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Autore: hexleviosa    26/11/2016    5 recensioni
*** La narrazione prende parte dopo l'ultima scena della 4x15 ***
Felicity si è sfilata l'anello e se n'è andata sulle proprie gambe, lasciando Oliver da solo, combattuto tra la gioia di vederla di nuovo camminare e la disperazione per aver perso la donna che ama. Ma una telefonata di Diggle nel cuore della notte lo fa correre di nuovo da lei perché, dopo tutto, lui ci sarà sempre quando Felicity avrà bisogno di lui.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Always

 

 

Anteprima:

La scena narrata ha parte nell’immediato avvenire dopo l’episodio 15 della quarta stagione.


 


 

L’anello si trovava ancora nell’esatto punto in cui lei lo aveva posato. Non aveva ancora avuto il coraggio di muoverlo, di toccarlo, perché il solo gesto di riprenderselo avrebbe implicato una fine che non era ancora pronto ad accettare. Se n’era andata da solo un’ora, e in quell’ora non aveva dato alcun cenno di volersi alzare dalla sedia. Non aveva fatto altro che osservare l’anello, cercando di togliersi dalla mente quell’improvvisa triste immagine e di pensare invece a come luccicava con le luci di Natale quando gliel’aveva messo al dito la prima volta, o a come le aveva fatto brillare lo sguardo quando glielo aveva restituito in ospedale. Un cimelio di famiglia per fare di lei la sua famiglia con un’ufficialità che non aveva mai agognato con nessuna altra donna.

Il senso di perdita non era nuovo per lui. Oliver aveva perso molte persone, persone più o meno vicine a lui. Alcune perdite erano state dure, altre le aveva vissute con freddezza, e qualcuna gli aveva strappato il cuore dal petto.

Aveva superato ogni esperienza, con eccezione per il momento in cui l’aveva tenuta tra le braccia mentre sanguinava. Non aveva mai pensato che avrebbe potuto provare lo stesso – ma perdere Felicity era un dolore molto specifico impossibile da allontanare.

Ore dopo, rimise il laptop in carica, annaspava ancora per l’ultimatum che si era auto imposto quella stessa mattina pur non essendo pronto e per l’improvvisa consapevolezza di aver allontanato suo figlio – non era assolutamente pronto a perdere suo figlio e la donna che amava lo stesso giorno.

Si spostò sul divano dove si sdraiò, notò che il sole era tramontato solo perché la grande finestra del salotto era proprio davanti a lui. Non aveva senso andare a dormire. Non sarebbe stato in grado di sdraiarsi sullo stesso letto in cui il giorno prima l’aveva tenuta abbracciata e guardare la parte in cui avrebbe dovuto essere vuota. La stanza era impregnata di lei, e dato che non aveva portato nulla con sé, era certo che tutto fosse ancora in giro per tutta la stanza come quando l’aveva lasciata, e non era ancora in grado di sopportare quella vista.

Mentre constatava che i cuscini del divano non erano comodi quanto il letto, stava quasi per chiudere gli occhi quando la suoneria del suo cellulare lo ridestò. Lo afferrò in fretta e furia nella speranza che fosse lei, che volesse parlargli, diavolo, addirittura che volesse urlargli; ma invece fu il nome di John a lampeggiare sullo schermo.

Stava quasi per ignorare la chiamata. Ma sapeva che Felicity forse non avrebbe voluto stare all’appartamento di Laurel e Thea visto che, dopotutto, quest’ultima era sua sorella, e magari non volendo stare sola sarebbe andata da John e Lyla. La penthouse alla Palmer Tech era ancora vuota, ma dubitava che avrebbe optato per la solitudine in un momento del genere o comunque lo sperava. Comunque, se non avesse risposto, c’era sempre la possibilità che John avesse scoperto cos’era accaduto e fosse sul punto di venire a fargli una ramanzina sfondando la porta. Così fece scivolare il dito sullo schermo per rispondere alla chiamata.

