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Autore: kou_oniisan01    24/11/2016    0 recensioni
1942, l'anno d'oro del nazismo, l'anno in cui milioni di menti furono manipolate da una spietata propaganda. Riuscirà Nathan, un ragazzo di diciassette anni, a non farsi manovrare dai nazisti e soprattutto a riconquistare la fiducia e l'amore di una ragazza fragile e misteriosa come un fiore dalle mille sfumature?
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
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“Quando ero piccola tutte le mie compagne di scuola sognavano di diventare delle bellissime principesse, vivere in una magnifico castello dalle altissime torri e sposare un prode cavaliere che le avrebbe difese da qualsiasi pericolo; ma io ero dell’idea che se ci doveva essere un intrepido guerriero che avrebbe salvato tutte le principesse del regno, quello dovevo essere io! Se ci ripenso adesso, da bambina ero un vero maschiaccio, non andavo molto d’accordo con le altre bambine, le trovavo alquanto noiose e prive di inventiva, le bambole di pezza i pentolini per cucinare e le macchine da cucito non erano certo nella mia lista dei giochi preferiti, le bambine si spaventavano per ogni stupidaggine e a volte erano davvero cattive tra di loro: a me invece piaceva giocare a pallone, nascondermi nei vicoli del paese per evitare di perdere a nascondino, gareggiare in corse sfrenate fino alla chiesetta in fondo alla strada e andare a caccia di bottini improbabili come la muta dei serpenti, ossa di piccoli roditori e cadaveri di insetti enormi per poi tornare a casa con i pantaloni bucati e un’altra cicatrice per ricordare quell’avventura, un’altra cicatrice che mi ricordava che io non ero diversa perché femmina. Jacob mi vestiva da ragazzo, mi faceva indossare i suoi vecchi vestiti e poi sgattaiolavo fuori di casa con lui con i capelli legati dentro il cappello ed un’altra identità che portava il nome di Ilian. Non mi chiedevo il perché dovessi vestirmi come un bambino, forse il bello di avere sei anni è proprio perché certe cose non te le chiedi, a me bastava giocare ed ero felice così; ma il tempo corre e le persone cambiano e ben presto non mi trovai più così bene dietro la maschera di Ilian, il cuginetto di Jacob dai grandi occhioni azzurri e ad undici anni, durante una partita di pallone, dopo aver segnato il goal decisivo mi tolsi il cappellino e la mia maschera si ruppe. Quel giorno capii che anche gli eroi non sono solitari e che non le devono salvare tutte loro le principesse e che spesso hanno bisogno loro di essere salvati, ed il cavaliere, che in quel momento stava combattendo contro gli altri ragazzini per difendermi, era mio fratello.”
- Ehi Andrea, ha telefonato una persona. – la signora Müller si appoggiò sull’uscio della porta, cercando di incrociare lo sguardo della figlia che se ne stava sul letto, rannicchiata su se stessa e avvolta da una coperta bianca.
- Era il tuo fidanzatino…- la donna sorrise maliziosamente arrotolandosi un ciuffo dei capelli intorno al dito, Andrea emise un mugugno raggomitolandosi ancora di più nelle coperte. La donna iniziò a pensare che forse quell’attacco di tristezza non era una normale crisi adolescenziale immotivata, ma che in realtà, probabilmente, sotto quello strato di coperte, qualcosa c’era.
- Ehi scimmietta, cosa ti prende? Cos’hai? Ne vuoi parlare? – la ragazza non rispose, allora la donna le sedette a fianco e le infilò le dita tra i capelli neri trascinando i polpastrelli ruvidi, rovinati da vagonate di detersivi di qualsiasi tipo, e attacchi di nervosismo troppo violenti.
- Voglio dire, quando mi fidanzai con tuo padre passai sette notti in bianco per quant’ero eccitata, tu invece eri più felice il giorno in cui hai trovato un marco per terra. – Andrea rotolò accanto alla madre accucciandosi sulle gambe della donna dai corti capelli neri, poi la guardò nei grandi occhi color mirto, graffiati da schizzi di verde erbetta.
