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Autore: effewrites    29/11/2016    1 recensioni
[College!AU, Taluke (+ Percabeth, + Charlena, + Lunabeth), rating giallo per il linguaggio usato (il rating potrebbe variare nel corso della storia.)]
E' il primo anno di università, e Talia Grace ha deciso di lasciarsi il passato alle spalle. Non sarà più la ragazza scontrosa che tutti evitano e che ha paura di tornare a casa. L'Olympia University, a sei ore di treno da New York, è il posto perfetto per costruirsi una nuova vita.
Aggiungete all'equazione Luke Castellan, che è stanco di gettare la propria vita alle ortiche così come è stufo di soccombere al rancore. L'Olympia University, che lo ha accolto nonostante il suo passato turbolento, è il luogo adatto per ritrovare sé stesso.
Considerate le incognite. Un naso (quasi) rotto, compagni di stanza litigiosi, convivenze forzate. Alcol, statue greche, un sexy shop.
Buon inizio semestre, studenti dell'Olympia!
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy/Annabeth, Talia Grace, Talia/Luke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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walking to the club like whatup i got social anxiety so i really wanna go home


Alzo lo sguardo dal libro sulle mie ginocchia solo quando sono sicura che Luke abbia lasciato la biblioteca. Allora e solo allora mi concedo di alzarmi in piedi, riponendo il libro che stavo leggendo al suo posto sullo scaffale alle mie spalle. Nel silenzio della biblioteca il suono della suola di gomma dei miei stivali mi accompagna mentre mi dirigo verso la scrivania all’entrata, dove Percy sta fissando con insistenza un contenitore con il logo di uno dei café del campus.

“Hey,” mi dice Percy nel sentirmi avvicinare, e le sue sopracciglia corrugate si distendono. “Pausa caffè? Il tipo che se n’è appena andato l’ha lasciato qui.”

“Sì, l’ha portato per me. Ma puoi prenderlo se lo vuoi.”

Percy poggia un gomito sul tavolo, prendendosi il viso in una mano mentre mi guarda con lieve confusione. “Sicura? Anche se l’ha portato per te?”

Annuisco. “Sarebbe il terzo che prendo da quando ho aperto gli occhi. Non vuoi vedermi in overdose da caffeina, e siamo bloccati qui almeno per un altro paio d’ore. Non sopravvivresti.”

Percy sogghigna, ma mi ringrazia e gli rispondo con un sorriso mentre lo vedo prendere un sorso della bevanda.

Mi sento in colpa. Solo un po’.

***

“Mi annoooio,” esclama Travis, e blocco il cronometro sul mio telefono.

“Sei minuti e quarantanove secondi,” comunico ad alta voce, e intorno a me si alza un brusio dovuto alle lamentele della maggior parte dei presenti.

“Visto?” dice Connor. “Ve l’avevo detto che si era svegliato più paziente del solito. Fuori i soldi adesso.”

“Non riesco a credere di essere diventato oggetto delle vostre scommesse.”

“Quello che non riesco a credere è che tu abbia resistito quasi due minuti in più rispetto al solito prima di iniziare a lamentarti,” ribatte Katie mentre porge una banconota da cinque dollari a Connor. “Volevo comprare qualche snack con quei soldi.”

“Questo è quel che ottieni a scommettere sulle mie sofferenz– OUCH!” esclama Travis, massaggiandosi il fianco nel punto in cui Miranda gli ha appena tirato una gomitata. I due hanno un veloce scambio di sguardi, con Miranda che tenta di farsi capire a gesti quando Travis dà segno di non riuscire a comprenderla altrimenti. Dal momento che Travis mantiene in viso un’espressione sconcertata, Miranda si passa una mano sul viso per poi esclamare: “Fossi in te, Katie, chiederei a Travis di comprare quegli snack al posto mio. Sono sicura che non avrebbe problemi a offrirteli di sua spontanea volontà.”

“Verrà il giorno in cui Travis non avrà bisogno dell’aiuto di Miranda per fare la corte a Katie,” mormora Annabeth al mio fianco, mentre porge anche lei cinque dollari a Connor. “Ma quel giorno non è oggi.”

Rido a bassa voce. “Mi dispiace. Non credevo che chiedendoti di venirmi a prendere ti avrei portata a invischiarti in un giro di scommesse clandestine.”

