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Autore: FRAMAR    27/11/2016    29 recensioni
Quando Tyler partiva sembrava che l'estate finisse: niente più corse sulla spiaggia, passeggiate in bicicletta, nei prati, pesca notturna con la vecchia barca dove lui cantava le canzoni dei pescatori islandesi.
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Dedicato alle mie amiche Arianna e Francesca
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Vincitore premio "Ritornerà l'Estate"
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il ragazzo che veniva da lontano


 
Era così biondo che non si poteva guardarlo senza pensare a un campo di grano quando è giugno ed è ora di mietere. A me veniva in mente qualche volta anche il colore denso del miele della mia infanzia, che mi piaceva vedere colare giù dal cucchiaio in un lungo nastro dorato. Una volta avevo visto un quadro di un pittore francese, non ne ricordavo più il nome, e anche allora avevo pensato a Tyler, perché nella tela c’era una massa bionda e oro che sfumava in mille ombre e luci di un’unica tonalità. In più quel ragazzo aveva degli occhi chiari, ma di un strano grigio azzurro, dove potevano concentrarsi o impallidire le luci più intense in un gioco meraviglioso.

Una mattina infatti, mi ero accorto che la cosa mi attraeva maggiormente era rimanere a guardare gli occhi di Tyler che cambiavano di colore come il mare in una giornata di libeccio.  Vicino a tutto quel biondo dorato e a quella luce degli occhi chiari, Gianluca sembrava ancora più scialbo, non che lo fosse veramente, ma il suo incarnato pallido, i capelli e gli occhi castani, lo rendevano monotono alla sguardo, stabilendo tra lui e Tyler lo stesso rapporto che può esserci tra un televisore a colore ed uno in bianco e nero. Forse Gianluca si rendeva perfettamente conto di ciò e per questo seguiva quasi sempre in silenzio la compagnia, sorridendo solo di tanto in tanto e scoprendo di dentini un po’ corti senza troppa gioia.  Tyler invece rideva a gola piena, mettendo in evidenza una dentatura perfetta a mandorla, bianchissimo che sfavillava nel viso rotondo, dolcemente abbronzato. E il suo corpo…  Qui mi fermavo evitando di analizzare sensazioni e riflessioni. Avevo quasi un po’ paura di Tyler o di me stesso, che era poi l’identica cosa, perché la bellezza di lui aveva il potere di suscitarmi un insieme di pensieri così nuovi e sconvolgenti che forse erano troppo grandi per i miei anni e mi spaventavano, mi pareva di non reggerli.  Mi fermavo allora, guardandolo, allo stadio della beatitudine iniziale e cercavo di goderne nello stesso modo in cui godevo del vento o del sole, senza pensarci, troppo su, accettando la gioia che mi veniva, profonda, piena, assoluta.
Io e Gianluca, ci conoscevamo già da doversi anni. Ci ritrovavamo ogni estate al mare e giocavamo  insieme agli altri ragazzi del posto e ai villeggianti: erano i miei amici.

«Ragazzi , tra una settimana arriva mio cugino dall'Islanda», aveva trionfalmente annunciato Gianluca un giorno in spiaggia. Gli splendevano gli  occhi per l’entusiasmo che si era comunicato subito all'intero gruppo.

«Islanda? Quell’isola del nord con i vulcani e i ghiacciai?», domandò Filippo, che non aveva mai le idee molto chiare in fatto di geografia, ma stavolta ricordava perfettamente.

«Viene da Reikjavik», assentì Gianluca.  » Il padre è un lontano cugino di papà, industriale della pesca. Non fanno altro lì, non hanno altre risorse. I suoi lo mandano qui in vacanza per un mese».

«Com'è? Quanti anni ha? Viene da solo?» Ognuno chiedeva qualche cosa.

«Perché non ce ne hai mai parlato?»

Eravamo incuriositi dall'idea di questa nuova compagnia: Marta lo battezzò subito “Tyler dell’isola» perché le sembrava molto romantico e Filippo pensò bene di documentarsi sull'Islanda per non fare troppo brutta figura. «Che lingua parla?»

«Credo il danese, l’inglese e l’italiano, perché glielo ha insegnato il suo papà».

