cap 1 trigger
NdA
Ciao
a tutti! Spero che stiate tutti bene! Questa è un'idea con la quale ho iniziato
a trastullarmi fin da quando è uscito il film, volevo concentrarmi sulle parole
del codice di attivazione e scrivere qualcosa a proposito di ognuna.
Il
lavoro in realtà verrà diviso in due parti: la prima parte riguarderà tutto
quello che ha portato agli eventi di Civil War e la seconda parte sarà a
proposito di tutto quello che succede in seguito.
Nel
corso della storia saranno presenti alcune situazioni abbastanza sgradevoli ma
cercherò di inserire un avviso all'inizio di ogni capitolo, giusto in caso.
In
più, la storia potrebbe contenere accenni Stucky e implicazioni slash ma non
sarà nulla di esplicito, tutti quelli che non amano il genere possono comunque
considerarla solo una bromance molto accentuata!
Spero
vi piaccia!
laylabinx
Capitolo 1: Zhelaniye
Bramosia.
L'unica parola che trova per descrivere l'espressione sulla faccia di
Steve. Può
leggere un'intera lista di altre emozioni - è triste,
sconvolto, ansioso, respinto
- ma l'espressione che racchiude tutto il resto è bramosia. Steve
vede la sua uniforme e capisce senza bisogno di sentirselo dire,
è qualcosa che
sa fin dentro il midollo: Bucky sta per andarsene e lui
resterà a casa.
«Sei
stato assegnato?»
Steve non prova neanche a nascondere la passività
nella voce. Sapeva
che sarebbe successo sin dall'attacco a Pearl Harbor.
Bucky
esita per una frazione di secondo prima di rispondere, dondolandosi
leggermente
sui talloni. Riconosce quello sguardo, il fastidio che accompagna la
realizzazione che ancora una volta non ce l'ha fatta. Steve non ce l'ha
fatta a causa
della sua salute, della sua corporatura, del suo peso e a causa di
altre
centinaia di motivi che l'universo ha deciso di scaricargli addosso
durante tutta la sua vita.
Non
è arrabbiato con Bucky, è arrabbiato con se
stesso.
Steve
potrebbe anche scoprirlo da solo, ormai non c'è modo di
cambiare gli ordini, ma merita di
sentirlo da lui.
«107esimo,
Sergente James Barnes,»
dice senza troppo entusiasmo, un mezzo
sorriso che gli inarca un lato della bocca. «Salpo
per l'Inghilterra domani all'alba.»
Stavolta
tocca a Steve esitare, intrappolato in un tumulto di sensazioni che
non saprebbe nemmeno iniziare a descrivere. È
orgoglioso di Bucky, così dannatamente fiero da starci quasi
male, eppure per lui è
difficile sentirsi felice quando sa che verrà lasciato
indietro. Sa che non gli
verrà mai data l'occasione di difendere il proprio Paese
come vorrebbe.
«Anch'io
dovrei esserci,» intona calmo,
scuotendo la testa e fissando il cemento coperto di rifiuti.
Bucky
non
ha alcun dubbio che se gliene lasciasse
l'opportunità, Steve passerebbe il resto del pomeriggio in
quel vicolo desolato
a piangere sul proprio triste destino.
Non può permettere che succeda. Non a Steve e non
stanotte.
Domani salperà per il grande ignoto1,
per i
butterati campi di battaglia in Europa. Vuole almeno un'ultima notte
spensierata prima di andarsene.
«Forza,
vieni,» dice in una risata che è
solo leggermente forzata.
Passa un braccio intorno alle spalle magre e
scheletriche di Steve e lo trascina via con sé lungo il
vicolo. «È
la mia
ultima sera. Devo darti una ripulita.»
Steve
sembra
mettere il broncio però passa lo stesso le dita tra i
capelli che gli ricadono
sulla faccia, nel tentativo di pettinarli. «Perché?
Dove
stiamo andando?»
Bucky
sorride e lo stringe un po' più forte nel
proprio abbraccio. «Nel
futuro,» risponde, schiaffandogli sul petto
un giornale piegato a metà e guidandolo fino alla strada.
