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Autore: Giuu13    28/11/2016    0 recensioni
Harry Potter è diventato famoso in tutto il mondo, la saga è letta in varie lingue.
Harry Potter è l’infanzia dei ragazzi degli anni 90, è i loro ricordi e fantasie; quanti bambini hanno sognato, desiderato, sperato di ricevere la lettera di ammissione? Quanti hanno sperato di andare in quel meraviglioso castello a studiare magia?
Ma se questo mondo non fosse soltanto un libro? Se esistessero davvero maghi e streghe e la magia?
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NB: La storia è ambientata nel mondo di Harry Potter, quindi ci si muove a Hogwarts e quello che c'è nella storia è stato preso dai libri; solo i personaggi sono originali, questi non appartengono al mondo di Harry Potter di J.K.Rowling. Nella descrizione ho dovuto inserire "Un po' tutti", perché dovevo scegliere un'opzione.
Spero che la storia piaccia comunque e grazie a chiunque passi e lasci un commento!
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Harry Potter è diventato famoso in tutto il mondo, la saga è letta in varie lingue.
Harry Potter è l’infanzia dei ragazzi degli anni 90, è i loro ricordi e fantasie; quanti bambini hanno sognato, desiderato, sperato di ricevere la lettera di ammissione? Quanti hanno sperato di andare in quel meraviglioso castello a studiare magia?
A undici anni si viene a scoprire che Hogwarts non esiste, non ci sono lettere di ammissione e la magia è finzione. Si mette via la speranza di ricevere quella tanto voluta lettera e si va avanti a leggere i libri della saga. In modo diverso forse. C’è chi si scontra dopo con la realtà: alcuni arrivano a conoscere la verità a dodici, tredici anni credendo in un ritardo dei gufi, in qualche errore.
Si va avanti comunque, non ci si può disperare per così poco. Non ci si può fossilizzare sul fatto che Hogwarts, la magia, gli incantesimi, il Quiddicht non esistano, bisogna andare avanti. E così tutti i bambini che hanno sperato di essere smistati in questa o in quella casa cominciano a scegliere se andare in questa o in quella scuola, mettono da parte i libri letti e i film visti; una cosa, però, non mettono da parte: il ricordo di quell’avventura vissuta tra le pagine di quei libri e sullo schermo.
Emma è una di quei bambini anni 90 che dopo essere sbattuta contro la realtà ha buttato via tutto, dai libri ai film. Da undicenne speranzosa qual era, si è trasformata in una bambina disincantata.
Dopo parecchio tempo l’apertura di Pottermore s’iscrive non credendo possibile l’esistenza di un sito del genere. Un sito fatto apposta per far rivivere le emozioni dei libri dal primo all’ultimo istante. Le iscrizioni sono a milioni da ogni parte della Terra, tutti vecchi fan della zia Jo.
I ragazzi anni 90 che hanno messo da parte i libri li riprendono, chi ha smesso di aspettare la lettera di ammissione è più che felice di trovarsene una lì davanti; certo, è un e-mail, ma è un e-mail di ammissione e questo basta. Chi ha sognato di avere una bacchetta e fare incantesimi ora ne ha la possibilità, chi ha  sempre voluto un gufo ora lo ha. E poi c’è la stazione. La famosa stazione di King’s Cross con il suo binario 9 ¾.
Prima di scoprire la verità, Emma avrebbe dato qualsiasi cosa pur di correre con le sue valigie contro il muro di quella stazione ed entrarne in un’altra, una più magica.
Tutte quelle emozioni messe via per essere dimenticate, tutte quelle avventure abbandonate, tutto quello che hanno provato con Harry è ora ripreso. La magia è tornata.
 
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C’è una leggera pioggia che rinfresca l’aria, in giro non c’è nessuno. Tutti in vacanza all’estero o a divertirsi in città, mentre Emma è in giro per queste stradine deserte, diretta verso la casa della sua migliore amica. Andavano a scuola insieme, ma l’anno prima Irma ha cambiato scuola. È andata in una lontana e da come ne parlano i suoi genitori, anche molto prestigiosa; parlano di lei e della nuova scuola in modo così orgoglioso e felice da far venire voglia di trasferirsi. Irma passa tutti i giorni a scuola, torna solo per Natale, pasqua e per le vacanze estive.
