Capitolo
7
“Questo
è un ordine”
«Non
voglio avere più niente a che fare con te».
Per
un attimo le labbra di Akashi si increspano in una muta irritazione e
il mio
cuore sobbalza, poiché temo di avere provocato la rabbia del
capitano. Non ho
mai visto Akashi davvero infuriato o, per meglio dire, non
l’ho mai visto
esprimere collera in modo palese, come fanno tutti, strepitando,
urlando,
imprecando e ricorrendo a gesti violenti. E in tutta onestà,
non riesco neanche
ad immaginare un Akashi Seijūrō che inveisce contro qualcuno a
squarciagola o
che minaccia col pugno serrato. Semplicemente non è quel
tipo di persona. Ma
ciò non significa affatto che non sia in grado di intimidire
il suo
interlocutore bloccandogli il respiro in gola o paralizzandogli le
gambe
affinché non fugga da un confronto diretto. E in questo
momento la sola curva
rovesciata delle sue labbra è sufficiente a scoraggiarmi, a
estinguere la
determinazione nel mio cuore, a farmi istintivamente indietreggiare di
un
passo, come una lepre in presenza della volpe.
«D-Dico
sul serio, Akashi, non devi più avvicinarti a me».
E’
fuori discussione che Akashi prenda sul serio parole tanto labili,
pronunciate
da un animo che vacilla. Se mi trovassi al suo posto, io stessa non mi
crederei. Tuttavia non riesco a pensare ad altro modo per convincerlo a
farsi
da parte.
I
suoi occhi vermigli si assottigliano, infastiditi dal mio comando. Mi
investono
con tutta la loro tremenda intensità, inchiodando il mio
coraggio al tronco
legnoso e raggrinzito di un albero invisibile, scatenando intorno a me
la
terribile arsura di un fuoco insostenibile al pari degli antichi roghi
su cui un
tempo ardevano streghe e fattucchiere. Eppure la crudeltà
con cui gli
inquisitori conducevano ispezioni ed esecuzioni mi sembra ben poco cosa
se
paragonata alla silenziosa condanna che ora brucia nello sguardo di
Akashi.
Quasi non riconosco il ragazzo che ho di fronte. Ed è forse
proprio questo a
terrorizzarmi così tanto. Il mio istinto urla dentro di me e
indietreggio di un
altro passo mentre Akashi avanza ed accorcia la distanza che ci separa.
Stringo
la cartella al petto, quasi fosse uno scudo, e retrocedo fino a sentire
la
porta della camera battere contro la mia schiena. Una scossa attraversa
i miei
nervi mentre osservo la figura di Akashi farsi sempre più
vicina. Che cosa sta
succedendo? Perché si comporta così? Che
intenzioni ha? Divarico le labbra ma
non un suono esce dalla mia bocca: la mia voce è incastrata
tra le corde
vocali, come in un groviglio di rovi. Quando cerco di parlare, sento il
battito
del mio cuore pulsare nella gola e contrarre la laringe ostruendo il
passaggio
dell’aria. Intanto Akashi continua a camminare, ignorando lo
stato di panico in
cui verso ormai da parecchi secondi. La sua indifferenza alla mia
condizione mi
esaspera a tal punto da causare nel mio stomaco una violenta serie di
spasmi.
Tra
pochi passi mi avrà raggiunta e allora cosa ne
sarà di me? Come può farmi
questo dopo aver giurato di proteggermi? Non si rende conto di quanto
mi stia
spaventando? Perché all’improvviso mi ritrovo
nella necessità di fuggire dal
ragazzo che ha promesso di tenermi al sicuro?
«Hai
detto che non avresti usato violenza su una persona ferita!».
Le
parole scoppiano nella mia bocca come petardi e le mie braccia si
sollevano
sulla mia fronte nel disperato tentativo di proteggere la testa
fasciata. Con
gli occhi serrati attendo il dolore che la mano di Akashi
imprimerà sul mio
corpo convalescente. È un’attesa infinita e
pesante, tanto lunga da
confondermi. La mia pelle dovrebbe ormai bruciare per
l’impatto e le mie membra
dovrebbero essere in uno stato di profonda sofferenza. Allora
perché non sento
nulla?
Allargo
le braccia per liberare il volto e dischiudo gli occhi:
l’immagine di Arthur si
concretizza di fronte a me; la sua ampia e solida schiena si erge
davanti alla
mia persona come una muraglia inespugnabile. Con il suo corpo a farmi
da scudo
contro Akashi, emano infine un lungo sospiro abbassando le spalle.
