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Autore: kuutamo    27/11/2016    0 recensioni
[David Garrett]
[David Garrett]Infondo eravamo tutti dei poveri esserini rotti, bambole di porcellana con le guance in cocci e il cuore strappato, ognuno che combatteva contro il suo demone, il suo male.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passai l'intera notte a pensare a cosa ci eravamo detti. Era così naturale parlare con lui, quasi liberatorio: sembrava quella persona che ti conosce da una vita, che ti capisce senza che ci sia il bisogno che tu gli dica una parola in più. Ma era poi così strano? Mentre pensavo cambiavo continuamente idea: qualcosa di così spontaneo ai miei occhi non riusciva ad essere pienamente sbagliato. 

Era un estraneo; questo era un dato di fatto, oggettivo. Ma allora perché sembrava tutto fuorché qualcuno che non conoscessi? 

Sensazioni. Erano tutte delle stupide, semplici sensazioni con nulla di concreto alle spalle: solo un sogno, sgretolatosi l'attimo dopo il mio risveglio, il mondo che aveva costruito aveva cominciato a crollare, svanendo, ed era rimasto solo un ricordo. Però quest'ultimo era lungi dall'essere flebile, frammentario o sfocato. Lo ricordavo bene, come pochi. Di solito il meccanismo era che man mano che il tempo scorreva, il sogno affievoliva, ma mi succedeva esattamente il contrario; anzi, ogni volta che ci ripensavo vi si aggiungevano particolari.. Io che mentre arrivavo alla luce infondo al corridoio mi guardavo i piedi nudi, avvertendo il freddo del granito; il tulle che mi solleticava le ginocchia; il mio sguardo sulle mani di David mentre prendevano le mie; la luce scintillante nei suoi occhi; il solletico provocato dalla sua barba…. Erano tutti particolari che riaffioravano come fulmini a ciel sereno, più vivi che mai.

Riuscii a prendere sonno solo un'ora prima dell'alba, quasi temendo e avendo paura che il giorno in cui lo avevo incontrato finisse, proprio come il sogno. E se fosse stato anche il nostro incontro soltanto un sogno?

 


 

9.55

I tram verdi e gialli transitavano fermandosi all'incrocio e poi via sparati giù verso Schwarzenberg platz.

Il caffè aveva aperto già da ore, e i frettolosi lavoratori vi erano passati per il rito mattutino. Ora il personale stava riordinando i tavoli; all'interno c'era poca gente, segno che il primo orario di punta era stato superato. I tavolini che affacciavano su marciapiede, all'aperto, a parer mio stonavano con i meravigliosi interni antichi. 

Ero appena arrivata; timorosa che lui si trovasse già dentro, entrai e mi sedetti ad un tavolo fiancheggiato da una vecchia vetrata che dava sulla strada adiacente. 

'Bene, hai ancora del tempo' pensai. Si, ma tempo per cosa? Infondo era solo un caffè, non c'era da essere nervosi. Perché mai avrei dovuto esserlo.

Accavallai le gambe e il fastidiosissimo tic di cui non riuscivo a liberarmi quand'ero nervosa iniziò: il piede prese a muoversi veloce facendo dondolare la gamba e il jeans che largo ricadeva sugli stivali, coprendoli quasi interamente. 

' Perché hai accettato? ' 

Resistetti alla crudele tentazione di mordermi le unghie: in teoria la presenza di smalto avrebbe dovuto scoraggiarmi a farlo, ma non sempre tutte le cavolate che si leggono sono vere. 

 

" Sono in ritardo? "

David sbucò d'un tratto alle mie spalle e togliendosi il basco si sedette. Si aggiustò il codino leggermente scompigliato in attesa che parlassi. L'unico neurone rimasto vigile e non imbambolato alla sua sola vista prese in mano la situazione e iniziò ad inviare impulsi.

" Sei puntualissimo.. Anch'io sono arrivata due minuti fa" dissi riacquistando lucidità.

Una delle cameriere vide che la persona che stavo aspettando era arrivata e venne a prendere le ordinazioni. O almeno era quello che avrebbe dovuto fare.

" O mio Dio! Ma lei è David Garrett, il violinista! " 

David sorrise dolcemente e mi guardò : doveva esserci abituato. Non avevo avuto ancora il tempo di documentarmi, ma doveva essere davvero famoso. Non che questo m'importasse.