OOOOO
Il
futuro
si rivela essere un'esposizione mondiale, piena
di luci brillanti e dimostrazioni e un sacco di gente curiosa. Bucky
indossa
ancora l'uniforme e Steve si è ripulito per quanto gli
è stato possibile, considerato
il poco tempo a disposizione. I suoi vestiti sono ancora sgualciti e un
livido
sta spuntando sotto un occhio per accompagnarsi al taglio sul labbro,
ma se non
altro cerca di fare bella figura.
«Che
cosa hai raccontato di me?»
chiede, sistemandosi di nuovo i capelli da un lato.
Bucky
vorrebbe dargli uno schiaffo sulla mano e dirgli
di rilassarsi, non esiste possibilità al mondo che si metta
mai a parlare male
di lui. Si limita a sogghignare e fa un cenno di saluto alle due
ragazze
dirette verso di loro.
«Solo
le cose buone,» lo rassicura mentre
porge il braccio ad una brunetta molto carina. La sua amica, una bionda
altrettanto carina, si ferma di fianco a loro e il suo sorriso vacilla
un
istante quando vede Steve. A quanto pare non era quello che si
aspettava.
Steve
cerca
di non pensarci troppo mentre la bruna si
allontana insieme a Bucky, la sua amica al seguito che cammina accanto
a loro. In
tutta onestà non può biasimarla: è
consapevole di non avere un aspetto
attraente quanto Bucky e se la ragazza aveva immaginato di incontrare
qualcuno
simile all'amico dev'essere rimasta penosamente delusa. Qualsiasi
appuntamento a
quattro alla fine va sempre così e per Steve non
è una grossa sorpresa quando
Bucky si ritrova con entrambe le ragazze a braccetto.
Una
dimostrazione inizia su di un palco a poca
distanza e le ragazze si precipitano euforiche in quella direzione,
portando
Bucky insieme a loro. Steve li segue senza troppa fretta. L'uomo
sul palco, un eccentrico inventore di nome
Howard Stark, sta parlando di argomenti bizzarri quali l'energia
rinnovabile e
automobili volanti. Suona abbastanza assurdo anche se Stark ha perfino
creato un
prototipo (sebbene riesca a restare sospeso solo per dieci secondi,
circa) e a
tutti sembra di aver appena assistito a qualcosa di incredibile.
Bucky
sorride e si gira verso Steve, ma lo spazio in cui l'amico si trovava
alcuni
momenti prima è vuoto. Con espressione preoccupata passa in
rassegna la folla
senza trovare traccia del piccoletto. I suoi occhi si fermano
sull'insegna di
un centro di reclutamento al di là del parco e capisce al
volo dove Steve potrebbe esserci cacciato.
Quasi
a
colpo sicuro, lo trova a pochi passi
dall'entrata - deciso a cercare di nuovo una qualsiasi falla nel
sistema,
qualche scappatoia da sfruttare per ottenere l'idoneità. E
Dio solo sa quanto
Steve sia un ostinato figlio di buona donna: se c'è un modo
per riuscire a farsi
arruolare, prima o poi finirà per trovarlo.
«Vuoi
veramente provarci di nuovo?»
domanda Bucky, rassegnato e stanco perché sa già
quale sarà la risposta.
Steve
si
stringe nelle spalle e affonda le mani nelle tasche. «Beh,
è una fiera. Tento la fortuna.»
«Nei
panni di chi?»
ribatte
Bucky, improvvisamente irritato dalla situazione. «Steve
dall'Ohio? Ti scopriranno. O peggio, ti
arruoleranno.»
Questo
sembra provocare in Steve un lampo di fastidio
che gli attraversa il viso e raddrizza la schiena per sembrare
più alto.
Non funziona.
«Senti,
so che tu pensi che io non sia
all'altezza…»
Il
commento
in sé è peggio della sua eterna
testardaggine. Steve pensa davvero una cosa del
genere, è convinto
che Bucky pensi che lui non sia in grado ma in verità
è esattamente il
contrario: Bucky sa che Steve
può
farcela, ecco il problema. Steve non sa quando rinunciare, non si tira
mai indietro
di fronte ad uno scontro anche se potrebbe restarci secco, e per Bucky
è una
verità assoluta. Sa che Steve può farcela ed
è per questo motivo che non vuole
neanche vederlo provare.
