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Autore: LaCantastorie    22/11/2016    0 recensioni
Michelangelo Vassalli non ha idea di che cosa gli stia capitando: è stato costretto a visitare una mostra d'arte il cui allestimento è stato curato dalla madre, e qui ha notato un quadro... Una tela raffigurante una giovane donna, un dipinto che sembra richiamarlo irresistibilmente a sé, quasi fosse dotato di un'inaudibile, impercettibile voce. Una voce dalla quale fugge, senza tuttavia poterla ignorare.
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Caterina Borisova è una duchessa: una nobildonna abituata allo sfarzo, ma anche alla solitudine, all'isolamento. La servitù e i familiari la trattano come fosse un raro gioiello, un oggetto da ammirare e non un essere animato con cui interagire. Due artisti irromperanno nella gabbia dorata che è il mondo della giovane, l'uno per rabbia, l'altro per amore: Aris Zykov per entrare a farne parte, il fratello Angelo per trascinarla al di fuori.
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E in tutto questo, un tocco di magia: un incantesimo che lega l'anima ai suoi colori, che intrappola la vita nella tempera e nel tempo, permettendole di cercare, ad un secolo di distanza, la libertà tanto anelata e mai conquistata nella Russia del 1816.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un turbine indisciplinato di capelli castani si riversa sulle mie spalle, ribelle; il loro colore caldo e scuro contrasta con il mio incarnato pallido, creando un gioco cromatico che mette in risalto il mio viso.
Dischiudo appena le labbra, come per emettere un lieve, inudibile sospiro: sembro assorta in qualche criptico pensiero, estranea al mondo che mi circonda...
<< Memorem me vides amoris, Amor me perdidit viva >>, recita un cartiglio che tengo tra le dita affusolate, una sottile striscia di carta arricciata che contribuisce ad aumentare la curiosità di chi mi sta osservando: è un giovane, poco più di un ragazzo, ma le sue iridi cerulee dimostrano anni che non ha ancora vissuto. Fa correre lo sguardo distratto su di me, soffermandosi appena su qualche particolare: la curva del collo, un riccio fuori posto, il colore dei miei abiti e il baluginio argenteo della collana che indosso, reso dal pittore con rapidi ed eleganti tocchi di pittura candida... Perché io sono un quadro, la protagonista inanimata di una tela: e tu... tu mi stai guardando.

<< È interessato alla mostra? >>
Una voce mi richiamò, gentile; mi voltai a malincuore, non volevo interagire con nessuno, lì dentro.
<< L'autore è anonimo, anche sulla datazione del dipinto siamo incerti. Propendiamo per gli inizi del XIX secolo, anche se quelle pennellate s'ispirano indubbiamente a Tiziano Vecellio >>
L'indice della guida puntava verso il quadro che stavo osservando per puro caso, mentre mi interrogavo su come far passare il mio tempo in quella galleria d'arte. La signorina mi sorrise, cordiale, sperando in una reazione da parte mia: mi limitai ad annuire e ad avvicinarmi alla tela, per farle capire che non desideravo ascoltare il suo cicaleccio saccente.
<< Come mai qui? >>
Irritante.
<< Ho seguito mia madre, o meglio... Sono stato costretto ad accompagnarla >>.
Silenzio. Oh, una cosa cui ero fortunatamente abituato: sperai che la guida si allontanasse, ma rimasi deluso.
<< Quindi, non le piace l'arte? >>
<< Non ho mai detto questo >>, ribattei, piccato. Lo sfondo del dipinto emergeva a fatica dalla tempera nera: una misteriosa fonte di luce creava dei dolci riflessi sull'ovale di quel viso di bambina, comunicando innocenza, tenerezza e tristezza insieme, in una compagine che mi attraeva, nonostante non ne conoscessi l'esatto motivo.
<< Si dice che la ragazza sia Francesca, la dantesca Francesca da Rimini; gli elementi per l'identificazione sono tuttavia davvero esigui, i critici fantasizzano troppo su quella frase >>, mi sorrise affabile la guida, le labbra atteggiate ad una piega denigratoria verso gl'interpreti. Secondo lei, evidentemente, questi ultimi si sbagliavano.
<< Mi vedi memore dell'amore, l'Amore mi ha uccisa ancor viva >>, tradussi immediatamente, impedendo alla guida di dimostrare anche la sua conoscenza del latino. Potevo arrangiarmi da solo, grazie tante.
<< Oh. Beh, non sembra che io le sia utile, a questo punto >>
Sorrisi, borbottando una frase di circostanza e osservando la guida andarsene: dopo aver lanciato un'ultima occhiata agli occhi da cerbiatta della ragazza nel quadro, con le mani in mano andai alla ricerca di mia madre, maledicendo il suo talento nel trovare ogni giorno un impegno in più.