- Non voglio andare alla festa di stasera…- la donna cambiò espressione sorpresa da quell’affermazione.
- Come non ci vuoi andare? Non capisco, dovresti essere contenta di andare alla festa di compleanno di sua madre, le hai anche comprato un bellissimo regalo, io davvero non capisco…cosa c’è che non va? – la figlia incupì ancora lo sguardo e si coprì la faccia con la coperta.
- Secondo te io sono sbagliata? Intendo esteriormente. – la donna sorrise portandosi la mano sulla fronte.
- Ma che sciocchezze stai dicendo, certo che vai bene, alla tua età è normale sentirsi sbagliate e non accettare il proprio fisico. –
- No, è che…nella sua famiglia sono tutti biondi, altissimi…e non sono ebrei. – la madre sentì salirle un nodo in gola.
- Pensi davvero che essere bassi o di media altezza, con i capelli neri ed ebrei sia una brutta cosa? Hai paura che alla festa tutti ti giudichino perché hai i capelli neri? – Andrea scosse la testa, si alzò e si sedette vicino alla madre tirandosi la coperta.
- Però tu non puoi capire, non sei ebrea, papà lo è, io e Jacob lo siamo, perché i figli di un ebreo sono ebrei. –
- Questo non c’entra niente, a prescindere da ciò che dice la Torah, tu sei ciò che vuoi essere. Dio, qualsiasi Dio, ama tutti, a prescindere. Poi scusa, da quando ti fai questi problemi, sei sempre stata orgogliosa di ciò che sei, credi di essere sbagliata perché lo dicono a scuola? – Andrea iniziò a mordicchiarsi le dita nervosamente.
- Lo so che chi pensa che gli “ariani” siano migliori è stupido, però il fatto che io debba nascondere ciò che sono mi fa stare male, come quando da piccola per giocare mi dovevo vestire da maschio…e ogni volta che mi specchio, mi guardo, e cerco di capire cosa non va in me, ogni volta trovo un nuovo motivo per odiarmi. – la madre si alzò di scatto, mettendosi a braccia conserte.
- Più di ciò che ti ho già detto non posso dirti, però posso darti la certezza che se un ragazzo con i capelli biondi, alto e con gli occhi chiari è innamorato di una ragazza come te, è la riprova che non sei affatto inferiore a nessuno. – la donna si voltò e aggiustandosi il tailleur dalla lunga gonna nera uscì dalla camera della figlia senza battere ciglio. Andrea si mise le mani sul viso e prese dei respiri profondi; d’improvviso le tornarono in mente gli ultimi giorni passati con Nathan, che, come una pellicola scorrevano veloci nella sua testa e le facevano pensare quanto il suo compagno di scuola fosse cambiato, a quanto non fosse più il ragazzo sereno e gentile di pochi mesi prima, a quanto le mancassero quei piccoli gesti che la facevano sentire speciale, a quanto le mancassero quei cortesi e timidi baci sulla guancia, le lunghe chiacchierate seduti su una panchina del parco e l’imbarazzo delle loro dita che si intrecciavano faticosamente, le figuracce in biblioteca e il nascondersi continuamente dagli sguardi indiscreti dei passanti e la paura ogni volta che venivano fermati da dei soldati. E le voci nella sua testa parlano.
