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Autore: InuAra    20/11/2016    7 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nello spazio e nel tempo d’un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.
 
The tempest - W. Shakespeare

 
Scuotetevi di dosso codesto molle sonno,
che altro non è se non la contraffazione della morte.
 
Macbeth - W. Shakespeare
 
 
 
 
Si voltò di scatto, come se qualcuno l’avesse chiamata.
 
Ma il bosco era silente. Anche l’aria della sera sembrava aver smesso di muoversi.
 
Obaba inspirò inquieta. Era raro che qualcosa la cogliesse di sorpesa, ma di qualcosa si doveva trattare, seppur dell’ombra di un presentimento: i suoi sensi dal sapere centenario non mentivano.
 
Il vento si mise di nuovo a soffiare, indolente, e lei riprese controvoglia il cammino. Erano giorni che si muoveva nella macchia, furtiva e rapida, avvicinandosi alla battaglia.
 
Si arrestò di colpo e una mano rugosa scattò come una molla, afferrando fulminea alcuni aghi di larice, sospesi nella brezza. Se li portò al volto, soppesando grave quel gesto.
 
“C’è odore di morte nell’aria”, sussurrò roca.
 
Da quanti giorni non parlava?
 
“Morte e sangue. E non soltanto quello dei soldati”
 
Ranma aveva messo piede in Giappone. Ne era certa. L’aveva sentito nell’istante in cui era sceso dalla nave.
 
“Vecchia fattucchiera!”,  era solito apostrofarla affettuosamente Happosai.
 
Ma poi le sensazioni si erano fatte più confuse, e nuove e più forti energie l’avevano colpita in pieno petto, chissà da dove.
 
Vecchia fattucchiera…
 
Per una volta desiderò non avere quel dono.
 
“Akane, bambina…”
 
O forse ormai era solo troppo vecchia e la sua capacità veniva meno. Lo sperò con tutta l’anima.
Se solo non avesse avuto quel peso sullo stomaco...
 
“Dimmi che non ti è accaduto niente…”
 
Tentò di scacciare quell’impalbabile sgradevole presentimento.
 
“Non me lo perdonerei”
 
Senza riuscirci.
 
Riprese a correre giù per la collina. Il campo dove Soun stava combattendo i suoi nemici non era lontano. Era questione di qualche giorno. Lì avrebbe trovato le risposte che la sua ragione non riusciva ad ascoltare.
 
 
 
***
 
 
 
Si stava facendo buio e in quella luce precaria che non appartiene più al sole e non è ancora appannaggio della luna, a malapena Genma riusciva a distinguere la presenza degli alberi. Imprecò rassegnato contro la natura che gli aveva presto indebolito la vista. Ma non mancava molto, era sulla via di casa e poteva percorrere quei luoghi anche a occhi chiusi.
Qualcuno gli si parò davanti e per un attimo ebbe paura di trovarsi al cospetto di una visione spettrale.
Si trattava invece di Nabiki.
 
“Mi-Misaki…”, si sistemò meglio gli occhiali sul naso nel constatare che era solo la ragazza. “Ma cosa…?”
 
No, non era la solita Misaki.
Si trascinava pallida e priva di quella luce birichina che le brillava costantemente negli occhi.
Guardò meglio.
Era sporca di terra. E puzzava.
 
“Ragazza…”
 
Puzzava di sangue e di vomito.
 
“E’… è sangue quello?”, si stava preoccupando, “Sei ferita?!”
 
Lei scosse la testa. No, non era ferita.
 
Poi mosse le labbra sottili: “Ho ucciso un uomo”
 
Non una lacrima scendeva dagli occhi.
 
Lui le prese una spalla in un gesto fermo che voleva dare conforto, soprattutto a se stesso. Era lì ed era viva. Quel sangue non era suo.
Tanto bastava.
 
“Ragazza, respira e raccontami quello che è successo”
 
 
 
 
 
“Maledetto animale”
 
Il racconto risuonava ancora nelle sue orecchie e Genma tremava di rabbia e di orrore.
Si avvicinò a lei e la strinse come un padre stringe una figlia.
 