<< Cosa?! >>
Guardai allibito la donna che mi aveva generato, fissandola di sottecchi e pregando di aver sentito male.
<< Io ho aiutato ad allestire la galleria, tu aiuti a rimuovere l'allestimento, mi pare equo >>.
Mi fece l'occhiolino, senza neppure sforzarsi di comprendere il mio disappunto. Il che mi fece soltanto irritare di più.
<< Sono tuo figlio, non forza lavoro a tua disposizione! >>, sbottai infatti stringendo i pugni: finiva sempre così, con lei, non c'era nulla da fare.
<< A volte mi sembra di aver partorito un grizzly, sai? Cristina ti aspetta dopo la chiusura, hai il pomeriggio libero fino alle sette... Di che ti lamenti? Sei entrato gratis, mi sembra il minimo dimostrare un po' di riconoscenza >>
<< Fosse stato per me non sarei mai entrato! >>
Ma la conversazione era già chiusa, ovviamente. 
Agata Vassalli, nata per fare l'imperatrice e cresciuta per diventare arredatrice d'interni: su qualcuno doveva pur sfogare la sua frustrazione, no?

La piccola statua di marmo pesava quanto un cucciolo di rinoceronte, e sollevarla insieme ad una quarantenne dal fisico gracile richiedeva un notevole sforzo: da un lato, per non farla crollare al suolo in mille pezzi, dall'altro per non sfoderare tutto il mio arsenale di imprecazioni in presenza di una signora a modo... Credo l'avrebbe scandalizzata parecchio, la sequela di improperi che avevo in mente.
<< Uff. Grazie, caro >>
Strinsi gli occhi, ammiccando un paio di volte per la stanchezza; erano le nove, e ancora bisognava svuotare la pinacoteca. 
<< Se vuoi andare a casa, ti posso capire >>
<< No. >> Il monosillabo risuonò secco, deciso. Forse persino scortese.
Mi ero preso un impegno, e l'avrei portato a termine... Anche se in origine non era stata un'idea mia, quella di imbarcarmi in quell'affare. Cristina era pur sempre un'amica di famiglia, aiutarla in fondo non mi dispiaceva così tanto: rientrai, preparandomi a spiccare dal muro le tele e a imballarle.
<< Con attenzione, mi raccomando! >>, sentii gridare alle mie spalle. 
La galleria era immersa nella penombra, illuminata com'era da lampade a basso consumo: era curioso come la luce soffusa creasse impressioni visive cangianti, dando a quei ritratti quasi dei volti nuovi... Sussultai, sorpreso, quando scambiai per un essere vivente la donna del cartiglio, la sconosciuta protagonista dell'unica tela anonima della mostra: mi guardava, assorta, come si aspettasse un cenno di saluto.
Scossi la testa, cacciando quelle sciocche suggestioni dalla mia mente: non ero più un bambino, ormai. Spiccai il quadro dal muro e lo portai nel furgone, con una strana fretta: dopo aver finalmente terminato il lavoro, osservai la partenza del mezzo con un doppio sollievo, accorgendomi soltanto allora dell'inquietudine che quello sguardo dipinto mi aveva comunicato.
"Al diavolo", fu tutto quello che riuscii a pensare - e il diavolo, probabilmente, mi sentì.

