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Autore: ale93    25/11/2016    5 recensioni
[Eyewitness]
Al di là del finestrino, gli occhi chiari di Lukas sono l'unica cosa che riesce a guardare. Li vede spalancarsi, quando Helen prende dalle sue mani la pistola avvolta nel fazzoletto di stoffa.
Philip intuisce l'esatto momento in cui il mondo Lukas comincia a sgretolarsi.
[SPOILER 1x06]
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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feels like treading water

 

 

 

Cause there’s still a field of green underneath the falling snow.
When our hands grow so cold and hard to hold,

we can hide under sheets, under heavy covers,

so deep as the night draws in.
And we’ll be slow honey lovers ’til the clocks go forward again
Again, again and again.


- Clocks go forward, James Bay

 

 

 

«Philip, you ever felt that pain before?»

Al di là del finestrino, gli occhi chiari di Lukas sono l'unica cosa che riesce a guardare. Li vede spalancarsi, quando Helen prende dalle sue mani la pistola avvolta nel fazzoletto di stoffa.

Philip intuisce l'esatto momento in cui il mondo Lukas comincia a sgretolarsi.

Lo sa, nonostante non possa sentire cosa gli stia dicendo Helen mentre lo accompagna verso l'interno della casa, scambiando uno sguardo d'intesa con Gabe. Lo sa, perché quando Lukas ha mostrato la pistola ad Helen ha distrutto la campana di vetro in cui si ostinava a nascondersi. Quella pistola era l'ultimo muro rimasto tra Lukas e la realtà dei fatti, tra la persona che tutti pensano lui sia e il vero Lukas.

E, adesso, lo ha buttato giù.

Lukas solleva gli occhi su di lui un'ultima volta, prima di seguire Helen e lasciarsi fare il terzo grado. Philip continua a mantenere lo sguardo nel suo, anche quando Gabe gli si avvicina per chiedergli cosa voglia fare ora, se abbia bisogno di schiarirsi le idee.

Con la mano di Helen che gli stringe una spalla, Lukas mima con le labbra “mi dispiace.”

Philip resta appoggiato alla fiancata della jeep, senza avere idea di cosa fare o cosa dire. Gabe ha il viso rivolto verso l'alto, gli occhiali da sole calati sul naso.

“Ti ha preso in contropiede,” dice.

Philip deglutisce e si guarda la punta rotta delle scarpe. “Non pensavo che avrebbe detto la verità, alla fine.”

“Pare che qualcosa lo abbia spinto a fare la cosa giusta.”

Philip deglutisce. Dice “già...” anche se non ha la minima idea di cosa possa davvero averlo spinto a farlo. Lancia un'occhiata verso il capanno in cui Helen e Lukas stanno discutendo. Gabe segue il suo sguardo.

Deglutisce, allontanando gli occhi da quella casa e voltando le spalle a Gabe, voltando le spalle a tutto.

Restano a lungo in silenzio, l'unico rumore è il fischio del vento tra le cime degli alberi. Il cielo si oscura e Gabe leva gli occhiali e si schiarisce la voce. “Avremmo dovuto avere più fiducia in te, Philip.”

Non sa cosa rispondere. Qualcosa nella sua testa si agita e urla che è esattamente così, che ha bisogno che qualcuno cominci a dargli ascolto davvero, ha bisogno che almeno una delle persone a cui tiene lo tenga in considerazione.

Poi guarda Gabe.

Non se lo merita, e lo sa. Perché l'ha visto dubitare delle parole di Lukas e fidarsi di lui. Philip lo ha visto provare a capirlo. A capirlo davvero. Ma immagina non fosse abbastanza. C'è qualcosa in Philip che tiene a distanza di sicurezza chiunque tenti di avvicinarsi troppo, c'è una parte della sua testa a cui nessuno riesce ad avere accesso. O così credeva.

Gabe accenna un sorriso storto e desolato e stringe le mani sulle spalle di Philip.

Non dice nient'altro.

*

Sta seduto nell'erba alta da un'ora, nel posto in cui ha visto Lukas allenarsi, per la prima volta. Si è arrampicato sul punto più alto della collina, riempiendosi le scarpe di fango.

E il telefono squilla, squilla, squilla nella sua tasca, per tutto il tempo: gli assistenti sociali vogliono sapere perché abbia saltato l'appuntamento.

Ovunque, li aveva pregati, ovunque, ma non qui.