<< John, non posso… >>

<< È Felicity >> annunciò subito, interrompendolo.

Oliver sospirò, passandosi una mano sugli occhi.

<< È da te? >>

<< Oliver, lei ti vuole qui, ma tu devi stare calmo >>.

A quel punto realizzò un sottofondo di trambusto dall’altra parte del telefono, appena percettibile sotto la voce sommessa di John.

Perché doveva stare calmo? La sola insinuazione che c’era qualcosa per cui doveva stare calmo gli suggerì che era accaduto qualcosa per cui lui non sarebbe affatto stato calmo.

<< Cosa succede? >> chiese, alzandosi a sedere sul divano. La piccola coperta che aveva tirato via dallo schienale cadde di lato. Se qualcosa stava andando storno doveva muoversi, e doveva muoversi in fretta.

<< Sono le sue gambe: ha dei forti dolori >>.

Il suo cuore mancò di un battito. Nonostante la loro rottura, non aveva perso la scintilla di incredulità e gioia che le aveva attraversato le dita quando era riuscita a rialzarsi. Aveva adorato la vista di lei che si muoveva sui suoi propri piedi fino a quando non aveva realizzato che stava usando quegli agognati passi per mettere distanza tra di loro. Curtis non aveva menzionato che il chip potesse causarle dolore se avesse funzionato, quindi pensò subito che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.

Si era sforzata troppo? Quanto era andata lontano dopo essere uscita da casa? Aveva camminato per quattro blocchi fino a casa di Diggle? Sperava che si fosse limitata a scendere le scale e avesse poi preso un taxi, o chiamato John perché venisse a prenderla, oppure Curtis che l’aveva accompagnata in macchina molte volte nell’ultimo periodo. Dio, non aveva neanche pensato che le stava permettendo di alzarsi e andarsene. Avrebbe dovuto pensarci. Avrebbe dovuto fare qualcosa. Lei aveva lavorato così tanto su quello che Paul le aveva dato, e avevano fatto di tutto per essere sicuri di non sprecare quell’opportunità. Ma se qualcosa stava andando male? Il pensiero di perderlo così presto…

<< Che tipo di dolore? >> chiese, la voce gli tremò mentre si alzava e cercava la sua giacca. La trovò appoggiata alla poltrona e se la infilò tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla.

<< Ha detto che sono come crampi, ma penso sia dolore neuropatico >> gli rispose John << Ho provato a portarla in ospedale ma non ha voluto. Voleva che ti chiamassi >>.

Aveva chiesto di lui. Lo voleva lì. Perché nonostante avesse bisogno di spazio, stava provando dolore e sapeva che lui ci sarebbe stato per lei. Voleva essere al suo fianco, ovviamente, ma allo stesso tempo non sapeva cosa fare. Il suo primo istinto fu quello di urlare a John di portarla in ospedale a forza e che si sarebbero visti là. Con tutto quello che avevano passato da quando era stata operata, l’ospedale sarebbe sempre stato il suo primo istinto, non ci sarebbe più andato leggero con la sua salute, soprattutto se sapeva che aveva male.

Ma l’ospedale aveva anche l’orribile tendenza a portarla via da lui, di dirgli che doveva aspettare, che non poteva stare lì, di sedersi e leggere qualche giornale mentre le facevano qualche test, e il tutto mentre stringeva tra le mani il suo anello di fidanzamento e i suoi orecchini nella sala d’aspetto.

Si prese un momento per inspirare profondamente, concentrandosi mentre faceva scivolare le chiavi della macchina in tasca. Doveva prima vederla, accertarsi della situazione prima di decidere per l’ospedale. Lei sapeva che avrebbe dovuto andarci se ce ne fosse stato il bisogno, ma se aveva chiesto di lui forse provava troppo dolore per decidere lucidamente per se stessa.

