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Autore: Madison Alyssa Johnson    25/11/2016    3 recensioni
Questa è la mia versione dell'episodio nove.
Yuri torna a casa per prendersi cura di Victor ed è tutto un fluff, nient'altro che fluff puro e semplice, di quelli che ti cariano i denti.
Dovevo farlo, per i miei bimbi e per Makkachin.
Genere: Fluff, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti, Victor Nikiforov, Yakov Feltsman, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Era il momento. Toccava a lui.
Prese un respiro profondo. Quella era la sua prima esibizione del Gran Prix senza Victor, eppure aveva meno paura di quanto avrebbe creduto. Il pensiero del suo coach in Giappone, al capezzale di Makkachin, in qualche modo gli dava forza. Avrebbe pattinato per se stesso, ma anche per lui, per non deluderlo. Poteva arrivare in finale e renderlo orgoglioso anche se non era a bordo pista per abbracciarlo.
Al suo posto c’era Yakov, corrucciato. Aveva accettato di fargli da coach per quel giorno, ma non nascondeva quanto lo trovasse inappropriato. Era stato molto chiaro su quel punto, prima di spingere Victor fuori dallo stadio quasi a pedate.
Sorrise. « Grazie per questa opportunità. » disse, inchinandosi davanti al russo, che borbottò una protesta. In fondo, si disse, quella durezza non era altro che il suo modo di esprimere affetto verso i suoi atleti. E in quel momento toccava a lui dimostrare qualcosa, alla Russia, a Victor e a se stesso. Assunse la posizione, chiuse gli occhi e si convinse che il suo coach lo stesse guardando, magari attraverso lo schermo del suo smartphone. Fu il suo ultimo pensiero cosciente. La musica lo avvolse e tutto il resto sparì. Rimasero il ghiaccio, le note e il suo corpo, che volteggiava sicuro tra le dita del fato, con la certezza che tutto sarebbe andato bene. Era quello che voleva trasmettere a Victor: tutto sarebbe andato bene; sarebbe atterrato senza cadere alla fine di ogni salto e Makkachin sarebbe guarito. Abbi fede. Devi solo crederci, nient’altro. gli disse con il corpo e con il sorriso finale che rivolse alla telecamera. Poteva quasi vedere il coach sorridergli di rimando, dall’altro lato di essa.
La distanza fisica, in fondo, era solo un dettaglio.
Abbassò le braccia con cautela e prese un respiro profondo, mentre usciva dalla pista. L’adrenalina lo faceva tremare e non poterla sfogare come al solito minacciò di spezzare i suoi nervi delicati, ma la presenza solida di Yakov davanti a lui lo riscosse.
« Sei andato bene. » commentò il russo, in un inglese che tradiva il forte accento della sua lingua madre. « Vieni. »
Yuri obbedì, instabile in quel mare di emozioni che lo separava dal kiss and cry. Riuscì a sedersi prima che gli cedessero le gambe e dovette controllare due volte il punteggio prima di riuscire a crederci. Gli fischiavano le orecchie. Era davvero suo, quel risultato?
“Sì,” rispose la voce di Victor nella sua mente, sensuale come solo lui sapeva essere “è tuo. Te lo sei meritato.”
Rabbrividì, incapace di decifrare il discorso di Yakov, al suo fianco. Avrebbe dovuto ringraziarlo qualche altro migliaio di volte, per come lo stava salvando da una figura indecente in mondovisione. In quel momento era del tutto incapace di rispondere alle domande dei giornalisti. Riusciva solo a pensare a Victor, che magari non aveva proprio toccato lo smartphone e si stava consumando nell’atrio della clinica, che non avrebbe mai detto quelle parole, eppure era comunque lì con lui, a dargli forza. Si riscosse a forza, solo quando Yakov lo prese per il gomito e lo trascinò via.
« Bevi qualcosa, infila la testa sotto l’acqua gelata, o quello che ti pare. Riprenditi, una buona volta. » gli ordinò, aspro. « Non ti salverò di nuovo. »
Il pattinatore batté le palpebre e prese fiato. « I-Io... s-sì. » farfugliò, rosso in viso. Aveva tutto il tempo dell’esibizione di JJ per fare pace con la propria anima impazzita, prima che annunciassero la classifica definitiva. Sarebbe stato sul podio, di questo era sicuro, perciò doveva tornare lucido abbastanza da tenere testa ai giornalisti. Prima si fosse sbrigato, prima sarebbe stato libero di prendere il prossimo aereo per il Giappone e correre ad abbracciare il suo coach – e, sperava, anche Makkachin. Gli si spezzava il cuore, al pensiero che il barboncino potesse morire, ma doveva essere forte e credere nelle sue stesse parole. Lui non era caduto, perciò il cane sarebbe guarito. Si lavò il viso con acqua fredda, schiaffeggiò le guance e chiamò a raccolta tutto il proprio coraggio per tornare alla pista.
Stavano giusto per annunciare i vincitori.
Il coach russo lo incenerì con lo sguardo, forse perché ci aveva messo troppo, e gli fece cenno di avvicinarsi.
Obbedì, con il cuore che batteva più che mai. Fu certo di sentirlo esplodere, quando lo chiamarono sul podio insieme a Yurio e JJ. Saperlo e sentirlo erano due cose diverse e averlo già provato non cambiava niente. Provò una lieve fitta per l’assenza di Victor ma la tenne a bada. Avrebbero festeggiato lo stesso insieme, più tardi.
Yurio gli rivolse un’occhiata di fuoco, ma non riuscì a sfuggire al suo abbraccio, una volta fuori dalla pista – glielo doveva anche da parte di Victor.
« Sono davvero felice di sfidarti in finale. » esclamò, con lo stesso entusiasmo che ci avrebbe messo il suo idolo. Stava morendo dall’ansia, ma doveva essere forte ancora per un po’.
« Ti farò a pezzi, porcellino. » ribatté il più giovane. « E ora levati dai piedi. »
Yuri non nascose un sorriso. Lo abbracciò di nuovo, ringraziò Yakov e corse agli spogliatoi con il cuore che ormai faticava a restare nella cassa toracica.

