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Autore: Smeralda Elesar    30/11/2016    1 recensioni
[Ben Hur]
Dopo aver assistito alla crocifissione, il principe Judah Ben Hur lascia la Giudea per portare la sua famiglia a Miseno nella villa che ha ereditato dal duumviro Quinto Arrio.
La sua vita sembra perfetta, illuminata dalla sua nuova fede e dalla gioia della famiglia, eppure qualcosa è rimasto fuori posto.
Proprio la fede appena nata lo spinge a ripercorrere il suo passato e a interrogarsi sulla vendetta e sul senso di giustizia.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rimetti a noi i nostri debiti


***


Miseno.

Il promontorio, il mare, il sole di quella parte d'Italia poco a sud di Roma sono vere meraviglie.

La gens Arria aveva avuto uno straordinario buon gusto quando aveva scelto di edificare la sua villa a poca distanza dalla città, su una collina da cui si vedeva il porto ma lontano dal suo chiasso e dalla confusione della vita cittadina.

La villa stessa era una residenza confortevole ma non sfarzosa.

La comodità era priva di lusso ostentato, come si addiceva alla dimora di una gens che era la culla di militari; consoli, centurioni, legati, ambasciatori, generali, tutti prima di servire Roma erano stati bambini sotto il portico ornato di glicine e tra i campi di cereali ed i filari di vite.

Il giardino della casa continuava naturalente nella campagna circostante, tanto che non si poteva più dire se gli imponenti pini marittimi e gli alberi di limoni facessero parte della proprietà oppure no.

Il tramonto era incantevole, e nelle sere d'estate l'aria era satura di tutti i profumi della macchia mediterranea.

Ad aprile la ginestra spandeva il suo profumo dolce eppure discreto tutto intorno alla casa e sulla strada, ed i suoi fiori di un giallo brillante annunciavano l'estate imminente.

Judah Ben Hur, o Arrio il Giovane come era conosciuto, viveva felice in quell'angolo di paradiso con la sua famiglia.

Esther, la ragazza che lui non era mai riuscito a considerare sua serva e che aveva scelto come moglie, i tre meravigliosi bambini che erano nati da loro, il vecchio Simonide, leale come nessun altro chegli aveva restituito intatta la sua fortuna, sua sorella Tirzah; infine Malluch, che era troppo affezionato ai suoi padroni, come loro a lui, per pensare di lasciare la famiglia, anche se non lavorava più come prima.

Il principe di Gerusalemme era contento di fare parte di due mondi.

Era ebreo e non lo avrebbe mai dimenticato.

Osservava la legge di Mosè, ma ne osservava anche un'altra che a lui sembrava più imponente.

La legge di Mosè era per le sue azioni, la legge di Cristo era per il suo cuore.

Era una legge che aveva trovato dentro di sé, una legge che seguiva per amore e non per obbligo.

Era proprio quella legge, tanto radicata nella sua coscienza da divenire un tutt'uno con essa, che a volte gli faceva avvertire una puntura dolorosa.

Lo avvertiva che, sebbene la sua vita fosse giusta, qualcosa di sbagliato c'era.

La coscienza era inesorabile. Judah non avrebbe mai potuto nascondersi da sè stesso. Anche se il rabbi della sinagoga lo avesse dichiarato il più santo degli uomini, lui che sapeva dentro di sé c'era una macchia.

Lui sapeva perfettamente cos'era che gli faceva rimordere la coscienza e che lo faceva rigirare nel letto la notte, che toglieva sapore al cibo che mangiava e al vino che beveva.

Era l'angoscia del senso di colpa.

Messala.

Se Ben Hur non avesse mai conosciuto gli insegnamenti del Cristo avrebbe continuato ad essere soddisfatto della vendetta che aveva ottenuto sul romano.

La vendetta era accettata dalla legge ebraica, anzi era un dovere.

La legge del Cristo invece, la legge del suo cuore, aborriva il fare del male a qualunque altro essere umano.

Judah aveva sentito tante volte il Nazareno predicare il perdono, ma non aveva realmente capito cosa significasse perdonare finchè non aveva visto i suoi occhi nel giorno della crocifissione.

In quell'azzurro non c'era nemmeno un'ombra di odio o di risentimento per chi lo torturava.

Eppure, cosa avrebbe potuto fare il Messiah con il potere che Dio gli aveva concesso!

Guariva la lebbra, guariva i ciechi e gli storpi, resuscitava i morti e scacciava i demoni.

Ed il suo insegnamento più grande era stato perdonare in punto di morte i suoi assassini.

Se lui, condannato a morte da innocente aveva perdonato...

