First Date
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Era
agitato.
Nello stomaco non aveva
dolci farfalle, ma feroci formiche rosse che lo stavano torturando
dall'interno. Tossì un paio di volte per sciogliere il nodo
in gola
e si guardò di nuovo allo specchio.
Non riusciva a decidere cosa
mettere e non faceva che cambiare combinazione di vestiti.
Tutte
le felpe, le magliette e le camicie in suo possesso erano
ammonticchiate sul letto in un'accozzaglia di stoffe senza senso,
mentre i capelli, che aveva pettinato con cura solo dieci minuti
prima, erano di nuovo sparati in ogni direzione.
“Ok Stiles,
puoi farcela. Smettila di pensare e fidati del tuo istinto.”
si
disse mentalmente.
Indossò una camicia a quadri neri e verdi, la
abbottonò in fretta e, per evitare di cadere in tentazione,
iniziò
a riporre gli altri indumenti nell'armadio.
Tuttavia, lo
svantaggio del lavoro manuale era che i pensieri dopo un po' andavano
a briglia sciolta: servivano i rinforzi. Prese il cellulare e si
lasciò cadere sull'unico angolo di materasso libero.
«Pronto?»
«Scott, questa è un'emergenza» disse con
tono lugubre.
«Che
succede?!» chiese allarmato l'altro.
«Oggi è il
giorno e non riesco a
smettere di pensare a tutte le cose sbagliate che potrei fare. Il
fatto che lei non segua le convenzioni rende tutto più
complicato. E
se la offendessi? E se...?»
«Stiles! Stiles, fai un bel respiro
profondo»
«No, non capisci...»
«STILES!»
«Okay...»
inspirò ed espirò tre volte, con calma,
finché non sentì Scott
dargli la sua approvazione dall'altro capo del telefono.
«Bene!
Ora stai zitto e lascia parlare me» fece una breve pausa.
«Andrà
tutto bene finché sarai te stesso, non fingere di essere
ciò che
non sei. Lei lo apprezzerà. E se hai ancora dei dubbi,
ricordati che
è sempre rimasta... nonostante
tutto».
Non
giudicherò.
Era
quello che Malia gli aveva detto ad Eichen House e si era dimostrata
dannatamente sincera. Non l'aveva giudicato, il sorriso che gli
rivolgeva non era cambiato, la luce nei suoi occhi non si era spenta.
Ringraziò l'amico e chiuse la telefonata con il cuore
più
leggero.
Malia era arrivata all'improvviso, inattesa come un
raggio di sole in una triste giornata d'inverno, e gli aveva mostrato
i motivi per cui andare fiero di se stesso. Lo accettava
così
com'era, senza la pretesa di cambiarlo; nelle occasioni in cui gli
altri alzavano gli occhi al cielo, lei lo ascoltava con interesse e
se serviva prendeva le sue difese.
Gli capitava di fermarsi a
guardarla, chiedendosi come sarebbe stata la sua vita se lo sceriffo
non avesse deciso di risolvere i vecchi casi archiviati. E se lui non
avesse deciso di trascorrere tre giorni ad Eichen House? L'unica cosa
di cui non riusciva a pentirsi era di averla incontrata e di averla
amata su quel vecchio divano polveroso.
Avevano passato molte
giornate insieme, ma non erano ancora usciti ufficialmente come
coppia.
E infatti quello era il
giorno,
il giorno del loro primo appuntamento e Stiles voleva che fosse
perfetto.
Arrotolò le maniche della camicia, passò le dita
tra i
capelli per dar loro una sistemata, indossò la giacca e poi
scese
giù per le scale. Arrivato alla porta si rese conto di aver
dimenticato la cosa più importante.
Lo sceriffo Stilinski era
un uomo onesto e rispettabile, pur essendo in una posizione di
comando non aveva mai sfruttato il suo distintivo e le sue conoscenze
per ottenere dei favori. Si guadagnava da vivere, giorno dopo giorno,
senza dover dire grazie a nessuno. Lo stipendio però non era
così
alto e, se di solito riusciva a farselo bastare, da quando alle spese
consuete si erano aggiunti i debiti con l'ospedale e la clinica
psichiatrica, far quadrare i conti era diventata una vera
impresa.