Sa esattamente cosa penseranno. Lo hanno etichettato sin dall'inizio come il ragazzino difficile, quello dei falsi allarmi, quello incasinato. Non è una sorpresa. E non gli importerebbe neanche, se tutto questo non mettesse a rischio la possibilità di tornare a stare con sua madre, prima o poi.

Afferra il cellulare, deciso a richiamarli, ma guarda lo schermo e se ne dimentica.
 

Da Lukas: Dove sei?

Da Lukas: Philip... mi dispiace. Per favore, dove sei?

Da Lukas: Lascia che ti chieda scusa
 

È patetico come il suo battito gli rimbombi nei timpani e come la prima cosa che digiti sui tasti sia “è tutto okay”, perché no, non è tutto okay. Anche se è quello che continua a ripetere ogni volta che qualcosa lo ferisce, ogni volta che qualcuno gli fa del male, niente è okay.

Ma con Lukas è come con sua madre. È una spirale e Philip non riesce a risalire controcorrente.

Vuole essere forte per loro, addossarsi tutte le delusioni e i lividi e le pugnalate al petto, anche se questo vuol dire distruggersi. Perché, forse, questo vuol dire anche tenerli vicini un po' più a lungo.

Stringe il cellulare tra le mani, prima di lasciarlo cadere sull'erba tra le sue gambe.

“PHILIP!”

Tira su col naso, pulendosi il viso con l'angolo della felpa. Lukas è lì, a qualche metro di distanza. Abbandona la motocicletta vicino ad un albero, lasciando che cada per terra. Lancia via il casco. “Philip...” ripete, mentre corre verso di lui.

S'inginocchia sull'erba davanti a lui. “E- ehi,” balbetta.

“Che stai facendo, Lukas?”

“Gabe mi ha detto che eri qui...”

“Okay. Intendo dire perchè hai dato la pistola ad Helen.”

“Perché se no ti avrebbero portato via.”

Philip sente il respiro farsi corto in gola. Afferra l'erba così forte da strapparla dal terreno.

Non è come se potesse spegnere quello che prova per Lukas con l'interruttore. Non è come se potesse semplicemente smettere di volerlo rassicurare.

E dovrebbe. Diamine, dovrebbe.

“Perché t'importa, adesso?”

Dovrebbe alzarsi e andarsene. Solo alzarsi e camminare fino a quando sarà abbastanza lontano da non avere più una briciola di terra di quel posto sotto le scarpe. E andare in città e levarsi dalle spalle quel peso che lo schiaccia e lo fa sentire piccolo. Che lo fa sentire inutile. E sbagliato.

Dovrebbe uscire dal vortice in cui Lukas lo ha trascinato.

Dovrebbe.

“Mi importa sempre!” Lukas allunga una mano verso la sua. Ha il fiato corto. Con il pollice sfiora il palmo di Philip. E segue con lo sguardo il suo stesso movimento, accigliandosi. “Philip... io-”

La sua voce si spezza nell'esatto istante in cui lascia crollare la testa in avanti. Afferra il polso di Philip e se lo tira sul petto. Lo stringe in quello che dovrebbe sembrare un abbraccio.

Gli tocca le braccia, la schiena, il bordo della maglia. Ma Philip non riesce a muoversi. Non può.

Dovrebbe alzarsi e andarsene, ma con Lukas è come affogare.

Il respiro di Lukas è veloce e irregolare contro il suo orecchio. Lo sente mormorare un milione di cose tutte insieme. “Philip - mi dispiace, io - scusa... Philip, odiami, ti prego”.

Si allontana quanto basta per guardarlo. Lukas stringe più forte la presa sulla sua felpa e alza la voce. “Odiami, Philip. Allontanami. È più facile, se mi odi.”

Philip si divincola. “Dovrei,” dice, la voce pericolosamente rotta.

C'è qualcosa in Lukas che sa di disperazione e rassegnazione e non gli ha mai visto dipinta sul viso un'espressione così fragile. Vorrebbe riuscire a cancellarla. “Fallo”, sussurra Lukas a testa bassa, i capelli biondi che gli coprono gli occhi. Resta seduto sui talloni, le sue spalle formano una linea rigida mentre guarda oltre la collina.

Philip gli dà uno spintone che lo fa cadere all'indietro. Scuote la testa. “E perché hai detto la verità se vuoi così tanto che ti odi, Lukas?”