“Grazie ai kami sei salva. Quella bestia ha ricevuto la morte che si meritava. E tuttavia”, si staccò da lei e la guardò negli occhi, “… tuttavia se da bestia è morto, da uomo va seppellito. Domani mattina mi porterai al corpo. Da quello che mi hai detto non è troppo distante da qui, e gli daremo giusta sepoltura”
 
Nabiki deglutì in un cenno di assenso. Le premeva scendere verso casa e assicurarsi che Kasumi stesse bene. E anche il ragazzo.
Nient’altro.
 
Senza dire una parola presero la strada di casa, entrambi accelerando il passo.
Ma si bloccarono, a una trenina di piedi dalla meta. Proprio davanti all’uscio giacevano alcuni piccoli funghi rovinati fuori dal cestino di Kasumi.
 
Iniziarono a correre e a gridare a una sola voce: “Hitomi… Hitomi! Akira! State bene?!”
 
Quello che vide Nabiki, seguita da Genma, nel catapultarsi all’interno della capanna la gelò all’istante.
 
Kasumi era in piedi in mezzo alla stanza, le mani strette sulle labbra, gli occhi fissi sul volto del ragazzo, steso sul pavimento.
 
Un volto troppo dolce e troppo fermo.
 
Immobile anche lei, piangeva chissà da quanto, senza un rumore.
 
“Pensavo che dormisse…”, mormorò a fil di voce, “e allora sono entrata in punta di piedi, per non svegliarlo…”
 
Genma si avvicinò al corpo di Akane.
 
Un sorriso leggero era posato sulle sue labbra sbiadite.
Le tastò il polso. Per la prima volta si rese conto di quanto fosse sottile.
 
“Ma non stava dormendo…”, continuò Kasumi.
 
Genma chiuse gli occhi e scosse la testa.
 
“Non stava dormendo…”, Kasumi si voltò a guardare Nabiki, per la prima volta da quando era entrata, “E allora…”
Il dolore le impedì di continuare.
 
Nabiki si gettò tra le braccia della sorella, senza riuscire a dire niente, schiacciata dall’incredulità. Solo allora si sciolse in singhiozzi. E piansero insieme, stringendosi forte, per non sentirsi piccole.
Anche Genma si lasciò sfuggire un sussulto. Quel giorno, andando a caccia, non avrebbe mai immaginato di trovare quello spettacolo al suo ritorno.
Si asciugò le lacrime dietro gli occhiali.
Aveva perso un altro figlio…
 
 
 
***
 
 
 
Il primo giorno di guerra era giunto al termine, annoverando un consistente numero di vite regalate alla causa.
 
Mentre in campo avversario Mousse asciugava il sangue dalla spada e Shan Pu stringeva i denti fiera di fronte alla branda vuota di una compagna, Soun Tendo guardò cupo il soffitto grigio della tenda che lo ospitava. Tentava di cancellare dalla mente e dagli occhi la carneficina cui aveva assistito, senza riuscirci.
Si può essere allenati alla morte e alla guerra, ma abituarsi è un’altra faccenda.
 
Un unico pensiero sembrava avere senso quella notte: andare avanti, senza fermarsi, senza pensare.
Solo così, forse, salvarsi.
 
A favore di chi si sarebbe volta la guerra, dopo quel primo giorno di battaglia era difficile dirlo.
 
Nuove truppe stavano arrivando a rimpolpare l’esercito cinese, riflettè Mousse.
 
Forse sarebbe stato il caso di chiamare più rinforzi possibili, valutò Soun.
A breve sarebbe arrivato Kuno a dargli manforte al comando di quella follia, e forse a portargli buone notizie su sua figlia Akane.
Con questo pensierò il signore delle Terre dell’Ovest si arrese a un sonno senza sogni.
 