«Non
le permetterò di toccare la signorina Eiko», la
voce di Arthur vibra nella
stanza, impavida e categorica.
È
in quel momento che, nascosta dietro Arthur, colgo il respiro di
Akashi: un
suono di rassegnazione. Mi sporgo lentamente oltre la figura di Arthur,
non
avvertendo più alcun pericolo imminente. Il mio sguardo
incontra quello del
capitano. In esso non vi è traccia del gelido risentimento
di pochi istanti fa.
Al contrario le sue iridi brillano di un rosso carminio caldo e
gentile. È la
stessa espressione di profonda tenerezza che ricordo dal nostro primo
incontro.
«A-Akashi?»,
pronuncio, assicurandomi che il ragazzo davanti a me sia ancora lo
stesso di
cui ho deciso di fidarmi.
«Non
era mia intenzione spaventarti», è la risposta con
cui mi rassicura. Il pugno
serrato si dischiude rivelando la piccola chiave dorata al centro del
palmo.
«Hai avuto una giornata difficile e non voglio infierire
sulla tua salute,
quindi accetta questa chiave e riposati».
Le
mie pupille si abbassano sull’oggetto luccicante.
È davvero giusto per me
trascorrere qui tutta la notte? Akashi sembra essere tornato in
sé, ma non
posso negare l’agitazione che ancora domina il mio animo.
D’altro canto se
tornassi a casa adesso sarei costretta a giustificare, soprattutto a
Tatsuo, la
mia testa bendata e sono sicura che questo attarderebbe la mia
guarigione.
«Dato
che la mia presenza è per te fonte di disagio, non
rimetterò piede in questa
stanza fino a domani mattina».
Akashi
l’ha fatto di nuovo, è di nuovo riuscito a leggere
tra i miei pensieri. Come
posso dubitare di una persona che sembra conoscermi
meglio di me stessa? Forse sono stata troppo
impulsiva nel giudicarlo. Forse prima ho completamente frainteso le sue
intenzioni. Del resto non sono ancora in grado di pensare lucidamente a
causa
del dolore alla testa. Inoltre Arthur è con me: se Akashi
dovesse davvero tentare
qualche mossa falsa, mi proteggerebbe, proprio come ha appena fatto.
«È
una promessa?», balbetto ancora scettica.
«Hai
la mia parola», la chiave scivola nella mia mano.
«Se deciderai di restare,
Arthur potrà alloggiare nella stanza affianco»,
conclude Akashi prima di
oltrepassarmi e scomparire al di là della porta.
Infine
rimango sola con Arthur. Il mio animo è dibattuto. Cosa
dovrei fare? Con la
chiave della camera in mio possesso, mi basterebbe bloccare la
serratura per
essere certa che Akashi non infranga la promessa. D’altro
canto, però,
barricarmi in questa stanza equivarrebbe ad ammettere la mia sfiducia
nei suoi confronti,
nonché la mia incapacità di prendere una
decisione coerente con la situazione
in cui mi trovo. Se decido di restare qui devo credere alle parole di
Akashi e
confidare in lui. Ma se non riesco a sradicare completamente la
diffidenza che
aleggia nel mio cuore è meglio che torni a casa mia. Che
cosa vuoi fare, Eiko?
Fai la tua scelta e fa’ in modo che sia quella definitiva.
«Arthur»,
la mia voce vibra nel mio petto con fermezza.
«Si,
signorina».
«Questa
notte resteremo qui».
Nonostante
il suo silenzio, vedo chiaramente il turbamento sul volto di Arthur, ma
non
revoco la decisione presa. Al contrario, mi accosto al letto e adagio
la
cartella sulla sedia. Dischiudo la mano sul cui palmo giace la piccola
chiave
luccicante: ho scelto di chi fidarmi e non tornerò sui miei
passi.
«È
proprio sicura?», domanda Arthur, restio a lasciarmi sola.
Annuisco.
«Se tornassi a casa in queste condizioni, farei solo
preoccupare tutti quanti»,
le mie dita sfiorano le bende che cingono la mia testa. «Oggi
ho corso un grave
pericolo, lo so, ma grazie ad Akashi sono ancora qui e, nonostante
tutto, sto
bene. Per fortuna la ferita che ho riportato non è grave,
quindi sarebbe inutile
allarmare i miei genitori o i miei fratelli». Mi volto
indietro e alzo lo
sguardo su quello di Arthur. «Ecco perché ti
chiedo ancora una volta di assistermi
e mantenere il segreto», nelle mie parole non
c’è alcun intento perentorio,
solo una supplichevole richiesta.
