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Autore: kuutamo    27/11/2016    1 recensioni
[David Garrett]
[David Garrett]Infondo eravamo tutti dei poveri esserini rotti, bambole di porcellana con le guance in cocci e il cuore strappato, ognuno che combatteva contro il suo demone, il suo male.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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" Allora ci vediamo prima del Life Ball, mi raccomando se hai bisogno chiamami e ti manderò qualcuno " 

" Dai, non ti preoccupare, è una città tranquilla e poi sai che so mantenere un profilo basso, non avrò problemi "

Misi sulle spalle la custodia e aggiustai il cappello.

" David? "

" Si? "

" È una cosa seria..? Voglio dire, hai già perso la testa? "

" Forse " mi voltai e feci per andarmene. Un sorriso mi spuntò spontaneo.

" Non la illuderò, se è questo che ti preoccupa "

" Bene " sopirò soddisfatto. Lo sguardo impenetrabile, le rughe d'espressione distese.

" Ci vediamo quando arrivi allora, nel weekend "

" Ci vediamo ! " mi salutò con la mano e ognuno andò per la sua strada. Salii in auto e mi diressi all'aeroporto. 

 

Gli edifici scorrevano veloci ai lati disegnando linee confuse, sfumando i volti delle persone avvolte nei propri pensieri. L'aria condizionata iniziò a circolare nell'abitacolo e subito si rinfrescò creando dislivello con il calore del finestrino.

 

' Chissà cosa fa in questo momento, forse sarà a lavoro ' pensai tra me e me. Mi ero sorpreso più e più volte ad interrogarmi sulla sua giornata, intento a curiosare e ad immaginarla mentre faceva le cose di tutti i giorni.

A volte mi chiedevo se la stessi illudendo, se ci stessimo illudendo per bene entrambi. D'un tratto proiettai nella mente quello che avevo appena risposto al mio manager, e mi chiesi se fossi stato davvero sincero. La verità era che non lo sapevo, non sapevo che cosa c'era di preciso tra noi. Non sapevo come chiamarci, definirci. Nessuno dei due lo avrebbe voluto: sapevo che era difficile, che lei non era abituata a quella situazione. 

Dentro di me sentivo un forte bisogno di averla accanto, ma non glie lo avrei mai chiesto. Non avrei potuto chiederle di sacrificare la sua vita, quello che sembrava essersi costruita con le sue sole forze, lontana da tutti. Questa mia determinazione mi feriva, ma dall'altro lato mi gratificava il fatto che fosse la cosa migliore per lei. 

Infondo mi avrebbe dimenticato, lo speravo. Forse non completamente, ma lo speravo. Non potevamo continuare a lungo, e lo sapevo, ma adoravo cullarmi in quell'incertezza. Uno stadio dolce e neutro, che presto sarebbe finito. Ne ero consapevole.

Non sapevo cosa sarebbe successo una volta che l'avrei rivista ma la mia mente iniziò a farmi scorrere davanti agli occhi quei pochi ricordi che avevo di lei, suggerendomi cosa sarebbe accaduto. Sapevo così poco di lei, neanche il suo cognome. Era.. sfuggente, come i suoi capelli. I suoi capelli rossi, rosso scuro, quasi neri al buio quando non c'era luce. Ricordavo il suo odore delicato, ma qualche volta avevo come l'impressione di avvertire che il ricordo del suo volto svaniva. Avevo una paura assurda che svanisse del tutto, si dileguasse come nuvole. 

 

C'erano momenti in cui la mia vita mi piaceva di meno, nei quali lo sconforto mi avvolgeva completamente. Un senso di mancanza, di una mancanza nella mia esistenza. A volte m'illudevo di vivere solo della mia musica come un perfetto idealista romantico, o che come Rimbaud prendeva il suo sacco in spalla e viveva all'aria aperta con i propri sogni a fargli da stelle nel cielo notturno.

Sentivo la mancanza di calore. 

Adoravo il mio lavoro, che non era un vero e proprio lavoro poi ma una passione, la mia personale ragione di vita. Il mio cuore però iniziava a stancarsi di tutta quella solitudine, rifiutava la miserabile condizione di essere perennemente solo in una camera d'albergo. Era come avere una doppia personalità a volte.

Cos'era quel tremore che avvertivo fin nelle viscere? Potevo curarlo con note di violino? Ci avevo sempre provato; speravo che avrebbe funzionato anche stavolta.

 

Mi voltai verso la città: si stava incupendo, diventava bruna. Ormai il sole se n'era andato, ma sarebbe tornato e io sarei perfino riuscito a vederlo alcune ore prima. 

L'aereo si preparò alla sua corsa sfrenata che precedeva il decollo: era un momento che adoravo, poteva disturbare la maggior parte delle persone perché sembrava che stesse per succedere l'irreparabile, ma io avevo sempre pensato che il brivido che si provava in quel momento era impagabile; era qualcosa di puro e primordiale, forse paura, qualcosa che mi spingeva in alto nel vero senso della parola, che ti dava il vero senso del volare. 

 

Rovistai nello zaino a spalla e trovai due libri: avevo ascoltato il consiglio di Desdemona e all'aeroporto prima d'imbarcarmi mi ero fermato a leggere i titoli disponibili. Ce n'erano vari, da quelli per teenager ai romanzi rosa per signore e poi vidi la sezione fantascienza. Scelsi un libro sull'alpinismo: cinquecento pagine, neanche mezza figura e tanti nomi incomprensibili di cui non avrei capito nulla erano la miscela magica per assicurarmi lunghe ore di sonno. Senza togliere nulla agli appassionati, era solo questione di gusti e quello era forse il libro più lontano dal mio mondo.