 
 
 
***
 
 
 
Vegliarono tutta la notte Nabiki e Kasumi, mentre Genma si appisolava di tanto in tanto, nel ridicolo tentativo di sfuggire per brevi tratti al dolore.
Vegliarono sul corpo di Akane, senza sapere che era Akane, senza sapere che era la sorella minore. Tennero gli occhi gonfi su quello che credevano essere un ragazzino dalla storia triste, un ragazzino che aveva portato dolcezza e calore nelle loro vite. Come un fratello.
 
Nabiki si era sciacquata via il sangue e la lotta e mentre si era cambiata, sfibrata nel profondo, aveva detto a Kasumi ogni cosa. Kasumi aveva annuito in silenzio, senza fermare le mani gentili dal sistemare alcune margherite gialle di montagna tra le dita del ragazzo.
 
Nabiki lo guardò. Era bello, Akira, anche nella morte. La pelle di alabastro, le ciglia nere, le unghie trasparenti. Non c’era stato neanche il bisogno di ricomporlo: era semplice e perfetto.
Riuscì per un po’ a dimenticare l’altro corpo, quello fuori da qualche parte, al freddo, dell’uomo che aveva cercato di violarla e per cui non aveva versato una lacrima.
 
Il freddo Akira non l’ avrebbe più patito, né la fame o la morsa di quel dolore sottile che non era riuscito a confidare.
Tentò di consolarsi così, Nabiki.
 
“Non ti mancheranno mai i fiori”, sussurrò Kasumi risoluta, asciugandosi una lacrima, “Ogni giorno poserò sulla tua tomba i fiori più belli”
Fiori bianchi e azzurri, come lui. E caldo muschio come coperta per l’inverno.
 
Il pianto continuò a intrecciarsi alle preghiere ancora molte volte quella notte. E molte volte parve tutto perduto, e altrettante il dolore si acquietò in un senso di pace ineluttabile.
 
 
*
 
 
Un giorno senza sole prese a poco a poco il posto della notte e una radura dolce di terra morbida e campanule accolse il corpo di Akane e quello di Kuno, composti su due semplici stuoie una accanto all’altra.
 
Mentre Genma scavava due fosse similmente profonde, Nabiki, con le labbra strette e gli occhi fermi, osservava la banalità della morte che rende tutti uguali.
 
Andare a caccia, raccogliere erbe, lavare, tagliare la legna, filare, cucinare… ogni abitudine si era arrestata, quella notte, e comunque nulla sarebbe stato lo stesso.
 
Sarebbero rimaste accanto all’amico e al nemico per un giorno intero, e questa pausa dalla vita quotidiana era il loro modo di fermare il tempo e rispondere alla morte.
 
Nel giro di un’ora Kasumi circondò minuziosamente Akane di fiori freschi che crescevano copiosi nelle vicinanze.
Squallido e solitario apparve il giaciglio di quel disgraziato che aveva avuto l’ardire di avventurarsi in quella foresta.
Nabiki coprì il cadavere con un telo e gli diede le spalle e Kasumi non gli regalò neanche un fiore.
 
Genma scavava e non era tranquillo. Forse erano i calli a parlargli: forse a dispetto degli ultimi tragici avvenimenti si sarebbe soltanto messo a piovere.
Eppure non era tranquillo.
Qualcosa gli diceva che doveva sbrigarsi, che doveva tenersi pronto. Una strana elettricità scorreva nell’aria fredda del mattino. Gli uccelli erano silenziosi. Gli alberi sembravano volerlo avvisare.
Ma di cosa?
La capanna era lontana una mezz’ora di cammino e mai come in quel momento desiderò trovarsi tra quelle quattro solide mura che erano state la sua casa negli ultimi quindici anni.
 
Guardò Nabiki e Kasumi raccolte in silenzio intorno al piccolo Akira. Aveva promesso loro di celebrare un funerale e di restare in preghiera tutto il giorno, e le ragazze avevano preso il necessario per una giornata fuori: qualche coperta, del pane raffermo e un po’ d’acqua.
 
Uscì dalla terra asciugandosi il sudore e si unì a loro, in silenzio.
 