" Posso avere una foto ? La prego ! "

" Ma certo ! " accettò gentilmente.

" Scusa, potresti..? Grazie" mi allungò il suo cellulare. Io feci un sorriso e misi a fuoco.

" Ecco fatto " dissi sorridente.

'Ora staccati, grazie'

Ops. Si, lo avevo pensato. E una parte di me neanche se ne vergognava.

 

" Oh grazie mille! Lei è davvero un fenomeno, ho comprato il suo ultimo album"

Lui, ricordandosi della mia promessa della sera precedente probabilmente mi guardò alzando un sopracciglio.

" Mi fa molto piacere… Po-tremmo ordinare?.." disse senza sembrare indelicato.

" Oh, ma certo, che sciocca!  Cosa vi porto?"

David mi guardò, facendomi cenno di ordinare per prima.

" Un caffè con del latte a parte, grazie "

" Per me un espresso invece "

" Arrivano subito! " 

La ragazza scodinzolò felice verso il bancone e tornò pochi minuti dopo con le nostre ordinazioni.

 

David mi fissava. Continuava a farlo, e non parlavamo, nessuno dei due, e non riuscivo a capire perché. Così fui la prima a rompere il silenzio.

" Perché mi fissi?"

Lui si avvicinò, appoggiando i gomiti sul tavolino, poggiandosi una mano sul lato del viso.

" Anch'io ho come la sensazione di conoscerti.. di conoscerti da una vita"

'Davvero?'

" Sul.. sul serio?" dissi disorientata. 

" Dopo che ci siamo parlati e che sono ritornato in albergo, ho pensato molto… Il tuo viso..è quasi come se lo avessi visto. Non sei una modella vero?"

" Per carità" dissi, cadendo dalle nuvole.

Lui rise. Doveva conoscerne molte. Insomma, chissà quante donne gli ronzavano intorno.

Allontanai quei pensieri che rendevano il gusto del caffè così sgradevole. 

Bevvi qualche sorso e poi appoggiai il bicchiere sul piattino, la mano sul tavolo.

Mi guardò e poi con un unico gesto veloce mi voltò la mano, prendendomi tra le dita i polpastrelli e tastandoli. 

Fuoco. Era bastato il semplice e innocuo tocco fra le nostre dita per scatenare dentro una scintilla e poi una fiamma.

Fece un sorriso vincente, da chi ci aveva visto giusto. Come per dirmi 'Avevo ragione!'.

" Da quanto suoni il piano?"

Cercai di non farmi uscire gli occhi dalle orbite, ma infondo sapevo fin dall'inizio il motivo del suo gesto quindi risposi.

" Da qualche annetto" 

" Perché menti?" mi chiese con espressione curiosa. Poi mi rivoltò il palmo verso il basso e mi accarezzò l dita, partendo dalle unghie lisce e corte fino alle nocche dove si soffermava massaggiando piano con il polpastrello.

" Hai mani fine e dita lunghe e affusolate - mentre parlava faceva nelle pause e continuava ad accarezzarmi- non sono segni che compaiono con un po' di pratica. Ti sei nutrita di musica anche tu… ci hai passato le notti insonni"

'Ma tu, chi sei? Perché lo sai?..' Rimasi folgorata, come se una meteora mi avesse colto in pieno e io mi fosse elettrificata.

La cameriera che ci aveva servito ci stava fissando, cercando di sembrare indifferente e vaga. La cosa m'innervosiva alquanto.

" Sei bravo.. " dissi, ancora frastornata.

" Un musicista sa riconoscere sempre un suo simile.. Allora, quando hai iniziato?" mi chiese di nuovo, paziente e curioso. Le sue dita ancora sulle mie. Io mi sforzai di non scoppiare, e poi, naturalmente, accarezzai con il pollice la sua mano. Con l'altra, tastai il giubbotto di pelle dietro di me e presi il pacchetto: tirai fuori una sigaretta e poi glie le offrii. Lui ne prese una, così accesi la mia e gli porsi l'accendino. Il piede si agitava.

Espirai profondamente, fino a svuotare tutti i polmoni e poi mi sistemai sui gomiti.

" Avevo sette anni.. - lui si stupì, ma ritornò in se, assumendo di nuovo quell'espressione dolce che metteva una pace spaventosa dentro di me, calmandomi. - mio padre fu il mio primo insegnante, il mio eroe" dissi, volgendo lo sguardo verso il soffitto, sovrappensiero. Ricordavo quei tempi come se ancora fossero lì accanto a me, ma non lo erano. Pensai che il mio cuore non aveva faticato molto del dirglielo; gli aveva permesso di sapere.

