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Autore: Levi01Ackermann    27/11/2016    0 recensioni
"Cosa posso fare? Cosa mai può fare un bambino che non sa nemmeno parlare?"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La decisione finale

Ho vissuto una vita dolorosa e piena di solitudine. Ho perso la capacità di parlare quel giorno, quando i miei genitori furono uccisi, assassinati. Ero l'unico figlio della mia famiglia. Furono uccisi il 21 Febbraio, il giorno del mio compleanno. Ero in cucina, ad aspettare che la cena fosse pronta. Un rumore dall'ingresso, poi, vidi mio padre che veniva gettato a terra con violenza, mia madre spaventata, gli assalitori con delle maschere bianche addosso e i vestiti neri. Poi, il luccichio di una pistola, no, di tante pistole e il rumore sordo dello sparo e delle pallottole che si conficcavano nella carne. Mia madre che urlava “Dan, corri via! Scappa!” e mio padre inerte per terra, in un bagno di sangue. Le mie mani erano ricoperte di quel sangue. Le ultime parole di mio padre mi riecheggiavano nella mente “Corri e vivi, Dan! Vivi anche per noi!” sentii dell'umido sulle mie guance, lacrime. Il rumore di un altro sparo, mia madre che cadeva. Un dolore sordo nella nuca e poi fu buio.

Quando mi svegliai, ero sdraiato e legato con catene. Il corpo che doleva, la testa che sanguinava. Vidi un coltello, una pistola e degli strumenti. Poi, un dolore alla gamba destra, mi avevano infilzato con un coltello. Gli assalitori che ridevano mentre mi torturavano. Il rumore di qualcuno alla porta e gli assassini che scappavano. Mi avevano liberato ma ero scappato, senza sapere il volto del mio salvatore. Ho corso più che potevo, senza voltarmi, correvo per la paura, per il dolore. L'odore fresco della pioggia riempiva l'aria e la gamba che pulsava riempiva la mia mente. Tutto si confuse, caddi e di nuovo buio.

Mi svegliai che era già mattina. Il sole alto e caldo che mi bruciava gli occhi. Mi alzai ma la gamba mi faceva male. Mi aiutai con le braccia e mi trascinai verso casa. Trovai i corpi dei miei genitori sdraiati che guardavano in alto e li abbracciai 'Perché è accaduto tutto a noi? Perché?' dissi, disperato. Poi cercai in giro tra le poche cose rimaste finché non trovai le bende e il disinfettante nel cassetto delle emergenze. Mi curai, faceva male, bruciava, la ferita continuava a sanguinare. Tornai e presi i corpi dei miei genitori e li abbracciai di nuovo, un addio. Andai in giardino e iniziai a scavare, sempre più in profondità, presi i corpi e li gettai insieme nella fossa “Addio, madre, padre, vivrò, per voi, ve lo prometto” dissi. Ricoprii il buco e ritornai in casa, nella mia camera sotto sopra. Il mio armadio era rotto e il letto tagliato. Presi una valigia e ci misi i vestiti che trovavo ancora utilizzabili, presi una foto della famiglia e del cibo. Lasciai la casa e camminai verso la città. Era troppo pericoloso vivere lì. Da allora, sapevo che la vita non sarebbe più stata come prima.

Erano passati cinque anni da quando era accaduto e da cinque anni non parlavo. Vivevo per strada e l'incidente era ancora vivo nella mia mente come se fosse ieri. Andavo in giro per la città, tra i cassonetti della spazzatura per cercare del cibo e un giorno, incontrai una ragazzina, no un ragazzino, lo stesso che incontravo sempre. Un bambino forse più piccolo di me che mi guardava curioso. Aveva occhi verdi come smeraldi e capelli di sfumature tra il biondo e il marrone. Indossava pantaloncini marroni, una camicia a maniche corte bianca e un cappello nero. Lo ignorai e tornai dove ero ma il bambino mi stava seguendo. Volevo chiedergli 'Perché mi segui? Perché sei così curioso?' ma, come ho scritto prima, avevo perso la capacità di comunicare. Poi, all'improvviso, mi si era avvicinato e mi chiese una cosa che non mi sarei mai aspettato “Vuoi venire a vivere da me?”. Pensai fosse matto ma siccome non sapevo dove andare ed ero in pessime condizioni, accettai.

Quando arrivammo, vidi una villa gigantesca, con un bel giardino pieno di fiori colorati. Ricordai la casa dei miei nonni, con i miei genitori ancora vivi e la nonna, seduta su una sedia a cucire. Io che giocavo con mio cugino e lo zio che sorrideva. Purtroppo, loro vivevano in un altro paese e non sapevo neanche se erano ancora vivi, quindi non potevo raggiungerli. Sentii le mie guance umidificarsi e un sapore salato, stavo piangendo. Vidi due signori sul balcone e per poco mi illusi fossero i miei genitori. Quando li guardai meglio, erano molto diversi. La donna aveva capelli castani come la terra appena bagnata e gli occhi erano azzurri come il cielo, le guance leggermente rosee come i petali di rosa. Indossava un lungo vestito color lavanda. L'uomo invece aveva i capelli color oro e gli occhi marroni come castagne. Indossava un completo marrone, la camicia bianca e la cravatta mezza sciolta. Sembravano felici e giovani. Quando entrai, avevano fatto delle domande al ragazzino. Avevo paura di non essere accettato e feci per andarmene ma mi fermarono e mi accolsero. Mi fecero lavare e mi diedero dei vestiti nuovi e puliti ma non gettai i miei, erano quelli di mio padre. Quando arrivò l'ora di cena, mi fecero mangiare con loro come una famiglia e mi sentii felice. Quando salii in camera, il ragazzino disse di chiamarsi Shun e mi chiese il mio. Non ho parlato, non ho risposto, non riuscivo a dire qualcosa, ci provavo ma usciva solo un mugolio confuso. Allora, ho preso un pezzo di carta e una penna e ho scritto 'Dan'.