Dopo
qualche secondo, Arthur inizia a muoversi nella mia direzione,
avvicinandosi
lentamente. Persino in un momento come questo, la sua immagine
è impeccabile.
Adesso che siamo soli, mi rendo conto di quanto rassicurante sia la sua
presenza. Akashi mi ha salvato la vita, ma solo in compagnia di Arthur
riesco
ad abbassare completamente le mie difese. La sua fedeltà nei
miei confronti
sarà anche solo il frutto di un dovere, eppure dentro di me
ho la certezza che,
qualsiasi cosa accada, qualunque strada io decida di percorrere, Arthur
sarà
sempre al mio fianco.
«Se
questo è il suo volere, non informerò la sua
famiglia su quanto è accaduto»,
promette, infine, prima di tacere nuovamente. Il suo breve silenzio
è più pesante
di quanto credessi.
Il
suo sguardo di cobalti splendenti si posa quindi sul mio. È
così intenso da
farmi girare per un attimo la testa. Una bellezza tanto ammaliante da
farmi
istintivamente ricordare Aomine. Proprio come all’acquario di
Ikebukuro, anche
adesso la mia immagine riflessa nelle profonde iridi di Arthur ha un
effetto
ipnotico e calmante su tutto il mio essere. Ho sempre avuto un debole
per il
colore blu, poiché è in grado di riportare la
pace nel mio animo e rischiarare
i miei pensieri.
L’espressione
negli occhi di Arthur, al contrario, è cupa, colma di
rammarico. La sua
tristezza penetra il mio cuore e scava in profondità.
Percepisco il suo senso
di colpa come fosse il mio. Arthur non è solo il mio
autista. Il profondo
legame che lo connette a tutti noi, e in particolare a mia madre, fa di
lui un
membro della nostra famiglia. Ed è esattamente
così che l’hanno sempre
considerato i miei genitori, i miei zii, mio nonno materno, Tatsuo,
Naoko, zia
Azumi e i miei cugini. E, ovviamente, è così che
l’ho sempre considerato anch’io.
Per questo motivo non sopporto di vederlo abbattuto, soprattutto se a
causa mia.
È
strano. Le lacrime, che fino adesso sono rimaste immobili sul fondo dei
miei
occhi, spingono ora in superficie. Oggi è stato un giorno
pieno di emozioni per
me: ho provato paura, diffidenza, smarrimento, indecisione, confusione
e non
una sola volta ho avvertito la necessità di piangere. Ma
è bastato il volto
afflitto di Arthur a scuotermi abbastanza da provocare il mio pianto,
muto e
colpevole. Le infinite gocce di acqua che stillano dai miei occhi umidi
sono
una liberazione e una condanna allo stesso tempo. Sono la prova di
quanto
duramente mi sia trattenuta fino a questo momento e di quanto
ingiustamente
Arthur abbia biasimato se stesso. Ma soprattutto sono la prova della
mia
debolezza; della debolezza di quella ragazza ancora incompleta e
immatura che
ha costretto il proprio amico a rischiare la vita per correre in suo
soccorso.
«Signorina
Eiko».
La
mano di Arthur, dapprima serrata lungo il fianco, si dischiude e il
braccio si
solleva con estrema lentezza. Protende verso di me e le dita inguantate
di
bianco sfiorano la mia guancia. È un gesto legnoso e
impacciato, che tradisce
insicurezza e imbarazzo. È un gesto difficoltoso e audace,
da cui traspare
un’insanabile contraddizione. Il palmo tremolate si posa
appena sulle mie gote
inumidite dalle lacrime. Il tocco sulla mia pelle è delicato
come piuma, quasi
impercettibile. Porto lo sguardo sul volto di Arthur e i suoi
lineamenti
irrigiditi si addolciscono non appena i nostri occhi si incontrano.
«La
prego, non pianga».
Questo
suono… è confortevole come la fiamma
scoppiettante di un camino in inverno; gentile
come una carezza; rasserenante come un bacio sulla fronte. Abbraccia il
mio
cuore angosciato e stanco, sciogliendo la tensione e la tristezza. Le
dita di
Arthur premono dolcemente sulla mia guancia e il morbido tessuto del
guanto
assorbe gradualmente le mie lacrime. Non ho mai visto Arthur esprimere
così
apertamente i suoi sentimenti. Al contrario, ha sempre mantenuto una
formale e
rispettosa distanza da me. Pur essendo ogni giorno al mio fianco, non
ha mai
cercato di varcare quell’invisibile linea che separa un
servitore dal suo signore.