Annabeth fa spallucce. “E’ okay, posso ancora permettermi di sperperare denaro. La mia vita di studentessa universitaria al verde inizierà, secondo i miei calcoli, tra circa quattro settimane e due giorni.”

“Sei spaventosamente precisa.”

Annabeth si volta verso di me sorridendo. “Sempre meglio essere preparati.”

Concordo con lei. E’ proprio per questo che mi trovo ancora in biblioteca in questo momento.

Il mio turno per quest’oggi è finito già da un pezzo, ma sono riuscita a strappare qualche straordinario che, sommato a quello di stamattina, potrebbe far sì che il mio stipendio sia un po’ più massiccio di quanto teoricamente non dovrebbe essere. Quando Katie l’ha saputo ha storto il naso. “Siamo a malapena all’inizio, perché caricarti le spalle di lavoro? Ne uscirai distrutta.”

Già… non aveva tutti i torti. Con tutto quello che è successo negli ultimi giorni – mia madre e Luke innanzitutto – le ore di sonno che ho accumulato potrebbero contarsi sulle dita di una mano, e gli straordinari in biblioteca stanno iniziando a farsi sentire. Ho chiesto ad Annabeth di pranzare insieme perché so che se non metterò qualcosa nello stomaco al più presto rischio di collassare sotto il peso della caffeina che mi sta tenendo in piedi per pura inerzia.

“Allora,” mi dice Annabeth mentre usciamo dalla biblioteca, lasciando alle nostre spalle il bisticciare di tutti gli altri. “Hai parlato con Luke questa mattina?”

Deglutisco. “Abbiamo parlato.”

Annabeth mi lancia un’occhiata indagatrice. “Quindi non è andata bene…”

“No, no!” la interrompo prima che possa tratte conclusioni affrettate. “E’ andata bene. Abbiamo chiarito, non lo odio o cose del genere. Siamo okay.”

“Silena sarà felice di saperlo,” dice Annabeth mentre annuisce. Una brezza di vento le scompiglia i capelli biondi e lei alza una mano per sistemarne una ciocca dietro l’orecchio. “E ne sono felice anche io.”

“Perché temevi che se avessimo smesso di essere amici ti saresti sentita costretta a prendere le mie parti e quindi non avresti più avuto modo di girargli intorno – non spingermi!”

“Non essere maliziosa! Sono felice perché dopo il vostro litigio avevi un’aria talmente avvilita che persino Clarisse mi ha chiesto se ti fosse successo qualcosa!”

Porto una mano al petto, fingendo estrema commozione. La mia pancia sceglie quel momento per emettere un forte brontolio. Annabeth scoppia a ridere.

“Quindi ci sarai anche tu alla festa di questa sera?” mi domanda poi. Annuisco in risposta, perché sebbene l’unica cosa che io voglia fare stasera è gettarmi sul mio letto e diventare un tutt’uno con le lenzuola, ho troppa paura di Silena per poter darle buca.

***

“Non ho abbastanza paura di Silena per convincermi a partecipare a questa festa.”

Non posso biasimare Clarisse per affermare una cosa del genere. Siamo entrambe ferme davanti l’ingresso dell’Hades, a braccia conserte e con due identiche espressioni contrariate in viso, titubanti di fronte l’idea di addentrarci nel dormitorio dal quale proviene di già il vago rimbombo dei bassi di una canzone che le radio stanno trasmettendo in continuazione in questi giorni.

“Sei ancora in tempo per mollare,” dico a Clarisse, che grugnisce e si volta di scatto verso di me. Nei suoi occhi scuri leggo l’affronto, mentre lei ribatte: “Ti sembro una persona che molla?”

Faccio spallucce. Nessuna di noi due accenna a muoversi per entrare. “Anche se,” mormora Clarisse, le labbra arricciate in un’aria pensierosa, “potrei dare la colpa a te. Dire che ti sei sentita male e ti ho riaccompagnata in dormitorio.”

Mi ritrovo a soppesare per qualche istante la sua proposta. Effettivamente non sarebbe una cattiva idea.

“Già, ma pensi di riuscire a mentire a Silena?” le ricordo con un sospiro. Clarisse sostiene il mio sguardo prima di sbattere con fare frustrato un piede per terra. “E’ quello che pensavo,” aggiungo, decidendo poi in un modo di coraggio di dirigermi a passo spedito verso l’entrata.