Passarono le ore e venne il momento di dire addio.
Genma officiò una breve rustica cerimonia.
A Nabiki non sfuggì che l’uomo continuava a guardare nervoso oltre gli alberi, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro.
 
Fu quando si piegarono entrambi per sollevare il corpo di Akane e calarlo nella tomba che sentirono quel boato.
Kasumi trattenne il fiato e loro si alzarono di scatto.
 
“Cosa è stato?”
 
“Non lo so”, grugnì Genma, “ma viene da… da casa nostra!”
 
In tutta risposta una lingua di fuoco lambì fulminea una colonna di fumo che proveniva proprio da quella direzione.
 
“Oh cielo!”
 
Kasumi era terrorizzata.
 
“Cosa può essere succ…”
 
“Soldati!”, tagliò corto Genma, stringendo i denti, “Devono essere soldati cinesi. Distruggono col fuoco tutto quello che trovano sul loro cammino. Devono essersi spinti sui monti per trovare una strada più sicura verso il campo di battaglia”
 
“E allora è una fortuna che non fossimo in casa, oggi”, aggiunse Nabiki con una ritrovata luce negli occhi, regalando ad Akane un’ultimo breve sguardo, profondamente grato.
 
“Andiamo via di qui”, prese il comando Genma, risoluto. “Andiamo via il più velocemente possibile e senza fare rumore! Abbiamo mezz’ora di vantaggio. Quegli uomini non sanno che siamo qui e conosco una via che ci porterà oltre la montagna prima di notte. Lì sapremo trovare riparo”
 
E mentre Nabiki afferrò con una mano l’arco e le frecce e con l’altra il polso della sorella per tirarsela dietro, Genma si voltò giusto un momento per dire addio alla vita che conosceva e per chiedere scusa a quel ragazzo che con la sua morte li aveva salvati e che lui non aveva avuto il tempo di seppellire come meritava.
 
 
*
 
Non un alito di vento si muoveva nella radura. Una pioggia fine bagnava l’aria. Ogni filo d’erba era lucido sotto i primi raggi di luna.
 
Il corpo di Akane giaceva freddo lì dove Genma, Kasumi e Nabiki lo avevano lasciato, accanto a quello di Kuno. Un silenzio irreale li avvolgeva.
 
Gli uomini dell’esercito cinese che avevano appiccato il fuoco alla capanna per fortuna avevano preso un’altra strada e avevano mancato di poco la radura dove fino a poche ore prima si era svolto il piccolo funerale, lasciando che i corpi restassero incustoditi, abbandonati alle stelle.
 
L’umidità del bosco e della sera aveva appesantito ogni cosa e l’incendio si era  miracolosamente estinto prima di raggiungere le chiome degli alberi.
 
Immobile, il volto di Akane pareva riflettere quello della luna, fatta dea e scesa in terra per dormire.
Le piccole mani sulla stuoia erano ferme e pesanti.
 
D’un tratto un fremito lontano nacque dal nulla.
 
Difficile a dirsi da dove arrivasse.
Cominciò a farsi largo nel silenzio, con regolarità e insistenza.
Il suono non cessò, ma aumentò ancora, impercettibilmente e fortemente.
 
Si sarebbe detto il battito di un cuore.
 
Il bosco sembrava in attesa.
 
E poi qualcosa accadde davvero.
 
Il dito indice della mano destra di Akane si mosse appena, ma tanto basta per definire la distanza che sta tra la vita e la morte.
 
L’aria fredda della notte fu risucchiata improvvisamente dai suoi stessi polmoni che si aprirono come mantici, sollevando il giovane petto della ragazza.
 
Ogni cellula si rianimò, sotto chissà quale incantesimo, e l’essenza si riappropriò della materia.
 
Gli occhi si spalancarono e di colpo Akane si mise seduta, respirando affannosamente e tossendo e tenendosi la testa e le viscere.
 
Sola, nel bosco e nella notte… era viva!
 