 

Aveva preso il primo volo della mattina. Con le borse sotto gli occhi, gonfi di stanchezza, sembrava un panda, ma era riuscito a mettere insieme abbastanza lucidità da comprare il biglietto, fare il check-in e imbarcarsi senza inciampare nei propri piedi e nella valigia.
L’aereo non aveva fatto neanche un secondo di ritardo, il viaggio era stato tranquillo e lo sbarco era filato liscio, eppure gli sembrava di aver impiegato fin troppo a raggiungere il Giappone. Dall’aeroporto internazionale a casa, il viaggio era stato a dir poco snervante. Ogni secondo era lungo con un anno, con il cuore che minacciava di uscire dal petto e precederlo sulla strada per le terme. Ma alla fine era arrivato.
L’insegna consunta di Yu-topia era davanti a lui.
Deglutì, strinse forte la maniglia della valigia ed entrò.
Victor non c’era.
« È in camera sua con Makkachin. » lo informò Mari. « Starà ancora dormendo. »
« Poverino, doveva essere esausto. » commentò sua madre, che lo aveva preso a cuore come fosse di famiglia.
Yuri prese fiato. Se avevano potuto portarlo a casa, voleva dire che stava bene, no? Oppure che non c’è più niente da fare. Scosse il capo. Doveva pensare positivo. Non aveva altro da fare che aspettare, per cui trascinò la valigia in camera sua e indossò una tuta pulita. Aveva dormito per tutto il viaggio, stremato dalla gara e dalle poche ore di sonno della sera prima, eppure non si sentiva affatto riposato. Si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi, ma il sonno non era abbastanza per vincere l’ansia. Tutto lo stress che aveva represso prima e durante la gara era esploso in una volta e in quel momento lo divorava a morsi. Voleva vedere Victor ed essere sicuro che stesse bene. Era il suo unico pensiero. Si alzò in punta di piedi, per non fare rumore, ma si trovò faccia a faccia con il suo coach nel mezzo del corridoio.
Aveva l’aria distrutta, eppure gli sorrise appena lo vide e per un attimo – almeno un attimo – parve il solito Victor.
Yuri lo abbracciò di slancio. Arrossì, nel rendersene conto, ma non lasciò la presa. « Come sta Makkachin? » sussurrò contro la sua spalla, immerso nel profumo familiare di quel corpo caldo.
Il russo sorrise e ricambiò la stretta. « Se la caverà. » assicurò, stanco, ma sereno.
Il giovane pattinatore esitò, ma si costrinse a lasciarlo andare per guardarlo in viso. « E tu... come stai? »
Victor ci pensò solo un secondo, il tempo di incrociare gli occhi castani dell’altro. « Meglio, adesso. » rispose. Lo strinse di nuovo a sé e rimase così per qualche secondo, quasi dovesse assicurarsi che quel contatto fosse reale.
Yuri non lo interruppe.
« Ho visto la diretta. » sussurrò il suo coach.
Il cuore del pattinatore saltò un battito e riprese a correre come il giorno prima.
« Non sono mai stato più fiero di te. » sussurrò Victor. « Sei stato... splendido. »
Yuri arrossì e nascose il viso nell’incavo del suo collo. « Per te. » sussurrò, così piano che, forse, nel profondo sperava di non essere sentito.
Victor gli sollevò il viso. « Lo so. » sussurrò. « L’ho sentito. »
Il più giovane rabbrividì e non riuscì a trattenersi oltre. Si sollevò punte quel tanto che serviva e lo baciò. Il mondo sparì all’istante dalle sue percezioni, come alla Coppa di Cina. Rimase solo Victor, caldo e solido contro il suo corpo, che lo abbracciava come se il tempo avesse smesso di esistere.