Non si vedevano da un sacco di tempo e oltretutto Irma ha deciso di passare l’estate alla nuova scuola. A scuola! Come si fa a scegliere di passare le vacanze estive a scuola?
« Ma nemmeno per sbaglio. » borbotta sempre Emma a quel pensiero.
È l’ultima settimana di vacanza e Irma si era decisa a tornare a casa – in realtà era stata obbligata dai genitori e da Emma – e si erano date appuntamento nella sua villa.
Non ha ancora suonato al campanello che il grande cancello si apre lentamente, cigolando un poco, su un enorme giardino. Cespugli a forma di animale sono sparsi intorno alla casa senza un ordine apparente, una grande fontana posta venti metri dall’entrata sputa fuori acqua nonostante la pioggia.
Una lunga strada ghiaiata la aspetta per arrivare alla porta di casa White che è già aperta. L’unico rumore che si può sentire, oltre alla pioggia che cade dolce sul terreno, è il leggero cigolio del cancello che si chiude dietro di lei.
Ogni volta che percorre quel sentiero, non riesce a non sorprendersi per l’imponenza di quella villa bianca ed enorme: ha due piani e a quella distanza si può vedere a un lato della villa l’enorme terrazza al piano di sopra, luogo di molte feste dei proprietari; la porta d’ingresso è preceduta da un porticato sostenuto da quattro colonne greche di un bianco accecante.
Dietro la casa si estende un bosco di loro proprietà. Non c’è bisogno di dire che la famiglia White non ha problemi economici.
Il maggiordomo la aspetta all’entrata con delle pantofole e un asciugamano nelle mani.
« La Signora ha appena fatto pulire. Per favore. » e glieli dà, sorridendo felice per la sua visita.
Fuori la casa è bianca e può sembrare fredda e sterile, ma dentro è tutta un’altra cosa: un enorme tappeto rosso copre tutto il pavimento marrone scuro, la carta da parati con un meraviglioso motivo intrecciato è coperta da quadri di paesaggi e ritratti degli antenati, da arazzi e da torce. La sala d’ingresso, la sala da pranzo e da ballo – sì, hanno una sala da ballo e sì, la usano spesso -, i corridoi sono illuminati da un gran numero di torce appese ai muri. Il fuoco che balla sulle pareti, sui vestiti e i volti degli ospiti, sui quadri, dà un senso di calore e gioia che le luci al neon non possono nemmeno sognare di dare.
Per andare al piano superiore ci sono due rampe di scale poste ai due lati della sala, Emma prende sempre quella di sinistra. La parete di sinistra è ricca di ritratti interessanti che sembrano usciti da un libro di Harry Potter; ogni volta che li guarda, sembrano cambiati: uno sguardo è rivolto a destra, mentre la volta precedente era più che sicura che fosse rivolto a sinistra, la mano di quella signora è poggiata al tavolo vicino a lei, mentre l’ultima volta aveva tra le mani un ventaglio; a volte Emma crede addirittura che alcuni personaggi si siano tolti la giacca a causa del calore della torcia vicino a loro. Ovviamente è solo suggestione, da bambina voleva così conoscere la magia, che adesso quel desiderio le si ritorce contro.
La camera di Irma è in fondo al corridoio, ha una vista completa del bosco.
È arrivata davanti alla porta, su cui si legge un “Bussare prima di entrare” scritto direttamente sul legno in una grafia grande e sinuosa. La apre di scatto urlando tanto forte da far tremare le pareti. Era pronta a vedersi un’Irma spaventata a morte, ma l’unica cosa che vede è la camera vuota.
Vede uscire la sua amica dal bagno in corridoio, « Devono averti sentito anche a Hogwarts. »
« Hogwarts non esiste. »
« Ah, già. » e ride.
 
In camera il letto ad acqua è di Irma, che ci si sdraia sopra facendo su e giù per un po’ di volte, mentre la sedia sospesa attaccata al soffitto è di Emma. Comincia a dondolarsi, poi Irma le ordina di smettere, perché se continua così, farà crollare l’intera casa. Parlare con Emma è come parlare a un muro, infatti lei continua a dondolarsi, solo più piano, forse.