 
***
 
 
 
*In una perfetta sembianza di morte rimarrà chiunque abbia ingoiato quel veleno… finche si sveglierà, come se avesse solo dormito*, continuava a ripetersi nella mente il dr. Tofu, nella speranza di placare i propri sensi di colpa.
 
La notte era ancora giovane per lui, intento a curare e a fasciare ferite nell’accampamento. Aveva seguito Soun-sama in battaglia, pur non approvandola, e si era messo al servizio di chiunque avesse bisogno di lui, prodigandosi in mille modi per alleviare le sofferenze altrui.
 
Da oltre un giorno non riusciva a non pensare a quella boccetta di veleno che tempo addietro Kodachi gli aveva commissionato e che lui aveva scambiato con una potente mistura di erbe in grado di paralizzare finanche a un passo dalla morte il corpo di chi l’avesse bevuta. Ma senza ucciderlo, come lei avrebbe voluto. Un cuore lontano sull’orlo dell’abisso e un respiro apparentemente immobile avrebbero ingannato anche l’occhio più attento, almeno per ventiquattr’ore. Così aveva sperato di raggirare le mire malefiche della regina e salvare quanti malacapitati avesse preso di mira.
 
*Per fortuna quella pazza non ha un veleno mortale tra le mani, eppure…*
 
Eppure non era tranquillo.
 
Come tutti gli altri aveva saputo della morte della piccola Akane quando era ormai lontano dal palazzo.
 
Una morte in circostanze troppo strane, che non presagiva niente di buono.
 
Sfiancato dai lamenti dei feriti, si asciugò la fronte e continuò a lavorare, pregando perché le sue paure fossero soltanto dovute a una profonda stanchezza.
 
 
 
***
 
 
Cos’era successo?
 
Il sangue nelle vene pompava nuovamente, rapido, caldo, fluido.
 
Di una cosa era certa: era viva. Il dolore alle ossa ne era la prova, come la pioggerellina che le sferzava il volto.
 
Si guardò le mani pallide, non ricordando come fossero fatte.
Non ricordava nulla.
Un sogno, forse. In cui tagliava la legna e aveva un padre e delle sorelle. Un fulmine di nulla, verso il nulla creato dalla mente. Ma a poco a poco quel nulla si riempì di significato e il sogno lasciò lo spazio a una realtà che la sua mente ricostruì.
La capanna.
E quelle brave persone che la avevano accolta nella loro famiglia.
 
Sorrise e i muscoli delle guance tirarono indolenziti.
 
Dov’erano adesso?
 
Si voltò per cercare il volto sorridente delle ragazze o quello corrucciato e benevolo dell’uomo e non vide altro che uno strano involto accanto a lei, un ammasso di qualcosa coperto con un lenzuolo.
 
Perché si trovava lì da sola, di notte? Cosa le era successo?
 
Ricordò di essere caduta a terra e di essersi sentita strana…
 
La boccetta… forse era stato il suo contenuto a farle perdere conoscenza?
 
Il cuore batteva ormai alla velocità che gli era consona e l’energia che era solita scorrere in Akane Tendo vibrava di forza rinnovata.
Desiderava risposte e non voleva aspettare.
Senza un perché sollevò il lenzuolo per sapere accanto a cosa si fosse svegliata.
 
Mollò la presa e fece un balzo indietro. L’urlo le morì in gola.
 
Un cadavere! Si trovava accanto a un cadavere!
 
Non poteva essere… Desiderò che si trattasse solo di un incubo. 
Tremando si avvicinò nuovamente: doveva vedere.
 
Sollevò ancora il lenzuolo: sì... non si era sbagliata…
 
“Ma…”, tentò di mettere a fuoco alla luce della luna ciò a cui i suoi occhi non riuscivano a credere. “E’… è senza testa!”
 
Distolse lo sguardo da quello spettacolo raccappricciante, ma nel farlo la sua attenzione fu catturata dalla casacca che vestiva il busto del morto.
 
Una casacca rossa di taglio cinese.
 
