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Autore: Gem    18/05/2009    6 recensioni
Questa fic partecipa alla challenge "Mille e una storia - Esercizi di stile". La stessa vicenda - molto, molto particolare - sarà raccontata in 10 stili diversi.
Avrete modo di spupazzarvi per bene Milo e Camus... non si scherza mica con loro e un affascinante plenilunio
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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{Notte di Luna piena}

 

 

 

Titolo: Notte di Luna piena.

Fandom: Saint Seiya.

Coppia: Milo/Camus.

Trama scelta: E.

Genere: Drammatico.

Rating: giallo (ma anche verde).

Note: fatevi quattro risate, su. Più che drammatico, ho scritto qualcosa di grottesco. La fine sa tanto di Titanic… “My heart will go on” … viva le citazioni poetiche, comunque. Consiglio vivamente di immaginare la sequenza finale come se fosse un film molto drammatico. Yaoi <3

P. S. Vi avevo promesso una one-shot <3 pardon, dieci <3

Link al set: Qui.

 

 

 

 

Drammatico.

 

«Camus. Devo dirti una cosa.»

Camus voltò il capo, mordendosi il labbro. Sebbene fosse abituato a trattenere ogni singola emozione – sofferenza, timore, piacere! – non riuscì ad evitare un moto di ansia quando Milo proferì solennemente le sue parole.

«Sì?» bisbigliò. Non doveva mostrare preoccupazione, lui, il Signore dei Ghiacci! Respirò a fondo, chiudendo gli occhi. Si disse di mantenere la calma, respirò ancora e riaprì gli occhi, puntandoli su quelli malinconici del compagno.

«Questa sera… questa sera potrebbe essere l’ultima della nostra esistenza.» annunciò lo Scorpione. «Vorrei che tu accettassi il mio umile invito a cena.»

L’altro trattenne appena un singhiozzo dettato dall’affanno. Milo aveva ragione, maledettamente ragione, chi fra gli umani poteva sapere cosa avrebbe riservato il Domani? Due Santi di Athena, poi, quanta certezza potevano avere del loro avvenire?

Carpe diem, si disse, carpe diem. E non poté rifiutare un invito di quello stampo, avanzato dall’uomo che amava da anni. Mosse appena la testa in un sì e si volse, per celare le sue intime apprensioni.

 

La Luna piena brillava nel cielo. Candida, silenziosa e fredda ricordava al cavaliere dell’ottava casa gli splendidi versi della poetessa Saffo. Plenilunio, una lirica toccante, che richiamava al plenilunio di quella notte…

«Gli astri d’intorno alla leggiadra Luna…» ripeté, accendendo una candela sulla tavola. Rivolse un’occhiata verso la finestra, un’apertura nel marmo che mostrava lo splendido firmamento notturno, e continuò: «Nascondono l’immagine lucente…»

La mano che reggeva il cerino si fermò a mezz’aria quando il proprietario vide, con la coda dell’occhio, una meravigliosa figura avanzare dall’ombra. Riconobbe l’incedere elegante e flessuoso, nonché ricco di dignità, in quello dell’amato Camus e sospirò, felice quanto un bambino con la sua mamma. Perché di bambino in lui era rimasto tanto: lo sguardo attento e curioso, che sapeva diventare infelice da un momento all’altro; il sorriso sincero, che sfoggiava solo con coloro che godevano della sua fiducia; l’emozione violenta quando incontrava Camus sulla sua strada, quasi come se fosse il suo personale Sole.

«Quando piena più risplende, bianca sopra la Terra.» terminò Camus, raggiungendo il tavolo. Osservò le candele e sospirò, intuendo i motivi di tali presenze. «Non ricordavi questi versi, Scorpio?»

«No, è che… io…» non concluse la frase. Stava cominciando a detestare il dolce inebetirsi che spesso accompagnava l’arrivo del cavaliere dell’Aquario. Rimaneva stregato da quella figura così conosciuta ed ignota, da due occhi nocciola limpidi ed enigmatici. Preferì tacere sul reale turbamento e si limitò ad alzare le spalle, sorridendo.

«E’ pronta la cena?» replicò Camus. «Dove sono i tuoi servi?»

Milo scosse la testa, riprendendosi dal torpore, e prese la mano del suo amato.

«Questa notte saremo soli. Ho chiesto loro di lasciare il mio palazzo.»