Sorrise, allungando una delle fossette ai lati della bocca. Poi annuì e mi lasciò continuare. Volevo davvero farlo?

" Poi cambiai vari maestri, ed eccoci qui " dissi risoluta.

" Hai mai suonato in pubblico? "

" Certo, quando si tenevano i saggi, ma nessuno mi ha mai notata. Non era destino si vede"

Lui mi scrutò; era pensieroso, ma impassibile. Se avessi dovuto dire con certezza a cosa stesse pensando, non avrei saputo davvero cosa dire. Era indecifrabile, ma probabilmente perché non ero stata abbastanza attenta e scaltra per capire a cosa stesse pensando. Per dedurre quale fosse la prossima domanda.

" ..Quando hai smesso?"

Un altro colpo, dritto lì, dove c'era il vuoto. 

Ispirai, gli occhi mi bruciavano.

" .. Sono quasi quattro anni che non tocco un pianoforte"

" Lo ricordi con precisione, è un buon segno…"

" Un buon segno per cosa? Non ho alcuna intenzione di ricominciare se è questo che intendi "

" Perché provi così tanto odio? Sembra quasi come se odiassi questo strumento, che invece potrebbe darti molto di più di quello che ti aspetteresti di ricevere"

" Io non provo odio " scandii bene. 

" Allora è rabbia" disse.

Io non risposi. Questo gli consentì di continuare ad insinuarsi nella mia persona. Spensi la sigaretta nel posacenere, schiacciandola fino a renderla irriconoscibile.

" È perché nessuno ti ha notata? " iniziò a dire. Sembrava che avesse davvero a cuore la mia causa persa. Ma perché, poi?

" Perché ti da tanto fastidio che io non suoni? "

" Perché hai smesso?" disse di nuovo, guardandomi fisso, riducendo gli occhi ad una fessura. 

" Perché sono morta dentro " esplosi.

Lui mi guardò, esterrefatto, consapevole che aveva esagerato. Consapevole di aver superato il limite consentito, di essere entrato nella foresta nera.

Lasciai una banconota che mi ritrovavo in tasca sul tavolino e prendendo in giubbotto uscii. I capelli davanti al viso. 

Non dovevo esplodere. Non dovevo esplodere. Non dovevo esplodere. Non davanti a lui. 

Il groppo in gola era ormai salito. Sentivo gli occhi pungenti, pronti anch'essi ad essere detonati.

 

Sentii David alzarsi e dopo qualche secondo fu dietro di me. Eravamo sul marciapiede; guardavo i blocchi di pietra grigi e scacciavo accenni di lacrime calde.

Sentivo il suo sguardo basso, che nonostante tutto continuava a tenere sott'occhio i miei movimenti.

" Mi dispiace.. Non avrei dovuto "

Per me era difficile parlarne, era difficile parlare di quello che era successo. Era uno scoglio troppo insormontabile da superare. Era come un coltello caldo che affondava senza ostacoli dentro il burro: mi uccideva con una lenta velocità.

" È difficile… " fu tutto quello che riuscii a dire. 

Della rabbia o della presunta arrabbiatura nei suoi confronti non era rimasta traccia: era con me stessa che ce l'avevo. Con qualcuno che si nascondeva dietro vetri, credendo che fossero specchi, qualcuno che rimandava l'affronto con la realtà creandosi vie alternative per aggirare lo scoglio e non andare a scontrarcisi nel bel mezzo di una tempesta.

Presi un respiro profondo e decisi di voltarmi, comportandomi come un'adulta una buona volta. 

 

" È una bella giornata.. Non voglio rovinartela.."

" Mi.. "

" Ti andrebbe di vedere il mio posto preferito? " lo interruppi.

Lui s'illuminò e mi posò una mano sul braccio.

" Con molto piacere, Desdemona" .


 

I lunghi giardini del Belvedere si estendevano e si perdevano quasi fino all'orizzonte. I sassolini di ghiaia bianca scricchiolavano sotto i nostri passi, muovendosi sotto le suole delle scarpe. Il verde riempiva i giardini della classica rigogliosità e pienezza primaverile, la rinascita.