Senza più remore gli mise una mano sul suo petto e tastò la consistenza della stoffa, con movimenti increduli, agitati.
 
“Ma… Ma questa…”
 
Una mano scese sulla gamba, e frenetica tornò al tronco.
 
“…Questi… questi sono i vestiti di Ranma!”
 
L’odore che portavano era ancora il suo, misto a una nota più acre, sgradevole. Ma non è acre e sgradevole l’odore della morte e del sangue?
 
Di lì il passo fu breve.
 
“Ma… ma questa gamba è...e questa mano...”, era alla ricerca di indizi e la paura folle e la luce fioca glieli facevano trovare. “…sì, la coscia... le braccia sono quelle, ma la faccia… Oh Ranma!...”
 
Le lacrime le uscirono senza che se ne accorgesse, intenta a dare retta agli occhi troppo sciocchi per vedere la verità.
 
“Me l'han…no ucci…so”, singhiozzava, “Al cuore… avrebbero potuto attaccarlo al cuore… ma così...la testa...no!”
 
Tastava e abbracciava quel corpo, sporcandosi con ciò che era rimasto del sangue, tastando e abbracciando senza sosta, senza pace.
 
“Ma come?... Chi?”
Una rivelazione: “Ko-Kodachi! Kodachi e… Kuno! L'avete ucciso voi… il mio Ranma! Dov'è la testa? Dove? Dove?!”
 
E mentre piangeva e malediceva e baciava quel corpo senza vita, tutto le divenne chiaro.
 
“Oh Ranma…”
 
Erano stati ingannati entrambi.
 
“Ranma…” 
 
Con chissà quali sotterfugi Kodachi doveva averlo attirato in una trappola, magari in cerca di lei, Akane. E la katana del fratello aveva fatto il resto…
Lei e Kuno, astio e sete di potere avevano portato a quello.
E il rimedio non le aveva forse appannato e ucciso tutti i sensi? Doveva essere stata Kodachi a rifilarlo a Ryoga.
Adesso era chiaro: la mente era lei, il braccio Kuno. Aveva cercato di ucciderla e Kuno era riuscito a uccidere Ranma…
E forse in quel momento stavano attentando alla vita di Ryoga e di Ukyo.
 
Scosse la testa, scacciando quel pensiero, cercando disperatamente di estirparlo dalla mente e chissà, forse anche dalla stessa possibilità di essere concepito.
 
Quando il nostro cuore batte per qualcuno, ci sembra di vederlo sempre sul volto dei passanti; così in quel bosco di silenzio e di morte l’amore, illuso dalla paura, disegnò sotto quei vestiti il corpo del ragazzo che aveva amato e perduto.
 
E Akane pianse su quel corpo, pianse ancora e ancora fino a sfinirsi.
 
 
 
***
 
 
 
Era quasi l’alba e la foresta si svegliava timidamente, zittendosi subito al passaggio dei cinque uomini.
 
Il generale Shinnosuke si volse a guardare se il piccolo manipolo di soldati che si era portato con sé lo stesse ancora seguendo. Silenziosi ed efficienti gli stavano dietro, lasciando che il rispetto nei confronti del loro capo si misurasse con una certa distanza.
 
Si scostò i capelli dalla fronte e tornò ad affondare gli stivali nella terra bagnata.
Non aveva memoria della sua vita in Giappone prima dell’esplosione. Vi era tornato molte volte come diplomatico cinese, ma nulla gli aveva riportato alla mente il benchè minimo ricordo.
In quel momento, perso in un mondo distante dal frastuono e dalla guerra, si sentì a casa. Una sensazione, più che un ricordo, una breve commozione, a cui non diede importanza.
 
Erano in ricognizione. Stavano cercando una strada favorevole a cogliere di sorpresa l’esercito nemico.
 
Le macerie ancora fumanti di quella che sembrava essere stata la capanna di un cacciatore  testimoniarono il passaggio di una precedente divisione alleata.
 
Shinnosuke scosse la testa. E proseguì.
 