« Finalmente ti sei decisa a tornare a casa. Come puoi decidere di passare le tue vacanze estive a scuola? A scuola! »
Le sembra ancora una cosa impossibile.
« Non è colpa mia se quella scuola è meravigliosa. Ci sono un sacco di ragazzi che rimangono lì, sai? »
« Tutti secchioni come te immagino. » da lì comincia una sanguinosa battaglia con i cuscini che si termina con la schiacciante vittoria di Emma.
« Ti prego alzati! Non respiro! Mi stai schiacciando, Emma! »
Emma torna al suo posto, sulla sedia volante, e comincia a dondolarsi contenta della vittoria.
Irma si era dimenticata delle lotte con Emma, lotte che perdeva sempre, ma che, si accorge ora, le erano mancate in quei mesi di lontananza. Le era mancata la sua migliore amica.
Le erano mancate le passeggiate nel bosco dietro casa e le fughe durante la notte per andare in qualche locale a divertirsi e le discussioni che aveva solitamente con lei sui libri, sui film, sulla loro diversa visione della vita; tutti quei discorsi sui loro sogni futuri, sulle loro speranze e ambizioni. Nonostante odiasse l’impulsività della sua amica, la sua arrabbiatura facile, le mancavano anche le risse che creava in giro.
Questo può solo far capire quanto le fosse mancata Emma.
Solo in quel momento, vedendola dondolare con lo sguardo perso chissà dove, con le ginocchia strette al petto, si rese conto di quanto fossero amiche, quanto spazio nel cuore le avesse occupato Emma.
« Perché diavolo stai piangendo? »
La sua insensibilità! Le era mancata anche questa! Il suo evitare gesti d’affetto e sentimentali, la sua incapacità cronica di dimostrare amore. Quanto le erano mancate tutte queste cose! Irma prende a piangere come una fontana. È piegata in due sul letto e si muove in preda ai singhiozzi che la scuotono da dentro. Emma ha smesso di dondolarsi e la guarda sbuffando senza sapere cosa fare. Non è brava in quel genere di cose. Si guarda intorno in cerca di qualcosa che la possa aiutare.
Prende un cuscino da terra e lo tira addosso all’amica che non si muove, ma che continua a piangere. Raccoglie il cuscino e glielo tira nuovamente.
« Cosa ti ha fatto quella scuola? Ti ha resa una frignona, cazzo! » è in piedi che sbatte il piede a terra per attirare la sua attenzione.
Irma smette di piangere all’improvviso, si tira su e la guarda con quegli occhi scuri da cerbiatta; ha gli occhi arrossati e le lunghe ciglia bagnate dalle lacrime. Pensa alla scuola e poi a Emma, pensa alla sua bellissima scuola e alla sua amica e poi ricomincia a piangere più forte che prima, se possibile.
« Scusa scusa scusa scusa scusa » continua a ripetere senza sosta.
« Fai bene a scusarti, io odio le frignone. »
Irma scuote la testa e continua con la sua litania. Emma si copre gli occhi con una mano e pensa a un modo per farla smettere di piangere quando sente Irma che le stringe le gambe. È strisciata giù dal letto ed è arrivata fino a lei senza fare il minimo rumore e ora le stringe le gambe in un abbraccio. La sta abbracciando e questo non la fa impazzire, ma almeno ha smesso di piangere.
« Sai, mi sono iscritta a Pottermore l’altro giorno. » pensa così di farla distrarre, anche se non è molto sicura.
Sente Irma irrigidirsi e per qualche momento non la sente più respirare contro la sua pancia.
« OMMIODDIO! Sul serio? Ommioddio! » si tira velocemente su e corre alla scrivania, accende il computer e si collega a internet.
L’ho davvero distratta con Pottermore?
La vede cercare il sito su internet e si convince ad avercela fatta. Si siede vicino a lei che le fa spazio per permetterle di effettuare il login.