Il sole si fece debole e come succede nei giorni variabili, il cielo si oscurò, mandando a benedire tutte le promesse dei i raggi caldi che scaldavano la pelle.

" Forse hai parlato troppo presto " disse lui osservando il cielo, piegando il collo all'insù. 

Lo guardai: era davvero indescrivibile. Ogni dettaglio al posto giusto, dettagli che si svelavano piano, ad ogni sguardo. Il mento e il naso rivolti verso l'alto, l'incavo degli occhi, le lunghe ciglia che disegnavano sagome nello sfondo grigiastro del cielo.

" Forse dovremmo sbrigarci a raggiungere il palazzo" 

Qualche secondo dopo esserci messi in marcia, dal cielo iniziarono a cadere le prime gocce leggere di pioggia, rarefatte e poi sempre più concentrate, fino a diventare davvero grandi. 

" Ok - disse coprendosi come meglio poteva. Si tolse il giubbotto e me lo offrì- inizio seriamente a pensare che tu sia una sorta si strega "

" Forse sono solo una meteorologa mancata " dissi.

" Per carità ! Sarei il primo a non ascoltarti " scherzò.

" Ti ringrazio " dissi, indicando il suo giubbotto. Era impregnato dal suo odore, finalmente lo avevo ritrovato. Ricordai di averlo già sentito, ma mai distinto. 

" Non c'è di che " disse con un sorriso. Si coprì la testa e con un braccio mi cinse leggermente le spalle, accompagnandomi. 

" Dai, sbrighiamoci " disse, e iniziammo a correre verso la porta d'entrata.

 

...Let it rain, let it rain, let it rain into my heart.. 



Una volta entrati si scostò ed entrambi ci sistemammo come meglio potevamo. 

Avevo i jeans neri ancora più scuri, totalmente bagnati dalla pioggia. Fortunatamente la maglietta si era salvata grazie al giubbotto di pelle. 

 

Iniziammo il giro e salendo le scale ci recammo al primo piano. Quel posto era davvero uno dei più belli di Vienna, e per me era il più bello in assoluto. Aveva arredi antichi, mobili in legno pregiato e marmo ovunque. Il pavimento scricchiolava in alcuni punti delle stanze, dove fiumi di persone avevano camminato prima di noi. È strano, ma a volte penso alle persone che sono state o si sono trovate in un luogo, molto tempo prima di me; penso agli oggetti che hanno posseduto, che hanno toccato o anche semplicemente alle cose che hanno visto, come queste stanze o i giardini del palazzo, e mi viene un senso di malinconia incurabile. La nostalgia per un passato mai neanche vissuto, ma solo visto nelle fotografie. Il mondo che cambia e che conserva nei suoi abissi quello che ha visto. A volte vorrei essere il mondo e vedere come sono andate le cose. 

 

Alcune delle sale erano loro stesse delle opere d'arte con decorazioni in oro, e servivano solo da passaggio tra un'esposizione e un'altra. Vedemmo molti quadri, capolavori inestimabili che stanchi posavano per essere guardati, rimanendo quasi completamente immutati.

Dalle finestre notai che il sole ora stava splendendo, seppur debole, nel cielo che solo pochi minuti prima era stato tempesta. Lui guardò nella mia stessa direzione:

" Ma anche la tua amica s'inzuppa ogni volta che esce con te? "

" Più o meno "  dissi ridendo. 

Era una bella sensazione, poter stare bene con lui in quel momento. Mi sentivo più leggera.

" Allora, lo hai mai visto? "

" Che cosa? "

" Il bacio. Dicono che sia davvero meraviglioso "

" Ah già, il Belvedere è famoso per questo quadro.. Però non c'è solo questo, sai? Qui ci sono alcuni dei miei quadri preferiti "

" Posso indovinarli? " mi chiese posandosi una mano sul mento.

" Non credo ci riuscirai " scossi la testa.

" Mi sottovaluti, ragazza "

" Allora provaci, quando lo vedrò non ti dirò niente, come con tutti gli altri. Vedremo "

Sorrise. 

" Eccoci "

Intanto eravamo arrivati alla sala dov'era conservato Il Bacio: da quanto ricordavo, era riposto in una teca di vetro, a doppio fondo. C'era un po' di fila davanti a noi, tanto da non riuscire neanche a vederlo.

" Sei già stata qui, vero? " 

" Si, due o tre volte. È un posto affascinante " affermai, guardandomi intorno confermando ciò che dicevo.