Stiles era cosciente delle difficoltà economiche,
perciò
chiedere dei soldi extra a suo padre gli sarebbe costata una certa
fatica.
Varcò la soglia del salotto, dove lo sceriffo guardava la
tv, e gli si avvicinò in punta di piedi.
«Papà?» lo chiamò
incerto.
«Ehi, figliolo, pronto per la serata romantica?»
“No,
dai non fare quella faccia, rendi tutto più complicato...”
«Ehm,
sì. Proprio di questo volevo parlarti»
inconsciamente intrecciò le
mani in segno di preghiera.
«Avevo messo da parte un po' di
soldi, ma poi ieri ho bucato una delle gomme della Jeep e insomma li
ho dovuti usare per sostituirla. Lo so che il momento non è
dei
migliori...»
Noah sorrise bonario e, scuotendo la testa, prese il
portafogli dalla tasca dei pantaloni e gli porse alcune
banconote.
«Tieni, sono quaranta dollari, non molti a dire il
vero ma spero che bastino».
In realtà non avrebbe potuto nemmeno
sedersi al tavolo con quaranta dollari, ma l'ultima cosa che voleva
era mortificare suo padre. Sentì un moto d'affetto
così forte nei
suoi confronti che dovette trattenersi dall'abbracciarlo.
«Grazie,
papà» gli diede una pacca sulla spalla.
«Per stasera pensa solo
a divertirti, okay?»
«Sì, ci vediamo dopo, non aspettarmi
alzato»
«Va bene. Ah e attento agli artigli!» lo
sentì urlare
quando ormai si stava chiudendo la porta alle spalle.
La prima
volta che era stato a casa di Malia lei e suo padre erano sul
portico e si stavano riabbracciando dopo lunghi anni di separazione.
Li ritrovò lì entrambi, stavolta però
erano seduti sui gradini
davanti all'ingresso. Era già buio e attorno alle lampade
accese
gravitavano lucciole e falene, Malia le osservava annoiata reggendosi
il viso tra le mani, mentre il padre sorseggiava una birra
ghiacciata.
Quando lo videro arrivare solo Malia si mosse dalla
sua posizione, saltando giù con un balzo.
Indossava un grazioso
cappottino scuro, da cui riuscì a intravedere il tessuto
avorio di
un vestito con la gonna corta a campanella. I capelli erano
più
disciplinati del solito e cadevano in morbide onde sulle spalle. Era
certo che ci fosse lo zampino di Lydia.
Il signor Tate invece
mise da parte la birra con calma studiata e aspettò che lui
scendesse dalla macchina, poi si alzò e mise una mano sulla
spalla
di Malia.
«B-buona... buonasera» disse Stiles a disagio, lo
sguardo del papabile suocero puntato addosso.
«Ehi» lo salutò
Malia con il sorriso radioso che era solita dedicare solo a lui.
Se
avesse potuto si sarebbe scavato da solo la fossa, lì, in
quel
preciso istante, mentre Henry Tate lo fulminava con gli occhi.
«Ciao»
gli disse con tono gelido. «Andrò subito dritto al
punto: se la
farai soffrire ti farò fuori e lo farò sembrare
un
incidente».
Malia si voltò di scatto verso il padre.
«Papà!
Anche io capisco che non dovresti dire cose del genere!»
«Non
dovrebbe, giusto?» chiese conferma a Stiles e, quando lui
scosse la
testa, tornò a guardare suo padre in cagnesco.
Henry si limitò
ad alzare le spalle «Non fate tardi» disse poi,
prima di
rientrare.
Era andata meglio del previsto.
Il signor Tate
aveva smesso di guardarlo con gratitudine da quando lui e Malia
avevano iniziato a frequentarsi. Come ogni buon padre, era convinto
che Stiles volesse approfittarsi della sua
“bambina” e il fatto
di averla ritrovata dopo otto anni non aiutava per niente.
«Scusa,
ti ha messo in imbarazzo? Vuoi... rimandare?» gli chiese
Malia,
titubante.