<< Sarò lì in cinque minuti >> disse a John, quando l’appartamento era già alle sue spalle e la porta aveva sbattuto dietro di lui.

<< Chiama Curtis e fallo venire, il numero è nel cellulare di Felicity, e digli di portare Paul >>.

<< Capito >> rispose John.

Sentì un movimento sotto la sua voce e Oliver si accigliò. Cosa stava accadendo?

<< A presto >> mormorò prima di chiudere la chiamata.


 

Nel momento in cui John aprì la porta, Oliver dimenticò tutto della loro lite. Dimenticò che lei si era tolta l'anello e che questo era ancora sul tavolo in sala da pranzo. Dimenticò che voleva dello spazio, che non era sicura di poter continuare così, e soprattutto dimenticò che la causa di tutto ciò era che lui le aveva mentito, che aveva tradito la sua fiducia. In quel momento, dimenticò tutto quello che li aveva divisi perché tutto quello che contava era il lieve singhiozzare che veniva da dentro l’appartamento. Il singhiozzare della donna amata che soffriva.

Aveva sentito pianti come quello prima, quando erano tornati a casa dall’ospedale e la ferita dell’intervento sulla schiena la teneva sveglia. Pur non sentendosi le gambe, soffriva ancora perché i punti di sutura non le consentivano di trovare una posizione confortevole a letto, e ciò aveva portato a molte tristi notti in cui lei era troppo esausta per fare qualsiasi cosa oltre a piangere perché non riusciva a dormire.

John gli fece un cenno col capo invitandolo ad entrare, e Oliver si mosse ciecamente finché non fu al suo fianco, sorpassando ed evitando abilmente i giocattoli sul pavimento. Alcuni di essi li aveva comperati lui – avevano mandato a Sara un regalo per ogni posto che visitavano – ma era grato che nessuno lo avesse intralciato nella sua strada verso Felicity.

Lei era sdraiata su un lato sul divano, le sue gambe allungate sotto il piumone in cui era avvolta e le mani chiuse a coprirle la bocca. Sapeva che in quella posizione si sarebbe mordicchiata le unghie, una noiosa abitudine che non aveva mai perso. Non si era neanche preoccupato di togliersi la giacca prima di accucciarsi davanti a lei.

I suoi occhi si schiusero non appena lui si avvicinò, ma non smise di piangere e questo lo distrusse. Le sue guance erano umide di lacrime che scendevano ancora, il suo respiro era spezzato e irrompeva in singhiozzi soffocati.

<< Hey >> le sussurrò, un braccio si allungò sopra il bracciolo del divano per spostarle i capelli dal volto e l’altra mano trovò la sua, le loro dita si intrecciarono istintivamente.

Non forzò un sorriso, non si sbilanciò per sicurezza, non quando non sapeva cosa c’era di sbagliato.

<< Sei qui. >> pianse, come se non si aspettasse che venisse.

<< Sempre >> rispose lui gentilmente, mentre le accarezzava la fronte con le nocche << Parlami, dimmi cos’è che ti fa male >>.

<< È come se fossero crampi, ma non smettono mai >> gli disse, la sua voce era così roca che lui non poté neanche immaginare quanto avesse pianto prima di cedere e chiedere a John di chiamarlo.

<< Mi dispiace, io non… non volevo svegliare Sara… >>

<< Oh non preoccuparti per quella bambina >> la tranquillizzò John, apparendo dallo schienale del divano e posandole una mano sulla spalla << Ci vorrebbe un esercito per svegliarla. Ti porto dell’acqua, ok? >>

<< ‘Kay >> rispose, il suo respiro diventò più faticoso mentre stringeva la mano di Oliver più forte.

<< Sei venuto… >>

<< Certo >> la rassicurò dolcemente, il suo pollice le massaggiava la tempia.

Poteva scomparire dalla sua vista, togliersi il suo anello, ma anche se se ne fosse andata finché non gli avrebbe detto che non lo amava più lui sarebbe sempre venuto quando lei avrebbe chiesto di lui.