Cercò di allontanare il pensiero da quello spettacolo di distruzione, rifugiando la mente nei piccoli rumori del bosco e scaldando lo spirito alla luce lieve che i rami cominciavano a filtrare. Si rammaricava anche solo di sentir scricchiolare il suo passo, in quella pace.
 
Ma nella pace a poco a poco si insinuò un sottile mugolìo, come il lamento lontano di una cascatella.
 
Tese l’orecchio e continuò ad avanzare.
 
Si trattava forse del vento che soffiava in una canna appesa per scacciare gli spettri? O era uno spettro stesso a cantare? O forse quello che sentiva era il verso di un animale mitologico irritato dal passaggio di essere umani?
Shinnosuke credeva a quelle leggende, ma non ne aveva paura. Si disse che anche avesse incrociato il suo cammino con quello di un mostro, lo avrebbe allontanato, colpendolo se necessario, ma senza ucciderlo.
 
Il sentiero si aprì in una ridente piccola piana, coperta di campanule violette.
 
Quasi al centro era buttato un fagotto di stracci. Il suono proveniva da lì.
 
Fece cenno ai suoi uomini di arrestarsi e lui lentamente si avvicinò.
Fu assai sorpreso da quel che vide.
Non un animale, non un mostro né uno spettro, ma solo un ragazzo di circa dodici anni, che gemeva di un pianto tenero e straziante, abbracciato al corpo decapitato di un giovane uomo, come un bambino abbracciato al suo pupazzo, che non vuole gli sia portato via.
 
Shinnosuke provò immediatamente pietà per quella scena cruda e commomente.
 
 “Ragazzo…”
 
Akane sollevò la testa, rendendosi conto solo in quel momento di non essere più sola. Ma non aveva paura. Era pronta a tutto. Niente più poteva sorprenderla.
 
Lo guardò senza asciugarsi le lacrime. Quell’uomo aveva occhi buoni e la guardava con tristezza.
 
“Ragazzo, dimmi”, la sua voce era dolce, ma non le importò, “dimmi… cosa è successo? Chi sei? E chi è costui che piangi con tanta devozione?”
 
Akane diede un’occhiata a quello che credeva essere il corpo di Ranma, e gli occhi le si strinsero di dolore.
 
“Io non sono nessuno… solo un servo… Lui… lui era l’uomo più dolce che sia mai esistito… e il più forte… e il più testardo, e onesto… era… era il mio padrone, ed è stato ucciso a tradimento, da un vile assassino”, deglutì la rabbia, “E adesso è morto… e non tornerà più”
 
Si accasciò nuovamente sul corpo desiderando non esser più nulla, per non provare nulla.
 
Shinnosuke si sentì mosso da quel lamento più che dal corpo coperto di sangue.
 
“Dimmi il tuo nome”
 
“Akira”
 
Il giovane uomo soppesò quel nome. Comprendeva il dolore del ragazzo e avrebbe voluto compiere una magia e alleviarlo all’istante.
 
“Akira… Riprovaci con me. Non ti prometto che io varrò altrettanto, ma ti assicuro che non avrò meno riguardi del padrone che hai tanto amato. Non c’è un’anima per chilometri e tu sei solo e senza protezione”
 
“Vi sbagliate! So per certo che ci sono dei montanari… mi hanno accolto nella loro casa… Non credo siano distanti da qui”
 
Shinnosuke scosse la testa, dispiacendosi per quello che stava per dire.
 
“Non c’è più nessuno. La casa di cui parli è stata incendiata e le persone che la abitavano o sono morte o sono fuggite”
 
Akane ricevette un altro duro colpo.
 
“Inoltre… Vedo che sono state scavate due tombe. Forse tu eri privo di sensi, ragazzo, e hanno pensato fossi morto…”
 
Akane annuì debolmente.
 
“Sta di fatto che non hanno avuto il tempo di finire il lavoro”, sospirò, “Ma questo è stato un bene”, le rivolse un sorriso stanco.
 