Judah non riusciva ad accettare.

Il suo cuore non era ancora pronto e quindi lottava contro i sentimenti contrastanti che gli si agitavano dentro.

La notte, la luna e le stelle erano testimoni della sua angoscia quando si rifugiava nel terrazzo per non disturbare il sonno della moglie.

Allora sedeva sotto il pergolato con la testa tra le mani e restava in balia dei suoi pensieri.

Si ripeteva che era stato giusto prendersi la sua vendetta su Messala.

Non aveva il romano rovinato lui e la sua famiglia? Non aveva tradito la loro amicizia? E per cosa? Per avidità e capriccio!

E allora che si tenesse la schiena spezzata come lui se l'era spezzata per tre anni faticando al remo della galea!

Judah era più irrequieto del solito quella notte.

Malgrado quelle fossero le stesse motivazioni che lo avevano mosso in passato adesso gli sembrava che stesse cercando di convincere sé stesso.

Si era dedicato con tanto impegno alla rovina di Messala che era tremendamente difficile ammettere dopo tutti quegli anni che aveva sbagliato.

In fondo cosa gli aveva portato la vendetta?

Solo una soddisfazione momentanea come quella di una coppa di vino troppo forte, qualcosa che era presto svanito senza lasciargli alcun utile.

Nella sua vita erano state altre le cose che lo avevano aiutato.

Il senso dell'onore del duumviro Quinto Arrio lo aveva liberato dalla schiavitù e lo aveva reso cittadino romano, la lealtà di Simonide gli aveva restituiti in parte i beni della sua famiglia quando era tornato da Roma, ed infine un miracolo, un atto di puro amore aveva restituito alle sue braccia la madre e la sorella che lui aveva creduto morte e poi aveva creduto perdute peggio che morte tra le piaghe della lebbra.

Lui stesso aveva ricevuto in cambio ciò che aveva dato: aveva salvato Quinto Arrio e lui lo aveva ricompensato liberandolo, aveva mantenuto la parola con lo sceicco Ilderim e lui gli aveva lasciato in eredità quel gioiello del deserto che era l'Orto delle Palme; e ancora, era stato giusto con Simonide, che solo dopo aver capito che tipo di uomo era si era fidato di lui.

Ma Messala! Cosa aveva ricevuto lui da Messala? Disprezzo, tradimento, slealtà, la rovina per sé e per le persone che amava. Una delle famiglie più antiche di Gerusalemme cancellata per capriccio di due uomini, Messala e Valerio Grato.

E se Valerio Grato era stato complice, certo Messala era stato mente ed istigatore dell'inganno che aveva condotto lui al banco del remo e sua madre e Tirzah sepolte vive in una cella della Torre Antonia infettata dalla lebbra.

Era stato giusto progettare la rovina di Messala con tanta precisione quanta Messala ne aveva messa per progettare quella della sua famiglia.

Judah cercava di convincersene quella notte tra lo stormire delle foglie ed il canto dei grilli.

Cercava con tutte le sue forze di ricordare a sé stesso che la vendetta era sacra, che lui non era stato altro che uno strumento nella mano di Dio contro il romano come Mosé lo era stato contro il faraone dell'Egitto.

No, non ci riusciva.

Più pensava a cosa aveva fatto a Messala più la vendetta spariva davanti all'orrore.

Aveva di fatto rovinato la vita di un uomo, ed ogni volta che cercava di tornare al suo vecchio pensiero che era stato Messala a cominciare per primo, gli tornavano in mente gli occhi azzurri pieni di dolcezza e malinconia del nazareno.

Perdonali perchè non sanno quello che fanno.

Il principe di Hur cercava di scappare da sé stesso.

La soddisfazione che aveva provato alla notizia che la vita di Messala era rovinata gli sembrò all'improvviso orrenda.

Era davvero stato lui? Lui aveva provato soddisfazione a sapere una persona torturata?

Sì, lo era stato.

Non poteva fuggire, era marchiato come Caino, perchè anche se tutto il mondo gli avesse dato ragione lui avrebbe sempre saputo la verità.

La legge di Mosé non gli dava alcun conforto perchè aveva visto con i suoi occhi quanto fosse incompleta.

La legge di Mosé non era per il cuore, ed ormai che il cuore di Judah aveva conosciuto l'amore del Cristo non poteva sottrarsi al suo richiamo.

Cadde in ginocchio sulla terrazza con la testa tra le mani, e allora non sapendo che altro fare, si rivolse al Cristo come se fosse stato lì in quel momento.