«Non ce n’era bisogno. Noi… siamo discreti.» bisbigliò, con un’occhiata eloquente, il cavaliere dell’Aquario. Allontanò la mano da quella di Milo e si ravvivò i capelli, relativamente convinto dalla propria osservazione.

«Oh… davvero?» sghignazzò l’altro. Aguzzò lo sguardo e si poggiò al tavolo, a mo’ di provocazione. «Li ho congedati per avere un po’ di intimità, Camus. Possibile che tu pensi solo al sesso

Camus s’irrigidì. Mentre s’ingegnava per rispondere a tono – Milo sapeva confondere, mettere in imbarazzo, rendere semplici parole un capo d’accusa – si arrese alla rosa portagli dal suo uomo.

“Neanche Aphrodite potrebbe…”

E giù ad elencare mille e mille spiegazioni, dipingendo un acceso sorriso sulle sue inflessibili labbra. Camus dell’Aquario un punto debole lo aveva, sì, lo aveva proprio davanti a sé – e non era certo la rosa.

«Sei un…»

Gneek gneek.

«… cosa è stato?»

Le parole di Camus fluirono l’una dopo l’altra senza la minima alterazione. Milo aggrottò le sopracciglia e si spostò alla finestra, sbirciando fuori, ma nulla vide se non il solito idilliaco paesaggio lunare. Camus lo raggiunse alle spalle, con un’aria non troppo curiosa, ma abbastanza impensierita.

«Una porta che cigola?» tentò Milo.

«Una porta che cigola in un tempio greco?» Camus deglutì.

«Forse quella della mia stanza? E’ in legno…»

Il francese scosse la testa e provò a rilassarsi. I pensieri inquieti della giornata erano ricomparsi tutt’un tratto, complice quel rumore inatteso e sinistro, ma non dovevano rovinargli la serata.

Sospirò.

«Forse un animale. Mangiamo?»

«Sì… Camus.» lo chiamò Milo, voltandosi. Lo cinse per la vita, dolcemente, e carezzò il profilo del suo viso con la delicata rosa. «Non si desidera ciò che è facile ottenere.»

In vena poetica, Camus replicò con un: «Evidentemente, non c’è erba che possa guarire l’amore.»

 

«Usciamo in terrazzo?» sussurrò Milo, abbandonando pigramente il mento sopra una mano. «La Luna è così bella…»

Camus sistemò le varie posate nel piatto, come di consuetudine, e ammirò l’astro dalla finestra. Perché quella sera entrambi si sentivano così agitati? Milo aveva mangiato con una morbosa lentezza, scrutando nervosamente la stanza, e Camus aveva interpretato il comportamento come un’ansia mal celata – indovinando appieno.

Dal canto suo, aveva mantenuto un piglio talmente rigido da far credere, ad un casuale spettatore, di dover avviarsi al patibolo entro uno o due giorni. Atteggiamento mai tenuto nella (voluttuosa) casa dello Scorpione.

Il Domani, il Domani… maledetto Domani…

L’Aquario si perse negli occhi di Milo, languidamente, pur di sollevare l’umore almeno all’amato. Annuì piano e rispose, sorridendo: «Sì. Dim…»

Gneek gneek coork.

Superfluo descrivere l’andamento del battito cardiaco dei due.

«Camus.» farfugliò Milo, sgranando gli occhi. Se avesse potuto cambiare colore, sarebbe diventato di un viola lugubre. L’altro preferì avvampare, adottando anche per la pelle il rosso dei capelli.

«Milo.» ricambiò. Due Santi di Athena spaventati così da un rumore… non era normale. Ognuno era perso nei propri sgomenti confusi, disordinati, accomunati solo dalla drammaticità, e rapito dalla presenza dell’altro – ennesimo pensiero di angoscia.

Criiick gneek.

Camus si convinse della presenza di un animale o di un irriguardoso cavaliere nei dintorni dell’ottava casa.

“Aiolia, quel bruto…” pensò rinsaldando la sua teoria. “Ci spia. E’ lui. Deve essere lui.”

«Questa notte è per noi.» mormorò velocemente, allungandosi sulla tavola per stringere le mani di Milo. Anche se fosse successo qualcosa all’intero Santuario – Camus pensò di essersi intontito – lui e Milo avrebbero trascorso insieme quella notte, lontani da qualunque pericolo.

“Nerone suonò la lira durante il grande incendio di Roma.” si giustificò scioccamente. Sapeva bene che quella diceria era priva di fondamento e opposta alla realtà dei fatti, e sapeva ancor meglio che il suo comportamento infrangeva ogni buon precetto dei cavalieri di Athena.