Akane lo guardò a lungo, e guardò quei pochi uomini ai margini della radura che avevano ascoltato il suo dolore, e tenevano il capo chino, in segno di rispetto. Sembravano cinesi. Eppure il loro capo non lo era.
 
“Posso sapere il vostro nome?”
 
“Shinnosuke”
 
Akane sussultò.
 
Il generale Shinnosuke, lo sfortunato Shinnosuke finito a comandare un esercito non suo, il buon Shinnosuke, che era stato sempre tanto cortese e onesto con suo padre e che voleva solo il bene della gente. E che ora era il suo nemico.
 
Ma, ancora una volta, non provò paura.
 
Lui non l’aveva riconoscita come la figlia di Soun Tendo, e questo la tranquillizzò.
 
“Seguimi”, incalzò lui, ma con dolcezza.
 
Non aveva più nulla. Non più Ranma, non più amici né una casa.
 
“Vi seguo. Ma prima lasciate che…”, ingoiò le lacrime, “…gli dica addio. Quando avrò coperto la sua tomba con le mie mani, allora vi seguirò”
 
“Ragazzo… tu oggi insegni a noi tutti a essere uomini. Aiutiamolo anche noi”
 
E mentre a un cenno del loro generale i soldati si avvicinarono timidamente, Akane abbracciò un’ultima volta il corpo ormai rigido e freddo che era appartenuto non all’uomo che aveva amato ma a quello che più aveva odiato, e ci volle la fermezza gentile di Shinnosuke perché lei si staccasse da lui.
 
Durante la sepoltura Akane pianse sommessamente e parole d’amore furono le sue preghiere.
 
E quando gettò l’ultima manciata di terra fresca e fiori sul tumulo che ormai ricopriva il corpo allora fu veramente il momento di andare.
 
“Ranma…”, sussurrò soltanto.
 
E mentre iniziò a seguire Shinnosuke e i suoi uomini, il vento si portò via quell’unica parola, che racchiudeva tutto.
 
 
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Ciao a tutti!
 
E grazie a quanti di voi sono arrivati fin qui!
 
Ovviamente avevate ragione voi: nulla può più ingannarvi e come avete appurato, la morte della nostra eroina era solo apparente, in pieno clima shakespeareano…
 
Il capitolo non è lunghissimo (soprattutto rispetto al precedente) e non accade poi molto. Direi che è  un capitolo più che di passaggio “di sospensione”. Un capitolo notturno, di silenzi, tra la morte e la vita, in cui tutti sono tesi per un motivo o per l’altro, il capitolo dell’illusione, di quella svelata e di quella incompresa. Spero di essere riuscita a rendere questo tipo di atmosfera.
 
Purtroppo è anche il primo capitolo di questa storia senza Ranma, e mi rendo conto di trovarmi di fronte a un paradosso. So che molte di voi non gradiranno e non posso darvi torto. Ma la storia voleva questa breve parentesi e a dire il vero anch’io non ho voluto infierire sul suo personaggio: cosa avrebbe potuto fare qui se non ancora disperarsi? E diciamocelo, un Ranma troppo disperato non è poi così interessante e neanche troppo IC così ho preferito lasciargli maturare il suo dolore in questa parentesi per poterlo ritrovare al prossimo nel pieno della guerra e di tutte le conseguenze che ne verranno.
 
La buona notizia è che nonostante ci siano ancora molte questioni in sospeso, non siamo poi così lontano dal finale.
Perciò non demordete e continuate a leggere, che ci stiamo avvicinando! Entriamo a pieno titolo nel quinto e ultimo atto di questa storia!
 
Dedico questo capitolo in particolare a Xingchan, autrice di grande talento, che mi segue con costanza e mi regala sempre le prime recensioni, le più belle.
E’ un piacere scrivere sapendo che mi leggerai…!
E un abbraccio speciale a voi tutti che leggete e lasciate un commento, un parere, un consiglio.
 
Grazie a tutti!
 
InuAra


 
 
 
 
 
  
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