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Autore: JacobStark    21/11/2016    1 recensioni
ATTENZIONE, IL CAPITOLO 7 E' STATO RICARICATO A CAUSA DI UN PROBLEMA DEI SERVER
Davanti a lui c’era una ragazza dall’aria stranamente familiare, profondamente addormentata nonostante le urla di Akane. La dormiente era rossa di capelli, ben dotata, snella ma muscolosa e cosa più importante, o imbarazzante, Ranma sul momento non seppe dirlo, era completamente nuda.
Ma la cosa che riuscì a pietrificare il ragazzo fu un’altra. Perché il volto, il volto era quello di lui in forma di ragazza!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dichiarazione di guerra

 

Alcune ore prima dell’attacco, a casa Kuno. 

“NON E’ POSSIBILE! NON E’ POSSIBILE CHE IL GRANDE KUNO TATEWAKI SIA STATO BATTUTO DA UN GANJI*!” Il povero Sasuke cercava di evitare  gli oggetti e i colpi vari di Kuno, intenzionato a staccargli la testa, in caso questo fosse servito a farli sentire meglio. “Mi scusi signorino…” disse il maggiordomo, appena sportosi dalla porta, aveva evitato abilmente una statuetta lanciata in direzione di Sasuke, per consegnare un bolla di consegna da firmare a Tatewaki. “Si, cosa vuoi?”chiese, furioso, il ragazzo. “Signorino, è arrivata la consegna che aspettava. La cassa è in cortile, vuole che la porti su?” Kuno ebbe un’improvviso, imprevedibile guizzo. Un innaturale sorriso gli apparve sul volto. “Lasciala lì! Sasuke, vieni con me! Vedrai quale raro e prezioso oggetto sono riuscito ad ottenere!” Il ragazzo corse in giardino il più dignitosamente possibile, cercando di mascherare l’entusiasmo. Arrivato ad una grande cassa nel mezzo del giardino arrivò addirittura a forzare la cassa con la sua preziosa spada di legno. Una volta scoperchiata apparve solo un ampio involucro di paglia, che venne spazzata via velocemente, rivelando una vecchia spada, avvolta in un fodero corroso dal tempo, ma quando Kuno la estrasse sulla lama non c’era una macchia che fosse una. L’acciaio dell’antica spada cinese era lucido e affilato come appena uscito dalla forgia. Kuno eseguì un paio di fendenti, che gli riuscirono veramente male, non essendo minimamente abituato alla forma, al peso e alla lunghezza della spada. Tuttavia era da ammettere che il suo talento con la spada era davvero incredibile. In pochi minuti riuscì a comprenderle come muovere la spada, anche se in combattimento reale avrebbe avuto poche speranze. Continuò a vantarsi dell’acquisto per tutta la cena, facendo ammattire Kodaci. Alla fine il ragazzo si chiuse in camera, a rimirare la nuova aggiunta alla sua collezione. Fu proprio in quel momento che la sentì. Era una voce profonda e importante, quasi conturbante. Continuava a chiedergli se voleva il potere. Il potere di conquistare, il potere di decidere, il potere di umiliare. A Tatewaki non servì nemmeno un’attimo per rispondere. Il potere di umiliare Ranma Saotome, Artorias Stark, suo padre, il nuovo insegnante di epica, che l’aveva umiliato quel pomeriggio! Il potere di prendere per sé Akane Tendo, la Ragazza con il Codino e la nuova e nobile Lady Stark. Tutto questo nelle sue mani. Accettò. “Da questo momento il mio esercito è nelle tue mani. Usalo come preferisci. Porta il terrore.”