Me lo poggiai sulle ginocchia e controllai l'altro: aveva una copertina un po' sgualcita ai lati, la carta lì formava angoli ondulati. Ero a buon punto, quasi alla fine, ma d'un tratto mi venne voglia di rileggere tutto d'accapo. Sfogliai le prime pagine, guardai l'anno di pubblicazione e l'edizione e poi andai avanti a caso proseguendo fino al segno che avevo lasciato. Voltai l'ultima pagina e proprio al centro, lontano dall'orecchia, c'era un lungo e sottile capello ramato; i suoi riflessi scintillavano sotto la luce debole e stantia. 

'Desdemona' 

Sorrisi, inconsapevolmente pensando a lei. 

Poi quasi come se fosse un istinto naturale, mi portai il libro vicino alla bocca e ispirai profondamente, gli occhi socchiusi. Sulle pagine ruvide al tatto aveva lasciato una minuscola traccia di sé che sarebbe presto svanita: c'era un accenno del suo profumo alla vaniglia ma solo in quel punto, poi, più niente. 

Mi scostai lentamente pensando a come fosse metaforica quella piccola sua presenza. Rivolsi lo sguardo fuori, al cielo, dove la luce cupa accarezzava le nuvole dissolte; il buio veniva fuori, spargendo i suoi colori scuri come in un quadro di Van Gogh e io vidi i suoi occhi risplendere tra le stelle ancora opache all'orizzonte.

Me la sarei mai tolta dalla testa? Infondo vi era entrata così velocemente… Avrei potuto provarci, ma le possibilità di un risultato immediato erano vane. 

Dopotutto era da lei che stavo andando. 

 

 

Finalmente un'altra lunga e calda giornata era finita e di lì a pochi minuti sarei potuta tornare a casa, camminare scalza e buttarmi sul divano a vedere un film, che per quanto potesse essere noioso mi avrebbe distratta e dato un'occasione in più per crollare sfinita ed addormentarmi subito. 

Avevo pensato di passare del tempo con Jaqueline nel fine settimana, così non avrebbe più detto che ero come una monaca di clausura. 

" Signor Christiensen io vado, passi una buona serata "

" Anche tu cara, ci vediamo lunedì. E mi raccomando, divertiti " disse sorridendomi.

Ormai la Jaquelinite aveva contagiato anche lui, inspiegabilmente stava iniziando ad assomigliare alla mia amica per alcuni tratti: mi esortava continuamente a divertirmi, alludendo al fatto di uscire probabilmente. Mi ero arresa, e quindi cercavo di depistare anche lui, vestendomi di un ampio sorriso ogni volta. 

 

Uscii dal negozio mentre il capo iniziava a spegnere tutte le luci. Quella sera c'era un cielo magnifico, bagnato di rosso e linee arancioni, ma nonostante ciò una leggera pioggia ricopriva gli edifici con una cappa. Ovviamente, appena fui fuori iniziò a piovere più forte : avrei dovuto avere un ombrello nella borsa, ma forse lo avevo tolto quando le brutte giornate sembravano esser finite. Mentre frugavo tastando ogni sorta di equipaggiamento nella mia borsa mi sentii chiamare:

" Desdemona … " conoscevo quella voce. Mi voltai, e vidi un uomo seduto su una valigia nera, che si copriva con uno zaino alla meno peggio. Vidi lui. Cosa diavolo ci faceva qui David?

" Ma che…? " le parole rimasero sospese e mi avvicinai a lui a passo svelto, lui si alzò; mi sembrò di volare.

Mi prese dalla vita e le nostre bocche s'incontrarono come se sapessero ormai la strada e non ci fosse nulla che potesse impedir loro di ricongiungersi.

 

….Let me kiss you hard in the pouring rain ..

 

La pioggia mi bagnava i capelli appiattendoli sulle tempie, scrosciando sui nostri volti. Ma a noi non importava. In quel momento credo che il mondo intero fosse divenuto cenere ai nostri occhi, come se si fosse dileguato insieme ad una nuvola. C'erano solo i suoi baci, le sue carezze, le sue mani che mi tenevano stretta a lui come non mai, il calore del suo addome che si sprigionava dentro di me e mi riscaldava. In quel momento capii che non c'era posto più sicuro al mondo, di quelle braccia. E proprio in quegli istanti, mi vennero in mente quelle parole che erano diventate come un comandamento per me.

 


Scesi piano dalle punte dei piedi, prendendogli il viso tra le mani.

 

" C'incontreremo sempre sotto la pioggia, lo sai? È destino " disse lui mantenendo lo sguardo basso.

" Cosa ci fai qui? - lo abbracciai, il volto contro il suo petto e la sua t-shirt inzuppata, ma non m'importava. - Non è uno scherzo della mia mente, vero? "

" No, no. Sono qui per davvero Desdemona - mi prese le mani allontanandomi dall'abbraccio - So che non dovrei dirlo, ma mi sei mancata.. " sorrisi.

" Vieni, leviamoci da questa dannata pioggia. Vieni con me, voglio portarti in un posto " . 




Note:

Credo passerà altro tempo prima di aggiornare da questo punto in poi. Non posso promettere niente, per quello che vale.

Ringrazio chi leggerà e commenterà questo capitolo. 

 

  
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