“Hey!” esclama Clarisse alle mie spalle, e quando mi volto a guardarla vedo una punta di preoccupazione nel suo sguardo.

“Hey,” le dico a mia volta. “Sai che non devi venire per forza, no? Possiamo anche restare per una manciata di minuti, farci vedere da Silena e poi filarcela in mezzo alla folla.”

Clarisse annuisce, ma trasuda comunque ancora nervosismo. E’ strano vedere una ragazza possente come lei ridursi a un cumulo di ansia per via di una festa, ma chi sono io per giudicarla? Forse è il suo primo party con persone perlopiù sconosciute. Forse semplicemente non è il tipo festaiolo. In ogni caso, non può di certo trascorrere il resto della serata qui impalata di fronte l’ingresso dell’Hades.

“Detesto le feste,” mormora Clarisse, confermando parte delle mie ipotesi.

“Ma vuoi bene a Silena,” le ricordo. Clarisse abbassa le spalle con aria sconfitta. Annuisco tra me e me, riprendendo a camminare. I suoi passi alle mie spalle mi seguono mentre faccio il mio ingresso nell’Hades.

Silena, che ho scoperto essere un ottimo strumento di convincimento quando si ha a che fare con Clarisse, ci ha anticipate insieme ad Annabeth di qualche ora per aiutare i ragazzi a sistemare il piano. Mentre saliamo le scale il suono dei bassi si fa sempre più vibrante, e riesco a riconoscere le voci delle nostre coinquiline nel mezzo del brusio di tutti gli invitati.

Il corridoio, dipinto di un nauseante giallo pallido, è deserto, eccezion fatta per un poster con su disegnato in maniera stilizzata un cane a tre teste che ci accoglie una volta terminata la rampa di scale. Clarisse mi supera e si avvicina al poster – in realtà formato da quattro fogli tenuti insieme con del nastro adesivo.

“Fluffy vi dà il benvenuto al terzo piano dell’Hades,” legge Clarisse, per scuotere il capo.

“Dovrebbe essere Cerbero. Il cane a tre teste, hai presente?” domando avvicinandomi a lei, che si stringe nelle spalle.

“Somiglia di più al chihuahua di mia zia Prudence. Moltiplicato per tre. Decisamente un cane infernale.”

“Talia! Clarisse!”

Clarisse ed io ci voltiamo all’unisono, osservando Silena spuntare dall’unica stanza nel piano senza una porta – la cucina – e correrci incontro con tra le mani due bicchieri di carta rossi dall’aria sospetta. Silena ci travolge in una massa di capelli profumati e glitter sul viso che richiamano il suo top pieno di paillettes, e mi domando se anche Clarisse si senta a disagio per l’aver indossato come me la semplice, classica accoppiata jeans più tshirt.

“Sono così felice che siate riuscite a venire!” esclama Silena, e vedere il suo sorriso radioso e sincero mi fa credere che sia valsa la pena rinunciare a qualche ora di sonno per partecipare a questa festa. “Ecco,” ci dice, porgendo sia a me che a Clarisse i bicchieri che ha in mano. “Raggiungeteci di là, ci sono Annabeth e gli altri! Clarisse, Charlie voleva chiederti qualcosa riguardo un programma di workout di cui ha sentito parlare recentemente? Ne stava parlando poco fa e quindi gli ho detto, ‘Charlie, devi assolutamente parlarle con Clarisse!’ E’ fantastico che siate entrambi interessati al fitness, non trovi?”

Trattengo una risata nell’osservare Silena che trascina letteralmente Clarisse dietro di sé verso la cucina, e ne approfitto per annusare discretamente il contenuto del mio bicchiere. L’odore di alcool mi pizzica le narici. Sospiro, dirigendomi poi anche io verso la cucina, e poggio il bicchiere ancora integro sulla prima superficie disponibile, dimenticando di averlo mai avuto tra le mie mani.

Le cucine dell’Hades, a quanto mi è stato detto, sono conosciute in tutta l’Olympia per essere state luogo di feste di ogni tipo: sia quelle più classiche d’inizio anno, di Halloween, del Ringraziamento e di Natale, che quelle più insolite, come quando a detta di Katie venne organizzata un party per festeggiare il fatto che uno dei tutor degli inquilini del piano avesse finalmente gettato via il maglione puzzolente con cui si presentava ogni giorno ai corsi. Essendo a conoscenza di ciò, devo ammettere che nella mia mente si erano formate le più assurde fantasie su come dovesse essere effettivamente strutturata una cucina dell’Hades. Fantasie che vengono distrutte impietosamente nel momento stesso in cui metto piede nella stanza.