Ma… non aveva mai vissuto – dovette ammetterlo – una situazione così strana e drammatica.

«Milo, hai detto tu che…»

«Dobbiamo, Camus.»

Il francese strinse ancora di più le mani dell’altro.

«E se domani…?»

Milo abbassò lo sguardo.

«Non possiamo opporci al Fato.» bisbigliò sottovoce. «Usciamo e cerchiamo il motivo di tale rumore.»

 

«Ride.» osservò Camus, scrutando la Luna. «Trivia ride tra le ninfe eterne.»

Lo Scorpione, fermandosi all’improvviso, colpì un vicino tronco con un pugno. Si voltò furioso, mordendosi il labbro, quasi urtato dall’osservazione del compagno. Non c’era bisogno di rendere l’atmosfera ancora più cupa, Milo non ne aveva bisogno. Le osservazioni poetiche, che prima si erano scambiati romanticamente, potevano anche andare anche al diavolo.

«Camus.» sibilò. «Capisci che le nostre strade potrebbero dividersi?»

Si lasciò sfuggire un ringhio rabbioso, dovuto all’incontrollata tensione. Camus, in fondo, non c’entrava nulla, e si pentì di aver usato un tono aggressivo nei suoi confronti. Assunse un’espressione più pacata.

«Scusa amore, è che…»

«No.» replicò Camus, stringendo gli occhi. Non aveva bisogno di scuse, né di trattamenti particolari: due Gold Saint erano in battaglia contro i tetri rumori della notte e le smancerie erano rigorosamente vietate. «Tu hai ragione.»

Gneeeek.

Entrambi si portarono in avanti, come per attaccare. S’intesero subito, all’istante, fulmineamente: Milo saettò in avanti, mentre Camus gli guardava le spalle. La lieve brezza che soffiava perse la sua freschezza e arrivò, ai due sudati cavalieri, come un caldo vento del deserto, un vento poco speranzoso e continuo, recante granelli di sabbia ma anche l’odore di incenso: l’avvicinarsi di un’oasi… o il preludio di un’amara morte?

Fra i massi e gli arbusti era facile mettere un piede in fallo. Milo scivolò ingenuamente, troppo concentrato sui pensieri, ma Camus fu rapido a sorreggergli la nuca, esterrefatto.

Nessuna parola, solo fruscii di foglie e il silenzio della notte.

E accadde.

Milo, ancora per terra e col piede dolorante, sgranò gli occhi.

Camus strinse le braccia attorno alle spalle di Milo, in un vago atteggiamento di protezione, dacché il suo amato era ferito e sofferente. Avrebbe affrontato egli stesso il misterioso essere che, dietro un masso, lasciava trapelare la sua ombra sul selciato.

Lunga – una strega!

Seghettata – che sia quella di un licantropo?!

Pelosa – la punizione degli Dei verso i Santi di Athena!

Camus avanzò.

Gneek.

«Attento Camus!» un avvertimento angoscioso…

Gneeeek.

L’austerità del Maestro dei Ghiacci! La sua temerarietà! Congelò il masso e tutto ciò che era intorno.

Guardò.

Sobbalzò.

Non riuscì a trattenere le lacrime, come era accaduto nella casa della Bilancia dopo aver rinchiuso l’allievo Hyoga in una bara di ghiaccio.

Perché la bara di ghiaccio era ancora lì, davanti a lui, e imprigionava la sorgente degli spaventosi suoni. Rivisse la terribile ricerca e il dramma del congelamento, mentre Milo lo raggiungeva a fatica.

Sbirciò anche lui oltre al masso, e una volta notato l’essere si gettò ad abbracciare Camus, sussurrandogli: «Non è colpa tua, non è colpa tua…»

Aquarius si sottrasse all’abbraccio, in preda al peggior momento della sua vita. Si asciugò quelle dannate lacrime, riacquistò la lucida freddezza degna del suo nome. Eppure aveva ucciso un…

«Era… era solo… uno scoiattolo…»

Milo lo attirò nuovamente a sé, con foga. Non seppe trovare una giusta osservazione, se non: «La vita va avanti.»

La Luna taceva, e avrebbe taciuto per sempre.

 

 

 

 

Ah, lo scoiattolo (anzi, l'ombra) è stato visto prima da Milo, quindi l'ha trovato lui ù_ù

  
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