-Signore, ti prego, ho bisogno il tuo conforto. Ho peccato contro un mio fratello e ne sono pentito. Signore, ho ascoltato tante volte la tua parola ma il mio cuore era ancora induito dall'odio e dall'ambizione, era il terreno arido su cui il seme non può germogliare. Adesso comprendo il mio errore. Signore, io farei qualsiasi cos per disfare ciò che ho fatto, vorrei prendere su di me la sventura che ho causato a Messala. Non posso farlo, non mi è concesso, e allora dimmi, cosa posso fare?-

Quando gli era capitato di attraversare il villagio di Nazareth era caduto a terra stremato dalla sete, e allora era stata la prima volta che il Cristo era venuto in suo soccorso.

Ricordava di aver riconosciuto qualcosa di maestoso eppure di sublime in lui.

L'acqua che gli aveva offerto gli era sembrata la più fresca che avesse mai bevuto e la sua mano gentile che gli accarezzava i capelli gli aveva donato un conforto che non aveva mai provato prima.

All'improvviso gli sembrò di rivivere quel momento, con la presenza del Cristo vicina al suo spirito.

-Sia fatta la tua volontà-

Mormorò piano, in attesa di consiglio.

La sua memoria andò da sola a una delle volte che aveva sentito il nazareno predicare.

"Se un uomo ha un debito di un talento ed un'altro ha un debito di dieci talenti, quando il padrone li condona entrambi, chi avrà più ragione di essergli grato?"

Era la parabola dei talenti.

Perchè proprio i talenti? Nessun denaro avrebbe potuto comprare la salute per Messala.

Non capiva perchè ma quella parola gli era rimasta in mente.

L'aveva già sentita.

Sì, anni prima, l'aveva sentita pronunciata da una voce di donna superba e sdegnata.

Iras!

"Sì, Messala. Tu sei suo creditore"

"Salvalo! Per un nobile romano come lui la miseria è peggio della morte! Salvalo dalla povertà!"

All'epoca lui aveva risposto con parole d'odio dettate non solo dal suo odio verso Messala ma anche dalla rabbia che gli dava l'idea di scoprire che Iras era una spia, che lo aveva igannato e che anche lei lo disprezzava come il romano.

Ora tutto ciò che riusciva a sentire rievocando quelle parole era la supplica di salvare Messala dalla vergogna.

Come aveva potuto non capirlo prima? Come aveva potuto non sentire nemmeno un minimo moto di pietà?

Forse nel frattempo Messala era morto.

Le sue condizioni fisiche erano disastrose, ed in più il romano era terribilmente orgoglioso. Forse pur di evitare l'onta della rovina economica si era suicidato.

Per la religione ebraica il suicidio era un peccato estremo che condannava all'inferno, mentre per greci e romani era solo uno dei modi in cui poteva finire una vita; a volte era persino un gesto onorevole.

Judah fu scosso dai singhiozzi.

Che demone si era impossessato di lui quando aveva pianificato la vendetta? Perchè una folgore dal cielo non lo aveva fermato oppure perchè non era toccato a lui l'incidente?

No... si sforzava di convincersi che le cose erano andate in quel modo perchè tutto faceva parte di un disegno più grande.

-Signore, ti prego, concedimi ancora poche ore. Domani all'alba partirò per andare a cercare Messala e restituirgli quanto gli devo. Come tu hai insegnato, gli rimetterò il suo debito. Signore, è per lui che ti prego. Fai che io lo ritrovi e possa rimediare al torto che gli ho fatto-


***


L'insula era in un quartiere periferico. Era un posto sudicio e dimesso, e l'unica ragione per cui il vicolo era tranquillo era che accanto all'insula c'era un bordello, che nelle prime ore del pomeriggio era chiuso e quindi silenzioso.

Lì gli schiamazzi erano per quando calava la sera e si accendevano le lanterne.

Il principe di Gerusalemme ci era arrivato dopo essere stato in visita da parenti alla lontana di Messala che, dopo molto tempo e molte reticenze, gli avevano fatto a mezza voce il nome di quel quartiere.

Avrebbe giurato che Messala fosse ancora ad Antiochia, e invece no. Quando era andato a parlare con i parenti alla lontana del romano aveva scoperto che si era fatto riportare a Roma perchè ad Antiochia troppe persone lo conoscevano e gli rammentavano la sua umiliazione al Circo.

Solo che, dopo il ritorno a Roma, nessuno della sua gens lo aveva accolto in casa come forse lui aveva sperato, e poichè in Messala l'orgoglio non era spezzato come la sua schiena, non aveva elemosinato l'attenzione di nessuno ed aveva preferito affittare una stanza ed un servo in un'insula con i pochi soldi che rimanevano delle sue rendite mensili.