Non riceve risposta, non riesce a riportare lo sguardo di Lukas al di qua della collina. Irrigidisce la mascella e spinge il viso tra le mani. Odorano di erba umida e di terra. E di Lukas, sempre di Lukas.

Restano a lungo in silenzio, ai piedi di un tronco d'albero. Non si guardano neanche per sbaglio, ma le loro mani si sfiorano. Sempre pericolosamente vicine ad intrecciarsi, ma mai abbastanza.

“Cosa... cosa hai detto ad Helen?”

Sente Lukas prendere fiato lentamente. “Ero nel capanno, io e te eravamo ubriachi e volevamo smaltire prima di rientrare a casa.”

Philip sente il suo petto restringersi attorno ai polmoni. Lukas continua, guardandolo. “Sono entrati quattro tipi. Uno ha preso la pistola e ha sparato agli altri. L'ho colto alla sprovvista con un colpo in testa e gli ho rubato la pistola.” La sua voce arriva ovattata, quando nasconde la bocca dietro la manica della giacca. “Siamo scappati. Ho sparato due colpi perché avevo paura potesse seguirmi, ma sono andati a vuoto. Poi ho buttato la pistola nel laghetto per liberarmene e ti ho costretto a non dirlo a nessuno. Vogliono che vada in ufficio per una specie di identikit- ...merda.”

Lo squillo del cellulare di Lukas rimbomba nel silenzio del boschetto, facendoli trasalire entrambi. “Merda!”, ripete Lukas. “E' mio padre. Mi ammazza, sta volta.”

Philip guarda verso la motocicletta di Lukas. “Allora vai”, bisbiglia, lasciandosi cadere all'indietro contro l'albero. Ancora incapace di capire tutto quello che è appena successo.

Lukas si gira a guardarlo negli occhi. Stringe i denti. “No.”

Philip sente un sorriso amaro formarsi sulla sua faccia. Ricambia lo sguardo abbastanza a lungo da sentire la propria voce venire fuori roca e debole. “Senti, Lukas... apprezzo che tu stia provando a fare la cosa giusta, ora -”

Lukas prende di nuovo la sua mano. Ed è stupido che lo stomaco di Philip si rivolti in quel modo, perché ha avuto Lukas mezzo nudo sopra di lui, e ha avuto le mani sulla zip dei suoi jeans, e la sua lingua in bocca e il fatto che Lukas gli stia toccando il palmo della mano dovrebbe essere una cosa da niente al confronto.

Dovrebbe solo alzarsi e andarsene.

Ma con Lukas tutto è il contrario di tutto.

Philip segue con lo sguardo il movimento del suo pomo d'Adamo mentre deglutisce. Anche questo è stupido.

“Mi ha spaventato l'idea di non vederti più.” Lukas si bagna le labbra, poi ricomincia lentamente a parlare. “Questa è la quarta cosa su di me.”

“Cosa?” mormora Philip, corrugando la fronte.

La mano di Lukas risale verso il suo collo. Non lo tira verso di sé e neanche lo allontana. “Quando siamo andati in città,” esala, “hai detto che non parlo mai. Ora sto parlando.”

Si sporge in avanti, prendendo nel pugno la maglia di Lukas. L'ultima cosa che il suo cervello registra è che Lukas lo guarda come se volesse marchiargli a fuoco addosso le sue scuse. Poi Lukas lo sta baciando come se gli mancasse l'aria. Gli prende il viso tra le mani e disegna il contorno della bocca di Philip con la sua, asciugando poi con il pollice le tracce di saliva dal suo mento.

Quello che Philip dovrebbe fare è accettare freddamente le scuse di Lukas ed essere sollevato perché tutta quella storia può finalmente risolversi e lasciarli vivere in pace. Dovrebbe prendersi del tempo e ragionare e capire. Dovrebbe metabolizzare tutto quello che gli è successo negli ultimi giorni, tutto quello che gli è successo da quando è arrivato a Tivoli.

Dovrebbe alzarsi e andarsene.

Quello che fa, invece, è aggrapparsi alla giacca di Lukas. Tutto quello che riesce a fare è baciarlo piano, premendo le labbra sulle sue. Come un bambino.

Ma il telefono di Lukas squilla ancora una volta, riportandolo velocemente alla realtà. Di nuovo sulla collina, con i segni delle ruote della motocicletta abbandonata qualche metro più in là nel fango, e Tivoli alle loro spalle.

