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Autore: FlameWolf    28/11/2016    9 recensioni
Mi volto verso mio nipote, che ormai sta piangendo a squarciagola. Ripenso alla prima volta che l'ho visto, al suono della sua risata, a quella gioia sempre presente nei suoi occhi. Immagino i miei vicini, la gente del villaggio venire qui per strapparmelo via, per ucciderlo.
Sospetto, rabbia, ira.
Dopo questa edizione non avremo veramente nient'altro.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Giorno 5, crepuscolo

 

Ivar “Senzaossa” Ludwig, tributo del distretto 6, arena

 

Ho caldo, mi sento bruciare. Perché la mamma ha accesso il fuoco in piena estate? Forse ha sentito uno spiffero e avrà temuto un peggioramento improvviso del meteo, non so. Quella donna rimane comunque troppo apprensiva, deve piantarla o le verranno un sacco di rughe prima del tempo. Sarebbe un peccato, è una donna così bella, meriterebbe qualcuno migliore di papà. No. No... non si chiama papà, si chiama Asvald, e mi ha ripudiato.

Mi tasto il petto finché non trovo l'orlo della maglia. Al tatto mi sembra leggera come quelle di cotone, ma sono certo che è impossibile. Me la sollevo lentamente, ma una mano fredda mi blocca.
“Non credo sia una buona idea” commenta una voce maschile e familiare. Alzo lo sguardo ed intravedo Chester. Ha un'aria particolarmente stanca, e i suoi vestiti sono tutti bagnati.
“Cosa ci fai a casa mia?” gli domando mentre richiudo gli occhi a causa della stanchezza. Ho l'impressione che tutto richieda uno sforzo epico, perfino spostare leggermente il braccio come prima. Ho tanto sonno.
“Casa tua? Ivar, sai dove ti trovi per caso?” mi domanda allarmato il mio amico. Che domanda schiocca, non me la sarei mai aspettata da lui. A pensare che abbiamo fatto una fatica immensa per rivederci. I viaggi fra i distretti non sono solitamente permessi, ma per noi hanno fatto un'eccezione perché... perché... perché?
“Perché sei qui? Puoi dire alla mamma di spegnere il fuoco?” chiedo a fatica. Non ne so bene il motivo, ma mi sento la gola molto secca. Eppure mi sembra di aver bevuto da poco. Ricordo anche che ha piovuto, e non ho mai avuto così tanto caldo come in quel momento. Mi sentivo schiacciato da qualcosa.
Osservo Chester, sembra molto preoccupato. Non sembra neanche un ragazzo di quindici anni, ma di venti o forse anche di più. Ha le spalle chine, e fissa un punto imprecisato fra i suoi piedi. Siamo invecchiati tutti, suppongo. “Chester?”. Il mio compagno si gira, ha gli occhi lucidi, deve essergli entrato qualcosa nell'occhio “Voglio uscire” aggiungo con un tono di voce flebile.
Sul suo volto appare un sorriso amaro, ed annuisce intensamente “Lo voglio anch'io”.
Sorrido anch'io, ma di gioia, sapevo che mi avrebbe capito. Gli spazi chiusi gli stanno stretti, proprio come me. Ho sempre desiderato avere qualcuno con cui condividere un'avventura. È vero che ho Asmund, ma lui è un cagone, odia questo genere di cose.
“Devo farti conoscere qualcuno” affermo mentre osservo il cielo bluastro “Ho una vicina di casa che è single. È molto gentile ed è anche carina. Potrei convincerla ad uscire con te. Così faremo degli appuntamenti a quattro: io, te, Yidu e Ealhswith”. Chester si morde forte il labbro, devo averlo messo in imbarazzo. “Scusa, non avevo capito che eri dell'altra parrocchia”.
“No! Non... lascia stare” dichiara mentre allunga la mano verso il mio volto, ma improvvisamente si blocca e ritira il braccio.

Osservo nuovamente il cielo, la luce se ne sta andando. È uno spettacolo bello, anche se triste. Sta morendo un altro giorno, e anche se domani c'è ne sarà un altro, non sarà mai come questo. Non si può fare niente per impedirlo, siamo impotenti. Non è giusto, non voglio che scenda la notte.
Senza che me ne accorga inizio a piangere, prima silenziosamente, poi fra i singhiozzi.