" Abiti da molto qui ? Sai, lo percepisco dall'accento.. Non sei di queste parti "

" Da qualche anno. C'è qualcosa che non sai di me? " dissi arrossendo lievemente.

" Non so quasi nulla di te " 

" Ti sbagli, sai molte cose… Più di quante ne abbia dette da quando vivo qui "

Era incuriosito, lo percepivo, nei suoi occhi che si crucciavano.

" Sono io a non saper nulla di te " dissi spostandomi da una gamba all'altra.

" Che cosa vuoi sapere? "

" Perché hai scelto il violino? "

I suoi occhi s'illuminarono, ma sembrò in imbarazzo.

" Sai, quando ho iniziato non l'avevo preso sul serio.. Con gli anni mi sono..come innamorato. Il suo suono è dolce, come invece stridulo a volte: ma nelle note acute è come se ci fosse qualcosa di estremamente intimo e nostalgico, che trasforma anche i brani più gioiosi in qualcosa di più profondo, in un esperienza molto più radicale. Adoro il modo in cui si suona questo strumento inoltre, perché è praticamente al di sopra del tuo cuore e chinandoti su di esso è come se gli parlassi, come se gli confidassi i tuoi segreti più profondi.Quando lo suono è come se qualcosa di viscerale mi attraversasse… anzi, parte da me, dalle mie dita e di espande nell'aria. Poi avverto vibrare la nota da sotto il legno, misto al suo profumo: è come una voce che ti parla nella notte "

" È il tuo elemento. Lo hai scelto inconsapevolmente, o forse così credi " dissi. Mentre parlava si toccava i capelli, scostandoli dietro un orecchio. Poi giocherellava con la collana che gli pendeva sul petto. Notai solo allora che la pioggia non aveva risparmiato neanche lui.

"Non so come sarebbe andata se avessi scelto di suonare qualcos'altro: forse è stato destino. Ma probabilmente avrei rinunciato dopo poco. So solo che quando suono, riesco a trovare l'armonia perfetta: non m'importa più di chi mi sta davanti, dei problemi, dei difetti. Quando suono riesco a vedere l'aura della mia anima, e riesco a vedermi come davvero mi sento dentro "

" Senza maschere " aggiunsi sovrappensiero.

" Già…" continuammo a guardarci per qualche secondo e poi, come se fosse stato un gesto incontrollabile ed autonomo, allungai la mano fino al suo volto, avvicinandomi con un passo. Lui tentennò, non riuscendo ad afferrare quello che avessi intenzione di fare.

Posai le dita sul suo mento e nel momento in cui lo feci, una pioggia di fuoco esplose dentro di me; sentivo la pelle bruciare, di nuovo. Accompagnandolo con la mano, gli voltai delicatamente il viso verso l'alto riuscendo così a vedere il lato sinistro del collo: era roseo, liscio, senza alcun segno sospetto. 

Lui appena capì sorrise.

" Per fortuna sapevo cosa sarebbe successo, così ho preso precauzioni "

" Vedo che sai il fatto tuo " constatai.

" Non mi andava di portare la sciarpa per tutta la vita per nascondere quel segno " risi.

" Neanch'io ce l'avrei fatta -dissi - Guarda! Ci siamo.."

Ci avvicinammo in punta di piedi, quasi a non volerlo disturbare; quasi come se quella tela e quei colori avessero vita propria. Entrambi lo osservavamo dalla stessa postazione, l'uno accanto all'altra.

" Sai, - iniziai - quello che mi colpisce di più del suo stile, è la capacità di incorporare tante varianti così diverse, in ogni quadro "

" Lo stile di Klimt è inconfondibile, diverso da ogni altro. Va completamente per i fatti suoi.. Mi piace "

" Anche a me.. Sembra disperato, tanta è l'intensità che c'è dentro "

David si spostò facendo piccoli passi, e si posizionò dietro le mie spalle : sentivo il suo respiro sul collo scoperto, dove prima d'essere raccolti ricadevano i capelli. Il suo profumo ora permeava il mio spazio e s'infondeva ai miei sensi, annebbiandoli, nutrendoli di quella melodia. Non riuscivo ad individuare cos'era. 

" Si baciano come se fosse l'ultima volta.. come se fossero destinati a non incontrarsi mai più e si concedessero un ultimo momento prima della fine. È interessante il modo in cui la tristezza possa essere bella, quasi soave " si avvicinò ancor di più, sfiorandomi il collo chinandosi col naso, annusandomi piano.