«Questa
non è una scazzottata in un vicolo,» gli
spiega
in tono più paziente possibile. «È
una
guerra. Perché ci tieni a combattere? Puoi fare tanti
lavori…»
Ma
Steve
non ha alcuna intenzione di accettarlo.
Sedersi ai margini e restare a guardare mentre altri occupano un posto
in prima
linea al fronte non lo rende soddisfatto. Non è felice di
non essere abbastanza
forte, di non essere mai abbastanza,
per
questo non è felice di essere lasciato a casa. E di nuovo
spunta la bramosia
nei suoi occhi. Il desiderio di farsi valere, di dimostrare al mondo
che può
realizzare qualsiasi progetto si metta in testa, nonostante tutti gli
ostacoli.
«Ci
sono uomini che sacrificano le loro vite,»
insiste Steve, altrettanto esasperato dalla
discussione. «Io
non ho nessun diritto di fare meno di quegli
uomini. È questo che non vuoi capire. Non si tratta di me.»
Bucky
si
lascia scappare un sospiro profondo. «Appunto.
Tu non devi dimostrare niente.»
Steve
non
risponde ma continua a sostenere lo sguardo.
Se è una sfida, come tante altre cose nella sua vita, non ha
intenzione di
cedere.
Le
ragazze
arrivano dietro di loro, richiamando l'attenzione di Bucky.
È lui a
distogliere per primo lo sguardo da Steve, per girarsi e rassicurarle
con un
sorriso e la promessa di portarle a ballare.
Torna
a
fissare Steve con un nuovo sospiro e scuotendo
la testa. «Non
fare nulla di stupido finché non torno.»
«Come
potrei?»
ribatte
Steve con prontezza. «La
stupidità te la porti tutta con te.»
Bucky
ridacchia a fior di labbra e poi stringe Steve in un veloce
abbraccio. «Sei
un imbecille.»
«Cretino,»
borbotta Steve, rispondendo
all'abbraccio e osservando Bucky allontanarsi mentre sul viso gli
rimane
dipinta la stessa espressione di bramosia. «Non
vincere la guerra finché
non arrivo io,» aggiunge, guadagnandosi un saluto militare
dall'amico
prima che scompaia in mezzo alla gente per cercare le loro (sue?)
accompagnatrici.
Steve indugia per un istante, le mani infilate in
fondo alle tasche, desideroso di partire ma costretto a restare.
OOOOO
La
notte
passa in una macchia sfocata di balli e
whisky. Le ragazze sono bellissime, il liquore è forte e
Bucky fa tutto il
possibile per placare il devastante senso di fatalità che
gli sta montando nel
petto da quando ha ricevuto l'assegnazione. Si maschera dietro una
facciata di
coraggio, sorride fin troppo e ride al momento giusto e si sforza di
comportarsi
come se domani non dovesse mai arrivare. Domani rappresenta l'ignoto,
un
terreno sul quale non si è mai avventurato prima. Domani
potrebbe essere
l'ultima volta che vedrà Brooklyn. Domani, a essere franchi,
è terrificante.
Non
lo
ammetterebbe mai, non lo confesserebbe mai a
nessuno (soprattutto non a Steve) ma non si è presentato di
propria volontà. È
stato arruolato come ogni altro giovane sano e robusto in tutto il
Paese. Ha
ricevuto la chiamata di leva per posta, ancora prima di poter
considerare l'arruolamento
volontario. Non è nemmeno sicuro che si sarebbe unito
all'esercito se non fosse
stato obbligato.
Non
che non
voglia fare la propria parte e difendere
il Paese - non è un codardo né uno scansafatiche
- però ha sempre esitato perché arruolarsi
significa lasciare Steve.
Steve, che cerca ogni volta di fare la cosa giusta
anche se significa ritrovarsi con un occhio nero. Steve, che
immancabilmente si
ammala di polmonite una volta l'anno e rifiuta di andare in ospedale
anche
quando tossisce così tanto da non riuscire a reggersi in
piedi. Steve, che
ormai non ha più nessuno al mondo e dopo la partenza di
Bucky resterà
completamente da solo.