-Mi fa male il petto. Vorrei dire tutto a mamma, vorrei poterle dire tutto ciò che mi sta succedendo, ma…se lo facessi…lei farebbe qualcosa di avventato…conosco bene il suo caratterino…no, non posso. -
- Tieniti tutto dentro, non volevi essere un supereroe da piccola? Devi essere tu a salvarli, devi rinunciare a sentirti bene per una volta, ora non puoi più tornare indietro; non voltarti! Non farlo! Fallo per la tua famiglia! Fallo per Jacob! –
- Ma io non posso farlo, io non sono adatta, lo dicono tutti; lo dicono i muri, lo dicono le strade, lo dicono i manifesti, lo dice la gente! Ripetono all’unisono “non vai bene”. E forse hanno ragione, sennò non sarei andata così male al test fisico di giovedì, forse se fossi stata più “adatta” sarei riuscita a correre più veloce, o a saltare più in alto o ad arrampicarmi più in fretta. Se non so fare queste cose come faccio a salvare la gente? Come faccio? –
- Gli eroi non sono solo muscoli, tu hai il cervello: pensa, pensa…-
- Forse se faccio tutto ciò che Nathan mi chiederà senza protestare…forse riuscirò a proteggerli. –
- Non puoi proteggere gli altri se prima non proteggi te stessa, va bene mettere gli altri al primo posto ma…che ne sai di ciò che passa per la sua mente: pensa, pensa…sei un povero agnellino in mezzo ad un branco di lupi affamati, che farai? –
- Se divento una pecora nera forse loro non si accorgeranno di me. Li devo ingannare…ma per Nathan? –
- Per Nathan…se non è stupido come pensiamo, probabilmente riusciremo a ricondurlo sulla strada della ragione. Ricorda cosa ti ha detto la mamma “se un ragazzo con i capelli biondi, alto e con gli occhi chiari è innamorato di una ragazza come te, è la riprova che non sei affatto inferiore a nessuno.”. Non farti ipnotizzare da ciò che dicono gli altri, tu sei un’eroina, la gente la salvi tu, ma non da sola, hai tuo fratello dalla tua parte. -
- Lo faccio per lui, gli devo tanto. È l’unico di cui mi fido. –
- Si va in scena. –

-Buonasera signora Müller, sono Nathaniel Schneider…si ricorda…le ho telefonato stamattina…- si percepiva una nota di imbarazzo e di insicurezza nelle parole di Nathan, testimoniata anche da un leggero rossore sulle guance e dalla postura da soldatino. La donna gli sorrise dolcemente, tranquillizzandolo con un solo sguardo.
- Ma certo che mi ricordo! Che gentile che sei a venirla a prendere! Sono davvero felice della tua visita, ma adesso perché non ti accomodi in salotto? – gli diede una pacca sulla spalla per spingerlo ad accomodarsi, poi gli sfilò velocemente il giaccone grigio e lo appese all’appendiabiti.
- Puoi sederti su quel divanetto se vuoi…ma guarda, più ti osservo e più mi rendo conto che sei proprio un bel ragazzo, devo ammettere che mia figlia ha gusto. – la donna ridacchiò compiaciuta mettendo in imbarazzo Nathan che, sorpreso, non sapeva cosa rispondere.
- La ringrazio molto signora…noto che lei e Andrea vi somigliate moltissimo, forse è per quello che sua figlia è incantevole. – la signora Müller ridacchiò nuovamente e si diresse verso un armadietto basso, con le porte in vetro, contenente bottiglie di liquore.
-Ah! Non hai visto mio marito! Lei è tutta suo padre! E a proposito perdonami per la sua assenza ma non poteva proprio essere presente stasera…e comunque non c’è bisogno di tutte queste formalità, chiamami tranquillamente Hanja. Posso offrirti qualcosa? – Nathan non riuscì a trattenere un altro sorriso e scosse la testa acconsentendo alla proposta fattagli dalla donna. Poco dopo scese, agitata, Andrea accompagnata da suo fratello e già pronta con cappotto, sciarpa e cappello, Nathan si alzò di scatto dal divanetto e notò che Jacob lo stava osservando con sguardo cagnesco.
Ha gli stessi occhi verdi e i capelli scuri di sua madre…solo che…porca paletta se è inquietante! Questo mi vuole uccidere, me lo sento! Com’è possibile? Somiglia tantissimo ad Hanja solo che quello sguardo non l’ha preso da sua madre! Mi sta venendo mal di stomaco!