«Accidenti deve essere un pozzo di scienza!».

Fu una settimana piena di ansia. «Arriva?» «Quando?» Gianluca sapeva molte cose sul cuginetto lontano ma non ne sapeva abbastanza per soddisfare la curiosità di tutti.  Quando finalmente arrivò, non ne provò invidia, solo una specie di malinconia gli prese quando vide che tutti noi ragazzi e ragazze, non avevamo occhi che per Tyler e sembrava che ruotassimo come satelliti nell'orbita di lui.

Fu un’estate bellissima, esaltante. Tutti i ragazzi scoprivano un mondo ignoto o solamente sognato, attraverso i racconti  del piccolo islandese. Valanghe di grossi pesci che si agitavano nelle reti e venivano pescati con enormi solidissimi barconi, invasi da quella massa argentea guizzante che veniva sepolta nel ghiaccio. Getti di acqua calda che si innalzavano in spruzzi di vapori scaturendo improvvisi dal terreno. Paesaggi di neve e di gelo e brume fittissime si offrivano alla fantasia di noi ascoltatori. Tyler raccontava in un italiano ancora molto incerto della sua vita e del suo ambiente. Ogni tanto sfuggivano i vocaboli e scuotendo le dita li andava cercando con impazienza e allegria fino a che non lo sostituiva con due o tre vocaboli della sua lingua, rifiutando i suggerimenti degli altri. Allora tutti ridevamo al suo : «Capito?». Spesso la conclusione del racconto era affidata proprio a quei suoni strani e affascinanti che nel suo discorso erano particolarmente attraenti , anche se misteriosi.

Nulla piaceva a Tyler più del caldo sole e corse  e giochi in acqua e sulla riva finivano sempre con il riposo sulla rena, viso e corpo offerti al calore, con una solennità che sapeva di rito.»

«E’ molto carino. E’ gentile. Divertente.» Noi tutti ci rallegravamo con Gianluca per aver generosamente diviso la compagnia del cuginetto. «Tornerò», aveva  promesso Tyler, e tutti avevamo  aspettato con impazienza la nuova estate per la gioia di rivederlo.

Erano tre o quattro stagioni che lui ritornava ed era ogni volta più  bello, più morbido e sorridente. Non era più un ragazzino ma un giovane ragazzo consapevole dell’interesse che suscitava, deliziosamente civettuolo, a volte, sempre vivace e interessante. Quell'anno era più biondo che mai e a me pareva di non riuscire a vedere null'altro che lui, in un balenio di sole, di luce, in quel periodo che non avrei voluto avesse mai fine.

Eravamo andati in comitiva in gita fino a punta Corvo. Ci eravamo fermati a fare il bagno calandoci con cautela fra gli scogli irti di punte aguzze e intrisi dalla salsedine. L’acqua era calda e limpidissima: si vedevano  i merletti vellutati delle alghe ondeggiare attaccate cime festoni verdi  negli scogli e perfino la fuga di qualche pesce verso il fondo. Tyler si era sporto in avanti, aveva rischiato di cadere e io avevo avuto un brivido, mi ero gettato verso di lui con impeto, a trattenerlo. Lui si era voltato con un sorriso, di nuovo in equilibrio: «Paura? Per me?» Gli avevo stretto la mano con gratitudine, ma il suo sguardo mi era parso lievemente ironico. Avevamo continuato a tenerci per mano mentre saltavamo da uno scoglio all'altro, fino alla piccola spiaggia lunata, dove ci eravamo fermati.

«Tyler», avevo cominciato.

«Sii…», si era girato con un moto vivace del capo che gli aveva portato avanti la gran  massa dei capelli. Per un attimo il suo viso era rimasto coperto e poi era  riemerso perfetto e luminoso da quella nuvola bionda. Io ne  avevo avuto  voce e pensiero bloccati. «No, niente». Ancora un piccolo riso un  e uno sguardo tra l’affettuoso e ironico.

«Ci fermiamo qui?» Arrivarono gli altri, chiamando, ridendo. Ultimo Gianluca, con pacchi e borse per il picnic.