“Oh,” è tutto ciò che riesco a esclamare. E’ una semplice cucina. Molto più grande di quella del nostro appartamento a New York, ma pur sempre una cucina, con un enorme tavolo nel centro della stanza ricoperto di bottiglie di birra e altre bibite e ciotole di patatine e popcorn. C’è anche un’enorme ciotola trasparente con all’interno del liquido di un colore rosso aranciato che suppongo sia il punch che Silena ci ha offerto. Dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovano il piano cottura, il frigorifero e tutto ciò che normalmente farebbe parte di una cucina c’è un televisore circondato su tre lati da divani e poltrone che sembrano aver visto giorni migliori, e in un angolo riesco a intravedere delle casse.

Ah, e poi sì, c’è anche un botto di gente.

Mi guardo intorno, cercando di riconoscere qualche viso familiare dal momento che Silena e Clarisse sembrano essere sparite tra la folla, e sono sul punto di abbandonare qualunque prospetto di socializzazione e fiondarmi al tavolo degli snack quando incrocio un paio di familiari occhi grigi.

“Talia!” esclama Annabeth con un sorriso. Con lei ci sono Percy e Grover, e tutti e tre sfidano la folla per dirigersi verso di me.

“Hey,” li saluto. “Da dove salta fuori tutta questa gente?”

“Silena,” rispondono all’unisono Percy e Annabeth, per poi voltarsi l’uno verso l’altra e sogghignare. Grover, alle loro spalle, alza un sopracciglio e poi scuote il capo, guardandomi con aria affranta mentre cerca di calarsi ancor più sulla testa il berretto che indossa.

“La cucina è terra di nessuno,” mi dice. “Ci stiamo raggruppando nei vari appartamenti per restare un po’ più tranquilli. Gli altri sono già da Beckendorf, noi cercavamo qualcosa da mangiare.”

Percy mi mostra il pacco di patatine che sta stringendo al petto come fosse un bambino. “Missione compiuta. Ora, non per mettervi fretta, ma possiamo tornare dagli altri? Perché il tipo a cui ho soffiato le patatine da sotto il naso si sta aggirando per la cucina con l’aria di chi non si farebbe problemi a strangolare qualcuno.”

“Sono patatine alla salsa ranch,” puntualizza Grover. “Anche io non mi farei problemi a strangolare qualcuno per averle.”

Decidiamo di dirigerci verso la stanza di Beckendorf e degli altri prima che questa festa possa trasformarsi in un ring di wrestling in cui si lotta per un pacco di patatine – seriamente, patatine? Alla salsa ranch? L’unico cibo per il quale combatterei sono i cheeseburger.

L’appartamento dei nostri amici è in fondo al corridoio, dove il suono della musica non è più così forte da farti rizzare i peli sulle braccia al ritmo dei bassi. La porta è aperta, e da dentro arriva il suono di risate e di un altro tipo di musica – qualche gruppo indie che riconosco, ma non seguo con particolare affanno.

“Abbiamo il cibo!” esclama Annabeth nell’entrare. Tutti i nostri amici sono seduti nella zona salone condivisa, chi sul divano, chi su sedie raccattate da chissà dove, chi per terra. Luke, tra i fortunati occupanti del divano, si alza di scatto.

“Talia,” esclama.

“Spero non sia lei il cibo,” borbotta Clarisse. Silena, seduta scoppia a ridere come fosse la battuta più divertente che abbia mai sentito.

C’è un po’ di confusione a seguire, perché tutti i presenti cercano di stringersi alla ben’e meglio per far saltar fuori qualche posto a sedere in più che non sia sul pavimento. Un ragazzo asiatico con una benda sull’occhio si alza dalla poltrona che occupava, minacciando i presenti di riprendersela con la forza se al suo ritorno la troverà occupata, e sparisce poi in una delle stanze che affacciano sulla sala per ricomparire dopo qualche istante con diversi cuscini tra le braccia.