<< Ora nulla ha importanza, okay? Concentriamoci solo su questo. Sono solo le gambe o ti fa male anche la schiena? >> le chiese.

<< Gambe >> rispose, spostandone una a fatica e sussultando.

<< Okay, quindi c’è ancora il movimento >> sospirò sollevato << Posso guardare? >>

Lei annuì e lui scostò la coperta dalle sue gambe. Indossava i pantaloncini corti del pigiama, che gli permettevano la vista delle sue gambe scoperte. Controllò ogni gamba passandoci sopra una mano, assicurandosi che non ci fossero segni evidenti di coaguli di sangue che lo avrebbero portato a trascinarla immediatamente in ospedale.

Fortunatamente nulla sembrava fuori posto, così posò una mano sul suo ginocchio piegato e glielo massaggiò lievemente. Non aveva neanche pensato all’azione, come se il loro giorno non fosse stato così disastroso. Era tutto ciò di cui lei aveva bisogno al momento – perché lei stessa aveva deciso di avere bisogno di lui.

<< Curtis e Paul sono per strada, ci diranno cosa dobbiamo fare >> le disse.

<< Dobbiamo? >> chiese facendo piccoli respiri.

<< Dobbiamo >> ripeté, muovendo la mano a prendere quella di lei. Non importava cosa sarebbe successo quella notte, lui sarebbe rimasto al suo fianco finché non lo avesse mandato via << Tu mi hai voluto, io sono qui >>.

I suoi occhi erano pieni di lacrime mentre annuiva, spostando la testa per sistemarsi meglio contro la sua mano.

<< Grazie >> mormorò in un singhiozzo mentre lui si abbassava a baciarle la fronte.

<< Una cosa alla volta >> la rassicurò << Pensiamo solo a superare questa notte e a capire cosa sta succedendo, e poi risolveremo tutto il resto, okay? >>

<< ‘Kay >> sussurrò.

Rimasero in quella posizione per venti minuti. Curtis e Paul ci impiegarono più del dovuto a raggiungere l’appartamento a causa di un incidente nel centro della città, ma comunque arrivarono, e fu solo allora che Oliver cambiò posizione. Avrebbe mentito se avesse detto di non essere ubriaco della vista di lei abbracciata a lui, i suoi occhi chiusi mentre le lacrime scendevano liberamente mentre piangeva a causa del dolore, perché tutto ciò gli permetteva di toccarla, di abbracciarla, e non sapeva quando avrebbe potuto rifarlo in seguito. Era una cosa egoista, ma necessaria per entrambi. Lei aveva bisogno di lui tanto quanto lui ne avesse di lei. Ma una volta che arrivarono gli altri, si mosse a sedersi sul bracciolo del divano, proprio accanto alla sua testa. Lei piegò le braccia all’indietro, tenendogli le mani mentre i loro nuovi amici facevano quanto possibile per aiutare.

Oliver rimase silenzioso mentre Paul esaminava le gambe di Felicity, testando le capacità delle sue gambe e facendole domande sul dolore che provava, il tutto mentre Curtis eseguiva delle diagnosi per assicurarsi che non ci fossero problemi con il chip.

Ogni volta che sussultava o mugolava, Oliver stringeva la sua mano ancora più forte. Infine, Paul si sedette sul tavolino da caffè, incrociando le mani di fronte al volto.

<< Potrebbe essere una reazione causata dai nervi che cominciano a funzionare di nuovo, che non è raro se oggi hai camminato molto, ma stiamo anche lavorando con una tecnologia del tutto nuova qui e penso che dobbiamo essere cauti >> decretò, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Curtis << Per quanto ci fidiamo della tecnologia, il corpo umano può avere reazioni imprevedibili, quindi credo che dobbiamo andare all’ospedale e fare qualche test >>.

<< No >> Felicity piagnucolò, nascondendo il volto nel braccio di Oliver.