«Ti aiuto», gridò Tyler e corse verso di lui, lasciandomi in asso. Presi da terra qualche sassolino tra i ciottoli di cui la spiaggia era disseminata e li scagliai con rabbia sullo specchio limpido dell’acqua, più lontano possibile. Mi sentivo ridicolo e impotente davanti a lui e agli altri.

Filippo mi aveva dato un’amichevole manata sulla spalla.

«Dai non ci pensare troppo!», mi avevo stretto le labbra per non rispondergli male.

Come quella sera sulla terrazza  al mare, con una luna meravigliosa che inargentava l’acqua verso il largo e disegnava ghirigori sulla spiaggia dove il mare lasciava un alone umido: una serata da sogno, in incanto. Ballare con Tyler era stato splendido: Avevamo taciuto, poi io avevo cantarellato piano il motivo della canzone appoggiando il viso alla sua guancia.

«Non hai nostalgia della tua terra?»

«No, perché?» rispose lui vivacemente. «Sto così bene qui.»

«Con me», avevo osato.

«Con tutti voi, caro». Aveva sospirato lui tornando a toccarmi il viso con il suo, dolcemente. Io l’avevo stretto a me, deluso ma intenzionato a godere di quel lieve contatto come di una gioia da ricordare, come qualcosa di cui riempirmi il cuore di cui fare tesoro.

«Non essere troppo romantico, Claudio», mi aveva ammonito Filippo. Come se anche Filippo non fosse preso dal fascino di Tyler! Ma dovevo ammettere che certo io più di tutti ne sentivo l’attrattiva, in modo quasi magico, da incantesimo. Le altre ragazze e ragazzi erano che piccole ombre insignificanti intorno a me, anche gli amici quell'anno contavano molto poco: non c’era che lui, sempre.

«Gianluca, vorrei dirti una cosa.» Eravamo sdraiati sulla rena, lucidi ancora d’acqua, dopo il bagno. Quel giorno Tyler era a casa a preparare le valigie per il giorno dopo. Ci avrebbe raggiunti sulla spiaggia. E io avevo trovato il coraggio di parlarne con Gianluca, dopotutto eravamo stati amici. Ma avevo finito lì il mio discorso, perché il ragazzo mi aveva guardato con gli occhi dolci e tristi, e questo mi aveva messo in difficoltà.

«Non dormi nulla, Claudio, tanto lo sappiamo tutti, Tyler compreso».

Io volli reagire: «Ebbene, con ciò? Anche gli altri…», aggiunsi con voce più bassa. «Non so da che cosa dipenda». Mi sentivo mortificato.

«Tyler è bello, buono, gentile.  In più viene da lontano: ci affascina tutti indistintamente. E’ logico che succeda. Voi ragazzi siete tanto giovani: si sa bene come vanno queste cose».

C’era comprensione e saggezza nella sua voce, forse anche un filo di tristezza. Io non me ne accorsi, aggiunsi ancora pensoso: «Guarda, non m’importa neppure di diventare ridicolo».

«A chi dovresti apparire ridicolo? L’importante è non soffrire».

«Soffrire, perché?», risi. «E’ già così bello.»

Il giorno dopo Tyler partì. Ogni volta che lui se ne andava era come all'improvviso declinasse l’estate. Non più progetti e corse pazze sulla spiaggia, appuntamenti  nelle ore più impensate per la passeggiata in bicicletta o la pesca notturna con la barca del vecchio Nicola, con la quale tornavamo all'alba, su un mare grigio e trasparente mentre Tyler intonava nella sua lingua la canzone dei pescatori islandesi, con un velo di melanconia nella voce che si scioglieva nel riso gioioso dell’arrivo a terra. Le mamme si meravigliavano di vedere arrivare in orario  a pranzo e cena i loro ragazzi e addirittura vederli trascorrere le serate a casa, davanti al televisore, con aria annoiata.

«Ma non avete nessun programma, stasera?»

«Sono stanco. E poi si fanno sempre le stesse cose.» Il fatto era che il sole era impallidito e il mare aveva perduto un poco del suo azzurro agli occhi di tutti e in particolare di me, senza più Tyler.

Quello era stato l’ultimo anno. Filippo era entrato in Accademia.

«Proprio lui, così insofferente della disciplina: impossibile!»