Travis e Connor, occupanti rispettivamente un posto sul divano e una poltrona, si alzano di scatto con una luce sinistra con gli occhi e, afferrato ciascuno un cuscino, decidono di cedere i loro posti per sedersi adesso a gambe incrociate per terra con i cuscini sotto al fondoschiena. Silena si sposta in braccio a Beckendorf, e in un modo o nell’altro riusciamo a trovare tutti un posto relativamente comodo – io striminzita sul divano, Annabeth su di una poltrona insieme a Miranda, Percy per terra sul terzo cuscino fornito da quello adesso so essere il terzo coinquilino di Luke e Beckendorf e Grover su di uno sgabello.

Un ragazzo biondo che non conosco è poi seduto accanto a una mini postazione stereo – un paio di piccole casse collegate a un iPod – e ci sono un paio di altre facce a me sconosciute, ma a parte loro siamo il gruppo della biblioteca e gli inquilini dell’appartamento. La cosa non mi sorprende più di tanto: nei giorni passati, complici alcune amicizie in comune, abbiamo formato un gruppo abbastanza unito.
“Quindi questo sarebbe un party nel party?” domando, più che altro per avere qualcosa da dire.

“Silena potrebbe aver esagerato con i suoi inviti,” spiega Luke, ma Silena si difende immediatamente.

“Non è stata colpa mia!” dice. “E’ che la notizia della festa si è diffusa e tutti gli inquilini del piano hanno deciso di partecipare, invitando i loro amici. Per cui sì, il nostro è un party nel party. Per pochi intimi.”

“Ciò che intende è che quella che doveva essere una serata tranquilla si è trasformata in qualcosa somigliante a un frat party,” interviene Beckendorf. Silena, seduta sulle sue ginocchia, annuisce. “Il che non era nei nostri programmi.”

“Ho visto qualcuno versare altra vodka nel punch,” commenta Connor. “Sono abbastanza sicuro fosse Castor. O Pollux. Non riesco mai a distinguerli.”

“Ora sai come si sente la gente quando ha a che fare con noi, bro,” interviene Travis, e Katie dalla poltrona si lascia andare a una risatina. Travis aggrotta le sopracciglia nel guardarla. “Cosa?”

“Io riesco sempre a distinguervi,” spiega Katie, ma dopo aver detto ciò le sue guance si colorano di rosso.

Da lì la conversazione si spezza e ognuno trova qualcuno con cui chiacchierare del più e del meno, il che, devo ammettere, è molto più rilassante del cercare di intavolare un discorso che coinvolga tutti. Annabeth inizia a parlare con Miranda e con il ragazzo biondo dell’iPod – Will, mi sembra di capire – di come si sta trovando all’Olympia e di quanto siano interessanti i corsi che segue. La loro conversazione procede con tranquillità, con un tono di voce costante, così come quella tra Percy, Ethan e Grover. I fratelli Soll alternano momenti di silenzio ad altri in cui incominciano ad urlare frasi apparentemente senza senso, probabilmente qualche battuta che solo loro riescono a capire. Trovandomi seduta nelle vicinanze di Beckendorf e Clarisse, invece, ascolto il loro discutere sulle routine di workout più efficaci e su quale sia la migliore marca di polvere proteica per qualcuno che debba gestire il budget di uno studente universitario.

Il mio sguardo cade su Clarisse, che con l’avanzare del discorso assume una postura più rilassata, e persino la sua espressione costantemente finisce con l’aprirsi, e sono sollevata dal fatto che sembri trovarsi a proprio agio come tutti gli altri. Silena ascolta ciò che i due hanno da dire, e interviene ogni tanto per mandare avanti la conversazione con domande e osservazioni. E’ brava ad avere a che fare con la gente. Questa ne è solo l’ennesima conferma.

“Hey.”

Sobbalzo quando Annabeth si ferma davanti a me e mi posa una mano sul ginocchio per poi sedersi per terra e guardarmi dal basso. “Tutto okay? Hai l’aria di qualcuno che si è perso tra le nuvole.”

Annuisco, accorgendomi solo in quel momento di essere lentamente scivolata sul divano fino a stravaccarmi occupando ogni singolo centimetro di spazio disponibile, e mi passo una mano sul viso facendo attenzione a non lasciare sbavature nere di makeup per tutta la faccia. Katie, lì vicino, mi guarda con le sopracciglia aggrottate.