*barbaro


Ranma

“In che senso siamo nei guai?” chiese il ragazzo con il codino al suo nuovo insegnate. “Quelli sono soldati di terracotta, appartenenti all’armata nella tomba dell’imperatore cinese Qin a Xi'an. Si tratta di un’omaggio funebre, una guardia eterna per la tomba del grande imperatore. E non ho idea di cosa ci facciano qui.” “Io si.” intervenne Artorias. “Quelli che avete visto sono golem, costrutti non senzienti, in grado di eseguire ordini semplici. Da quello che ho potuto vedere questi cosi sono più intelligenti della media.” “Già, il loro obbiettivo era rapire noi tre, e ci hanno combattuti in modo molto militare. Devono essere speciali, in qualche modo.” Artorias prima ed Elsa poi spiegarono cosa diavolo stesse succedendo. Almeno in teoria. Tutti erano stupefatti. “Si, ma perché ci starebbero cercando? Chi potrebbe essere interessato a noi?” Chiese Akane, stupita. “Non saprei. Bisognerebbe esaminare i punti in comune che avete, chi potrebbe avercela con voi, perché rapire proprio voi…” Alberto ragionava e parlava talmente in fretta che si potevano vedere le rotelle che giravano nel cervello. Artorias fu più diretto. Accese il televisore, dove l’annunciatore del telegiornale   annunciava un edizione speciale, in cui si avvisava di strani rapimenti di molte ragazze. Gli unici collegamenti erano che alcune si chiamavano Akane Tendo, alcune avevano i cappelli rossi, altre la treccia e i capelli biodi. Delle ultime due ce ne erano poche, ma i ragazzi dedussero che era a causa della rarità di quei tratti somatici in Giappone. Erano tutte molto giovani, tra i 15 e 22 anni. Ranma ebbe un idea. Era assurdo, allucinante, ma era l’unica cosa che avesse un senso. “E se a mandarli fosse stato Kuno?” la sua frase, apparentemente senza senso, fece girare tutti. Si sarebbe aspettato frasi assurde, prese in giro, ed Akane stava anche per farlo, carica della sua solita, ed odiosa, fiducia nel prossimo. La stessa che dimostrava ogni volta che condonava a Ryoga le sue stupidaggini. Ma gli altri due la fermarono. “Con Kuno intendi lo psicopatico della seconda? Quello che sta in classe con Nabiki Tendo? L’ho punito mandandolo dal preside e costringendolo a lavare tutti i bagni della scuola.” “Si, è lui, ma che centra?” chiese Akane, sempre con gli occhi sgranati ed ingenui. “C’è che quel cretino è ossessionato da noi, e da ieri anche da Elsa. Se davvero quei cosi prendono ordini da lui è ovvio che ci diano la caccia, e poi daranno la caccia a mio fratello, per trovarlo e vendicarsi. Poi una mano sfondò la finestra. C’era pergamena nella mano. Indubbiamente scritta da Kuno. IL messaggio recitava: “Ranma Saotome, io ti impongo di recarti presso la mia reale persona. Ti impongo altresì di portare con te tua sorella, di modo che possa convolare a giuste nozze con me, il nuovo imperatore del Giappone! Se ti rifiuterai dovrà usare le mie fedeli truppe per costringerti.” A Ranma il sangue andò alla testa. Come, come osava dirgli  cosa fare e di prostrarsi a lui. E di dargli sua sorella. E peggio, da quello che vedeva, di dargli anche Akane. Lo avrebbe fatto a pezzi, l’avrebbe smembrato, lo avrebbe… “Pronto? Sono Artorias. Dirottate la chiamata alla sede di Pechino, ho bisogno di parlare con mio zio.” Cosa diavolo…? “Zio Benjen? Salve, sono Artorias. Ho bisogno di sapere che fine ha fatto l’armata di terracotta. Quindici di quei soldati sono piombati nella mia casa e mi hanno distrutto il giardino, oltre a tentare di rapire mia sorella e un paio di sue amiche.” Aveva un tono urgente. “Si, zio, aspetto.” Fece un cenno a tutti di fare silenzio, mentre aspettava la risposta. Elsa intanto si era messa ad un altro telefono, che aveva appena cominciato a squillare. “Si ministro, si, ci stiamo occupando del problema, si, in pochi giorni sarà tutto risolto, si… no! Se non la smette di chiamare la lasciamo nella merda fino al collo, è contento?” Tutti i presenti rimasero a bocca aperta. Non si aspettavano certo che la piccola, nobile e delicata Elsa tirasse fuori un linguaggio da scaricatore di porto. Sentendosi osservata la ragazza girò lo sguardo. “Scusate, mi vengono fuori quando sono nervosa.” disse, con un sorriso di scusa. “Non farla arrabbiare, mai. E’ la regola base per stare bene con lei.” Disse Artorias, mettendo una mano sul telefono, e facendo l’occhiolino ad Alberto. Poi si girò ancora. “Si Zio? Sparita? Lo temevo. Hanno una copia? Perché? Temo che quello che sta succedendo qui in Giappone sia collegato, e che per fermare questa follia dovemmo distruggerla tutta. Addio.” disse, chiudendo la comunicazione. Poi guardò tutti i presenti. “Bene, ora le ragazze si chiudano in cantina mentre io risolvo il problema. Anche tu Ranma. Quel babbeo cerca voi, quindi…” venne interrotto da tutti, con proteste e avvertimenti di non azzardarsi lasciarli fuori. Insomma, tanto dissero e tanto fecero che alla fine Artorias si arrese. “Bene, ora basta. Ora tutti quelli che sono interessati sono assunti. La vostra prima missione? Procuratemi uno di quei golem. Non mi interessa come lo fate, deve essere integro. Lo porterete a questo indirizzo sul fiume, e assicuratevi di non essere seguiti.” Poi si voltò e si mise nuovamente a telefonare. Stavolta però il suo tono non era né cortese né accondiscendente. Solo un secco ordine. “Lupi, a rapporto tra dodici ore.” 