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Osservo la perla di cioccolato, golosa: le dita me la negano soltanto per una manciata di secondi in più, per poi lasciarmela assaporare.
<< Siete troppo avida di piacere, Cristina >>
La voce che mi rimprovera è suadente, mi accarezza senza farmi rimpiangere le mie scelte. E' per questo che amo il suo suono... Le labbra che la modulano.
<< E voi troppo liberale nel donarlo, Aris. Siamo pari, dunque >>, sorrido, alzandomi dal piccolo trono che mi rende regina nella mia stanza.
Mi sento afferrare per la vita: un braccio mi circonda i fianchi, possessivo, impedendomi di andarmene; sento il suo fiato rovente contro una guancia, e poche parole sussurrate bastano a farmi avvampare: << Potrei offrirvene molto più di quanto immaginate, mia signora >>.
Mi allontano di scatto, prendendo le distanze: proprio in quel momento, Angelo fa il suo ingresso nella camera da letto, portandosi appresso le polveri con cui realizzare sul momento il colore. Ci osserva quasi sprezzante, s'impossessa immediatamente del tavolo da lavoro e si mette all'opera, ignorando il fratello e concentrando la sua attenzione su di me, due iridi di ghiaccio che mi lasciano di sasso.
La somiglianza tra i due è impressionante: non sono gemelli, ma hanno gli stessi capelli cinerini, lo stesso taglio del mento, la stessa andatura sicura e spavalda...
E allo stesso tempo sono come il Giorno e la Notte: l'uno mi adora, l'altro mi odia; nello sguardo del maggiore, l'ardore - negli occhi che adesso mi trafiggono, distacco, astio.
<< Prego, riprendete posizione >>, mi esorta il nuovo arrivato. 
Non so perché obbedisco al suo tono perentorio, perché mi lascio dissuadere dall'incapricciarmi; assecondo il gesto con cui Angelo mi indica di sedermi, docile come non mai... E come sempre, non basta.
<< Abbassate le ciglia, mostratevi più pudica di quel che siete. Fratello, rammentate le vostre origini: non siete un nobile, non avete titolo né terre, essere il cane di una duchessa non dev'essere il vostro obiettivo >>
Aggiunge l'ultima frase con un tono di voce appena percettibile da dove mi trovo, accoccolata sullo scranno che simboleggia il mio rango: forse è per questo che il mio ritratto ha quella nota di velata tristezza, in viso. 
Perché anche se Aris appaga il bisogno d'attenzione che mi dilania, soltanto Angelo potrebbe realmente saziarlo.

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Mi stiracchiai, rendendomi conto di aver perso completamente la cognizione del tempo: ero in biblioteca da più di tre ore, e non mi ero reso conto del fatto che l'orario di chiusura fosse appena scoccato.
Impacchettai in fretta e furia le mie cose, precipitandomi fuori dall'edificio prima che facessero storie: venti minuti dopo, mi trovai in treno a spulciare i dati di una cartella compressa che avevo trovato nella posta elettronica... Dovevo decisamente cambiare indirizzo, pensai.
"Scegli le migliori!", mi aveva lasciato scritto mia madre: nel file .zip, una cinquantina di fotografie della mostra, alcune sfocate, altre scure, altre scattate in malo modo, storte o inquinate dall'andirivieni dei visitatori.
"A che serve una Nikon, mi chiedo", borbottai mentalmente, cestinando la maggior parte delle immagini.
Per il sito della ditta, ne sarebbero servite appena una manciata: optai per una foto a sezione, scultura, modellistica, paesaggi e... ritrattistica. Zoomai l'inquadratura, consapevole del gesto e non del motivo per cui lo stavo compiendo, dell'obiettivo della mia azione e non dello scopo reale che ne era la causa. Ma che senso aveva cercare quel viso di sconosciuta? Perché non ricordavo nessuna tela in particolare, tranne la sua?
<< Biglietto, prego? >>
<< Qui >>, risposi, distraendomi dalla ricerca.
<< La ringrazio. Mi scusi per la curiosità, ma... Chi è? >>
Il controllore stava indicando lo schermo del mio laptop, sorridendomi placidamente. Scrollai le spalle, facendogli capire che non aveva alcuna importanza, e lo osservai allontanarsi lungo il vagone con inconsueta attenzione. Non volevo rivolgermi nuovamente al mio portatile.
Chiusi gli occhi, dando finalmente la colpa al mio capro espiatorio prediletto: era la sessione invernale il problema, mi dissi, il carico di studio. Risollevai le palpebre, apatico: perfettamente a fuoco, dettagliato come l'originale, campeggiava davanti a me il ritratto della giovane donna. Cancellai l'immagine e spensi l'arnese elettronico, rifiutandomi di accettare che no, non ero stato io a cercarla - era stata lei a trovare me.
 
   
 
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