<< Felicity… >> cominciò.

<< Non voglio tornare là >> gli disse, la voce sottile tradiva la sua stanchezza.

Ospedale significava test, che significava attesa, e aghi e non era assolutamente quello che voleva.

<< Voglio solo che smetta così posso dormire >>.

L’altra mano di Oliver andò ad accarezzarle su e giù il braccio. Si piegò giù lievemente.

<< Se loro pensano che dovremmo andare, dovremmo andare >> le disse.

<< Ma non voglio >> mormorò, la sua voce divenne di nuovo pericolosamente sottile.

<< Felicity >> ripeté << Stai male, dobbiamo andare >> le disse << Questa che sta accadendo è un’opportunità straordinaria, ma dobbiamo essere sicuri che funzioni come vogliamo >>.

Con la mano stretta nella sua non poté replicare. Lui la conosceva abbastanza da annuire a Paul.

<< Dobbiamo chiamare prima di andare? >> chiese piano.

Paul scosse la testa.

<< Ho già chiamato il suo dottore e ha detto che ci aspetta là. È meglio se veniamo anche noi visto che è un lavoro in corso >>.

Spostò la sua attenzione su Felicity, dandole il suo sostegno mentre Oliver andava a cercare John.

<< La portiamo in ospedale, pensano che sia meglio farle fare delle lastre per essere sicuri che non ci sia nulla che non vada col chip >> spiegò, sospirando mentre si passava una mano sul volto.

John annuì.

<< Tu stai bene? >> si assicurò.

Oliver scosse la testa, non provò neanche a nascondere il suo stato d’animo.

<< Non mi piace vederla soffrire >>.

John prese la giacca di Felicity dall’appendino accanto alla porta, passandolo a Oliver.

<< Oliver, per quello che conta, non credo che voglia spazio >> spiegò tranquillo << Credo che lei voglia averne bisogno, ma le importa troppo di te, e sta facendo il punto della situazione >>.

<< Lo so >> sospirò << Rispetto i suoi desideri, ma se quello che vuole ora sono io… >>

<< Sei stata la prima cosa che ha chiesto >> gli disse John << Lyla lavora quindi devo stare con Sara, ma se hai bisogno di qualcosa all’ospedale, chiamami >>.

<< Lo farò >> annuì, dando la mano a John << Grazie >>.

In ospedale passarono la maggior parte del tempo in un surreale silenzio che era fin troppo simile a quello del loro primo viaggio quando lei si sforzava di sorridere e di adattarsi all’idea che non avrebbe più potuto camminare. Ma questa volta non c’erano sorrisi, ma solo prudenza. La portò al pronto soccorso dove la trasportarono subito via, non era mai stato tanto semplice ed era grazie alla chiamata di Paul. Oliver si curò delle scartoffie mentre le facevano fare alcuni test, e nonostante odiasse non essere al suo fianco, sapeva di non poter andare con lei.

Questa volta non l’aveva baciata prima di lasciarla andare. Non si era chinato su di lei, né aveva posato le labbra sulle sue e detto che la amava.

Le aveva invece preso una mano, baciato le nocche e fattole un cenno deciso.

<< Sarò proprio qui >>.

Quando tornò in camera un’ora dopo, lui si mostrò immediatamente. Quando lo video, lui esitò sulla soglia, timoroso che il tempo passato da sola durante i test le avesse fatto cambiare idea sul volerlo lì, ma lei allungò la mano verso di lui senza domande. Lui provò a non pensare che solo dodici ore prima indossava il suo anello su quella mano, ma fece scivolare le sue dita tra le sue e si sedette sulla sedia al suo fianco. Il suo volto aveva un nonsocchè di confuso e immaginò dal suo atteggiamento tranquillo che le erano stati dati degli antidolorifici per aiutarla, ma tuttavia si muoveva scomodamente.

Ogni volta che si muoveva, le stringeva la mano.