Decisero che si sarebbero divisi in due squadre. Lui, Akane e Ran-chan da una parte, Ryoga, Alberto e Ukyo dall’altra. Dallo sguardo dell’italiano di poteva intuire il disagio di trovarsi insieme a quei due. Ranma Prese le due ragazze e decise che era il caso di cambiarsi. Quella giacca elegante, tra ‘altro tutta macchiata di polvere ocra, non era né comoda né adatta allo scopo. Non discesero in strada, era meglio rimanere sui tetti. Di certo quei cosi di terracotta non potevano salire e correre sui tetti. Almeno un piccolo vantaggio che fosse uno. Poco dopo trovarono una pattuglia. Passavano di casa in casa, e, come guidati da un radar invisibile, si infilavano in una casa con dentro un Akane tendo. Lesse il nome Tendo sulla targa della porta. “Come facciamo?” chiese Akane, preoccupata “Quei cosi sono fortissimi, e prenderli integri potrebbe farci ammazzare.” Ran-chan si svolse delle cinghie da dosso. “Elsa mi ha dato queste, per ingabbiare questi tizi. Ha detto che è kevlar rinforzato, tiene trenta tonnellate. Dobbiamo distruggere gli altri e ingabbiarne solo uno, preferibilmente il comandante.” Ranma ed Akane la guardarono, straniti. “Istruzioni dal capo. Su, andiamo.” disse, con un sorriso. Si abbatterono sui soldati come una valanga. Addosso avevano i guanti e i gambali d’acciaio delle armature, un po’ pesanti ma decisamente molto efficaci contro i nemici di terracotta. Frantumarono quattro dei cinque nemici, mentre il quinto venne legato come un salame. La povera Akane Tendo in questione sembrava una copia sbiadita di Akane. Meno bella, capelli smorti, un paio di anni più vecchia e con molto meno tono. La rimisero in camera. Mentre il povero Ranma trasportava una tratta di terracotta esagitata da centocinquanta chili. Ci misero un po’ a trovare l’indirizzo. Corrispondeva ad un capanno sul fiume, dove videro due tipi vestiti di nero, con strane tute integrali ed un piccolo logo a forma di testa di lupo, argentato. Gli puntarono contro una piccola balestra. Poi uscì Elsa, e, parlando in lingua madre, gli ordinò di abbassare le armi, o almeno così dedusse, perché quei due abbassarono le armi. “Entrate, e scusateli. Mio fratello li ha messi in massima allerta, specie dopo che ci hanno assalito in otto per rapirmi. Voi quanti ne avete stesi?” “Quattro, più questo tizio che abbiamo acchiappato. Gli altri sono già tornati?” Poi un botto terribile li raggiunse. Era stato scaricato un’altro soldato di terracotta proprio davanti a loro. “E bravo Ryoga, allora non sei deboluccio come appari.” “Maledetto!” sussurrò Ryoga, stanchissimo. Anche Ranma era esausto, ma cercava di non darlo a vedere. I due fantocci vennero portati in un laboratorio. Entrarono tutti, anche se quel posto era inquietante. C’erano provette, alambicchi, catene, seghe da ossa, seghe circolari, bisturi, mannaie, lettini di metallo con cinghie, insomma, sembrava in tutto e per tutto il set di un film dell’orrore. Al centro c’era Artorias, con un camice bianco, una mascherina e una sega circolare in mano. “Mettetevi la mascherina anche voi, e prendete degli occhiali protettivi. Sarà molto divertente.” Il primo dei soldati venne disteso davanti a lui, su di un lettino che venne reclinato per essere quasi dritto. Poi fece partire la sega. Il ronzio fortissimo assordò i ragazzi, bardati ad ok per evitare di rimanere intossicati e accecati dalla polvere. Piano piano al manichino vennero tagliate le braccia, le gambe, e venne sventrato come una papera. Quello