“Sta continuando a squillare, Lukas.”

Lukas si acciglia, come se non avesse capito le sue parole. Ci mette qualche momento a rispondergli. “Mi sono giocato lo sponsor. Mio padre mi chiama per dirmi che sono un coglione.”

Philip lo allontana quel tanto che basta per schiarirsi la testa. “Aspetta- come? Di che stai parlando?”

“Un talent scout era a casa mia per parlarmi della possibilità di avere uno sponsor per le prossime gare e di come avere un'immagine pubblica.” Lukas si scosta nervosamente i capelli dalla fronte guardando da un'altra parte. “E mio padre ha iniziato a parlare di come la mia unica cattiva influenza stava per essere impacchettata e rispedita ai servizi sociali. E io ho-”

“...mandato tutto a quel paese? Lukas, hai veramente-?”

Lukas si gira di nuovo verso di lui. Sorride, come se avesse vinto una specie di strana gara con se stesso. “Già.”

Philip annuisce lentamente. Poi gli spintona via la gamba col ginocchio. “Mio eroe.”

Il sorriso di Lukas si allarga e diventa una mezza risata. “Finiscila,” dice e le sue orecchie arrossiscono.

Philip non riesce ad impedirsi di sorridere guardando il terreno. “Non credevo l'avresti fatto,” ammette a bassa voce. “E mi dispiace per lo sponsor.”

“Perché? Ho combinato un casino e poi ho cercato di sistemare le mie stronzate. Almeno in parte. Sono uno stupido.” Lo dice come se fosse una pura verità. Come se pensare quelle cose di se stesso fosse una cosa da niente.

Le mani di Philip formicolano. Così, afferra di nuovo la giacca di Lukas. “...non sempre.”

Lukas lo guarda negli occhi. Poi nasconde la testa fra la sua spalla e il suo collo. Dice qualcosa, qualcosa che Philip non capisce, con la bocca premuta sulla sua felpa.

“Non ti sento da quassù.”

Il respiro di Lukas si spezza. Scosta appena la bocca dalla stoffa. “Non... non te ne andare”, ripete piano. Se non fossero così vicini, Philip non riuscirebbe a capirlo. “Non farlo.”

Le mani di Philip s'irrigidiscono. “Lukas...”

Lui lo interrompe ancora una volta, stringendolo più forte e giocando con i capelli sulla sua nuca. Lo tiene fermo, come se potesse sparire da un momento all'altro in una nuvola di fumo. “Non farlo, Philip. Ora sto parlando”, ripete. “Ci sto provando.” Sembra una specie di promessa.

E Philip dovrebbe alzarsi e andarsene.

Ma non può.

*

Lukas lo riporta a casa che il sole sta calando.

La prima cosa che Philip nota è la figura di Helen seduta sui gradini d'ingresso. Ha i capelli tirati in una coda e il viso arrossato. Si stringe le ginocchia al petto.

Prima di raggiungerla, si gira ancora una volta verso Lukas. Dice grazie anche se non sa a cosa si stia riferendo esattamente: se lo stia ringraziando per aver portato la pistola ad Helen, per aver ammesso di essere con lui quella notte, per averlo riportato a casa.

Lukas fa per riprendere il casco dalle mani di Philip e gli accarezza le dita. Philip accenna un sorriso, mentre il motore della motocicletta torna a rombargli nei timpani. La guarda sparire dietro una fila d'alberi.

“Ti ha riportato lui qui, ieri sera” dice Helen alle sue spalle, guardando lontano.

“Si sentiva in colpa,” conclude lui, sospirando. Lukas si sente in colpa per ogni cosa.

“Mi ha detto che ti ha trattato come non ti meriti. Penso di aver fatto la stessa cosa.”

“Helen, non c'è bisogno -”

No. No, Philip. Ti devo le mie scuse.”

Philip striscia per un po' i piedi per terra, prima di sedersi accanto a lei. Helen non riesce a guardarlo negli occhi.

“Quando frequentavo l'accademia, ci chiedevano di ricitare, ogni santo giorno, come un mantra: io non sono il mio ruolo. Voleva dire... voleva dire che il lavoro non deve prendere il sopravvento sulla persona. È la prima regola per non farti distruggere da quello che vedi.” Le spalle di Helen s'irrigidiscono. “Non ne sono mai stata capace.”