" Hai un buon profumo " disse a bassa voce. Cercai di non muovermi, lasciando che la mia mente imprimesse nel profondo quella meravigliosa ma allo stesso tempo inaspettata sensazione. Era come se nell'aria aleggiasse un segreto che non doveva essere svelato. Doveva appartenere solo a noi, a noi soltanto. Come se in quegli istanti il mondo non esistesse.

" Anche tu.. " dissi con voce flebile, quasi inudibile. Lui però riuscii a sentirmi e mi accorsi che stava sorridendo dietro di me. 

Mi osservava, mantenendo gli occhi bassi, riuscendo quasi ad udire i battiti del mio cuore.

" Vieni, usciamo ".

 

 

Ci guardavamo, ancora e ancora. Passeggiando per i giardini i nostri occhi si scambiavano sguardi complici, curiosi, accesi da una passione latente.

Ci sedemmo su una panchina all'aperto, dal colore muschiato alla base : ormai il sole era tornato a spendere alto nel cielo, e stavolta speravo che non sarebbe sceso giù il mondo di nuovo come prima.

 

Prima di sedersi, tirò fuori un libro dalla tasca posteriore dei jeans e se lo sistemò vicino per evitare di bagnarlo sedendocisi sopra.

" Le braci " lessi storcendo il collo da un lato. Era quasi arrivato alla fine, lo si vedeva dal segno d'usura con cui erano segnate le pagine sul fondo.

" Si, lo conosci? "

" Non è la prima volte che sento questo autore, però no, non l'ho letto " lui annuì.

" È ungherese, poco conosciuto suppongo. Aspetta, tu lavori in una libreria, giusto? Ieri sera la tua amica.. "

" Si, ci lavoro mezza giornata "

" Ti piace? " disse facendosi scuro in volto, distogliendo il suo sguardo dal mio per la prima volta. Ora guardava dritto davanti a sé, perdendosi tra le siepi. I raggi del sole che filtravano tra le ciocche dei capelli, facendo brillare i pigmenti su tutta la loro lunghezza.

" Molto.. - dissi non capendo da dove venisse il suo disturbo- Scusa se te lo dico, ma è una reazione strana questa per uno a cui piacciono i libri " tornò su di me e si girò con tutto il corpo poggiando il libro sulla panchina distrattamente e una gamba su di esso. Avvicinandosi.

" Non riesco a capire come ti basti vendere libri per essere felice.. È più forte di me "

" Non ho mai detto di essere felice " ora distolsi io lo sguardo che vagò alle sue spalle e poi sulla sua spalla, ritornando al suo volto. 

" Suonando potresti esserlo… " disse quasi vergognandosi. Percepivo la sua paura di potermi ferire di nuovo, in qualche modo.

" Non credo.. Il tempo cambia le cose, le persone. È vero - dissi, guardandolo negli occhi, senza paura- un tempo mi rendeva felice, mi faceva stare bene, ma quel tempo è finito "

Abbassò lo sguardo e posò la sua mano sulla mia; la studiò con cura e poi mi carezzò la guancia con una dolcezza che mi parve calda e rassicurante come il calore del sole. Mi persi in quel tocco, lasciandomi andare tra la sua mano.

" Ma cosa ti ha ridotto così.. " disse retoricamente. Sembrava starci male davvero. Sembrava davvero preoccupato per me.

" La vita " risposi, e non c'erano esitazioni in quelle mie parole, ma solo un'estrema consapevolezza di che cosa stessi parlando.

 

Il suo cellulare irruppe nel discorso e lui lo tirò fuori dalla tasca. Lesse il display e disse:

" Scusami un secondo, a questa devo proprio rispondere " 

" Fai pure, non preoccuparti " dissi e lui s'incamminò percorrendo qualche metro con il telefono in mano. Non riuscivo a sentire quale fosse l'argomento della conversazione ma sospettavo fosse una telefonata di lavoro. 

' Certo che sarà fantastico fare ciò che più si ama come lavoro ' pensai.

Mi guardai intorno, dondolando le gambe dall'alto al basso e poi presi in mano il libro. Lo aprii e sfogliai le prime pagine lentamente e poi ne odorai la carta : avevo sempre amato farlo, l'odore era una delle cose più belle che potesse darti un libro. Su quelle pagine si percepiva leggermente la presenza del suo odore, dell'odore di David; ero sempre stata convinta che sulle pagine rimanesse la traccia del lettore.