che c’era dentro sembrò stupire Artorias. “Ci sono parecchi simboli magici. E’ cinese antico, non sono in grado di tradurlo.” Alberto si mise subito a disposizione, tentando di tradurre, ma quello che riuscì a capire fu poco e nulla. “Sembra un qualche rituale legato all’anima, e all’infusione della vita nel golem, ma non saprei né come li abbiano creati né come funzionino né come prendano ordini. Potrei prendere  il coccio con le iscrizioni e portarlo all’università, per consultare i testi giusti, ma ci vorrà….” “Dieci vite per una. Dieci anime infuse in uno. Un grande sacrificio per un grande imperatore. Tutto questo è mostruoso, ma conoscendo la storia di quel tipo non mi stupisce troppo.” Una voce gracchiante, anziana e terribilmente familiare. E tutti, ma davvero tutti si voltarono in quella direzione. Appoggiata sul suo bastone, con un aria pensierosa e preoccupata, c’era Obaba. Ma quando e come era entrata quella maledetta vecchiaccia? Le due guardie, stupite, estrassero le loro armi, ma vennero fermate dai due Stark. “Pensate davvero di riuscire a fermare l’ex capo delle amazzoni? Buona fortuna.” A sentire quelle parole i due soldati in nero riposero le armi ma rimasero in guardia. Chissà come sarebbe stato combatterci contro, sembravano forti.Poi però si concentrò ancora su quello che diceva Obaba. “Sembra che per creare uno solo di questi soldati di terracotta, in particolare un generale, siano state usate le anime di dieci persone.” “Un golem creato tramite sacrificio umano? Ma è mostruoso!” Alberto sembrava quasi spaventato. “Ho letto tutto il possibile, studiato più di chiunque altro, scavato fino a svenire ogni notte, ma non avevo mai sentito di golem creati con anime umane. Normalmente nascono tramite benedizioni e preghiere.” “A quanto pare in questo caso funziona così giovane zuccone!” disse Obaba, colpendolo in testa con il suo bastone. “Quanto sarebbe grave se l’intera armata fosse arrivata in Giappone?” chiese Artorias, serio. “Sarebbe incredibilmente grave. Oltre tutto secondo queste iscrizioni i cinquecento diverranno mille, e i mille diecimila. Non avranno mai fine. A quanto pare sono in grado, con un solo frammento di una statua, di animare un’altra statua.” Il gelo. Tutti i presenti sentirono il sangue raggelare, immaginando la quantità mostruosa di soldati che potevano essere creati. “Quanto grande deve essere il frammento di una di queste cose?” Chiese Artorias, preoccupato. “e antiche leggende parlano di circa cinque cun. Si tratta almeno undici cm.” “Questi cosi sono alti circa 165 centimetri, per tutto il resto… sono almeno una cinquantina di soldati per ognuno di questi stronzi.” Alberto intervenne, tanto per rallegrare la situazione. “E l’armata è composta da circa cinquecento soldati. Moltiplicato cinquanta… Scarificandosi tutti creerebbero venticinquemila nemici. Sempre che non conoscendo di loro il modo per crearne di nuovi.” Ranma era rimasto ad ascoltare impotente tutta quella dannata discussione. Kuno era pazzo. Se davvero da ogni soldato ne potevano nascere cinquanta… nemmeno loro avrebbero potuto fare molto. “Bene, allora dobbiamo impedirgli di farlo. Dobbiamo distruggere l’esercito prima che comincino a moltiplicarsi, prima che diventino troppi.” Le parole di Artorias erano dure, serie. Non erano le parole di un ragazzo con una missione. Erano le parole di un generale che preparava una guerra. Ma come cavolo gli era venuto in mente quel pensiero, si chiese Ranma.  
 

