È ormai scesa la notte su quel tratto
di oceano prossimo alle coste norvegesi, ma la luna non ha, per il
momento, rivendicato il suo posto di regina del cielo e il suo
argenteo chiarore ancora non rischiara la superficie oscillante di
quelle acque profonde. Non sono che le 22, ma le tenebre avvolgono il
Nautilus in un abbraccio protettivo. Le onde, fattesi nere nella
tenebra notturna, s'infrangono dolcemente contro la sua corazza, come
a volerlo stuzzicare maliziosamente, come a voler giocare con esso.
Nella pancia di metallo del tuo mostro
marino regna una quiete assoluta, quella quiete che per anni è stata
il tuo rifugio e il balsamo per le tue pene.
Ma, quando le tue dita prendono ad
accarezzare leggiadre i tasti dell'organo, il silenzio cede il posto
a quella melodia che, come sempre accade, ti afferra e ti scaraventa
prepotentemente indietro, ai tempi in cui facevi ancora parte di quel
mondo di uomini al quale hai voltato le spalle e contro cui hai
giurato vendetta.
Quel mondo di uomini egoisti, avidi e
crudeli che ti hanno privato di tutto ciò che avevi di più caro e
prezioso al mondo.
Chiudi gli occhi ma le tue mani non
smettono di scorrere sapientemente lungo lo strumento di fronte a te.
Non te ne stupisci: ogni singola nota di quella struggente sinfonia è
ormai incisa nella memoria di ogni cellula del tuo corpo.
Dietro le tue palpebre serrate prendono
vita, come fantasmi, gli echi lontani di quelle presenze che ti
tormentano e ti deliziano da tempo immemore, da quando hai scelto
l'esilio agrodolce del mare e degli oceani.
La visione è sempre la stessa: c'è
lei, splendida nel suo abito primaverile di candido cotone, i
capelli color mogano intrecciati in una raffinata acconciatura che le
mette in risalto il bel viso radioso, quasi serafico, e gli occhi
ridenti; tiene in braccio una bimba di circa due anni, con i boccoli
che le incorniciano il volto paffutello su cui troneggia
un'espressione adorabilmente furba. Accanto alla donna, la manina
stretta nella sua, sta in piedi, non senza un certo impaccio, un
bambino di sei anni. Sposta il peso da una gamba all'altra,
imbarazzato, come se l'idea di quell'oggetto pronto a catturare il
suo riflesso e ad immortalarlo su un pezzo di carta, lo innervosisse,
ma quando volge lo sguardo verso la madre, il suo sorriso dolce e
rassicurante riesce prontamente a calmarlo.
Ecco cosa ti resta della tua vita
passata, capitano. Una fotografia consunta e scolorita che di certo
non può reggere il confronto con la fulgida nitidezza dei tuoi
ricordi che, per quanto penosi, non puoi fare a meno di rievocare
ogni volta che ne hai l'occasione.
Lei amava il mare. Forse è per
questo che hai scelto proprio il mondo sotto le onde per lasciarti
alle spalle la società civile che tanto ti disgustava, facendo di
esso la tua nuova dimora e il tuo incontrastato e incontaminato
dominio.
Le sarebbe piaciuto esplorare i fondali
a bordo del Nautilus. Le avresti mostrato quelle meraviglie
incorrotte su cui nessun occhio umano si era mai posato; avresti
condiviso con lei la magnificenza delle tue scoperte e lo stupore per
gli spettacoli sublimi che mari e oceani, così incredibilmente vivi
e, a loro volta, pieni di vite ulteriori, erano in grado di offrire.
Ma, da anni ormai, la Solitudine è la
tua unica compagna e amante. Una Solitudine pregna di rimpianti, odio
e sete di vendetta per coloro che ti hanno portato via tutto.