« Non posso crederci. Ce n’è voluto di tempo! Pensavo non ti saresti mai iscritta, pensavo che Harry Potter fosse un capitolo chiuso della tua vita, ormai. Ma cosa sei? Io sono Grifondoro, ovviamente. Coraggiosa di cuore, audace, forte e leale, fiera di esser tale. » si mette a ridere nervosamente.
Irma non riesce a stare ferma, continua a muoversi; continua a picchiettare le dita e a muovere il mouse sulla superficie del tavolo. Ha un’aria stranamente concentrata e attenta, sembra quasi in attesa.
La pagina si carica in fretta e compare la schermata d’inizio. Irma è immobile a fissare lo schermo in silenzio; ha smesso di agitarsi sulla sedia, le dita sono strette forti al mouse, ora immobile, che sembra un topo morto.
« Sono una Serpe. Forte, vero? Ambiziosa, astuta e letale, orgogliosa di esser tale. » imita la filastrocca dell’amica adattandola a quello che è.
Irma sembra triste, quasi delusa; apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude subito.
« Non dirmi che sei triste perché io sono una Serpe e tu un Grifone. Voglio dire, è solo Pottermore. »
Irma si riscuote, torna a muoversi e a sorridere anche se ha cambiato luce negli occhi.
« Figurati. Non m’interessa se sei una lurida Serpe. Be’ forse solo un po’ dato che ti schiaccerò. Sei un esserino piccolo piccolo, non so se riuscirò a vederti. » era tornata quella di prima, pronta a ridere e a scherzare.
« Ma che esserino piccolo piccolo? Ti stritolo tra le mie spire, ti mordo, ti avveleno e poi ti mangio intera, ti digerisco e in qualche modo ti espello. » lo dice in modo così calmo e serio da far paura.
« Vedremo! » urla Irma che le salta addosso, buttandola giù dalla sedia. Ricomincia un’aspra lotta che continua per ben dieci minuti, dopo i quali Irma chiede implorante pietà alla lurida Serpe, che si diverte a umiliare il fiero Grifone.
 
« Ti va di mangiare e dormire qui? »
Irma è al computer per alcune ricerche su delle alghe che crescono in determinati laghi e l’amica rimbalza sul letto.
« Va bene, ma ci sono anche i tuoi? »
« Oui, non li vuoi? »
« Sì che li voglio. Sono molto più simpatici di te. »
Se non fosse per quella ricerca da finire a tutti i costi, Irma le sarebbe già addosso pronta a combattere ben sapendo chi poi avrebbe vinto. Non è una persona violenta o facile da far arrabbiare, anzi, è il contrario: pacifica, calma e paziente, una non rivoluzionaria, è contro la violenza; lotta solo con Emma, sperando che queste piccole battaglie funzionino come anti-stress per l’amica, che la aiutino a non dirigere la violenza e la rabbia verso persone esterne. Non ha mai funzionato, ma Irma – da brava Grifondoro qual è – non perde mai la speranza.
« Come avvisiamo i tuoi? »
« Che si arrangino. Non vogliono comprarsi nemmeno un telefono. Che si arrangino! Va bene che odino il mondo, ma un telefono possono anche comprarselo. »
I genitori di Emma sono conosciuti per la loro misantropia acuta, non escono da casa se non per andare da degli amici – che tra l’altro sono degli asociali misantropi anche loro. Tutta la gente che frequentano i signori Wood è asociale; lei non conosce gli amici di famiglia se non di vista, i suoi genitori non glielo hanno mai permesso. Irma, poi, chiede come mai Emma sia così scontrosa e acida e anti-persone, vedi un po’ con che gente è dovuta crescere!
A Emma le persone non sono mai piaciute molto, i suoi genitori l’hanno solo aiutata a sviluppare il suo non-amore per le persone: a furia di motti di famiglia come “Fidati solo di te stessa, mai degli altri”, “Una famiglia unita è l’unica cosa di cui c’è bisogno” e ancora “Il bosco è vita, niente è più importante” Emma è cresciuta esattamente come i genitori. Forse meno drastica dato che ha un’amica solare e socialmente integrata, cosa che manca ai suoi.