Comunque
non gli direbbe mai niente, per non rinforzare
l'idea che Steve abbia bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.
Ne ha
bisogno (ostinato bastardo) eppure Bucky non glielo direbbe mai. Non sa
se questo
possa renderlo in qualche modo meno virile, non cogliere
l'opportunità quando
si presenta - non ci ha mai neanche pensato.
Ha
esitato
ad arruolarsi e forse non l'avrebbe mai fatto se avesse potuto
scegliere. Alla
fine per lui non c'è stata una scelta, è stato
reclutato obbligatoriamente, gli è stato assegnato il grado
di Sergente e il
compito di difendere l'America e dare appoggio agli Alleati. A
volte gli piacerebbe essere così coraggioso e spavaldo
come cerca di apparire. Come l’uomo che Steve vede in lui.
Le
ragazze
sono una buona compagnia per la serata e
per qualche tempo riesce a dimenticare che l'indomani mattina
verrà imbarcato.
Balla con loro, le tiene strette e lascia che si stringano a lui.
Quando le accompagna
a casa, più tardi, gli rimangono sul colletto tracce di due
diverse sfumature
di rossetto e la sua uniforme è impregnata di profumo dai
toni floreali.
Sorride
mentre le osserva scomparire all'interno e
continua a salutarle con una mano finché la porta si
richiude dietro di loro.
Il suo appartamento è solo a qualche isolato di distanza,
non ci metterà molto
a raggiungerlo a piedi. L'unico problema è che adesso
è da solo e non c'è nulla
ad aiutarlo a tenere sotto controllo l'apprensione per il giorno dopo.
Diamine,
il giorno dopo in realtà è già oggi e
nel giro di poche ore dovrà essere
diretto alla stazione.
Una
fiammata
di energia nervosa gli fa rivoltare lo stomaco (oppure è
colpa del whisky) e sistema
le spalle per rimettersi dritto in piedi. Infila le mani nelle tasche e
comincia a camminare verso casa, ignorando i palpiti d'ansia che
accompagnano
ogni passo.
Pesca
le
chiavi dal taschino quando è quasi arrivato e si lancia su
per le scale due
alla volta per poi fermarsi di fronte alla porta d'ingresso. Si ferma,
le dita
esitano di fronte alla serratura. All'improvviso gli torna in mente che
si
tratta dell'ultima notte che passerà in questo appartamento,
in questa città,
forse in assoluto. Non dovrebbe stupirsi più di tanto,
sapeva da mesi che
sarebbe successo, ma realizzare che il momento è davvero
arrivato lo lascia di
sasso.
Scuote
la
testa, inspirando lentamente per riprendere il controllo. Finisce per
dare al
whisky gran parte della colpa per quest'ansia e apprensione.
Andrà tutto bene:
in fondo qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere?
Infila la
chiave nella toppa e spalanca la porta.
Le
luci
sono
già spente, Steve è addormentato sul logoro e
consunto materasso che dividono.
Il loro appartamento è minuscolo, non molto diverso da una
baracca con soltanto
quattro spesse mura, ma da quasi quattro anni per entrambi è
diventata casa. È
tornato a casa per la sua ultima notte. Bucky sospira sottovoce e
chiude la
porta, lasciando le luci spente.
Si
spoglia
fino a restare con la sola biancheria indosso e appende l'uniforme sul
retro
della porta, in ordine. Sono da poco passate le due del mattino e sa
che dovrà
alzarsi e prepararsi non più tardi delle cinque e mezza se
vuole arrivare in
tempo alla stazione. L'idea comunque non lo preoccupa, al momento
l'unica cosa
che vuole è dormire e passare un'ultima notte nel proprio
appartamento.
Attraversa
la stanza in direzione del materasso schiacciato contro il muro e si
siede mollemente
lungo il bordo. Steve è rannicchiato sul proprio lato del
letto, la faccia
rivolta al muro e il respiro regolare. Bucky rimane a fissargli la
schiena per
alcuni istanti, osservandolo respirare e imprimendosi nella memoria
ogni
particolare possibile. Si domanda se si dimenticherà di lui
una volta che sarà
partito, se i minuscoli dettagli che hanno sempre tenuto insieme le
loro vite
scompariranno in una nuvola di fumo e polvere da sparo.