“Sta lavorando molto più di quanto dovrebbe lavorare e ha incominciato da quanto, una settimana? Cosa farai quando inizierà la stagione degli esami e ci sarà effettivamente un motivo per fare gli straordinari a riordinare libri? Ti trasferirai in biblioteca?”

“Katie, stai facendo di nuovo la mamma,” la richiama Miranda, senza neanche distogliere lo sguardo dal video che sta mostrando a Will sul proprio telefono. Katie sbuffa, lanciandole un’occhiataccia. “E’ dura essere la persona più responsabile in questa stanza. Ho cercato di convincere Beckendorf a diventare il futuro genitore simbolico, ma ormai le grinfie di Silena lo hanno catturato. Ho buoni presentimenti per Annabeth, però. Gli Stoll le danno ascolto, il che è già più di quanto io sia riuscita ad ottenere da quando mi sono iscritta all’Olympia,” mormora, ma nel momento esatto in cui inizio a sbadigliare il suo sguardo indagatore si posa nuovamente su di me. “Tu. Non ti concederò più turni se il risultato è vederti esausta.”

“Sto bene,” le dico, caricando d’enfasi le mie parole. “Sul serio, mi sono solo svegliata troppo presto questa mattina.”

“Vuoi qualcosa da bere?” mi domanda Annabeth mentre fa per alzarsi, ma la blocco con una mano sulla spalla.

“Yep, ma vado io. Camminare mi sveglierà,” le spiego, per poi aggiungere a voce più alta: “Qualcuno vuole qualcosa dalla cucina?”

“Più patatine,” dice Grover.

“Più punch!” esclama Travis.

“Un impianto stereo migliore?” domanda Will.

Ethan si volta a guardarmi, chiedendomi aiuto con il suo unico occhio visibile. “Meno persone.”

“Vedrò cosa posso fare,” rispondo con una risata, e dopo essermi sgranchita le braccia e le gambe mi dirigo verso la cucina.

La maggior parte della gente che prima occupava la stanza deve essersi ritirata negli appartamenti del piano, perché adesso in cucina sono rimasti solo alcune ragazze impegnate a guardare una replica di Al passo con i Kardashian e un ragazzo che sta scaldando qualcosa nel microonde.

Mi avvicino al tavolo degli snack e delle bibite, versandomi quel che resta di una una bottiglia di Coca-Cola nell’ultimo dei bicchieri di carta per il punch pulito rimasti sul tavolo. Non è più fredda, ma il frizzante e gli zuccheri mi aiutano a sopprimere il sonno che sta tentando di farmi crollare.

E’ mentre sto esaminando ogni bicchiere presente nella stanza nel tentativo di cercarne uno pulito in cui versare il punch da portare poi a Travis che sento qualcuno entrare in cucina, e quando mi volto vedo Luke che si dirige verso di me.

“Hey,” mi saluta.

“Hey,” rispondo. “Katie ti ha mandato a controllare che non mi fossi persa per strada?”

Lui scuote la testa. “Nah, quando te ne sei andata anche Ethan e Miranda hanno chiesto da bere.”

“Oh, trovare altri due bicchieri sarà davvero un’impresa.”

“Non se conosci il nascondiglio segreto,” mi dice Luke con un sogghigno, e non posso fare a meno di affilare lo sguardo e guardarlo con sospetto. “C’è un nascondiglio segreto di bicchieri?” domando.

Luke mi fa cenno di restare in silenzio alzando un indice contro le labbra, dopodiché si dirige verso la televisione. “Scusate, scusate,” dice alle ragazze nel momento in cui passa davanti lo schermo e si sporge dietro di esso, emergendo qualche istante dopo con una nuova stecca di bicchieri tra le mani.

“Un giorno mi spiegherai chi ha avuto la brillante idea di nascondere dei bicchieri e perché è stato necessario attuare la cosa,” esclamo, trattenendo a stento una risata.

“E’ stata un’idea degli Stoll. Hanno detto che nascondere oggetti è una mentalità nella quale si entra quando si comincia a vivere con tante persone diverse che non sempre riescono a comprendere perfettamente il concetto di possesso personale.”

Annuisco, prendendo la stecca di bicchieri dalle mani di Luke per aprirla dall’involucro di plastica che la protegge. Luke rimane a poca distanza da me, e lo vedo tamburellare le dita sul tavolo con la coda dell’occhio mentre riempio i bicchieri puliti con del punch. Mi volto verso di lui, porgendogli i bicchieri in modo tale che non debba essere io a portarli. E’ allora che Luke mi dice: “Sono davvero contento che tu sia riuscita a venire.”