« Quindi non li avviserai? »
« No, tanto non fa differenza, dovrebbero uscire stasera. »
Irma si gira curiosa e chiede in un soffio, « Dai soliti amici? »
« Da, perché? »
Scuote velocemente le spalle e torna a occuparsi della sua ricerca.
 
La sala da pranzo è un enorme stanza con un gigantesco camino e una vetrata che dà sul giardino di casa; un lampadario di cristallo pende dal soffitto illuminando a giorno l’intera sala. Candelabri a tre braccia ornano la lunga tavola apparecchiata, insieme a dei vasi colmi di rose bianche, il simbolo della loro famiglia.
Lo stemma della famiglia White - inciso sul legno bianco della porta d’entrata – è composto da uno scudo scarlatto tagliato a metà da una fascia orata, su cui poggiano due rose bianche incrociate; lo scudo è, inoltre, incorniciato da spine acuminate.
Stanno mangiando, mentre della musica classica si diffonde nell’aria. I camerieri entrano ed escono dalla cucina e ogni tanto vengono fermati dai signori White per chiacchierare; sono estremamente cordiali con tutti, sono solari e affettuosi, pieni di premure. I camerieri nutrono grande stima e rispetto nei loro confronti, lo si può vedere riflesso nei loro occhi.
« Emma, la riconosci? » il signor White la guarda pieno di aspettative.
La ragazza si accorge che il pianoforte che prima si sentiva è stato sostituito con un violino. Impiega pochi secondi a riconoscerla, « Oh, è Paganini e questo è  il suo Capriccio numero due.»
Bastano poche parole per mandare su di giri il padre di Irma: qualche bella parola sulla musica, uno o due nomi di opere classiche e lui va in un brodo di giuggiole.
« Questa ragazza. Questa ragazza. » e scuote la testa sorridente, « Dopotutto i tuoi genitori hanno fatto un bel lavoro. »
I signori White e i genitori di Emma si detestano da tempo, ormai. Le figlie non sanno nemmeno il perché.
« Cosa che noi non siamo riusciti a fare con… quella. » la signora fa un cenno in direzione della figlia, praticamente sdraiata sul piatto intenta a mangiare voracemente quello che le viene servito, senza nemmeno guardare. Irma, sentendosi osservata, alza il viso dal piatto e vede tre paia di occhi puntati su di lei, « Cosa? » pezzi di pollo mezzi masticati finiscono sulla tavola, facendo scatenare le risate di tutti.
« Guarda Emma, vedi il portamento? È perfetto. Non ti chiedo questo perché so che è troppo, ma non potresti stare almeno dritta? »
Irma si tira su, ferita nell’orgoglio, lanciando un’occhiata furiosa verso l’amica che alza le spalle divertita.
 
« Ma se sembra che hai un palo in culo! »
Stanno tornando in camera quando Irma sbotta all’improvviso, « Insomma, sei lì tutta dritta e rigida da sembrare una statua. »
« Che cosa stai dicendo? Ho un portamento da regina, io! E poi non è colpa mia: sono stati i miei a farmi diventare così. Con tutte le loro lezioni… »
« Sì, la regina delle statue col palo in culo! » urlato questo Irma comincia a correre per il corridoio cercando di sfuggire alla rabbia di Emma.
 
« Pensavo di uscire ‘sta notte, ti va? »
Emma annuisce, chiude il libro che stava leggendo e si alza da sopra Irma, che era stata bloccata alla fine dell’ennesima lotta.
« La prossima volta pensa prima d’insultare una Serpe, però. »
Irma ride e si alza, si dirige alla cabina armadio in cerca di qualcosa da mettere per la serata.
A mezzanotte si calano dalla finestra, cercando di non schiantarsi di sotto o rompere la grondaia a cui sono appese.
Attraversano il giardino appiattendosi contro le recinzioni e nascondendosi dietro scoiattoli d’erba giganti. Abituate a quel tran tran, scavalcano velocemente e senza problemi l’alto cancello, si ritrovano in strada e si dirigono verso il centro.