<< Stanno funzionando gli antidolorifici? >> le chiese rompendo il silenzio.

<< Il dolore se n’è andato >> lo rassicurò << Sono solo crampi, come se fossi indolenzita >> spiegò, chiudendo gli occhi << E se avessi strafatto, e se… >>

<< Hey, non pensare a queste cose >> mormorò, stringendole le mani tra le sue << Curtis è fiducioso >>.

<< Ma se fosse così? >> gli chiese, gli occhi schiusi per guardarlo.

<< Non hai lasciato che questo ti rompesse prima >> le ricordò << Tu sei Felicity Smoak, non importa cosa. Se non funzionasse, sarà dura da accettare, so che ormai ci abbiamo sperato così tanto, ma non sarebbe la fine, non importa cosa >>.

Nonostante la loro situazione attuale, lui alzò la sua mano e vi posò un casto bacio sul dorso.

<< Felicity Smoak è sempre Felicity Smoak. Essere spaventata non significa che tu non sei coraggiosa >>.

<< Tu sei spaventato? >> gli domandò.

<< Certo >> sospirò << Non mi piace vederti soffrire >>.

Lei prese un respiro profondo, restando in silenzio per un momento e lui poté vederla muoversi di nuovo a fatica. Le lanciò uno sguardo preoccupato prima do portarle una mano sulla coscia, accarezzandole con le dita i muscoli tesi sotto il suo tocco. Dopo un momento Felicity si lasciò scappare un sospiro mentre rabbrividiva, voltando il volto verso il cuscino.

<< Va tutto bene? >> le chiese piano.

<< Sì >> sussurrò dopo un momento.

Non parlò più, lasciandola in pace mentre lui lavorava sui muscoli che le causavano dolore. I crampi alla gambe erano una cosa di cui soffriva abitualmente nei muscoli del polpaccio se aveva camminato molto coi tacchi tutto il giorno, quindi massaggiarle le gambe non era nulla di nuovo per lui. C’erano state molte notti in cui lei aveva trascinato le gambe sopra di lui e lo aveva lasciato massaggiargliele finché non si riaddormentava, ma non da quando c’era stato l’attacco.

<< Oliver >> parlò piano, quando lui cominciò a disegnare circonferenze sulla sua rotula << Dove andrò, quando mi dimetteranno? >>

<< Dove vuoi andare? >> le chiese.

<< Non lo so >> sospirò << Voglio tornare a casa, ma… non lo so >>.

<< Felicity, se tu vuoi tornare a casa, nel tuo letto, io posso andare… >>

<< Non so cosa fare >> ripeté interrompendolo.

Sapeva che quello a tenerla sveglia non era il problema sul dove sarebbe andata. Ma la loro relazione. Così fece scivolare la mani di nuovo sulle sue, chiuse le dita attorno alle sue.

<< Egoisticamente, ti voglio a casa, con me >> le disse, inalando profondamente << Ma non ho il diritto di fare questa scelta per te >> lo sapeva bene << So che devo… non posso neanche cominciare a elencare i modi in cui io devo scusarmi per le cose fatte e le decisioni prese. Ma so anche che il momento in cui sarai pronta a tornare a casa, io ci sarò >>.

<< Sei qui anche ora >> evidenziò.

<< Sarò sempre qui >> le disse << Ma hai detto che ti serviva spazio, e non voglio starti addosso se è quello di cui hai bisogno >>.

<< Non so di cosa ho bisogno >> scosse la testa << Sono solo… ferita >>.

<< Lo so >> deglutì << Mi dispiace >>.

<< Non ero sicura di che cosa volessi, ma quando ti sentito mandare via William… >>

Lui chinò la testa, gli occhi gli bruciavano al solo sentirlo menzionare. Proprio in quel momento, suo figlio era stato strappato dalla sua casa, dai suoi amici, dalla sua scuola… tutto per minimizzare i rischi dovuti solamente al fatto che aveva metà del suo DNA.