Mi stringo nelle spalle. “Ci sono almeno tre motivi diversi per spiegare la mia presenza in questo momento, ma a dire il vero non avrei voluto perdermi la prima festa dell’anno. Anche se avrei da ridire sulla selezione musicale.”

“Oh? Non dirlo a Will. Credo abbia trascorso tutta la giornata di ieri a preparare una playlist da farci ascoltare.”

“Non è poi così tremenda. Un po’ hipster, ma ho ascoltato di peggio. Di chi è quell’impianto stereo, ad ogni modo?” domando, indicando con un cenno del capo le casse nell’angolo del salone, che oramai hanno rinunciato a far vibrare le mura e hanno un’aria abbastanza triste e impolverata nonostante qualcuno abbia cercato di abbellirle con una ghirlanda di fiori.

“Ah, quelle? Non ne ho idea, le abbiamo rubate.”

Kim Kardashian scoppia a ridere alla televisione. Inclino il capo e fisso Luke con sospetto, per poi portarmi una mano davanti alla bocca. “Non so se sono più preoccupata dal fatto che abbiate commesso un furto o dal fatto che tu lo stia ammettendo con tanta innocenza.”
Luke scoppia a ridere. La pelle intorno alla sua cicatrice si increspa in una serie di piccole rughe. “E’ okay, le restituiremo! Sono del secondo piano, che la settimana scorsa sono venuti a rubare il tavolo dalla nostra cucina,” mi spiega, enfatizzando le sue parole con un colpo della mano sul tavolo. Un bicchiere cade e rotola a terra. “Occhio per occhio, no?”

“La legge del taglione non è la migliore forma di giustizia, ma chi sono io per giudicare?”

“In più,” continua Luke, sempre con un sorriso sulle labbra e una luce scaltra a illuminargli gli occhi, “è un furto solo se ti scoprono. Se non se ne accorgono significa che non avevano bisogno della refurtiva in primo luogo.”

Resto qualche istante ad osservarlo, soppesando questo aspetto del suo carattere che prima d’ora non ero riuscita a cogliere – o forse lui stesso non aveva lasciato trasparire. C’è decisamente qualcosa di intrigante in Luke Castellan in questo momento.

“Ricordami di non invitarti mai nel mio appartamento,” commento solamente, cercando di mantenere un tono di voce neutro e un’espressione che lo rispecchi. Luke si porta una mano al petto, stringendo la t-shirt arancione che indossa. “Mi ferisci,” esclama. Faccio spallucce.

“Ce la faremo a portare cibo e bibite di là senza far cadere nulla?” domando, principalmente per ricordare a Luke che nella sua stanza ci stanno ancora aspettando, ma anziché rispondermi lui allunga una mano verso di me, afferrando la manica della giacca che indosso. Abbasso lo sguardo sulla sua mano prima di spostarlo sul suo viso, le sopracciglia aggrottate in un’espressione chiaramente confusa.

“Hey,” mormora lui. “Lo so che mi sono già scusato per l’altro giorno. Ma mi sembra di non aver detto abbastanza, e – no, no, aspetta. Lasciami finire,” dice nel momento in cui apro la bocca per dirgli che non c’è bisogno di affannarsi tanto. Sospiro con un filo di nervosismo che inizia a serpeggiarmi in petto, perché Luke ha tutta l’aria di volersi addentrare in un discorso cuore a cuore, cosa che mi ha sempre messa a disagio. Almeno, a giudicare dalla sua espressione, Luke è tanto a suo agio in questo momento quanto lo sono io.

“La mia famiglia è… particolare. Quello che mi sono lasciato alle spalle quando mi sono trasferito qui all’Olympia è particolare.” Il suo volto si contorce in una smorfia, come se il termine da lui usato avesse un sapore aspro nella sua bocca. “Io… quando penso a casa mia, non trovo nulla ad aspettarmi nella mia mente se non brutti ricordi. E questo mi fa reagire male.”

“Luke…”

“E davvero, davvero ti giuro che averti aggredita in quel modo mi fa stare uno schifo, perché non ci sono giustificazioni. Sto cercando di porre quanta più distanza possibile tra tutto ciò che è successo e questo nuovo inizio qui all’Olympia, e quando le due realtà finiscono per sfiorarsi io… io…”

Luke.”