“Ehi, ehi, che ti prende?” mi domanda Chester scuotendomi per la spalla.
Scuoto la testa, non mi va di parlarne, è una cosa stupida. Rimaniamo in silenzio, nessuno dei due sa cosa dire. A dire il vero faccio fatica a trovare un argomento di conversazione. Sento il mio corpo bruciare, ogni muscolo è straziato dalla stanchezza e dal dolore. La testa mi gira, non credo che riuscirò a tenere gli occhi aperti ancora a lungo. Ho tanto sonno, ma non voglio dormire. Ho paura di sprofondare nel nulla. Mi sento perso ed impotente.

Le mie narici si riempiono di un odore familiare che sa di cannella e di rosa. Amo questo profumo con tutto me stesso.
Mi volto nuovamente e vedo Yidu accanto a me. È bella come la ricordavo: bionda, con il viso a forma di cuore, gli occhi celesti, e quelle lentiggini che ho baciato una per una. “Grazie” le sussurro mentre afferro a fatica il suo mignolo. La sua mano è tanto fredda.
“Di cosa?” mi domanda lei con un sorriso. Il mio tesoro non lo fa spesso, ma quando sorride si illumina il mondo intero. Non ho mai capito cosa abbia mai trovato in me, avrebbe potuto avere di meglio.
“Di essere venuta. Ci tenevo tanto a rivederti” le spiego con calma. Lei mi guarda inizialmente confusa, ma poi nel suo volto appare un'espressione oscura di paura.
“Cosa c'è, amore?” chiedo apprensivo, stringendo quell'unico dito con tutte le forze che mi rimangono. Rimane ferma, quasi parallelizzata, per un interminabile lasso di tempo. Finalmente si scuote e mi fissa negli occhi, mentre delle lacrime le scendono dalle guance. Vorrei tanto asciugargliele, ma non ho la forza per alzarmi. “Nulla, sto bene” risponde stringendo forte la mia mano. Non ricordavo che avesse una stretta così salda, devo esserle mancato.
“Ti amo, lo sai?” le chiedo quasi retorico. Lei annuisce sorridendo amara.
“Ivar...”. Sembra voglia aggiungere altro, ma si blocca all'improvviso. Si morde il labbro con forza, mentre con la mano libera si asciuga le lacrime. È straziante vederla in questo stato. “... avrei voluto far di più per te, mi dispiace”.
Sgrano gli occhi. Come può pensare a una cosa del genere? “Cosa dici? Se sono grato di essere nato è grazie a te, e alla mamma, e a Edgar, Ealhswith, Asmund e Chester. L'ultimo è un tipo simpatico, devo fartelo conoscere” a questa mia uscita lei diventa ancora più triste. “Sono felice di averti conosciuto” aggiungo nella speranza di farla sorridere.
Annuisce con forza, coprendosi poi il volto per nascondere le lacrime. Vorrei dirle di non farlo, perché è sempre bella, anche quando piange. Purtroppo però non ne ho l'energia, mi sento troppo debole. Ho bisogno di dormire.

 

Chester Colin Herstone, tributo del distretto 3, arena

 

Ivar chiude gli occhi, sprofondando nuovamente nel buio. Mi chiedo se si risveglierà.
È peggiorato molto in fretta; la febbre continuava a salire nonostante gli antipiretici presi dalla cornucopia. Non gli hanno fatto quasi nulla, si vede che erano troppo blandi. Una parte di me, una che credevo morta e sepolta, ha sperato fino all'ultimo in un aiuto da parte degli sponsors, ma non è arrivato assolutamente nulla. Ci hanno abbandonati senza alcun ritegno. D'altronde cosa siamo io e lui? Reietti, rifiuti della società. Tutti sarebbero contenti se morissimo, e a breve saranno accontentati. Ivar non durerà ancora a lungo, è chiaro. Non ho mai visto nessuno delirare così tanto a causa della febbre. Non sapeva dov'era, non sapeva chi ero. Quanto può durare uno messo così male? È stato straziante vederlo così, credo di non aver mai pianto così tanto in vita mia. Gli abusi di mio padre mi scatenavano una grande tristezza, è vero, ma anche una gran rabbia e avevo pur sempre la speranza che un giorno tutto sarebbe finito. Ora invece che cosa mi rimane?