Sulla strada non c’è un’anima, a parte qualche ragazzo che lascia cadere gli occhi su di loro. Irma riceve anche dei fischi, di cui nemmeno si accorge da quanto è presa a raccontare all’amica di alcuni suoi compagni di classe. In effetti Irma non può passare inosservata: due lunghe gambe escono da sotto il mini vestito blu che si è messa, i capelli castani sono sciolti e le cadono lisci a sfiorare le spalle e i grandi occhi marroni sono incorniciati da lunghe e nere ciglia. Cammina in modo sensuale senza nemmeno rendersene conto, cattura li sguardi senza volerlo. Emma sorride e l’amica continua a parlare senza sosta. Arrivano ad un locale, salutano un paio di visi familiari e si siedono ad un tavolino tondo, in un angolo.
« Tu cosa prendi? »
« No, perché? »
La musica è così alta che non riescono nemmeno a capirsi. Irma prende la lista degli alcolici e gliela sbatte sul naso.
« Ah! »
Prendono da bere dal bancone, un ragazzo si avvicina al loro tavolo e sussurra qualcosa di divertente a Irma che si mette a sghignazzare.
Sento puzza di qualcosa e non mi piace.
Quel tipo non è piaciuto a Emma nel momento stesso in cui ha scorto il suo viso tra la folla: troppo sorridente, troppo pulito e ordinato. Lei ha sempre diffidato della gente così, sono sempre i peggiori: si tirano a lucido solo per nascondere lo schifo che sono realmente.
Gli occhi! Quegli occhi azzurro puro che viaggiano nella scollatura di Irma che ride felice. Sono quelli che puzzano. Irma si tende verso di lei, « Vado a ballare, ha detto che ha un amico se ti può interessare. » urla forte. Il ragazzo fa un cenno con la testa verso la pista. Emma scuote lentamente la testa senza smettere di guardarlo; il tipo si sente a disagio a essere fissato da quegli occhi così assurdamente gialli, si guarda intorno strattonando il vestito di Irma.
« Sei sicura? »
Annuisce. I due si allontano verso la pista da ballo.
Emma porta alle labbra la sua bevanda che finisce subito, così prende quello che rimane di quella di Irma. Finita in un sorso. Quella sete di alcolici è insaziabile, e il fatto di reggere l’alcool alla perfezione non aiuta: potrebbe bere fino a scoppiare senza nessuna conseguenza.
Rimanendo al tavolino può controllare meglio le mosse del ragazzo. Un passo falso e l’avrebbe preso a pugni. Inspira profondamente, chiude gli occhi e sorride.
Da quanto tempo è che non faccio a botte? Deve essere passata un’eternità.
Sente i muscoli della schiena e delle braccia fremere. È brutto da dire, lo sa anche lei, ma adora fare a botte. Non le piace esattamente picchiare, le piace scaricare tutto quello che ha dentro nei pugni. Irma continua a dire che deve trovare un modo più sano e costruttivo di scaricare la rabbia, ma a lei va bene così, a lei piace così.
Apre gli occhi di scatto cercando l’amica nella folla a pochi metri da lei, la vede ballare insieme al ragazzo.
Non vuole alzarsi, ma sente di aver bisogno di altro da bere, magari un po’ di vodka liscia può ridurre la sete; va al bancone e torna con un bel bicchiere. Affonda nel divanetto rischiando di far cadere tutto il contenuto della bevanda. Un ragazzo si avvicina, ma Emma non gli lascia il tempo nemmeno di salutare, con una mano fa segno di andarsene. Deve restare vigile e presente per Irma, non può lasciarla sola: ingenua com’è, quella potrebbe accettare qualsiasi cosa da sconosciuti e andare con chiunque a “fare un giro”. Deve resistere alle tentazioni che questo ragazzo le accende.
Si volta verso la massa di gente che balla, ma di Irma nessuna traccia. Si maledice per essersi distratta, maledice quel tipo sexy ancora in piedi accanto a lei per averla distratta e maledice anche la vodka.
Si alza sbuffando, stanca di fare da baby-sitter ad una ragazza grande e vaccinata senza potersi svagare, allontana da sé quel tipo insistente e fastidioso – l’ha già stancata – e s’incammina, pronta per affrontare il blocco di corpi di fronte a lei. Odia la gente, anche se non la conosce. Basta vederli per odiarli.