<< Mi ha fatto paura >> ammise piano, faceva fatica a respirare.

<< Perché stavamo facendo tutti quei piani per il nostro futuro insieme ed ecco che subito mandi via tuo figlio solo perché è tuo e io… >>

<< Felicity… >>

<< E se fosse stato in pericolo il nostro di figlio? >> gli chiese << L’avresti… >>

<< Mai >> sostenne con determinazione << Nostro figlio mai, io… >>

<< Ma tu non dovresti amare amare William più o meno di un nostro figlio >> gli disse << Cosa ti dice che mandi via William ma non faresti lo stesso con nostro figlio? >>

<< Non lo so >> scosse la testa << Ma Samantha non lo voleva in pericolo, non lo voleva neanche lontanamente vicino a questo tipo di vita. Se noi… qualsiasi cosa accada, io so che noi saremo in grado di mettere insieme i pezzi… >>

<< Mio padre mi ha lasciata >> gli ricordò lentamente << Non potrei… non sposerò qualcuno che potrebbe fare lo stesso a mio figlio >>.

Lui abbassò il capo. Gli aveva appena dato un buon motivo – perché il pensiero che William se ne andasse non lo sconvolgeva come la possibilità di mandare via un figlio suo e di Felicity? Certo, gli aveva fatto male, lo aveva spezzato in due. Aveva trovato una parte del suo cuore che aveva conversato e lo aveva contorto in una pura agonia. Ma l’idea di mandare Felicity e un loro figlio via? Escluderli dalla sua vita solo perché era più sicuro? Dopo tutto questo tempo a trovare un equilibrio per convivere con quello che facevano? Era assolutamente impensabile. Questo faceva di lui un padre peggiore per William?

<< Samantha non voleva che William facesse parte di questa vita >> mormorò, la sua attenzione era rivolta verso le sue gambe doloranti piuttosto che sui suoi occhi.

<< Noi… noi stavamo… stiamo… cercando di capire come stare insieme e avere questo tipo di vita. Come hai detto tu, possiamo avere entrambe le cose. Ma i bambini… >> inspirò profondamente, scuotendo la testa << Lo so che ci vogliono delle precauzioni per tenere i bambini al sicuro, ma non posso rinunciare perché questo era quello che voleva Samantha, e l’unica alternativa possibile era fare questo sacrificio. Ma se interrompere la nostra crociata per i nostri figlio è quello che ci vuole, mi affiderò sempre a te per questa decisione, per dirmi che siamo troppo oltre. Perché sarebbe nostro figlio >> scrollò le spalle con un sorriso pieno di rammarico per quello che non sarebbe più potuto accadere << Non è quanto ami i miei figlio, è quanto mi fido della loro madre >>.

<< Oliver… >> mormorò, tirandogli la mano finché non la guardò di nuovo. Non c’erano lacrime sulle sue guance, e lui stava per parlare, non sapendo se sarebbe uscito fuori qualcosa in più del suo nome, ma lei andò per prima.

<< Tu ti fidi di me? >>

<< Certo, certo che mi fido di te >> sospirò << Felicity… se venisse fuori che dobbiamo mollare tutto per tenere al sicuro nostro figlio, noi ce ne andremmo insieme. Ricominceremo dall’inizio in qualche altro posto, ma tu non sarai mai sola >>.

Prese un respiro, voltando nuovamente la faccia verso il cuscino, ma gli prese la mano tra le sue, portandosela sulla guancia e cullandola lì. Lui non tentò di ritrarsi, incrociando le dita con le sue mentre respirava a fatica.

Rimasero così finché il dottore non tornò col risultato degli esami, fortunatamente confermavano che non c’era nulla di cui preoccuparsi. I suoi nervi avevano semplicemente strafatto per il bio-stimolatore, un processo che avrebbe impiegato mesi era stato condensato in pochi giorni, quindi le diedero altri antidolorifici da portare a casa per il dolore neuropatico, e stabilirono una nuova fisioterapia da seguire che avevano dato a Paul.