Prendo dallo zaino l'ultima scorta di cibo, una scatoletta di tonno. La divoro nel giro di un minuto senza alcuna riserva, tanto Ivar non è in grado di nutrirsi. Più volte ho insistito per fargli mangiare qualcosa, ma senza il minimo successo. Ho fatto di tutto per lui, l'ho perfino riparato con il mio corpo durante la pioggia dell'altro giorno, ma è chiaro che i miei poteri finiscono qui. Non posso fare assolutamente più nulla per lui. Morirà qui da un momento all'altro.
Mi chiedo se avrebbe potuto vincere se non si fosse ammalato. Forse sì, chissà. Avrei preferito, tanto chi mi aspetta al distretto? Vincere per me significherebbe solo fare un dispetto a tutti coloro che mi hanno abbandonato; vivere in libertà nonostante il loro odio. Ivar aveva persone che lo aspettavano e che lo amavano. Io.. io invece non mi merito alcuna vittoria.

Che idiota! Perché anziché studiare oggetti tecnologici a cui non frega niente a nessuno, non sono diventato un guaritore? Forse a quest'ora...
Mi do un pugno sulla coscia per farmi rinsavire. Questi pensieri non aiuteranno nessuno, non posso cambiare il passato, posso solo accettare il presente. Ho perso il conto del numero delle ore in cui mi sono scervellato per trovare un'alternativa. Nella cornucopia non c'era nulla, ne sono certo. L'unica era girare a caso sperando di trovare un tributo che avesse le medicine che cercavo, ma era un azzardo, anche perché avrei dovuto lasciare Ivar da solo.
Osservo il cielo, ormai è sera. Non intravedo nuvole, e neppure stelle. Sembra l'inizio di una nottata tranquilla, ma non si può mai dire. Con un po' di fortuna i capitolini si staranno intrattenendo con il nostro dolore e non ci invieranno nulla addosso.

Mi arrampico sull'albero lì vicino e mi guardo intorno una volta arrivato in coma. Non si vede nessuno, siamo al sicuro anche per questa nottata. Sto per scendere, quando parte l'inno di Panem. Alzo lo sguardo al cielo ed intravedo i volti dei morti del giorno. La prima è la ragazza del cinque, a cui segue quella del sei. È tutto. Dunque erano per loro quei colpi di cannone? Mi chiedo che rapporti avesse Ivar con Caitria, in fondo provenivano dallo stesso posto. Non credo fossero amici, ma ognuno di noi si sente comunque legato all'altro tributo del proprio distretto. Ammetto che proverei un po' di tristezza nel sapere della morte di Jasmine, anche se d'altro canto mi sentirei immensamente sollevato. Quella ragazza è troppo pericolosa, e sono sicuro che commetterà qualcosa di grosso. In fondo me l'ha promesso.
Scendo dall'albero ed osservo Ivar, ancora immerso nel sonno. Dovrei dirglielo, certe cose è meglio saperle subito. Inoltre è il caso di farlo bere, è da un paio di ore che non lo fa. Sta sudando un sacco, ha bisogno di molti liquidi.