Maria era alle prese con gli esami universitari, Margherita era fidanzata e sarebbe stata presto sposa. Le mamme sorridevano e mormoravano tra loro, con occhi di gioiosa speranza, parlandone. Gli altri ragazzi erano di nuovo lì, al mare, ma diventati più grandi da un’estate all'altra, così che mettevano soggezione, con quell'aria solenne, le prime barbe e i toraci robusti, da uomini fatti.

Io e Gianluca insieme, come al solito. Ma io ero inquieto e distratto. «Avrei voglia di fare qualcosa di diverso: non mi va questo tipo di vita».

«Che cosa vorresti fare», lui mi spiava, con premura. Sembrava  che il sole non riuscisse ad abbronzarlo quell'anno: rimaneva  un non so di pallido nel suo viso e una specie di lucido umidore nello sguardo.
«lo so. Questo mi rende inquieto».

«Hai studiato troppo, ora riposati, rilassati!»

«Non viene Tyler quest’anno hai detto?»

«No. Il papà non sta molto bene. Mi ha telefonato, mi ha detto che vi saluta tutti rimpiangendo le belle vacanze che trascorreva con noi.»

Avrei voluto chiedere qualcosa di più, ma desistevo. Sapevo che non c’era altro da aggiungere, non un pensiero, non un ricordo particolare. Io non ero che uno dei tanti ragazzi con i quali era stato piacevole giocare, ridere, vivere le calde estati del sud.

L’assenza di lui mi rendeva più inquieto, le giornate trascorrevano monotone e banali. Eravamo in pochi, spesso divisi da qualche impegno, da qualche nuova conoscenza, dall'automobile nuova, dal battellino a vela dell’amico che ormeggiava nel porticciolo più vicino.

«Non è un’estate buffa, Gianluca?»

«Buffa? Direi piuttosto  dolce e un po’ triste, diversa. Ci siamo accorti a un tratto che siamo cresciuti. Abbiamo avuto esperienze nuove, alcuni di noi hanno già fatto delle scelte precise.»

«Sarà che io non ne ho fatte ancora, sarà che sento qualcosa di indefinito che mi urge dentro e non so né che sia, né dove possa spingermi».

«Forse…»-Gianluca era tenero dolce. Senza saperlo era proprio quello che ci voleva. Lo stavo a sentire paziente. Gli spiegavo a modo mio, ma era un modo quieto, riflessivo, valido, il perché delle cose e le loro, anzi delle mie inquietudini.

«Anche io, sono un po’ come te, solo che sono più tranquillo per carattere, ma ho le tue stesse irrequietezze,  le tue ansie. Vorrei poter prendere il volo, ma verso che cosa? Non ho ancora deciso nulla. Questa è l’ultima vera vacanza, poi dovrò affrontare la vita: basta coi sogni.»

Tu sogni, Gianluca? Sembri così saggio.» Lui sorrideva e si accendeva d’un tratto, in quel sorriso, di toni umili e caldi, ben doversi dal biondo miele e dall'azzurro trionfante di Tyler, ma in un certo modo attraenti, tranquilli. Avevamo imparato a trascorrere molto tempo insieme, più di prima. Dopo anni di incolore consistenza Gianluca cominciava ad assumere un aspetto più vivo. Era come se di giorno in giorno si illuminassero i suoi occhi castano-dorati, diventassero più lucidi e ariosi i suoi capelli, le guance si delineassero piene e tutto il corpo si ammorbidisse e prendesse rilievo.

«Stai diventando bello», gli sussurrai un giorno, meravigliato io stesso della scoperta.

«Non prendermi in giro», arrossì lui, pronto a difendersi dalle illusioni. « Lo dico davvero».  Tyler era lontano. Ritrovammo il gusto delle passeggiate in bicicletta,  del panino imbottito di salame casereccio, un morso io e uno tu, mangiato sull'erba dopo una corsa fino alla vecchia fattoria, ed una sera Nicola ci invitò sulla sua barca, a pescare. Io intonai il canto dei pescatori islandesi e Gianluca mi fece eco, sereno, ridendo perché non ricordavamo le parole originali e adattandosi infine a un patetico e buffo coro muto, mentre la barca filava sulla via del ritorno. Fu quel canto o l’esplosione finale  dell’estate che scoppiò nei giorni di fuoco del solleone con una rilassatezza improvvisa, una stanchezza che veniva dal profondo? Dissi a Gianluca che avevo finalmente deciso.