I resti dell'ignobile nave che hai
abbattuto giorni fa giacciono ora in un punto imprecisato sul fondo
dell'Atlantico. Hai osservato il suo tracollo e l'agonia del suo
equipaggio con fredda soddisfazione, come un angelo vendicatore che
vede compiersi il suo disegno di giustizia, eppure ora non ti senti
affatto un vincitore. Nel tuo cuore, scevro ormai perfino dal
rancore, non avverti altro che vuoto, inoltre una grande stanchezza
pesa sulle tue membra ancora giovani e vigorose ma che, in questo
momento, ti paiono quelle di un vecchio che ha visto troppe cose e
che la vita ha consumato e piegato, mettendolo duramente alla prova.
Ed ecco che le tue dita si arrestano
sulla tastiera, paralizzate da una consapevolezza tanto chiara e
palese che quasi ti stupisci sia giunta così tardi.
Sono stanco.
Sì, capitano. Sei stanco.
Stanco degli orrori che gli uomini
compiono contro i loro simili e contro la Natura, stanco di
vagabondare da un capo all'altro del mondo alla spasmodica ricerca di
qualcosa che sai non ti verrà mai restituito e che è perduto per
sempre, stanco di essere solo, stanco addirittura dello splendore
della vita sottomarina, dal quale non riesci più a farti incantare e
rapire come una volta. Tutta quella bellezza ti pare anzi quasi
insensibile e irrispettosa verso la tua sofferenza.
Sei stanco, e sai che c'è un solo modo
per mettere fine a questa affannosa situazione.
Lentamente ti alzi e ti allontani
dall'organo. Muovi qualche passo nella penombra. Ti sembra di
cogliere un movimento in un angolo. Potrebbe trattarsi del professor
Aronnax o dei suoi compagni. Che stiano cercando di lasciare il
Nautilus approfittando di quel momento di inattività?
Ma in fondo non ti importa granché di
loro. Non più.
Che tentino pure la fuga e che tornino
alla vita in superficie, a quella società civilizzata che incatena,
fin dalla nascita, ogni essere vivente al suo giogo crudele, al quale
tu hai saputo sottrarti, non prima però di esserne rimasto
mortalmente ferito e di aver pagato un prezzo molto alto.
- Basta, mio dio. Basta! -
In un accesso di angoscia ti porti le
mani alla testa e l'afferri come a volerti strappare dalla mente
quelle dolorose reminiscenze. Cadi in ginocchio sotto il peso del
dolore patito tutti quegli anni e sai che non riuscirai mai più a
rialzarti.
È la fine e tu lo sai, lo vuoi.
A un tratto, il galleggiare pigro del
Nautilus muta in qualcosa di diverso. Il battello acquista sempre più
velocità senza che l'elica sia stata messa in azione. La corrente è
autonoma e inarrestabile e quando odi le voci terrorizzate del tuo
equipaggio lanciare quel grido disperato, capisci che la tua ora è
giunta per davvero.
Maelstrom!
Il gorgo ha ormai imbrigliato la tua
creatura di ferro e la sta trascinando sempre più a fondo in un
irreversibile movimento a spirale che si fa sempre più frenetico.
I tuoi uomini ti chiamano, chiedono
disperatamente istruzioni, cercano di contrastare la forza
soverchiante del vortice, ma tu sei sordo alle loro richieste d'aiuto
e le tue labbra non emettono un solo suono, né un ordine, né una
rassicurazione, nemmeno una preghiera.
Eppure, paradossalmente, ti viene da
sorridere e nel petto senti sbocciare un commosso quanto irrazionale
sentimento di gratitudine per quel mare che ha svelato ai tuoi occhi
i suoi segreti più reconditi, che ti ha dato sostentamento e ti ha
generosamente offerto rifugio, protezione e isolamento, ma non solo,
ora, con un ultimo, supremo atto di pietà, esaudisce anche il tuo
estremo desiderio e ti dona finalmente la pace che troppo a lungo ti
è stata negata.