Perso com'era nelle sue elucubrazioni mentali non si
era accorto che lei aveva indietreggiato e lo stava fissando
preoccupata, le mani dietro la schiena e la testa bassa.
«Cosa?
No, non se ne parla!» disse con foga. Ok, forse troppa foga,
ma
Malia non sembrò farci troppo caso e anzi fu felice di
quella
risposta.
«Bene, allora andiamo!» disse dirigendosi verso
l'auto.
Stiles si diede dell'imbecille: avrebbe voluto fare il
gentleman e aprirle la portiera.
«Dove mi porti?» gli domandò
una volta partiti.
Cominciava a temere l'effetto domino, la sua
paranoia stava prendendo il sopravvento e gli urlava che presto tutto
sarebbe andato storto.
«Mmh be', vedrai» disse, ma in realtà
sperava di riuscire a inventarsi qualcosa prima di arrivare in
città.
Aveva prenotato in un ristorante piuttosto carino in centro, ma non
poteva più pagare la cena nemmeno per sé,
figurarsi per due.
«Stai
mentendo» gli rispose con tono neutro. Il suo candore
riusciva
sempre a spiazzarlo.
«No, ma che dici?» sorrise nervoso.
«Il
tuo cuore va più veloce quando dici bugie»
“Ti
ha scoperto, è fatta. Non puoi moltiplicare i dollari,
né farti
arrestare da tuo padre per non aver pagato il conto.”
«È
difficile da spiegare, non so da dove iniziare»
«Inizia dalla
verità» lo incoraggiò, accarezzandogli
la mano che teneva sul
cambio.
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e allora Stiles si
rilassò e le spiegò la situazione, senza omettere
nulla. Malia
rimase in silenzio ad ascoltare, annuendo di tanto in tanto.
«E
quindi in questo momento sei preoccupato per la cena?» disse
seria
quando lui finì il suo racconto.
«Sì, insomma so che per potrà
sembrare una cosa stupida, ma...»
«No, invece. Quello che mi
hai detto riguardo tuo padre mi fa sentire» si
fermò a soppesare le
parole «dispiaciuta! Ecco, mi dispiace. L'unica cosa stupida
sono le
regole»
«Quali regole?» aggrottò le sopracciglia.
Erano
ormai arrivati in città e Stiles accostò accanto
a un marciapiedi.
«Quelle che tutti vi siete auto-imposti e che ti fanno star
male. A me non importa che tu faccia le cose che fanno gli altri i
ragazzi, io voglio... io voglio stare con te, il resto non
conta».
Per la prima volta Malia gli sembrò in imbarazzo. Lei,
che era solita dire cose fuori luogo senza batter ciglio, in quel
momento teneva lo sguardo basso e torturava una ciocca di capelli tra
le dita.
«E quindi, mi chiedevo... ti va di andare al McDonald's
qui vicino?» sollevò appena gli occhi nella sua
direzione. Sembrava
una bambina in attesa di un rimprovero.
«Voglio dire, so che non
è il posto più romantico del mondo, ma
è da giorni che mi chiedo
che sapore abbia la Coca Cola, con il tempo l'ho dimenticato. Mio
padre è un salutista, odia tutti i cibi spazzatura da che ne
ho
memoria» un sorriso malinconico sbocciò sul suo
viso. «Ricordo la
prima volta che mia madre portò di nascosto me e mia sorella
al fast
food. Comprammo tre happy meal e un bicchiere gigantesco di Coca Cola
a testa. Uscite da lì puzzavano così tanto che
fummo costrette a
fare una lunga passeggiata sulla spiaggia, ma mio padre
riuscì
comunque a scoprirci» ridacchiò, ma il suo tono
era chiaramente
carico di nostalgia.
«Non so perché tra tanti ricordi io abbia
conservato proprio questo, ma per me è... speciale».
Stiles
non disse niente, sentì che ogni parola sarebbe risultata
superflua.
Mise in moto e in breve furono davanti al vecchio fast food.
Era
ancora lì, dopo tanti anni, a vendere diabete e colesterolo
in
graziose confezioni dai colori sgargianti. Metà dell'insegna
gialla
sfarfallava, minacciando di spegnersi da un momento all'altro, e
l'interno, visto attraverso le vetrate, non prometteva certo di
meglio.