Sono stato in questa casa per più di due settimane e ogni giorno, ho giocato con Shun. Eravamo diventati grandi amici ma non ho mai parlato. Non ci riuscivo, anche se volevo. Mi aveva presentato ad alcuni suoi amici che cercavano di evitarmi. Dicevano che ero malato, pazzo, solo perché non parlavo mai. Molte volte, avevo pensato di uccidermi, magari se fossi morto, nessuno si preoccuperebbe e forse avrei potuto incontrare i miei genitori ma poi mi ricordavo della promessa che avevo fatto davanti alle loro tombe e allora, rinunciavo.

Questa famiglia mi tratta come se fossi uno di loro. Non facevano troppe domande es erano gentili con me. Ero felice e ho pensato 'Qui sarò felice per tutta la vita, non succederà niente di brutto. Madre, padre, vivrò una vita lunga e piena'.

Un giorno come tanti, i genitori di Shun andarono a lavoro e io sono solo con lui. Dopo qualche ora, sentiamo un bussare alla porta. Shun corre per aprire ma viene subito scaraventato. Io non capisco e vado a controllare. Vedo delle persone con una maschera bianca come quella di cinque anni fa e gli stessi vestiti neri. Porto Shun in salotto ma siamo troppo lenti e ci raggiungono. Cerco di fuggire dalla presa, gli tolgo la maschera e mi sento sconvolto. Mio zio. Il mio caro zio, padre del mio cugino preferito. Ho paura, ho paura per Shun, per me, ho paura di rimanere di nuovo solo. Lo zio parla e dice “Finalmente! Ti ho trovato moccioso, ora nessuno riuscirà a fermarmi, se muori, diventerò io il capo della famiglia!”. Sono spaventato dal suo viso, dal suo ghigno perfido e lugubre. E si ripete. Tutto si ripete come cinque anni fa. Le pistole puntate su Shun e il suo sguardo spaventato, io che non faccio niente, immobile. Cosa posso fare? Cosa può fare un bambino che non sa nemmeno parlare? Poi, mi viene in mente. C'è qualcosa che posso fare. Corro, salto e mi metto davanti a lui, non voglio più perdere persone a me care, non voglio più essere da solo e poi, lo sparo. Accadde tutto in un lampo. Sangue, vedo sangue e mi spavento, guardo Shun ma sta bene e allora realizzo, quel sangue e mio. Le mie gambe cedono, cado e prima di perdere conoscenza. Sento Shun che mi regge e solo allora, mi ricordo della promessa fatta a lui. Qualche giorno prima, volevo ringraziare Shun per tutto quello che aveva fatto per me ma lui mi fermò prima che iniziassi a scrivere “Se vuoi ringraziarmi, devi dirmelo” mi aveva detto. Cerco di sforzarmi e finalmente, riesco a dire qualcosa, dopo tanto tempo “Addio Shun, grazie di tutto” e lo vedo piangere per poi scappare. Sorrido, non sono riuscito a mantenere la promessa fatta ai miei genitori ma almeno, il mio amico è salvo. Chiudo gli occhi e di nuovo buio ma ora, sono felice.
Dan

Il giorno dell'assalto ero corso via, con le lacrime agli occhi. In mente, avevo l'immagine di Dan morto, con un sorriso rivolto a me e le sue parole 'Addio Shun, grazie di tutto'. Aveva mantenuto la promessa fatta qualche giorno fa. Avrei voluto che si tenesse le sue ultime forze per sopravvivere, avrei tanto voluto che rimanesse al mio fianco come fratelli. Stavo correndo dalla polizia, gli avevo raccontato tutto ed eravamo tornati a casa. Avevamo visto delle persone uscire dalla casa, gli assalitori, con dei sacchetti in mano. La polizia li aveva fermati e li aveva arrestati. Io intanto ero corso da Dan, l'avevo scosso, avevo cercato di svegliarlo ma non si muoveva, era pallido e freddo. Ricordo che avevo pianto, che l'avevo abbracciato, che quando erano arrivati i miei genitori e avevano visto il cadavere di Dan, mi avevano abbracciato, anche loro addolorati. Dopo una settimana, il funerale di Dan. C'eravamo solo noi. Era il 21 febbraio, una giornata piovosa. Avevo pregato che Dan fosse felice anche dopo la morte. Dopo quello che era successo, non l'ho più dimenticato. Mi aveva salvato la vita.
Shun



Angolo dell'autore
Questa storia è ispirata da Game as Ned, un racconto scritto da Tim Pegler, un libro che adoro e che continuo a rileggere. Spero che la storia vi sia piaciuta. Per favore, scrivete che cosa ne pensate.

   
 
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