Mi avvicino nuovamente a lui, non c'è traccia di dolore nel suo volto, sembra perfino stare bene. Mi sento un po' in colpa nel doverlo svegliare.
“Ivar?” lo chiamo debolmente, ma non si muove minimamente. Deve essere proprio cotto. Tiro fuori la borraccia dallo zaino ed inizio a scuoterlo con gentilezza. “Devi bere, poi ti lascio in pace”. Ivar rimane immobile, assolutamente insensibile ai miei richiami. Sospiro, non mi sente. Ci riproverò dopo.
Sento un rumore improvviso poco distante, e mi volto di scatto temendo il peggio. Fortunatamente è solo un uccello, un'aquila. No, aspetta, non credo. Mi sembra che le aquile non abbiano il becco fatto in quel modo. Dovrei chiedere ad Ivar, in fondo ha una spilla con quell'animale come portafortuna, sono certo che ne sappia più di me.
“Ivar!” lo richiamo scuotendolo con più forza, ma neppure questa volta si muove. La cosa inizia a crearmi un certo sospetto. Come è possibile che neppure questa volta si sia svegliato? Lo agito con maggiore forza, e ad ogni spinta cresce il mio terrore.
“Ivar!” grido con forza, arrivando a tirargli perfino uno schiaffo, ma niente. Mi metto le mani fra i capelli. È morto? Eppure non ha sparato alcun cannone!
Mi piego sul suo petto per ascoltarne il battito. C'è, ma è molto debole. L'ora deve essere giunta. Inizio ad ansimare per la paura, afferrando con forza la sua mano.
“Non mi lasciare, ti prego” affermo come se mi aspettassi un qualche tipo di risposta da parte sua.
Chiudo gli occhi con l'infantile desiderio di non vedere ciò che accadrà a breve.
Rimango lì, fermo ed imbambolato, finché il cannone non suona di nuovo.

 

Richard “Ricky” Whitestorm, tributo del distretto 8, arena

 

Un tuono di cannone distrugge il silenzio. Un altro tributo è morto, lasciando questo mondo per sempre. La mia mente corre verso Autumn, come sempre in queste occasioni, ma è inutile preoccuparsi. Sono sicuro che stia bene. È una in gamba, arriverà di sicuro fino al festino, se non fino in fondo. Sbuffo, sento già la mamma sgridarmi: “Non ragionare così, il vincitore devi essere tu e soltanto tu”. Mi lascio sfuggire un debole sorriso, vorrei tanto che fosse qui con me, mi manca tanto, mi mancano tutti.
Io... devo concentrarmi se voglio rivederli, devo pensare ad un piano. Ho visto che la ragazza del cinque è morta, la grotta dell'altro giorno è dunque nuovamente libera. Potrei nascondermi lì per un po', ma non per sempre. Gli strateghi non mi permetteranno mai di vincere in quella maniera. L'unica è sperare che gli ultimi rimasti si uccidano fra di loro, in modo tale da lasciare vivo me. Potrei facilitare il processo se costruissi qualche trappola.

Scuoto la testa, sarebbe da ipocriti. Ho deciso che avrei provato a vincere senza uccidere nessuno, perché non volevo morire dentro come Hellen. Anche se le mie mani non si sporcassero direttamente del loro sangue, ne sarei comunque il responsabile. Come direbbe quel politico di cui non ricordo il nome: “Non c’è differenza tra uccidere personalmente e prendere decisioni che invieranno altri ad uccidere. È esattamente la stessa cosa”. Non diventerò un assassino.

