e non cambierà mai. 

- Cosa ti è successo Tony? Almeno questo me lo devi, una spiegazione. - Mi supplicò. Volevo tremendamente rimanere lì, con lei anche se non potevo farlo. Però aveva ragione una spiegazione gliela dovevo. Ci sedemmo sul divano, cercando di mantenere le giuste distanze e le raccontai tutto. Degli uomini interamente vestiti di nero con accento straniero, il luogo dove ero tenuto, quando mi hanno fatto vedere i video di lei e Nathan. Ziva ascoltava attenta e pensierosa.
- Non ho mai sentito niente di questo tipo. - Mi disse mentre si torturava le mani
- Pensavi ci fosse dietro il Mossad? - Le chiesi stupito
- Sì, ho pensato anche questo. Ma le modalità, il luogo, non sono riconducibili a nessun gruppo terroristico che ho mai sentito. Sembra più qualcosa di paramilitare. - Continuò
- Già, l’ho pensato anche io. Però quando mi hanno fatto vedere le vostre immagini a Tel Aviv…
- Sai cosa vuol dire questo Tony? Che mi stavano seguendo. Nonostante la protezione del Mossad loro sapevano dove ero. Non riesco a capire cosa ci sia dietro… - Sentivo la sua inquietudine nelle parole e nel tono concitato. Le presi una mano, facendo smettere quella lunga tortura alla quale la stava sottoponendo.
- Ziva, stai tranquilla adesso. - Provai a rassicurarla
- Non ho paura per me Tony. Per Nathan e… - si portò l’altra mano sul ventre - per lei… Se dovesse succedermi adesso qualcosa, non me lo perdonerei mai e non lo faresti nemmeno tu.
Poggiai l’altra mano sulla sua e sentii in quel momento i movimenti di Sarah nella sua pancia. Sorrisi a Ziva, imbambolato da quella sensazione che non mi aspettavo, mentre per lei doveva essere del tutto naturale. Lei invertì la posizione delle nostre mani, per farmi sentire meglio e mi avvicinai a lei. Chiusi gli occhi per assaporare quel momento in modo diverso. Pensai che era così che doveva essere, che quella era la giusta conclusione di ogni serata. Non riuscii nè a rilassarmi nè a sentire Sarah come avrei voluto, ero solo arrabbiato e Ziva doveva aver avvertito il mio nervosismo.
- Cosa c’è Tony? - Mi chiese preoccupata
- Non volevo che le cose andassero così. Volevo qualcosa di diverso. Per me, per te, per noi. Per noi…
- Esiste sempre un noi?
Le presi il volto con entrambe le mani, accarezzandole gli zigomi con i pollici. Era più morbida nei lineamenti e sembrava esserlo anche nell’atteggiamento, quasi impaurita, delle situazione e del nostro futuro. Sarei dovuto andare via da lì, sarebbe stato più giusto, sarebbe forse stato meglio. Invece mi avvicinai di più a lei, appoggiai la fronte sulla sua, le punte dei nostri nasi si sfiorarono. Sentivo il suo respiro e lei sentiva il mio. Le labbra si toccarono appena, timorose, come nemmeno il primo bacio di un adolescente poteva essere. La sentivo immobile e temendo la sua reazione provai ad allontanarmi, ma sentii la sua mano dietro la mia nuca che mi teneva fermo. Non c’era motivo di indugiare oltre ed le labbra che si accarezzavano si schiusero in un bacio tenero e sospirato che diventò poi sempre più profondo ed intenso.
- Era questo quello che volevo - le sussurrai sulla sua bocca e lei sorrise con quel sorriso che mi faceva perdere il senso di ciò che era giusto e sbagliato. - Ora però devo proprio andare…
Era la terza volta che ci provavo, ma fu quella definitiva. Mi guardò come un bimbo può guardare un’onda che ha appena distrutto tutti i castelli di sabbia appena costruiti.
- Devo risolvere questa situazione, altrimenti sarà stato tutto inutile ed ho paura di aver già compromesso troppo.
Mi accompagnò alla porta e ci scambiammo un altro bacio.
- Ti amo Ziva. Qualunque cosa accada, qualunque cosa io debba fare, è solo perché ti amo.
Non mi rispose, chiuse la porta dopo aver annuito con un sorriso tirato. Scesi le scale di corsa e fermai il primo taxi per tornare nel luogo dove dormivo, lontano da casa.

   
 
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