Quando tornò mi guardò con espressione dispiaciuta.

" Era il mio manager; purtroppo dobbiamo rivedere dei dettagli, ma speravo di poter passare un altro po' di tempo in tua compagnia, invece bisogna proprio che io vada. La macchina è già qui fuori "

" È il tuo lavoro, devi curarlo. Guarda, - mi alzai stropicciandomi i jeans- non preoccuparti, davvero "

" Mi dispiace di dover anticipare, a dir la verità mi secca un bel po'… Posso almeno offrirti un passaggio questa volta? " sorrisi.

" Resto qui un altro po', ma tu vai.. Avrai mille cose da fare " 

Si avvicinò, sempre di più, fino a ritrovarmi a venti centimetri dal suo volto.

" Sicura? " disse, accompagnando le parole al movimento delle palpebre.

" Si " risposi, quasi con affanno. Mi mancava l'aria quando lo avevo troppo vicino. 

" Allora ci salutiamo qui " dedusse con un velo d'amarezza.

" Non è un addio.. - dissi per spezzare il muro di malinconia che era calato giù- Ti prometto che verrò a vederti la prossima volta che suonerai a Vienna " 

" Mi farebbe felice - disse con un filo di voce. Non aveva mai staccato gli occhi dal mio volto, guardandomi a momenti alterni le labbra e gli occhi - Non ti ho detto una cosa "

" Cosa? " chiesi curiosa.

 

L'odiosa suoneria del mio cellulare risuonò tra i nostri corpi e lui si fermò. Tirai fuori l'aggeggio e vidi che era mia madre. Feci segno che dovevo rispondere e lo avvicinai all'orecchio.

" Mamma, ciao " dissi con voce irritata.

" Stanotte ti ho sognata… " disse, incapace di trattenersi. Il mio sguardo saettò su di lui. Mia madre continuava a parlarmi dall'altro capo del telefono, ma non ascoltavo neanche una parola.

" Avevi un vestito blu, ed eri bellissima " nello stesso momento in cui lo disse il suo volto cominciò ad allontanarsi dal mio fino a restituirmi una piena visuale della sua figura.

Quelle parole mi sconvolsero. Con una mano tenevo ancora attaccato all'orecchio il cellulare, mentre guardavo David allontanarsi. Non mi diede il tempo neanche di elaborare quanto mi aveva appena detto che stava già andando via.

" Buona fortuna " mimò con le labbra rivolgendomi un ultimo sorriso. 

" Anche a te " dissi allo stesso modo.

 

Lo vidi allontanarsi fino alla fine della siepe e poi sparire dietro di essa. Dunque era così, lo avevo visto andare via , probabilmente per sempre. All'improvviso il groviglio che avevo dentro iniziò a farmi male, attanagliandomi: avrei avuto voglia di abbracciarlo, di risentire il suo odore ancora, per l'ultima volta, inondarmi il viso. Mi sentivo frastornata, confusa al punto tale da rendermi conto delle urla preoccupate di mia madre solo quasi un minuto dopo.

 

" Si, mamma ci sono " dissi, sedendomi, con il morale sottoterra.

" Com'è il tempo lì? " disse.

" Nuvoloso, ha piovuto. Ora c'è il sole, fa caldo " non mi accorsi che ogni affermazione stonava largamente con la successiva. Ma d'altronde era vero: quel giorno era tanto confuso quanto lo era la sottoscritta.

" Oggi sei strana, più del solito "

" Grazie, mamma " la ringraziai facendo una faccia acida e scocciata. Accavallai le gambe e poi lo vidi: il libro di David era rimasto per tutto il tempo sulla panchina; lo aveva dimenticato lì. 

Lo presi in mano e lo girai tra esse sfogliandolo, avvertendo di nuovo il suo odore venir fuori dalle pagine. Il groviglio nello stomaco si strinse. 

 

" Come stai ? " mi chiese con voce amorevole, calma, come se sapesse già cosa le avrei risposto, le parole esatte.

" Bene " mentii.




Note:

Non aggiorno praticamente da secoli. 
Avevo dimenticato questa storia, mi è giusto tornata in mente quando l'altro giorno c'era David in tv.
Spero piaccia, buona continuazione.

Ringrazio chi commenterà e chi leggerà soltanto. 

 

  
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