“Dannazione!” urla una voce femminile poco distante.
Mi avvicino con cautela più per curiosità che per altro. Mi nascondo dietro ad un albero ed intravedo nell'oscurità una ragazza molto alta con i capelli rossi allungare la mano verso la cima di un albero. Alzo lo sguardo e comprendo il motivo dei suoi sforzi: incastrato fra i rami, c'è un dono degli sponsors. La ragazza continua ad imprecare, è rossa in viso per la rabbia. Perché non si arrampica semplicemente? C'è qualcosa che non quadra. Dopo un po' noto che la ragazza del due non muove mai una delle braccia. Deve essere senza dubbio ferita.
Una parte di me vorrebbe aiutarla, perché so benissimo quanto siano importanti quegli aiuti, ma mi rendo conto che non sarebbe una mossa intelligente. Mi ricordo di lei: nella sfilata guardava il pubblico con un enorme sorriso che trasudava di sicurezza ed eccitazione. Durante gli allenamenti era quasi sempre attaccata all'ascia che muoveva con facilità, quasi come se fosse nata con quella in mano. Nelle pause si approcciava ai suoi alleati con una gentilezza un po' rude, guardando tutti gli altri con quell'arroganza e quella superiorità tipica dei distretti ricchi. Dove sono i suoi alleati? Possibile che sia sola? Quante persone saranno rimaste alla cornucopia ormai? Lei è sicuramente un avversario temibile, se sparisse sarebbe meglio per tutti. Ho detto che non voglio uccidere, ma non per questo sono disposto ad aiutare chiunque.
Traggo un lungo respiro e mi allontano, ma nel farlo calpesto un ramo secco, facendo così un gran rumore. Mi volto e vedo gli occhi azzurri di Angelie puntanti su di me. Cazzo! Perché cavolo sono sempre così goffo? Inizio a correre verso la salvezza, mentre lei grida un: “Aspetta, aspetta, maledizione!”.
Mi volto, mi sta facendo cenno di fermarmi, non ha l'ascia con sé. Che cosa vorrà? Vale davvero la pena fermarsi ad ascoltarla? Fermo la mia corsa, mantenendo comunque una buona distanza fra di noi. Incrocio le braccia e mostro il mio sguardo più sicuro, non deve capire che ne sono spaventato.
“Io...” afferma lei bloccandosi all'improvviso, come se stesse facendo un'enorme fatica a trovare le parole giuste “...io...” continua mordendosi forte il labbro “.. io ho bisogno d'aiuto!” afferma infine tutta d'un fiato.
Rimango impietrito per lo sgomento, non mi aspettavo questa richiesta da parte sua. Deve essere proprio disperata. Un po' mi fa pena: l'avevo inquadrata come una guerriera indistruttibile che non voleva l'aiuto di nessuno, mentre ora davanti a me c'è solo una ragazza qualunque, stanca, ferita, e volontaria per qualcosa di molto più grande di lei. Ora che ci penso tutti i tributi del distretto 2 sono un po' così. Che cosa insegnano da quelle parti? Perché lei voleva venire qui a tutti i vostri? Che razza di infanzia ha avuto?
“Non guardami così!” sbotta lei all'improvviso, stringendo forte i pugni “Ti darò parte del contenuto del bottino e...” si interrompe, digrignando con forza i denti “... e giuro che ti ucciderò per ultimo”.
Scuoto la testa, è incredibile. Perfino in un momento come questo è aggressiva. Almeno non ha perso il suo spirito combattivo, il che non è male. “Non mi sembra un buon metodo per ottenere ciò che vuoi, soprattutto perché non hai detto nessun “per favore” Le faccio notare.
Angelie sbuffa, mostrando un ghigno divertito “Allora aggiungo alla mia offerta un salvataggio in caso ti beccassi mentre sei nei guai. Il tuo angelo custode pronto a farti finire dritto in finale”.
Sposto lo sguardo scettico. Mi conviene accettare? Ripenso ai miei fratelli, ai miei genitori, ai miei amici, a Cassian. “Chi mi dice che manterrai il patto?”
“Non mi importa chi arriverà secondo, basta che vinca io” replica semplicemente. Logica impeccabile. Potrebbe rivelarsi utile in qualche modo, anche se c'è qualcosa che non mi convince del tutto, anche se non capisco bene cosa sia.
“D'accordo, hai vinto. Ma non siamo ufficialmente alleati, è solo un accordo” borbotto. Angelie annuisce e in seguito vado verso l'albero dove si è incastrato il suo dono.
Mi arrampico con fatica, rischiando più volte di cadere. Alla fine riesco ad afferrare la scatola e a consegnarla. Angelie la apre con avidità, trovando al suo interno un po' d'acqua e un barattolo con del cibo. La ragazza sbatte per terra la scatola, imprecando con rabbia.
“Non è così male” le faccio notare. Angelie mi guarda con odio per una frazione di secondo, ma riesce comunque a reprimere i suoi istinti omicidi.
“Speravo in... niente, lascia stare” afferma con voce incrinata, alludendo sicuramente a qualche medicinale. Sento nuovamente quell'odiosa sensazione, ma faccio di tutto per reprimerla. Non devo cadere in trappola, è pur sempre mia nemica.
“Beh, allora vado” sussurro, voltandomi.
“Aspetta!” mi volto nuovamente, fa cenno verso il contenuto della scatola “Secondo il patto dovevi prenderti parte del contenuto”. Sospiro, quella roba non mi serve. Ho ancora della carne essiccata e un po' d'acqua. Potrei rifiutare, ma penso che in questo modo la offenderei. Decido dunque di bere un po' del contenuto della bottiglia.
Sto per andarmene, quando noto che sta addirittura tremenda per la frustrazione. So che me ne pentirò, ma non me la sento di stare fermo a guardare. Non dopo che lei ha rispettato parte del patto.
“Vedi quella pianta?” affermo indicandole un cespuglio verde oliva poco distante “Ha un'azione antinfiammatoria. Basta che mastichi le foglie e che le applichi sulla ferita”
“Ma come...” mi interrompe lei sorpresa.
“Non farà miracoli, ma potrebbe aiutarti. Buona fortuna”. Mi allontano senza darle alcuna possibilità di risposta. Sento di aver fatto un grosso errore. Spero davvero di non pentirmene.