La mano che ha afferrato la manica della mia giacca si è stretta a pugno, e riesco a percepire sul mio corpo il lieve tremore che scuote quello di Luke. Il suo viso è arrossato, e non mi sta guardando negli occhi. Nonostante abbia usato un tono di voce estremamente basso per parlare, le ragazze che stavano vedendo la tv devono aver percepito il tono della nostra conversazione e si sono voltate nella nostra direzione, ma tornano immediatamente a concentrarsi sulla televisione quando notano che mi sono accorta dei loro sguardi. Torno a rivolgermi a Luke.

“Quando ho detto di aver capito il motivo dietro la tua reazione ero seria,” gli dico. Cerco di usare un tono di voce gentile, per quanto mi sia possibile, ma c’è una tensione nell’aria che non riesco ad allontanare. Non è colpa di Luke, però. Davvero non lo è. “Le famiglie possono essere qualcosa di tremendamente incasinato, tanto per cominciare. Ne so qualcosa. Non  voglio raccontarti palle dicendo che la tua reazione non mi ha ferita o fatta incazzare, perché lo ha fatto, ma in tutta sincerità? Voglio ancora essere tua amica, e conoscendo me stessa so che ci saranno momenti in futuro in cui potrei comportarmi esattamente come hai fatto tu. Non sono un’ipocrita. Non sono arrabbiata con te. Mi hai chiesto scusa due volte, e lo apprezzo. Le ho accettate. Andiamo avanti, adesso.”

Luke, finalmente, alza lo sguardo. Tutto nel suo apparire, dagli occhi alla linea sottile delle labbra, mostra la durezza di chi porta sulle spalle un fardello troppo grande per le proprie forze, per la propria età, per la propria stabilità. Poi sorride. Le rughe incorniciano nuovamente la cicatrice. Realizzo per la prima volta che Luke è una delle persone più belle che io abbia mai incontrato.

“Sono davvero felice adesso di averti gettato una pianta con tanto di vaso addosso, il primo giorno.”

Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva per via della risata che risale spontanea e violenta la mia gola. “Hai rovinato il momento!”

“Stavamo avendo un momento?”

“Un momento di bonding. Che hai rovinato.”

Luke sogghigna. Sulla soglia della cucina compare Annabeth, che si guarda per qualche istante intorno prima di individuarci e rivolgerci un sorriso, chiedendoci se abbiamo bisogno di una mano o se abbiamo intenzione di creare un party nel party nel party lì in cucina. Tutti e tre insieme ritorniamo nella stanza di Luke, portando con noi cibo e bevande.

“…e quindi questa è la storia di come grazie a un tacchino siamo riusciti a far avere a Will il numero di telefono di quel tipo super dark fissato con le carte da gioco – oh, hey! Rifornimenti!” esclama Travis nel momento in cui riprendiamo i nostri posti insieme agli altri. Will, con il viso di un’intensa sfumatura di porpora, sembra esalare un respiro di sollievo nel constatare che l’attenzione di Travis si sia spostata su di noi. Connor si volta verso di me, fissando la ciotola di patatine che porto tra le braccia.

“Un angelo giunto dal cielo per salvarci. Una creatura celestiale che ci fa dono di nettare e ambrosia,” declama, fingendo estrema commozione quando finalmente afferra un pugno di patatine e se le ficca in bocca.

Ridiamo. Stiamo bene. Ancor più di prima, se possibile.

Dal mio angolino sul divano riprendo ad osservare i miei amici uno per uno, e per la prima volta da quando la mia vita all’Olympia è cominciata mi rendo conto di una verità che avevo negato a me stessa, forse per paura.

Queste mura sono la mia nuova casa. E le persone intorno a me, la mia nuova famiglia. 









Note: SONO TORNATA! HO SCONFITTO LA MALEDIZIONE DEL SESTO CAPITOLO! E' stata una lungha -- lunghissima -- pausa, ma ho giurato a me stessa che avrei portato a termine questa fanfiction. Per cui lo scorso mese ho deciso di prendere il toro per le corna e adesso ho circa sei capitoli già pronti da postare, per cui almeno per qualche mese ci saranno aggiornamenti costanti (anche se subito fortemente qualcuno segua ancora questa fanfiction...) 
  
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