Mi devi un sacco di cose, Irma.
Vede un vestitino blu uscire dalla calca, si muove veloce e traballando.
« …ndiamo. » Irma si è lasciata andare tra le sue braccia.
« Ma che schifo. Puzzi da far schifo e sei pure ubriaca. Hai bevuto ancora? »
Irma la spinge verso l’uscita, si guarda intorno e la spinge.
Fuori c’è una leggera brezza che le lava dall’odore del locale, di alcool e sudore. Inspirano rumorosamente entrambe e si mettono in strada per tornare a casa, chi con passo deciso e chi sbandando.
« Siamo state lì dentro due ore e mezza. È un record, non credi? Di solito, o per colpa delle mie zuffe, o per colpa tua che vomiti anche gli organi interni, usciamo dopo solo un’oretta. »
Emma le tiene un braccio per sicurezza; non sia mai che le si rompa un tacco, perché con l’equilibrio che ha ora volerebbe per terra.
« Quel tipo… »
« Ehi, aspetta! »
Entrambe si girano e vedono il ragazzo con gli occhi azzurri correre verso di loro. Irma emette un gridolino che Emma non sa come interpretare e le prende una manica della giacca, per trascinarla con sé.
Sembra che abbia riacquistato la lucidità tutta in un colpo, cammina spedita portandosi dietro anche Emma che la segue senza farsi troppe domande, quasi divertita.
Non si sente più nessun rumore dietro, Emma si gira per controllare dove sia andato il ragazzo, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, si sente tirare per il collo della giacca e scaraventare per terra. Sbatte la testa contro l’asfalto e rimane lì, dolorante come un’idiota, senza capire cosa sia successo. Si guarda intorno, ma non vede nessuno, né un passante né un cane randagio. C’è solo la borsetta aperta dell’amica, che ha vomitato per strada tutto il suo contenuto.
Poi lo vede. Vede il ragazzo addosso a Irma, che è schiacciata contro un muro e che tenta di respingerlo, nonostante lui sia nettamente più forte. Le sue mani strisciano dappertutto e Irma sta ormai piangendo disperata e urla. Urla il suo nome, la sta chiamando.
Sente le mani prudere, bruciare di voglia di spaccare qualsiasi cosa. Si sente sempre così prima di picchiare qualcuno, sente di poter distruggere il mondo, farlo a pezzi.
Si alza e con un balzo è dietro al ragazzo, carica il pugno e glielo tira a un lato del collo, facendolo volare via. Irma, senza più la pressione del suo corpo addosso, cade per terra e con le mani a coprire la faccia, piange.
« Tirati su e torna al locale. » il tono di Emma è duro, come se ce l’avesse con lei.
Una mano le prende la spalla facendola girare e un pugno pesante come un macigno le arriva in faccia. Indietreggia, ma non cade. Sputa per terra sangue e saliva, si pulisce con una manica.
« Tutto qui? »
Il ragazzo, ancora stordito per la botta ricevuta, carica sferrando pugni alla cieca; Emma li scansa senza problemi, gli blocca una mano e poi l’altra. Il ragazzo le sputa in faccia e lei gli tira una testata. Si sente un rumore secco, cartilagine in frantumi, dolore, sangue. Il ragazzo si piega sulle ginocchia tenendosi il naso sanguinante tra le mai, gemendo. Emma ne approfitta per assestargli una gomitata sulla schiena, lui urla e cade al suolo senza emettere più un suono.
Le sanguina il labbro e sente il sapore ferroso del sangue in bocca. Tocca con il piede il corpo privo di sensi; si avvicina a Irma, ancora a terra, con la borsa stretta tra le braccia e gli occhi serrati.
Rimane davanti a lei, guardandola. Non avrebbe mai smesso di farle da baby-sitter, purtroppo. Sospira e dice semplicemente, « Andiamo. » e s’incammina.
L’amica apre gli occhi, si guarda intorno come se si fosse appena svegliata da un incubo. Si alza in piedi di scatto e si aggrappa a un lembo della giacca di Emma, come il cucciolo di elefante che si appende alla coda della mamma.
Tornano a casa in silenzio.
   
 
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