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Autore: Ambrose888    22/11/2016    0 recensioni
Dicono che chi vede la morte in faccia riesca a cogliere il reale significato della vita: una rivelazione, semplice e basilare, su tutto ciò che c’è da sapere e che non si è mai saputo. Penso che anch’io, nel preciso momento in cui le ultime forze mi abbandonavano, compresi quel significato. Più che altro fu una considerazione, una certezza.
Quella certezza aveva i suoi occhi fissi nei miei e mi stava stringendo al suo petto, alla sua maglietta fradicia da cui percepivo il calore incandescente del suo corpo, il battito rassicurante del suo cuore…
Quella certezza era che non esisteva niente di più bello al mondo che stare tra le braccia di Josh McFadden.
E il resto non aveva più molta importanza...
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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BREVE (si spera) NOTA PRIMA DI COMINCIARE

I miei omaggi!!
Se tu, caro lettore, hai provato uno strano senso di deja vu leggendo la presentazione di questa storia, ebbene sì, non sei stato tratto in inganno! Ho deciso di riproporre (in parte riscrivendo) questa storia dopo averla inizialmente pubblicata su EFP qualche anno fa, e bruscamente interrotta a causa di gravosi impegni scolastici. L'idea di fondo mi piaciucchiava (?) e mi sarebbe un po' dispiaciuto (perdonate il gioco di parole) lasciarla lì, a languire in qualche oscuro recesso del mio pc... Pertanto, dopo lunga e scrupolosa ponderazione, ho pensato di ripresentarla con una veste un tantino meno... diciamo "ingenua", facendo nel frattempo un po' di sacro labor limae (amici classicisti, so che siete sempre in agguato).

Se invece sempre tu, lettore adorato, non hai sentito nessun trillo nelle orecchie modello "sensi di ragno" (Spiderman nda... Gesù, ma quante parentesi faccio?) e ti sei spinto ad aprire la mia storia mosso dalla curiosità, beh... non posso che augurarti BUONA LETTURA :)    

















 
THE BRAVE ME







 
 
 



UN INCIDENTE


 


Era tutto inutile…
Inutile agitarsi, inutile opporsi. Se quella era la fine, perché tardarla ancora a lungo?
Tutto inutile. Tutto finito. Stavo morendo.
E’ raro che la gente pensi seriamente alla propria morte. Non quando si ha appena compiuto sedici anni, almeno, e si è nel fiore della giovinezza. Non durante un’innocua gita in barca su un laghetto dal nome impronunciabile.
Beh, andò proprio così invece.  All’inizio fu doloroso, poi divenne quasi piacevole. Non stavo più lottando: mi lasciavo semplicemente scivolare in basso, ancora più in basso… Ormai del sole non era rimasto che un vago baluginio sotto la superficie, e il chiarore del giorno lasciava il posto ad una tenebra fonda e insperatamente tiepida.
Avrei quasi voluto ridere per la feroce ironia di quel momento. Forse lo feci, comunque non me ne accorsi: ormai il mio corpo non rispondeva più a nessun comando. Eppure sentivo di avere tempo, tanto tempo per pensare… Mancava ancora qualche metro al fondale, e io stavo scendendo così lentamente…
Ripercorsi brevemente la mia vita sino a quel giorno.
Ero sempre stato un ragazzo così anonimo, così insignificante. Avrei tanto voluto fare di più della mia vita. Scrivere il romanzo del secolo. Vincere il Premio Nobel per la Pace. Magari andare sulla Luna, o diventare un pittore famoso, oppure, perché no? il Presidente degli Stati Uniti, uno di quelli lungimiranti, che sarebbe stato ricordato nei secoli al fianco di George Washington e Abraham Lincoln.
Naturalmente non sarei stato nulla di tutto questo. In potenza forse lo ero, ma adesso era inutile starci a pensare.
Sulla mia tomba figuravo scritto:
 