Judah scosse la testa. Sperava di ritrovare Messala, certo, ma era addolorato dal fatto che si fosse ridotto a vivere in un posto come quello per colpa sua.

Vide una donna con un bambino in braccio ed una cesta nell'altro che usciva dalla casa e subito chiese notizie a lei.

Sì, un uomo che non poteva camminare. Un romano che si diceva fosse di una famiglia patrizia, ma nessuno conosceva il suo vero nome.

Judah si spacciò per un suo parente e ricompensò le informazioni della donna con monete d'argento.

Lei, che fino a quel momento lo aveva guardato con sospetto, lo venerò come un principe.

Si era appena offerta di accompagnara fino alla stanza dell'uomo che cercava quando un vecchio nubiano con un sacco sulle spalle si diresse verso la loro stessa casa.

-Ah, eccoti qui, Corium! Questo nobile signore è parente del tuo padrone-

Il vecchio, che aveva effettivamente la pelle del volto rugosa e scura come il cuoio, le rivolse una smorfia.

-Se è suo parente che mi faccia il favore di portarselo a casa sua-

-Usa un pò di creanza se non vuoi assaggiare la frusta, per Giunone! E adesso accompagnalo di sopra-

Judah seguì il servo sù per le scale fino al secondo piano.

Cercava di non prestare troppa attenzione ai suoi borbottii astiosi in lingue sconosciute, e comunque il battito del cuore che gli rimbombava nelle tempie era abbastanza per cancellare ogni altro rumore.

Stava davvero per incontrare Messala?

Corium aprì una porta e subito Judah ebbe la certezza di aver trovato il posto giusto: solo Messala aveva una voce così sprezzante.

-Ah, ecco, finalmente sei tornato, vecchio della malora! Parola mia, rinuncerei a mangiare per tre giorni pur di avere il denaro per pagare un altro servo per frustarti. Da troppo tempo non assaggi la cinghia sulla tua schiena. E adesso cosa c'è, ti porti pure dietro i tuoi degni compari perdigiorno come te? Non... -

Quel fiume di improperi venne interrotto bruscamente quando Ben Hur si scoprì il viso.

Fino a quel momento aveva tenuto sula testa un fazzoletto che lo riparasse dal sole e che gli nascondeva in parte il volto, ma appena lo ebbe lasciato cadere Messala, da che lo guardava con il più profondo disprezzo, spalancò occhi e bocca.

Sembrava aver perso la parola.

Judah si avvicinò di un passo all'uomo semisdraiato sul pagliericcio nell'angolo.

-Sono io, mi riconosci?-

Gli chiese. Non lo aveva chiamato per nome perchè immaginava che Messala avesse nascosto la sua vera identità e non voleva essere lui a svelarla.

Il romano fece un fischio al servo e senza tante cerimonie ordinò "Fuori".

Quello uscì di casa lanciando sguardi astiosi ad entrambi, come se la colpa di tutte le disgrazie della sua vita fosse dei due uomini che aveva davanti.

Quando furono rimasti soli rimasero a scrutarsi in silensio per lunghi minuti.

Nessuno dei due avrebbe saputo esattamente cosa dire perchè nessuno dei due era preparato ad un incontro.

Messala non avrebbe mai potuto immaginarlo e Ben Hur era troppo preso dall'incertezza se lo avrebbe trovato o meno per pensare a cosa dirgli quando fossero stati faccia a faccia.

Il primo a rompere il silenzio fu Messala. La sua parlantiva aveva perso di vivacità ma non certo di prontezza di riflessi.

-Ebbene, finalmente ci siamo arrivati! Ci hai messo molto pià tempo del previsto ma eccoci qui. Bene, non mi oppongo, sia mai che si dica che un romano ha supplicato un ebreo-

E sollevò il mento in segno di sfida.

Judah non aveva capito bene il discorso perchè non era un maestro di retorica come Messala, e comunque nemmeno gli interessava capire.

Ringraziò Dio per averlo trovato vivo e con quello che sembrava lo spirito di un tempo.

-Messala- si avvicinò al giaciglio e si inginocchiò accanto a lui.

Messala ebbe un moto come di spavento, allora Judah prese la borsa con i sei talenti e la vuotò sulla coperta.

-Ti restituisco quello che ti devo perchè ho vinto questo denaro con l'inganno. Prima della corsa di Antiochia ho mandato io un emissario per far salire più possibile la posta della scommessa, e l'ho fatto con la precisa intenzione di rovinarti economicamente. Lo ammetto e me ne dispiace. Il denaro vinto con l'inganno è come rubato, per questo tu non hai più un debito con me ed io ti restituisco i tuoi beni-

Per la seconda volta Messala era senza parole.