Ranma

Era emozionante. Pericoloso, terrificante, molto inquietante, ma emozionante. Certo, si rendeva conto che si trovavano in una situazione pericolosa, e che lei e le sue amiche rischiavano di essere costrette a sposare Kuno (brrrr!) ma le piaceva rischiare. Il pericolo le aveva allontanato tutti i pensieri terribili che gli frullavano in testa, lasciandolo in uno stato di piacevole tensione, ce la costringeva a pensare ad altro. Tipo a distruggere un’orda di soldati di terracotta. Quello di sicuro l’avrebbe distratta. “Allora, cosa facciamo? Assaltiamo il castello di Kuno? Distruggiamo tutti i soldati? Oppure…” Venne interrotta. Proprio da Artorias. “Voi non fate nulla. Ci penseremo noi, non possiamo coinvolgere civili in queste operazioni. Quindi ora tornate a casa, voi due- indicò lei ed Akane - vi chiudete in casa e non uscite per nessun motivo, e tu- indicò Ranma- fermi tutti quelli che cercano di prenderle. Del resto ci occupiamo noi. Ed ora andate a casa. Questa cosa è troppo grande per voi.” disse, prima di farli accompagnare fuori dalle guardie.

Ma che cavolo? Era la più grande avventura di cui avesse memoria (non che ricordasse molto in effetti) e gli veniva negata così, senza se e senza ma. Dannazione! A malavoglia tornò a casa con il fratello e l’amica. Inutile dire che Ranma, terrorizzato ed iperprotettivo, le rinchiuse nella loro stanza. Si, nella stanza sua e di Ranma, in modo da poter controllare meglio il perimetro, o qualcosa del genere. Perfino Ryoga aveva detto che si sarebbe prestato ad aiutare. Così, per generosità. Se, e quando mai ci avrebbe creduto. Ranma era quasi certa che al ragazzo vestito di giallo piacesse Akane, almeno da come la guardava. E comunque ora non era importante. Si sarebbe solo annoiata a giocare a carte con Akane, per tutta la notte. E probabilmente anche per tutto il giorno successivo. Alla fine si addormentano, sia lei che Akane. Vennero svegliate da Kasumi, che le chiamava per la colazione. Trovano un Ranma addormentato, o meglio, svenuto, che sonnecchiava sul tetto. In compenso il telegiornale riportava di molti misteriosi rapimenti, avvenuti tra Nerima e le zone limitrofe. Nulla di nuovo, riassumeva quello che si erano detti quella notte. Certo, suo padre era preoccupatissimo eccetera eccetera, ma non era così importante. Insomma, non c’era nulla di nuovo. E molti pensieri tornarono a tormentare la sua mente. Quella sensazione di vuoto, come di inutilità, torno a riempirle il cuore. E non aveva senso parlare con Ranma, Akane o chiunque altro in quella casa. Erano dolci, simpatici, carini fino alla melassa, ed era evidente che l’amavano, ma ogni volta che parlavano del suo passato sembravano non essere del tutto sinceri. C’era sempre quell’istante di impercettibile esitazione, d’improvviso dubbio, che la lasciava con l’amaro in bocca. Non che non fossero coerenti, erano tutte cose che sentiva di essere perfettamente in grado di fare, ma c’era come un tono di finto in tutte quelle descrizioni, che non le permettevano di credere completamente alle loro parole. Come detto, non che fossero irrealistiche, erano solo… sbagliate, almeno in parte. Mancava sempre quel dettaglio, quel maledetto dettaglio che rendeva tutto strano. Alla fine decise di mettersi il cuore in pace. Non avrebbe ottenuto quello che voleva, non sapeva nemmeno se quelle sensazioni erano reali oppure solo un parto della sua mente smemorata. Chiese di andare a farsi un bagno, ma le venne risposto che poteva andare solo con Akane, e la consapevolezza che Ranma le avrebbe seguite passo passo, anche solo stando fuori dalla finestra del bagno. Odiava sentirsi così controllata. Lei voleva essere libera, libera di fare ciò che voleva e senza limiti di nessun tipo. Si infilò a malincuore nel bagno. Nemmeno la carineria di Akane di aspettarla appena fuori dal bagno, per lasciarle un po’ di privacy, riusciva a darle pace. Non voleva darla vinta a quel bastardo di Kuno. Voleva combattere, voleva combattere come la guerriera che era. Non poteva nascondersi come un topo in trappola. si rifiutava nel modo più assoluto di farlo! Si fece una doccia gelata, nel tentativo, vano, di calmarsi. Il freddo la faceva solo sentire più viva e furiosa. Ora basta! Doveva uscire, non importava il rischio! E poi era giorno, e, visto che in strada no c’era l’esercito a fermare i misteriosi soldati di terracotta, sarebbe anche potuta uscire. A correre, a combattere con Shampoo (si, ogni tanto si scontavano ancora), a stare da sola su un albero, non gli interessava. Non voleva essere rinchiusa li. Le venne un idea folle. Certo, era mezza nuda e fradicia, ma avrebbe potuto farsi dare i vestiti da Akane, asciugarsi alla bell’e meglio e scappare dalla finestrella del bagno. Era sicura di essere abbastanza magra per passare nel piccolo spiraglio. Pazienza se poi si sarebbero arrabbiati, lei non era mica una santa! 