Scaccia
tutte queste idee dalla testa e si sdraia sul materasso, troppo stanco
per
continuare a pensarci. Steve si muove per un attimo ma torna subito a
giacere
immobile. Bucky non si lascia ingannare.
«Hey
Stevie,» sussurra
piano nell'umida, stantia oscurità del loro
appartamento. «Sei
sveglio?»
Steve
non
risponde per diversi istanti, poi alla fine cede con uno sbuffo
sommesso. «È
difficile dormire se mi blateri nelle orecchie,» risponde
in
tono mesto. «Come
è andata?»
«Faceva
caldo,»
ammette
Bucky, allungandosi nel letto mentre fissa il buio del
soffitto. «Non
so perché non accendano i ventilatori in quelle
sale da ballo. Vedere che la gente in pista gronda di sudore dovrebbe
suggerire qualcosa.»
Steve
ride
sommessamente e continua a rivolgergli le spalle.
«È
strano pensare che questa sia la mia ultima notte
qui,» mormora
Bucky, più tra sé che davvero diretto a Steve.
Sta riflettendo ad alta voce,
dando sfogo alle preoccupazioni piuttosto che tenerle dentro.
Steve
sbuffa
di nuovo, brusco e perfino un po' irritato, poi si gira nel letto verso
di lui.
Borbotta tra
i denti qualcosa che suona parecchio come "stupido
cretino"
prima
di chiudere nei pugni la
canotta di
Bucky. In meno di un secondo gli preme il viso sul petto, serrando
forte la
presa mentre il respiro si accorcia e diventa affannato. Bucky lo
prende fra le
braccia per stringerlo con gentilezza, posandogli la guancia sui
capelli.
«Promettimi
che non finirai per farti ammazzare laggiù,
Barnes,» bisbiglia
Steve, le sue dita ancora attorcigliate attorno alla stoffa della
canottiera. «Devi
promettermelo.»
Bucky
annuisce ma sa che si tratta di una promessa che non è certo
di poter
rispettare. «Solo
se tu prometti di scrivermi,» ribatte,
mentre segue il contorno delle ossa lungo la schiena scheletrica di
Steve. «A
quanto pare i soldati al fronte sentono parecchio la
nostalgia di casa, Stevie. Rischiano di prendere decisioni avventate.
Tu
scrivimi, continua a raccontarmi di tutti i guai in cui ti stai
cacciando ed io
eviterò di comportarmi da idiota.»
Steve
ride
(o
si tratta di un singhiozzo soffocato) e torna a nascondere il viso
contro il
petto di Bucky. «Sei
davvero un cretino, lo sai?»
domanda. È la confessione timida e profonda di
qualcosa molto più importante che nessuno dei due ha il
coraggio di ammettere.
Bucky
sorride debolmente e lo stringe ancora più a sé;
anche per lui è lo stesso ma
stanotte non è il momento adatto per parlarne. Sarebbe
scontato, scadente, e
aspettare il momento giusto è essenziale. Peccato che il
tempo non giochi a
loro favore.
«Lo
so, imbecille,» sussurra
in risposta mentre ancora tiene Steve
abbracciato. «Lo
so.»
Passano
così
il resto della notte, abbracciati uno all'altro come se fosse l'ultima
volta. Forse
lo è davvero.
Steve
desidera partire tanto quanto Bucky desidera rimanere. Il mattino
arriverà,
come sempre, e Bucky sarà costretto ad andarsene mentre
Steve sarà costretto a
restare indietro. Quasi si trattasse delle parole di una crudele
canzoncina in
rima: brama di andare, brama di rimanere, nessuno dei due
ciò che vuole
potrà avere.
1.
The great unknown
Generalmente
descrive situazioni nuove e sconosciute ma può anche riferirsi alla
consapevolezza di essere destinati a morte certa. [NdT]
Capitolo originale dell'autrice
Show her some love!
Salve a tutti voi che leggete!
Non
volevo irrompere per la prima volta nel fandom senza neanche fare un saluto, quindi vi lascio giusto due righe per dire che tradurre
questa storia è stato un piacere e spero che il risultato riesca ad
appassionarvi.
Your Humble
Translator