Il vento si alza all'improvviso facendo rabbrividire Helen contro la sua spalla. Philip sospira e le posa una mano sulla schiena. “Non credo sia facile.”

“Volevo arrivare a tutti i costi a fondo di questa storia e non ho- Avrei dovuto sforzarmi di capirti.”

Philip annuisce, guardando il profilo di Helen. Il modo in cui le sue palpebre sono rosse e gonfie per tutte le ore passate a rigirarsi nel letto in cerca di una soluzione, probabilmente. O per la discussione a voce bassa che ha avuto con Gabe, la sera precedente. Quella che Philip non ha potuto impedirsi di avvertire, più che ascoltare; come se ci fosse elettricità nell'aria e tutto in lui ne avesse risentito. E' abituato a quel tipo di sensazione, a quel malessere latente che non può definire, ma che avverte all'istante. Nella casa in città accadeva spesso, per quanto sua madre cercasse di farlo sentire meglio. “Non credo sia facile neanche questo.”

Helen si gira verso di lui, le labbra strette in una linea sottile e gli occhi incerti. “Credi che potremmo imparare?”

La porta dietro di loro si apre con un cigolio. Gabe è sul ciglio; si ferma per guardarli e accenna un sorriso. Philip guarda da lui ad Helen.

“Forse potremmo cominciare con un cena. Niente colazione, niente pranzo... direi che ora lo stomaco chiama”, dice Gabe, sorridendo. Il clima si alleggerisce almeno un po'.

Helen lo guarda con una domanda negli occhi. E lui annuisce.

*

Da Lukas: Ehi, tieniti libero domani pomeriggio.

Da Lukas: Ci vediamo al tunnel. Ti porto in un posto.

Da Lukas: Se ti va...

 

Philip preme la fronte sul cuscino. Respira contro la stoffa.

*

Si sveglia al cigolio del pavimento proprio fuori dalla sua camera. Qualche passo veloce e poi la porta che si chiude. Si guarda intorno confuso. Dev'essere Gabe che va al lago.

Philip si rigira tra le lenzuola e crolla di nuovo steso, prima che il suo telefono vibri sul comodino.
 

Da Lukas: Mio padre vuole portarmi a caccia per parlarmi. Ma continua a tenerti libero per oggi pomeriggio. Ci sarai?

 

Philip si batte il telefono sulla fronte.

 

A Lukas: Sarò lì.

 

Dormire a quel punto è del tutto impossibile. Per quanto stupido sembri, è agitato e nervoso e non ha idea di cosa debba fare ora: se chiamare gli assistenti sociali e annullare tutto o cosa. Non sa cosa sia meglio per lui. Non sa cosa sia meglio in generale. Sa però cos'è tentato di fare.

Scende al piano di sotto per pensarci avendo almeno due tazze di caffè nello stomaco.

E Gabe è sul ciglio della porta, a tentare di sfilarsi gli stivali bagnati. “'Giorno, Philip” dice, in difficoltà.

“Ehi. Dimenticato qualcosa?”

Gabe sembra confuso. “Cosa? No, sono appena tornato.”

“Andiamo... Ti ho sentito uscire poco fa, non puoi già aver finito un giro in barca. Non sei così in forma,” prova a scherzare.

Gabe lo colpisce con un leggero pugno alla spalla, ridendo. Sta cercando con tutte le sue forze di farlo sentire a suo agio. Di riportare tutto a com'era prima. “Non direi 'poco fa', sono uscito alle sei del mattino.”

“Allora ho sentito Helen.” Scrolla le spalle.

Gabe fa silenzio abbastanza a lungo da spingerlo a girarsi verso di lui.

“Philip, Helen è in ufficio da un po'. Di che stai parlando?”

Le mani di Philip si gelano. Una sensazione spiacevole gli attorciglia lo stomaco, costringendolo a lasciar andare la macchina del caffè e a dirigersi verso la sua camera.

“Philip...” Gabe cerca di trattenerlo per un braccio. Philip lo strattona via.

“Era in casa,” mormora, la gola ruvida come carta vetrata. “Qualcuno era in casa.”

Gabe si acciglia e gli afferra le spalle. “Philip, che cosa-”

Philip si divincola e corre al piano di sopra. Spalanca l'armadio e tira fuori quel poco che c'è dentro, sentendo il fiato accorciarsi sempre più in fretta. “Dove cazzo...” impreca sotto voce.