Poco dopo era libera. Incredibile quanto Akane fosse ingenua, aveva creduto alla stupidissima scusa del “Vorrei vestirmi in santa pace.” e le aveva passato tutto quello che le serviva. Si era vestita in un’istante, ed era fuggita dalla finestra. Non aveva intenzione di dire nulla a nessuno, sarebbe solo andata a fare una passeggiata, solo un’oretta, e poi sarebbe tornata indietro. Anche a costo di farsi sgridare ed essere messa in punizione. Fuori era circa mezzogiorno. Il sole le scaldò il viso, e le sembrava che fosse passato un secolo da quando era uscita l’ultima volta, e non poche ore. L’aria era limpida, e decise di andare a fare una corsetta. Si ripromise di restare sui tetti, e di fare attenzione. Se non altro per sentirsi meno il colpa. Però stava bene. Il sole, il vento, gli odori. Tutto questo le riempì la mente ancora una volta. Ancora una volta lasciò che l’istinto la guidasse come faceva le prime volte dopo l’amnesia. Spegneva il cervello e si muoveva. E si muoveva sempre più veloce, facendo acrobazie sempre più pericolose, più furiosa, più automatica. Così veloce che nemmeno la vedevano più. Era un’ombra, una sagoma sfumata nel commento di un bimbo, una figura sfocata in una foto. Estese i suoi sensi per percepire il tutto attorno a sé. Gli occhi non gli servivano. Percepiva l’energia attorno a sé, l’energia emessa da ogni singolo vivente. Era come vedere tutto quello che le stava attorno, ma senza né colori né suoni. Tutto era ovattato, morbido, quasi accogliente. Quello era un mondo esterno a quello reale, ma allo stesso tempo più vero di tanti altri. In quel mondo non c’erano espressioni, ma solo aure che risplendevano dell’emozione di ogni persona. Sembrava di essere in un paesaggio fiabesco, quasi onirico. Alla fine si rese conto di essere fuori da diverse ore. Il sole si era spostato di quasi sessanta gradi (non aveva l’orologio) e questo voleva dire che erano passate almeno quattro ore. Doveva tornare a casa, era strano che non l’avessero già trovata. E strigliata come si deve, per inciso. Corse a casa, non si era allontanata molto, ma si rese subito contro che c’era qualcosa che non andava. Non c’era nessun suono. Non Akane e Ranma che litigavano, non suo padre e il signor Tendo che litigavano a shogi, non Kasumi che canticchiava in cucina. E poi l’odore era diverso. Dalla casa saliva un profumo dolciastro, come di fiori appassiti. Era forte, pesante, annebbiava la mente. La lasciava lievemente stordita. Senza esitazione si strappò un pezzo di gonna e se lo avvolse intorno alla testa, coprendo naso e bocca. Quel profumo, quella sensazione. Kodaci e i suoi sonniferi. Ma cosa diavolo ci faceva, stavolta, Kodaci lì? Insomma, non bastava Kuno a fare il maniaco? Adesso anche la sorella? Nascose la sua presenza e si spostò sul tetto. E li vide. Un elicottero con il logo dei Kuno era atterrato in giardino, e delle figure vestite di nero stavano portando due figure femminili, legare e insaccate. Ad occhio le aveva identificate come Akane e Nabiki. Akane poteva capirlo, ma Nabiki? Che diavolo voleva Kodaci da lei? Poi vide qualcosa di strano. Ranma, a mala pena cosciente, si trascinava verso Akane, coma facesse a resistere al gas soporifero, che probabilmente aveva saturato la casa, non lo sapeva. Ma in fondo era il suo fratellone. Era ovvio che fosse eccezionale. Ma la cosa stana non era quella. Kodaci non gli rivolse nemmeno un’occhiata. Non un urletto, non una moina, nulla. Lo aveva ignorato completamente. Quando lui riuscì a raggiungere la ragazza svenuta ricevette diversi calci in volto. Troppo stordito per reagire, subì l’umiliazione. E Ranma impazzì. Prese un bel respiro e si avventò contro la pazza, trattenendo il fiato. Kodaci aveva una maschera antigas, e gli occhi erano vuoti, fissi e vacui. Era come in trans. Ed infatti combatteva in modo meccanico. Non era in grado di pensare alla difesa, si limitava a subire ed attaccare. Ma era molto più forte del solito, e Ran-chan dovette combattere a lungo e con forza per eliminare le sue difese e metterla a terra. La sua avversaria la colpiva con un frusta, e non con il suo solito nastro. Il peso dell’arma era un problema, ma la sua nemica non sembrava intenzionata a ferirla. La colpiva sulle game, sulle braccia, ma evitava di proposito il voto e il torso. Perché Kodaci evitava di colpirla? La Kodaci che conosceva non si faceva nessuno scrupolo, l’aveva attaccata con bombe, clavette chiodate, coltelli avvelenati, narcotici, droghe, qualunque cosa. E ora che aveva un’arma vera non la colpiva seriamente? Quella non era Kodaci. I colpi della ragazza si fecero sempre più intensi, tempestandola, ma la rossa resistete, evitando i suoi colpi con abilità e maestria. Tentò di provocarla. “Sei lenta Kodaci, che ti succede, sei diventata un bradipo?” chiese, sfottente. Kodaci Kuno perdeva le staffe per molto meno. Ma non quella volta. Quella volta non ci fu alcuna reazione. Poi una frustata le avvolse il braccio. E Ranma si rese conto di essersi distratta troppo per fare quella battuta. Stava per finire a terra, ma all’ultimo riuscì a spaccare un salto, approfittando forza della sua nemica per colpirla con un calcio volante alla bocca dello stomaco. Un colpo molto, molto doloroso, in grado di mandare chiunque a terra a contorcersi dal dolore, ma non ebbe effetto. Certo, buttò a terra Kodaci e le permise di liberarsi della frusta, tra l’altro strappandola di mano alla nemica e gettandola lontano. Poi si rimise in guardia. “Vieni avanti, stangona!” era il peggior insulto che potesse rivolgere a Kodaci, che non era mai stata felice del suo fisico troppo possente per una donna. Ma nulla, Kodaci non reagì, anche se un’ombra passò nel suo sguardo. Poi tentò di colpirla con una raffica di colpi con delle calavette d’acciaio, che Ranma evitò con facilità. La rossa percepiva i colpi della rivale come al rallentatore. Ora che Kodaci aveva perso il vantaggio del raggio non poteva fare altro che tentare di colpirla, ma il piccolo corpo di Ran-chan era fin troppo veloce. Non era come cerare di colpire suo fratello. la rossa si insinuò nella guardia, colpendola la petto e allo stomaco, ma senza sortire chissà quale effetto. Allora si arrabbiò. E fece una cosa che non avrebbe mai fatto. Afferrò il braccio dell’avversaria e torse. Torse fino a sentire le ossa che si spezzavano. Aveva promesso di non farlo mai. Aveva promesso di non causare mai danni permanenti ad un’avversario. Ma la cosa più inquietante fu quando Kodaci si rialzò, con un braccio penzolante, e ricominciò ad attaccarla. Ed allora Ranma smise di preoccuparsi. Colpì la testa, la schiena ed ogni punto sensibile. Non voleva più costringerla da arrendersi. La voleva a terra. E, dopo una lunga lotta, Kodaci finì a terra, svenuta Non aveva mai picchiato qualcuno fino a quel punto. 