Fu un bacio più lento del primo, profondo in modi che nessuno dei due avrebbe saputo esprimere a parole. C’era il sollievo di ritrovarsi, l’aggrapparsi l’uno all’altro come se uno dei due dovesse sparire da un momento all’altro, ma c’era soprattutto il calore prorompente di quel sentimento che li legava, così intenso da fare quasi male.
« Ti amo. » sussurrarono, quasi nello stesso istante. Sorrisero. E si baciarono di nuovo, incuranti di essere nel corridoio – non proprio il luogo più discreto della casa.
Yuri se ne ricordò per primo. « V-Victor... » mormorò, di nuovo paonazzo. « S-Siamo... siamo... » farfugliò, senza però staccarsi da lui.
Il russo gli accarezzò la schiena e ridacchiò, prima di trascinarlo di nuovo in camera dell’altro. « Meglio lasciare Makkachin dormire. » spiegò, con un ghigno, e tornò a catturare le sue labbra in un bacio avido.
Il ragazzo si lasciò spingere sul letto e non fece obiezioni quando le mani pallide del suo amante gli sollevarono felpa e maglietta, ma il primo gemito gli fece cambiare idea. « I-I m-miei genitori s-sono in casa... » mugolò. « N-Non dovremmo... »
Victor incrociò il suo sguardo. Aveva gli occhi lucidi, nascosti in parte dalle palpebre, e le labbra umide dischiuse in un sorriso appena accennato. Era sempre bellissimo, ma in quel momento era sensuale. « Hai ragione. » sussurrò, roco. « Non dovremmo. »
Qualcosa ruggì una protesta nel petto di Yuri. Non potevano smettere, non mentre ogni fibra del suo corpo andava a fuoco e bramava Victor in quel modo. Non aveva idea di dove venisse quella belva affamata e feroce, ma aveva ragione. Baciò di nuovo il suo coach e lo imprigionò tra le proprie cosce per impedirgli di alzarsi. « Dovremmo solo... essere silenziosi. » ansimò. Ammesso che sia possibile.
Victor ghignò. « Silenziosi. » ripeté. « Ma certo. »
Potevano provare, se non altro. Riuscirci non era incluso nel prezzo, però. 

 

Okay, se siete qui vuol dire che avete visto l'episodio e posso sclerare, giusto? Lo darò per scontato, quindi questa è la vostra ultima occasione di tornare indietro. ù_ù
Anzi, prima le comunicazioni di servizio.
Prima di tutto, per le grafie dei nomi mi sono basata sul tabellone nel primo episodio (qui:  click!), che ho controllato sia nel sub ita che nel sub eng, per essere sicura che non siano stati i subbers a metterci le mani. Fino a prova contraria, lo considero "ufficiale". Per Makkachin, invece, mi sono adattata alla grafia scelta dal fandom, perché non c'è stato modo di scoprire come diamine si chiami (e se sia un lui o una lei), per cui prendetelo un po' così. 
Non ho indicato la posizione di Yuri sul podio per non portare "sfiga". Che volete farci, la superstizione mi prende anche nel fangirling. E poi non è la medaglia il punto. Dovevo fangirlare e stop. 
Passando al fangirling, spero non si senta troppo. Questi personaggi sono ancora nuovi per me e immaginarli non è facile come immaginare - per dire - quelli di Harry Potter, che invece conosco come le mie tasche (avrei potuto scrivere gratis una fanfiction migliore di The Cured Child, dannazione), perciò è probabile che non li abbia rappresentati del tutto IC, nel qual caso chiedo perdono. 
E niente. Questo è tutto. 
Spero che Makkachin stia bene, sennò vado in Giappone a dire due paroline allo staff. 
E ora scappo a nascondermi per la vergogna.

 

 
   
 
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