Quando se ne andarono per dimetterla lasciarono la stanza nel silenzio. Lei sembrava voler evitare la questione, ma ormai non poteva essere ignorata per più tempo.

<< Felicity… >> cominciò, attirando la sua attenzione << Dove vuoi che ti porti? >

Lei si mordicchiò le labbra, e sembrava così esausta in quel momento che gli veniva voglia di portarla semplicemente a casa e metterla a letto, al diavolo le conseguenze.

Il suo silenzio continuò finché non si sedette e si infilò la giacca, recuperò le scarpe e resto appoggiata al bordo del letto.

<< Non credo di essere pronta a riprendermi l’anello >> sussurrò.

Fu penetrante, il dolore che gli inflissero le sue parole, ma sapeva di essersele meritate. Chinò la testa annuendo.

<< Ma voglio davvero tornare a casa >> aggiunse così piano che quasi non lo sentì.

<< Lo vuoi? >> le chiese.

Annuì lentamente.

<< Ti amo >> gli disse << E’ stato un duro colpo e sono ferita ma ti amo >>.

Le sue mani andarono a prendere quelle di lei, stringendole assieme.

<< Voglio tornare a casa, ma ho ancora bisogno di tempo per… per accettare tutto questo >>.

<< Ma certo >> annuì, con un po’ troppo entusiasmo << Lo capisco, davvero… >>

<< Non voglio che questo ci separi >> mormorò << Voglio solo… >>

<< Dormire >> finì per lei con un piccolo sorriso, facendole sapere che andava bene lasciar perdere i dettagli importanti per adesso.

<< Già >> concordò, lasciandosi scappare un sospiro.


 

Si riprese l’anello due mesi più tardi, quando camminare e il dolore non erano più un problema. Lui aveva dormito sul divano per una settimana per darle dello spazio, ma aveva lasciato perdere dopo che lei era scesa da lui una notte e si era accoccolata al suo fianco.

Non aveva più mandato il messaggio che aveva fatto per William, ma ne avevano fatto uno nuovo, in cui entrambi si presentavano, e gli dicevano che Samantha gli avrebbe mostrato il video quando lo avrebbe ritenuto più opportuno, anche se fosse stato prima dei diciotto anni, e che se dopo lui avrebbe voluto fare parte della loro famiglia, loro avrebbero sempre tenuto una camera per lui.

Avevano imparato a funzionare insieme come una famiglia, non una coppia. Dividere il letto diventò reclamare baci, diventò un “ti amo”, diventò caffè a letto e cena insieme. E un giorno, era entrata in cucina mentre lui stava preparando la colazione e si era rimessa l’anello. Dopo avevano fatto l’amore: aveva spento il fornello e l’aveva riportata a letto.

<< Non voglio togliermelo di nuovo >> gli disse, mentre faceva vagare una mano sul suo petto, l’anello che brillava alla luce del pomeriggio.

<< Non ti darò motivo di farlo >> le assicurò.




 


*** SPAZIO AUTRICE ***

Ciao a tutti! Utilizzo queste poche righe per ricordarvi che questa one shot è una traduzione,
quindi no, non la continuerò e non ci saranno seguiti, a meno che non sia una scelta dell'autrice.
Io sono lo la tradutrice, per tanto ogni possibile errore grammaticale/sintattico è colpa mia.
Spero non ne troverete visto che ho ricontrollato più volte, ma si sa
che un occhio esterno vede più facilmente le pecche.
Quindi se ne troverete e me le farete notare, sarò lieta di provvedere a correggere.
Colgo in oltre l'occasione per avvisarvi che in settimana riprenderò con gli aggiornamenti
alla MIA fanfiction, ovviamente Olicity,

Ricordati che ti amo

Grazie a tutti per la lettura,

Hexleviosa xxx



 

   
 
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