Nathan si irrigidì nuovamente, assumendo di nuovo la posa da soldatino sull’attenti; Jacob li si avvicinò e gli strinse la mano come se stesse schiacciando una noce a mani nude, così forte che Nathan finse un sorriso per evitare di mostrare il dolore.
-Piacere, sono Jacob il fratello maggiore di Andrea. –
- Molto piacere…sono Nathaniel Schneider. – il biondo ritirò la mano e fece un discreto cenno di andarsene alla ragazza, che lo osservava divertita.
- Mamma, se non ti dispiace noi andiamo. –
- Ah ma certo, andate tranquilli, non vorrei che faceste ritardo. – Nathan salutò nuovamente Hanja e Jacob e si affrettò a raggiungere la porta tirando Andrea per un braccio.
- La ringrazio tanto signora, a presto! – entrambi i ragazzi salirono sull’auto nera scintillante che li aspettava di fuori e appena chiusero gli sportelli, la Mercedes partì scattante verso una stradina poco illuminata. Tutto tacque per qualche minuto, Nathan osservava Andrea che guardava fuori dal finestrino con aria assorta, si chiese cosa sarebbe stato meglio fare, in fondo era ancora terribilmente arrabbiato con la ragazza che li sedeva di fianco, ma sapeva bene che non parlarle sarebbe stato come perdere una partita di pallone e gli “ariani” detestano perdere.
-Tuo padre dov’era? – Andrea li lanciò un’occhiataccia rispondendo sottovoce.
- Non sarebbe meglio parlare in un altro posto? –
- Tranquilla, quell’idiota che sta guidando l’auto non capisce un “H” di tedesco, è un rosso, un sporco e lurido comunista. Parla solo russo. – la ragazza sospirò con aria arresa e si stropicciò gli occhi stanchi.
- Sei gentile come al solito a quanto vedo…mio padre è in America, ad Hoboken nel New Jersey. Sta cercando lavoro, così tra qualche mese ci traferiremo tutti da lui. Ma a te che importa? – Nathan si voltò con sguardo incredulo, con la rabbia che li cresceva sempre più in corpo e un nodo alla gola che li premeva sul pomo d’Adamo. Si zittì e si raccolse il viso tra le mani, sentendo la gola secca e la voce soffocata dall’angoscia, li faceva mele il petto e fece di tutto per trattenere le lacrime, ma anche per un pugile che incassa milioni di pugni, anche per lui, i dolori del cuore sono difficili da sopportare.
- Ehi…cos’hai? - il ragazzo alzò lo sguardo mostrando gli occhi tempestati di rosso che risaltavano il ghiaccio che colorava l’iride, gli zigomi arrossati e le lacrime che li attraversavano le guance intersecandosi, formando una ragnatela trasparente.
- A me importa. – Andrea ebbe un tuffo al cuore, rivide finalmente in lui il ragazzo sensibile perso tempo prima, quello che la faceva sentire speciale, quello che la faceva sentire importante. Le si strinse il cuore pensando che non aveva mai visto Nathan piangere, tanto che le lacrime vennero anche a lei. Un abbraccio inaspettato colse di sorpresa il ragazzo, che accolse tra le sue braccia il corpo tremante di Andrea e lo strinse forte fino a sentire il cuore della ragazza battere all’impazzata, fino a sentire il dolce profumo di vaniglia che emanava da sempre e che lo rassicurava come la carezza di una mamma.
- Ti prometto che…tenterò…di rimanere…anche se per ora non riesco a perdonarti. - la ragazza tentò di distaccarsi dall’abbraccio di Nathan, ma lui fece forza con le braccia, tenendola stretta.
- Ancora un po’…solo un altro po’…non ti chiedo altro…te lo chiedo per favore. - la ragazza sospirò asciugandosi le lacrime e lui sorrise, sentendosi il petto più leggero.
- Non hai capito niente, come al solito. Sei proprio ottuso. -

 

   
 
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