E confesso che, certe volte, avrei voluto vederlo comportarsi come un
vero fratello
e abbandonare per un attimo tutti quegli atteggiamenti cerimoniosi che
il suo
rango gli impone. Altre volte avrei voluto sentirlo ridere a crepapelle
mentre
Tatsuo raccontava una delle sue incredibili storie; o vederlo prendere
posto
attorno alla tavola insieme a tutti noi per festeggiare il Capodanno; o
agghindare l’albero di Natale e appendere le luci festive.
Avrei voluto vederlo
passeggiare per il parco indossando dei normalissimi abiti quotidiani.
Sfidare
Seiichi a una partita di scacchi; rimproverare affettuosamente Haruka
per i
suoi modi da maschiaccio; cavalcare per la tenuta insieme a Mikio.
Avrei voluto
vederlo esattamente come adesso, premuroso, fraterno, spontaneo.
Sentire la sua
mano sul mio viso che dissolve ogni timore e incertezza.
«Ti
devo delle scuse, Arthur», le mie parole provocano la
sorpresa del ragazzo che
lascia cadere la mano dal mio volto. «Non sono stata del
tutto onesta con te,
né con Akashi. Questa mattina ho trovato un nuovo messaggio
del mio
persecutore. Ho promesso che vi avrei informati entrambi non appena
avessi
ricevuto un altro biglietto, ma avevo paura delle conseguenze e per
questo sono
rimasta in silenzio Però adesso ho capito che non ho nulla
da temere, perciò ho
deciso: domani mattina rivelerò sia a te che ad Akashi il
contenuto della
lettera che si trova in questa cartella», dichiaro,
abbassando lo sguardo sul robusto
oggetto quadrato abbandonato sulla sedia. «Quindi, per questa
sera vai pure a
dormire e non preoccuparti per me». Infine, per la prima
volta in vita mia, pronuncio:
«Questo è un ordine».
Non
ho mai impartito un solo comando a nessuno dei domestici della nostra
famiglia
e di certo non pensavo che avrei rivolto il mio primo ordine proprio ad
Arthur.
Ma è l’unico modo che ho per assicurarmi che
questa notte la trascorra dormendo
in un letto caldo e accogliente, preoccupandosi solo di ripristinare le
sue
energie attraverso un profondo e sereno riposo.
«Se
dovesse accadere qualc…».
«Non
mi accadrà nulla», lo interrompo con perentoria
irremovibilità. «Dimentichi che
siamo a casa di Akashi. In questo preciso momento, è forse
il luogo più sicuro
in cui potrei trovarmi».
Un
guizzo di rabbia balena nelle iridi di cobalto che mi scrutano e so che
non è
destinata a me. È una collera silenziosa e inespressa che
Arthur sta riversando
su se stesso per quella che ritiene essere una sua mancanza nei miei
confronti.
Sentirsi debitore di un giovane rampollo che solo fino pochi giorni fa
non aveva
alcun legame con i Wadsworth e che invece questa sera ha salvato la
vita dell’erede
più giovane della casata è
un’umiliazione troppo gravosa per un subordinato devoto
e leale come Arthur. Anche se Akashi ha agito esclusivamente per il mio
bene, sfruttando
un tempismo provvidenziale, il suo gesto eroico ha profondamente ferito
nell’orgoglio
il giovane figlio di Victoria e, purtroppo, questa ferita
resterà aperta per molto
tempo. Tutto quello che posso fare io, è concedergli
l’intera notte lontano da me,
cosicché non sia costretto, guardandomi, a ricordare
l’offesa inflitta alla sua
dignità di servitore.
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Nota
d’Autrice: Salve ragazzi!!! Ecco il nuovo capitolo.
Finalmente sono riuscita a pubblicarlo
tra un esame e un corso all’università. So che la
storia sta procedendo lentamente
ma spero davvero che tutti voi siate dei lettori pazienti
perché alla fine, anzi
presto, la vostra pazienza verrà premiata e la storia
entrerà nel vivo della narrazione
;)
Vi
auguro una splendida domenica e vi abbraccio!
Lady
L.