Purtroppo nella furia della lotta non si era accorta che l’elicottero era partito. Ranma era a terra, svenuto vicino al punto di decollo dell’elicottero. Non aveva idea di cosa fare. Aprì tutte le finestre della casa, facendo scomparire il gas. Poi portò fuori tutti, stendendoli sul prato. In effetti mancavano Akane e Nabiki all’appello. Cadde in ginocchio. Era a pezzi. Non avrebbe mai immaginato che scomparire la sua famiglia per colpa dei Kuno. Sentì calde lacrime scorrergli sul viso. Si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto. Era uscita da sola lasciando la sua casa sguarnita.  All’improvviso si materializzano  accanto a lei sia Artorias che Elsa. Lui le mise una mano sulla spalla, notando le sue lacrime. “Cosa è successo?” le chiese, preoccupato. “Io… io sono scappata da casa. Volevo solo stare un po’ da sola. Io non volevo che questo… che questo…” il resto della frase si perse in singhiozzi. Sentì un braccio caldo avvolgerle le spalle. “E’ un bene che tu sia scappata. Almeno sei ancora qui, hai visto cosa è successo e hai catturato un nemico. Non hai fatto nulla di sbagliato.” Era Artorias ad abbracciarla. Anche Elsa la stava abbracciando, ma il calore dell’abbraccio era diverso. Sopratutto quando lui si staccò. Lo vide concentrare il ki nelle mani, e poi scatenarlo come una tormenta verso la casa. Nuvole di gas fuoriuscirono dalla casa, spinte da una forza invisibile. Poi il suo ki si spostò verso il resto della famiglia, colpendoli con forza sufficiente per svegliarli dalla catalessi. Tutti aprirono gli occhi all’improvviso. Tutti tranne Ranma, che era a terra a causa della ferite. Aveva un gran numero di contusioni, traumi e tagli. Non era stato colpito da gambe umane. Poco dopo avevano chiamato Tofu, ed il dottore era arrivato sul posto quasi subito. Aveva rimesso in sesto Ranma in pochissimo tempo, e questi, una volta realizzato quel che era successo, aveva fatto qualcosa che la rossa non si aspettava. Si era lanciata su di lei e l’aveva abbracciata forte, molto stretta. Lo sentiva mormorare ringraziamenti a non sapeva chi, maledizioni a Kuno miste ringraziamenti a lei di essere così dannatamente testarda e simile a lui. Per essere sfuggita al suo controllo ed essere rimasta con lui. Ed il vuoto sparì. In quel momento si sentì completamente legata a lui. Prima venne l'amore. L'amore per qualcuno che conosci da sempre e che sempre avrebbe sostenuto, aiutato e protetto. Rabbia. Una rabbia bruciante e assoluta. Una rabbia che avrebbe volentieri usato per distruggere tutto l’esercito di terracotta. Poi le parole di Ranma, convinte, dure come un blocco di acciaio. “Ora non potete più tenerci fuori. La nostra famiglia, la nostra casa. Ora è diventata una questione personale.” E lei gli mise una mano sulla spalla, schierandosi al suo fianco. E con un espressione che non ammetteva repliche. Sul volto di Artorias si dipinse un espressione rassegnata. “Così sia.” disse, chinando la testa e girandosi, facendo cenno ai due fratelli di seguirlo. 
 