 

Jasmine Thompson, tributo del distretto 3, arena

 

Infilo in bocca l'antidolorifico e lo mando giù attraverso un sorso d'acqua. Questo mal di testa non mi sta lasciando tregua, inizio a compatire il defunto Libero. Non deve essere stato facile per lui convivere con l'emicrania. Mi siedo rimanendo pur sempre all'interno del mio sacco a pelo. Mi sento ancora stordita, anche se mi sento decisamente meglio rispetto a prima.

Ricapitoliamo: sono andata con Adrian a cercare delle erbe, ci siamo separati e sono stata attaccata da Hellen. Ora lei è morta. Fin qui ci sono, quello che non capisco è cosa ci faccia qui. Perché sono ancora viva? Era facilissimo terminarmi in quella condizione, in fondo non riuscivo neppure ad alzarmi in piedi. Eppure sono ancora qui. Perché Adrian mi ha risparmiata? Avrebbe potuto benissimo dire a Judith che era stata Hellen, che aveva fatto il possibile per me, ma che aveva fallito. Ha perso un'occasione d'oro. Si è forse dimenticato che da qui ne esce vivo solo uno? Non credo... Adrian non è come Judith. Lui è venuto qui pronto anche da un punto di vista psicologico, non ha mai mostrato riserve nell'uccidere quando era necessario. Quindi, davvero, non capisco.

“Ehi, come stai?” mi domanda Adrian. È seduto poco lontano da me, e mi fissa con i suoi occhi castani.