Gabe s'inginocchia accanto a lui. “Che stai cercando?”

“La mia giacca!” alza la voce. Poi mormora a se stesso. “L'ha vista. Lui aveva visto quella giacca nel capanno di Lukas e se era qui... e l'ha trovata...”

“E' nel capanno qui fuori, Philip. La giacca. L'ho messa via, mi sembrava non volessi vederla.”

Philip lo guarda senza riuscire a capire subito quello che ha detto. Sente il suo battito riempirgli i timpani.

“Nel capanno, Philip”, scandisce.

*

La giacca è lì, deve essere lì, nessuno l'ha vista. Sta immaginando tutto, non c'erano passi, non c'erano rumori. Stava sognando.

Una cassetta degli attrezzi gli cade dalle mani. Lancia via una vecchia scatola di giacche a vento e scarponi.

Ed è lì. È lì. È lì.

La apre e la guarda come se potesse trovare tracce di quello che è successo. Tracce di chi era in casa mentre Gabe era in barca ed Helen a lavoro.

Apre la tasca destra.

La foto che ha scattato a Lukas con la polaroid è ancora lì, piegata al centro.

Crolla in ginocchio, premendosela sulla bocca.

*

“Rispondi al telefono, Lukas, rispondi al telefono. Rispondi.”

 

A Lukas: Ho bisogno di parlarti.

A Lukas: Dimmi dove sei.

A Lukas: È urgente.

 

Il suo telefono resta in silenzio.

Philip prende la bicicletta, stringe la foto di Lukas nel pugno.

“PHILIP. Dove stai andando, che sta succedendo?”

Comincia a pedalare; prima di allontanarsi dice, “chiama Helen. Qualcuno è stato in casa nostra.”

“Philip, potrebbe essere stato chiunque...”

Stringe i pugni fino a sentire le mani formicolare. “Era lui. Era lui... era lui.”

Gabe lo insegue, fermandolo. “Dimmi dove stai andando, ti ci porto io.”

“A casa di Lukas.”

La faccia di Gabe diventa una maschera di tensione. “Entra in macchina, Philip.”

*

Lukas scende dalla macchina non appena Gabe rallenta davanti alla fattoria Waldenbeck. Corre verso la porta d'ingresso e bussa col pugno. “Lukas!”

Gabe scende dalla macchina e lo raggiunge. “Ho visto Bo con i fucili da caccia stamattina...”

“LUKAS.” Tira un ultimo pugno alla porta, poi si gira a fronteggiare Gabe. “Chiama Helen, per favore.”

Gabe lo guarda allarmato.
 

A Lukas: Ti prego, Lukas. Rispondi al telefono.

 

Gabe alle sue spalle riesce finalmente a parlare con sua moglie. Cerca di spiegarle al meglio quello che sta succedendo. Dopo qualche minuto gli porge il telefono. “Helen ha bisogno di parlare con te.”

Philip lo afferra. La sua mano sta tremando. Nell'altra, ha il suo cellulare, in attesa che squilli.

“Philip.”

“C'era qualcuno in casa. Ero sveglio, in camera mia, credevo... credevo- ma Helen, c'era qualcuno- “

Helen resta a lungo in silenzio, così a lungo che Philip può quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello che lavorano alla velocità della luce.

“Ok. Ascoltami. Dì a Gabe di portarti in città. Vi raggiungo lì.” Non chiede se sia sicuro di quello che ha visto.

“No! Lukas... se sa chi sono, sa anche chi è Lukas, non posso-”

“Trovo io Lukas. Te lo prometto. Mi assicurerò che siate entrambi al sicuro, Philip.”

Respira a fatica con il telefono premuto contro la bocca. “Helen... è lui...”

“Philip. Vai.”

*

Da Lukas: Non avevo il telefono con me. Helen è venuta a cercarmi nel bosco. Che sta succedendo?

 

Philip si accascia contro il cruscotto dell'auto in marcia. Ricomincia a respirare a fatica, con le nocche premute sulla bocca. Gabe posa una mano al centro della sua schiena.

*

Camminano per la città senza avere una meta. Lukas è nell'auto di Helen, e stanno per arrivare. Questo non significa che possa sentirsi sollevato.

Ma Lukas sta bene.

Helen e Gabe stanno bene.