QUI RIPOSA WILLIAM REED
STUDENTE MODELLO MA PESSIMO IN TUTTI GLI ALTRI CAMPI
E FIGLIO ABBASTANZA DELUDENTE
 
Già, più che una delusione per la mia famiglia. Per mio padre in particolare, che della mia famiglia era forse la sola cosa che mi restava. Non ero stato un tipo sportivo, non mi era mai piaciuto il football, non sapevo giocare a rugby, non mi intendevo di caccia né di pesca, e in genere ero sempre stato sprovvisto di un certo basilare spirito pratico. E quella morte stupida ne era la testimonianza.
“Giovane ragazzo muore annegato perché incapace di nuotare”, già leggevo sui giornali locali.
Grandioso! E quale stupido incosciente si butterebbe mai in acqua nella consapevolezza di essere completamente impedito anche solo a tenersi a galla?
Ah, già: io.
Non ricordavo perché lo feci. Forse per dimostrare a mio padre di essere in grado di fare la cosa più elementare del mondo: qualche bracciata in un minuscolo laghetto del Connecticut, di quelli che basta calibrare un po’ male il tuffo per trovarsi direttamente sull’altra sponda.
Forse per dimostrarlo a me stesso.
O forse perché ero un idiota e volevo fare bella impressione sul capo di mio padre e su suo figlio, le cui presenze stavano diventando una costante nelle nostre scampagnate domenicali.
Soprattutto sul secondo.
Si chiamava Josh. Josh McFadden.
Oh, mio padre se n’era perdutamente innamorato, di quel Josh. Lui sì che sarebbe stato il figlio perfetto, e diciamocelo francamente, perché era tutto ciò che io non ero: atletico, temerario, con quei bicipiti e quelle mani che sembravano fatti apposta per imbracciare un’ascia durante la gara dei boscaioli al festival autunnale. Un tempo lo detestavo. Adesso? Adesso lo ricordavo appena.
Dov’ero rimasto? Ah sì, stavo morendo.
Ormai non c’era più colore. Non c’era più rumore. L’ultima cosa che udii fu un tonfo sordo e ovattato, come una palla di gomma che rimbalza sul pavimento. Poi più nulla.
Sopra di me la luce moriva coperta da un’ombra nera, sempre più grande, sempre più vicina. Mi sovrastava.  Se quella era la morte, era persino più spaventosa di quanto immaginassi.
L’ombra mi prese per un braccio, cominciò a trascinarmi verso l’alto. Più in su, più in su, finché i raggi iridescenti del sole tornarono a fendere la superficie.
Ora sarei emerso. Ora mi aspettava il cielo…
 
« William! Oh mio Dio, figliolo, dì qualcosa! Dì qualcosa, ti prego! »
Voci confuse e concitate, tutte attorno a me.
Vedevo delle sagome, figure distorte e irriconoscibili stagliate contro un alone accecante.
Mi accorsi di stare sbattendo le palpebre e che sulle mie labbra sgorgavano fiotti di acqua fredda. Tossì convulsamente. I miei polmoni erano in fiamme. La mia pelle, le mie ossa, ogni centimetro del mio corpo bruciava, bruciava terribilmente, quasi fossi caduto in una fornace. Avrei voluto strapparmi la carne di dosso. Avrei davvero voluto morire…
Qualcuno urlava: «Figliolo! Figliolo resisti! », e quella voce stridula e disperata sembrava solo l’imitazione grottesca di quella mio padre.
Tossivo, singhiozzavo, annaspavo in cerca di aria.
Qualcuno reggeva la mia testa: una sagoma stranamente immobile mentre tutto attorno girava, e girava, che mi scostava ciocche di capelli fradici dalla fronte e mi premeva una mano sul petto, spingendo ritmicamente per forzare l’acqua ad uscire dai polmoni.
Era l’ombra, lo sapevo. E mentre il mondo tutt’intorno si coagulava in un’orgia di suoni e colori violenti, irreali, io cercavo di aggrapparmi all’ultimo lembo di coscienza che mi rimaneva per distinguere il volto del mio salvatore.
Gocce cristalline brillavano sulle punte dei suoi capelli castani. I suoi occhi, chiari e trasparenti come le acque più limpide, mi scrutavano ridotti a due fessure. Passavano i secondi, ed ogni particolare del suo volto s’imprimeva nella mia mente come inchiostro indelebile: la forma del naso, il cruccio delle sopracciglia, la linea affaticata delle labbra, l’ansito del suo collo massiccio…
Quei bicipiti e quelle mani che appena qualche minuto prima detestavo così rabbiosamente ora mi stavano stringendo, mi stavano sorreggendo. Josh McFadden mi aveva salvato.
Dicono che chi vede la morte in faccia riesca a cogliere il reale significato della vita: una rivelazione, semplice e basilare, su tutto ciò che c’è da sapere e che non si è mai saputo. Penso che anch’io, nel preciso momento in cui le ultime forze mi abbandonavano, compresi quel significato. Più che altro fu una considerazione, una certezza.
Quella certezza aveva i suoi occhi fissi nei miei e mi stava stringendo al suo petto, alla sua maglietta fradicia da cui percepivo il calore incandescente del suo corpo, il battito rassicurante del suo cuore…
Quella certezza era che non esisteva niente di più bello al mondo che stare tra le braccia di Josh McFadden.
Il resto non aveva più molta importanza.




 
   
 
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