“Meglio, grazie” rispondo fredda, un po' a disagio. Il non capire ha sempre generato in me brutte sensazioni, a volte perfino fisiche. Cosa serve essere intelligenti se non si possono ottenere le risposte che si desiderano? Siamo dotati di occhi per osservare, di una mente per riflettere e comprendere. Il mondo appartiene a chi conosce.
“Mi hai fatto preoccupare laggiù” confessa abbozzando un sorriso. Vederlo così sereno mi fa salire ancora di più il nervoso. Cosa avrà da festeggiare? Ha un'avversaria, quella più temibile, ancora in vita.
“Perché mi hai salvato?” gli chiedo a bruciapelo, pentendomene subito. Che cosa mi sta prendendo ultimamente? È come se stessi abbassando le mie difese con questi due. Non posso seminare in loro dei dubbi, devo continuare a fingermi leale, simpatica e servizievole fino alla fine!
Adrian non risponde subito, si prende un attimo per pensarci su “Perché siamo alleati, immagino”. Lo sentivo che avrebbe risposto così. Continua a non avere senso però, non a questo punto dei giochi. Rimaniamo solo in nove.
“Non per molto per forza di cose” replico, gettando un'atmosfera cupa su di noi.
“È vero. Ma non potevo non farlo”
“Perché!?” insisto con maggiore veemenza.
“Perché siamo amici”.
La sua risposta mi colpisce dritta la cuore. Amici? Amici... Tze, che fesseria. Siamo qui per ucciderci. I sentimenti sono un impedimento per la vittoria, per il progresso e il successo. Farsi sopraffare da loro significa morire, soprattutto nell'arena. Non posso farmi schiacciare, devo soffocare la cosa sul nascere.
“Judith è riuscita ad accendere il fuoco” riprende Adrian “Vado a portarle un po' di padelle. Mangeremo la Stellina che abbiamo raccolto”.
“Stellaria Media” lo correggo in automatico. Adrian annuisce senza replicare, con l'aria tipica di chi sostiene che “un nome o l'altro, la sostanza è la stessa”. Solitamente una reazione del genere mi farebbe innervosire, ma non questa volta. La mia testa continua a rimuginare sul pericoloso che sto percorrendo. I legami indeboliscono le persone, li rendono illogici ed impulsivi. “Dì a Judith di scaldare un po' d'acqua, vorrei fare una tisana”. Adrian fa cenno di sì con la testa e si allontana, lasciandomi sola.
Approfitto della solitudine per inserire la mano dentro la tasca. Al suo interno trovo la Punta dell'assassina, la pianta velenosa che ho raccolto prima di scivolare nel precipizio, quella che ho spacciato ad Adrian come foglie di Rosa canina. Nella caduta ho perso buona parte del materiale che avevo raccolto. Quella che ho basta per uccidere solamente uno di loro. Uno di loro entro l'ora di pranzo sarà morto, mentre il sopravvissuto desidererà la mia morte. Non sono sicura che collegheranno direttamente la morte a me, ma anche se fosse sono troppo vicini alla fine per avere di nuovo pietà di me.
Ora rimane una domanda: chi ucciderò fra i due? Entrambi sono degli abili combattenti, in caso di scontro diretto non ce la farei con nessuno dei due. Tuttavia entrambi mi considerano loro amica e potrebbero esitare prima di colpirmi. Scuoto la testa, non posso crederci davvero. Adrian si è dimostrato un freddo assassino all'occorrenza, mentre Judith sa diventare una furia omicida quando le toccano determinati tasti, basti pensare con quale rabbia ha aggredito Angelie. Se capisse che Adrian è morto per colpa mia, renderebbe l'uccidermi il suo scopo di vita, ne sono certa. Una volta somministrata la sostanza non potrò più manipolarli, nessuno dei due. Uccidere l'uno o l'altro è uguale. Si tratterà in seguito solo di arrivare viva al festino, dove attiverò il mio piano segreto.
“Ti ho portato direttamente le tazze, se non è un problema!” la voce di Adrian mi fa sussultare per lo spavento. “Scusa, effettivamente qui in arena è meglio non spuntare all'improvviso!” si giustifica lui ridendo. Accenno un sorriso ad aspetto che se ne vada.
A questo punto inserisco in due tazze le foglie di Rosa canina, mentre nell'altra immergo le foglie della Punta dell'assassina. Una volta che la tisana è pronta, mi dirigo al falò con il vassoio in mano.

Nella mia testa risuonano voci ed immagini spiacevoli. Ricordo la conversazione che ho avuto con Judith la sera prima del bagno di sangue, le nostre partite a scacchi, ma ripenso anche alle premure di Adrian, al suo salvataggio, al fatto che mi abbia definita apertamente sua amica. Scuoto la testa più volte, ma proprio non riesco a far uscire i ricordi dalla mia mente. Quando sono diventata così debole? Non mi farò sconfiggere dai sensi di colpa.
Raggiungo i due davanti al fuoco, entrambi mi guardano attendendo le loro tazze. Adrian ha un sorriso appena accennato, mentre il volto di Judith appare rilassato, così come non lo vedevo da tanto tempo.
Prendo la tazza con il veleno e guardo brevemente entrambi, per poi passare la tazza a Judith.
“Grazie, Jasmine” afferma prendendo un lungo sorso dalla bevanda che la ucciderà.
Rispondo con un sorriso amaro, e porgo la tazza sana ad Adrian. Nella discussione che segue praticamente non partecipo. Un tarlo di sta mangiando quel poco che rimaneva del mio cuore, ma è sicuramente un bene.

 

 

 

 

 

 

 

Dovrei pubblicare il prossimo capitolo Sabato, e sarà un po' più sanguinolento del solito. Vi chiedo di farmi sapere di eventuali sponsorizzazioni il prima possibile. Il politico di cui parlava Richard è Golda Meir, la punta dell'assassina è invece di mia invenzione.

Alla prossima!

 

Morti

10° Ivar Ludwig, distretto 6, morto per malattia, 5 pov

 

Feriti:

Judith (avvelenata)

Angie (dolore alla spalla- in diminuzione)

 

Vi ricordo anche le alleanze:

I TOPINI: Liam, Jennifer

FAVORITI: Judith, Adrian, Jasmine

 

 

Soli: Richard, Autumn, Angelie, Chester

  
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