Akane 

Akane si svegliò. Era rinchiusa in una stanza, con i polsi e le caviglie legate. Spezzò i legacci senza troppi problemi. Accanto a lei c’era Nabiki, addormentata e legata. Si premurò di svegliarla e slegarla. “Ma dove cavolo siamo?” le chiese la sorella, abbastanza spaventata. “Non né ho la più pallida idea Nabiki, ma eravamo legate e addormentate a forza. L’ultima cosa che ricordo è stata la finestra che si rompeva ed una specie di nebbiolina che riempiva casa. Poi tutto buio.” Le due ragazze osservarono la camera. Era illuminata solo da lucerne e un fuoco vivo in un camino. Le ombre che avvolgevano la stanza, generate dai continui movimenti del fuoco, trasformavano un luogo abbastanza accogliente in un’inquietante prigione. Le due erano stese su di un grande letto a baldacchino, rosso. Tutto era di dannate sfumature di rosso. Era quasi una violenza per gli occhi, tutto quel rosso la lasciava stordita, insieme a Nabiki, che si era messa a guardare il nero della cima del baldacchino. “Secondo me è colpa tua.” disse ad Akane la sorella. “Tu sei come un catalizzatore per guai, attiri gli imprevisti peggio di una calamita. Dovresti stare più attenta alle compagnie che frequenti. Insomma, Ranma è un gran brava ragazzo, ma anche lui attira una marea di guai. Dovresti trovarti un fidanzato meno… pericoloso.” Ad Akane il sangue andò alla testa. Un po’ per l’insulto ricevuto, un po’ perché sua sorella stava minimizzando il suo amore. Insomma, era così arrabbiata che le sputò in faccia la verità. “ED IOVECE GUARDA UN PO’! Nemmeno due settimane fa ci siamo fidanzati, e non siamo mai stati così felici!” Persino la sua fredda, seria e calcolatrice sorella rimase stupita. “Vi siete messi assieme?” chiese, stupefatta. Solo in quel momento Akane si rese conto di cosa aveva detto. Stupida stupida stupida. Ma ormai l’aveva detto, quindi tanto valeva dirle tutto. Le stava cominciando a raccontare tutto quando due manichini di terracotta senza volto spalancarono la porta le prelevarono a forza. Akane era ancora indebolita dal narcotico, e non riuscì a reagire. I manichini le trascinarono per i corridoi del castello, e portandole in una grande sala, con un enorme piattaforma sontuosamente decorata. E, con sommo orrore di Akane, sulla piattaforma, con un fastidioso sorriso di trionfo stampato sul volto. “Finalmente io sono al posto che mi compete. E presto dolcissima Akane anche tu sarai a quello che ti compete, come mia sposa.” poi si rivolse a Nabiki. “Quanto a te, malefica Nabiki Tendo, servirai da cameriera alla mia sposa per il resto dei tuoi giorni!” po fece un cenno ad alcune guardie di terracotta ed esse bloccarono le due, mentre una piantava un piccolo coccio nella nuca. Per un secondo il volto di Nabiki si contasse in una serie di smorfie di dolore, come se stesse combattendo qualcosa dentro di lei, e poi i suoi occhi si svuotarono, divennero fissi e bui. Si inchinò a Kuno, e poi, muta, afferrò Akane con molta più forza del previsto, per poi riportarla nella sua stanza, mentre lei si ritirò in una stanza adiacente. Non emise un suono. Ad Akane si erano fermati cure e cervello. Era sola. Nabiki era diventata una bambola nelle mani di Kuno, e lei era chissà dove, senza poter fare nulla. E senza sapere se Ranma sarebbe riuscito a salvarla. Era troppo. Si accoccolò ad un’angolo e pianse tutte le sue lacrime, fino a svenire, sfinita. 

 

 

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Slve a tutti, mi dispiace per il ritardo. Spero che siano successe abbastanza cose. E di essermi fotto perdonare di due capitoli abbastanza statici. Allora… sono successi parecchi guai, eh? Ditemi, cosa ne pensate? Lasciate una recensione per darmi la vostra opinione e dirmi se vi piace. 

Nel prossimo capitolo capiremo che tipo di lavoro è quello degli Stark.

Grazie a tutti quelli che seguono la mia follia in questa storia, ciao a tutti dal vostro 

Jacob Stark di Grande Inverno

 

 

  
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