Lui...

Lui ha bisogno di vomitare.

*

S'incontrano all'angolo di una pizzeria. Philip non può fare a meno di guardare Lukas per assicurarsi che sia tutto intero. Sotto il tavolo intorno a cui sono finiti, Lukas posa una mano aperta sul suo ginocchio. Philip l'afferra e si aggrappa al bicchiere d'acqua che ha davanti.

Helen sta parlando con chi l'aiuterà a ricostruire l'identikit dell'assassino.

“Non ci vorranno giorni?” chiede Lukas a Gabe, stringendo con più forza le dita intorno alla mano di Philip. In quel momento, Helen mette giù.

“Ore. Molte,” risponde. “Vi interrogheranno più di una volta, entrambi. E poi un programma di grafica creerà diverse alternative, voi dovrete indicare quella che corrisponde meglio alla realtà.”

Philip resta con la bocca incollata al bicchiere ormai vuoto. “Philip,” lo riscuote Helen. “Manca poco. Avevamo sbagliato pista, ma dopo la deposizione di Lukas e quella che farai tu, lo troveremo.”

“Se ha visto la mia... la mia...”

“No,” interviene Gabe. “Nessuno è entrato nel capanno degli attrezzi, Philip. C'erano tre centimetri almeno di fango e nessuna impronta. È stato solo in casa, non ha trovato quello che cercava e se n'è andato quando ha sentito la mia auto.”

Helen lo guarda colpita. Gabe allarga le braccia. “Siamo sposati, qualcosa dovevo impararla.”

"È quella giacca che stava seguendo," dice Helen come sovrappensiero. "Quando Tommy e Tracy sono morti, il ragazzo aveva la giacca di Philip. È quella che incastra il killer anche per quell'omicidio."

La testa di Philip si svuota così velocemente che ha bisogno di aggrapparsi al tavolo. Nessuno è entrato nel capanno. Lukas si volta a guardarlo, avvicina la sedia alla sua.

"Dovremmo davvero chiamare tuo padre, Lukas... dirgli che è tutto okay. Vorrà delle spiegazioni-" si riscuote Helen, riemergendo dai suoi pensieri, ma si interrompe. Il suo telefono squilla di nuovo e la sua espressione s'irrigidisce. Chiede scusa e prende la chiamata. “Agente Kane. ...sì, sto ancora indagando, e ne ho tutte le ragioni.”

Si alza dal tavolo ed esce dal locale per discutere. Gabe la segue con lo sguardo, poi si volta di nuovo verso loro due e li osserva, accigliandosi. “Immagino abbiate bisogno di prendere aria... e schiarirvi le idee, prima di andare in centrale.”

Lukas deglutisce e aspetta che sia Philip a rispondere. Lui apre la bocca, ma non ne esce fuori niente.

“Philip.”

Lukas lo tira su e lo spinge verso l'uscita del locale.

*

Fanno appena in tempo a svoltare l'angolo, poi Lukas lo ferma contro il muro e lo abbraccia. Philip preme così forte le mani sulla sua schiena, sotto la giacca, che potrebbe avergli lasciato il segno delle sue unghie.

Lukas non dice assolutamente niente a riguardo. Appoggia una mano sulla sua nuca e aspetta che il suo respiro si calmi.

“S-se, se avesse visto la giacca e la tua foto... Lukas... L-ukas, se...”

“Zitto, Philip, sssh. Zitto.” Un uomo e il suo cane passano accanto a loro. Lukas non si allontana da lui. “Sto bene. Stiamo bene. Zitto, Phil.”

Philip ha imparato a piangere in silenzio all'età di quattro anni. Oggi deve mordersi la bocca per impedirsi di fare rumore.

“Andrà tutto bene,” la voce di Lukas trema. “Staremo bene.”

Philip ha bisogno di crederci.

*

“Mi ha spaventato l'idea di perderti. Quarta cosa su di me, Lukas.”



 

I'm not loving you the way I wanted to.
What I had to do, had to run from you.


I'm in love with you, but the vibe is wrong
and that haunted me, all the way home.
So ya never know, never never know
never know enough, til it's over love,
til we lose control, system overload.


Screaming no no no, no no.
I'm not loving you the way I wanted to.
See I wanna move, but can't escape from you.
So I keep it low, keep a secret code
so everybody else don't have to know.


- Love lockdown, Kanye West

 

   
 
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