Lasciava vagare lo sguardo sulle monete e poi sul viso di Ben Hur ma senza vederli davvero.

-Grande Giove, questo è un sogno. Gli dei immortali si prendono gioco di me-

Disse con voce flebile.

-No. No, Messala, è tutto reale-

-La scommessa di Antiochia... sei talenti...-

Mormorò ancora lui con voce sorda.

-Sono sei talenti che ti appartengono-

Sei talenti erano una somma enorme, specialmente nella miseria in cui si trovava Messala.

Il romano non sapeva cosa dire o cosa fare.

-Potrai usarli per andare via da qui- insistette Ben Hur -Potrai ricomprare la casa della tua famiglia o comprarne un'altra a Roma o dove vorrai-

Messala non rispose. Sei talenti! Con la mente già si vedeva in una casa dignitosa, dove non avrebbe più dovuto nascondere il suo nome e non avrebbe più dovuto dipendere dalla carità dei pochi parenti che gli restavano e che lo evitavano come se la sua disgrazia fosse contagiosa.

E tutta quella fortuna veniva da...

-Judah-

Disse con voce sommessa.

-Sì, sono io-

Messala aveva ancora il fiato corto per l'emozione e a stento riusciva a parlare.

Sollevò lo sguardo su di lui ed i suoi occhi si animarono come se lo vedesse per la prima volta.

-Allora tu non sei tornato per uccidermi?-

-No, Messala, no! Io ho un debito con te. È colpa mia se sei in queste condizioni e voglio fare tutto il possibile per aiutarti. Se tu me lo permetterai-

Si aspettava che Messala dicesse qualcosa, magari qualcosa di sarcastico, caustico e pungente come al suo solito, e invece no.

Il romano, pur orgoglioso come era, non poté trattenere l'emozione e per la prima volta da quando erano bambini Judah lo vide in lacrime.


***

Due settimane dopo alla villa Arria a Miseno c'era una novità: un ospite.

Era un ospite stizzoso, altero ed irascibile, che metteva nella lingua tagliente tutta la velocità di cui le sue gambe non erano capaci.

Era davvero un brutto carattere e lo si sentiva sempre inveire contro i servi o contro la cucina o contro il caldo o contro il vento o contro qualunque sciocchezza capitasse.

Solo la sera, quando Judah andava a fargli visita dopo cena, lo si sentiva piangere.


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Cantuccio dell'Autore


Salve a tutti e benvenuti in questa nuova sezione.

Prima dei miei sproloqui qualche chiarimento:

Per questa storia mi sono ispirata sia al film che a al libro, prendendo da ciascuno ciò che serve a me per motivi di trama.

Per esempio nel film Messala muore, nel libro invece resta paralizzato (senza però specificare che grado di paralisi, quindi io mi sento autorizzata a stabilire arbitrariamente che siano solo le gambe); nel libro Messala viene ucciso da Iras, un personaggio non presente nel film.

Nel libro Messala sopravvive, sebbene in condizioni pietose, ma letteralmente sparisce dalla trama , non viene più citato nè compare direttamente, per cui mi sento autorizzata a immaginare che sia tornato a Roma da Antiochia.

Altra differenza: nel libro la corsa dei carri si svolge ad Antiochia (storicamente molto più esatto) mentre nel film si svolge a Gerusalemme.

Bene, ho esaurito le cose serie; da qui in poi se non leggete non vi perdete nulla di importante.

Avete letto il libro "Ben Hur"? Io sì. E non mi è piaciuto. Ho trovato senza senso che Judah diventi cristiano ma poi in concreto se ne sbatta degli insegnamenti evangelici, perchè continua a fare il ricco. Solo nell'ultima pagina c'è un vago accenno al fatto che usa le sue ricchezze per costruire le catacombe.

Avrei preferito qualcosa di più emotivo. In particolare mi è sembrao strano che non pensi nemmeno una volta "Ehi, guarda, ho rovinato la vita a Messala più di quanto lui abbia fatto con me, perchè le ricchezze si possono ricostruire, una schiena spezzata no".

Non so perchè, ma nel libro manca una parte importantissima che è quella in cui Ben Hur dimostra di applicare in un modo concreto i valori cristiani.

Poi Ben Hur riceve eredità da tutti, sembra Gastone Paperone, il cugino fortunatissimo di Paperino. È irritante.

Non so se condividete la mia opinione, in ogni caso grazie per aver letto la mia storia e un altro grazie come bonus per essere arrivati a leggere fino alla fine.

Grazie!


Makoto


   
 
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