«Ho capito la mia inquietudine forse si chiama Tyler. Voglio raggiungerlo: parto. Vado in Islanda». Era il crepuscolo viola di una giornata afosa. Mi parve guardando Gianluca che taceva, che il suo viso sbiadisse all'improvviso, perdesse di luminosità e di colore. Ma forse era il riverbero violaceo del tramonto che persisteva nel cielo.

«Saluterò Tyler per te.»

«Certo», rispose lui. «Quando partirai?»

«Ai primi di Settembre».

«Per me l’estate è finita», disse lui piano, «finite le vacanze, tutto».

«Perché dici questo?»

«Penso che Settembre dovrò tornare in città, iniziare una vita diversa, cercare un lavoro. Bisogna vivere, no? Non si può rimanere ragazzi in eterno e sognare…». Ritornando, gli cinsi le spalle con il braccio e lo sentii tremare.

Fu un anno lungo, difficile. Il primo impatto con la realtà fuori dal mondo della scuola, dove in fondo si vive ancora in un guscio. Ci furono giorni duri da affrontare, col loro carico di incertezze, di speranze deluse, di timori e quasi la paura del domani. E alle spalle la dolcezza perduta di giorni sereni,  di momenti spensierati e di felicità non riconosciuta. Pareva che l’estate non dovesse venire mai e che il grigiore d’una primavera capricciosa non fosse che il riflesso di quotidiane difficoltà e tristezze.

Eppure tornò il giugno caldo di sole con le lunghe giornate serene e se ne sgranarono i giorni velocemente, fino al momento in cui, come ogni anno,  dacché se ne poteva avere memoria, si ritornò al mare, ansiosi e felici di ritrovarsi, vecchie e strane amicizie che non soffrivano di essere quasi dimenticate durante l’inverno, con le quali si taceva quasi completamente per continuare tuttavia con ogni sincerità il dialogo interrotto l’anno prima.

Le piccole strade tra il verde si rianimavano, si spalancavano al sole le persiane ostinatamente chiuse nelle altre stagioni, gli ombrelloni infittivano sulla spiaggia e si popolava la passeggiata al molo. Io bussai al cancellotto verde, tra i cespugli di ortensie, il portoncino era semiaperto. Gianluca si affacciò alla finestra sulle scale, poi fece d’un volo la rampa, il cuore gli batteva forte, l’ansia che cresceva dentro improvvisa: «Claudio», uscì con impeto dal portoncino ma si trattenne di fronte a me, che fui pronto a prenderlo tra le braccia. A sollevarlo d’un palmo da terra, festoso.

«Ciao, ciao: sono io!».
«Sei tornato?». Mi guardava come se non m’avesse mai visto e infatti  era completamente diverso dall’anno precedente,  se non fosse stato per gli occhi ridenti fissi gioiosamente nei miei, sempre luminosi, in cui ritrovava l’amico di tante estati.

«Sei, sei tornato», disse lui con stupore.

«E’ stata un’esperienza difficile e meravigliosa. Tuo cugino è il solito delizioso ragazzo ed è stato molto buono con me. Ma l’Islanda è troppo fredda per i miei gusti. Ho resistito quasi un  anno, lavorando, studiando. Ma una volta raggiunta l’isola ho capito tante cose. Ero solo un ragazzo che inseguiva un sogno affascinante e soprattutto mi sono reso conto  di avere un’infinita nostalgia di te.»

«Di me?». Gianluca sgranò gli occhi, ancora più stupito. «Vicino a Tyler?», balbettò incredulo.
«Sì», risi con un riso adulto, sicuro. «Sì. Nostalgia di te che ho sempre amato senza saperlo. E’ stato proprio Tyler a farmelo comprendere, in fondo lui era il mito dell’adolescenza, Gianluca dell’isola, ricordi?, irreale come una favola. Tu invece, sei la mia realtà viva e vera, per sempre.»

   
 
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