Una volta attraversate le porte automatiche Stiles non
riuscì a trattenere un sospiro affranto: tavoli vecchi e
graffiati,
sedie spaiate, pareti sporche e puzza di olio strafritto a impregnare
ogni centimetro quadrato. L'idea di farsi arrestare da suo padre
cominciava ad allettarlo più che mai.
Si era quasi arreso allo
squallore, quando Malia gli strinse la mano e, sollevandosi in punta
di piedi gli sussurrò: «E se saltassimo questo
passaggio?»
La
spiaggia più vicina distava solo qualche chilometro dal
centro e
quando arrivarono i panini erano ancora caldi. Le temperature non
erano poi così basse, ma decisero che era meglio restare in
auto.
«Ecco a lei signorina, il suo Happy Meal e la sua lattina
di Coca Cola, un concentrato di zuccheri e grassi idrogenati per cui
mi potrei beccarmi una pallottola in fronte» disse Stiles,
facendola
ridere.
«Grazie, ma stai tranquillo, nessuno potrà mai
farti del
male» disse Malia aprendo la scatola di cartone. Stiles la
imitò e
prese una manciata di patatine fritte.
«Mah, non ci metterei la
mano sul fuoco» disse con la bocca piena.
«Dovresti invece,
perché io non lo permetterei!» esclamò
lei risentita.
La
sorpresa gli fece andare il boccone di traverso. Tossì un
paio di
volte, ma senza ricevere aiuto da Malia.
«Ben ti sta» disse
imbronciata.
«C-cosa?» sputacchiò lui incredulo e a
corto
d'aria «Perché?!»
«Io lo so che non ci conosciamo da molto, ma
sono sicura, sento che...» sbuffò seccata,
portandosi le mani ai
capelli. Quelle parole dovevano costarle un certo sforzo, ma Malia lo
guardò comunque dritto negli occhi prima di riprendere a
parlare.
«Tu sei importante per me e sono stanca di doverlo
ribadire di continuo. Tutti mi trattano sempre come se fossi ancora
un animale privo di sentimenti o emozioni. Ti prego, non farlo anche
tu».
Il cuore di Stiles fece una capriola e il corpo si mosse da
solo.
Le labbra di Malia erano soffici e fresche e i suoi capelli
profumavano di lavanda; il tocco delle sue dita gelide sulla nuca gli
procurò un brivido di freddo ed eccitazione lungo la schiena.
Non
era bravo con le dichiarazioni, ma desiderava farle sapere quanto il
sentimento fosse reciproco: le cose cominciavano a farsi serie o,
forse, lo erano sempre state.
Quando sentì i polmoni bruciare
alla ricerca d'aria, Stiles abbandonò il dolce rifugio delle
sue
labbra e appoggiò la fronte contro quella di Malia. Si
guardarono,
ma non dissero altro, entrambi senza fiato.
«Ho sete» sussurrò
poi lei con voce roca e Stiles si ricordò il motivo per cui
erano
lì.
Aprì una delle lattine di cola e gliela porse facendole
l'occhiolino. Malia ne annusò il contenuto con diffidenza e
le
bollicine frizzanti la fecero starnutire.
Stiles allora fu
costretto a tapparsi la bocca con entrambe le mani per non scoppiare
a ridere: come poteva essere così tenera e innocente?
«Oh,
andiamo, non ridere di me!»
Stiles provò a darsi un contegno e
scosse la testa, tenendo la bocca ben serrata, poi però
Malia bevve
il primo sorso e la smorfia che ne seguì fu
così
buffa che non riuscì più a trattenersi.
Rise di gusto, come non
gli succedeva da mesi, si appoggiò al sedile asciugandosi le
lacrime
con una mano, mentre con l'altra stringeva un fianco che cominciava a
fargli male.
Quando riuscì a fermarsi rivolse lo sguardo a Malia,
temendo di averla offesa.
«Scusa scusa scusa» ripeté
velocemente e le baciò il dorso della mano, ma lei era tutto
fuorché
infastidita, anzi sembrava quasi che le avesse fatto piacere.
Quali
che fossero i suoi pensieri, però, restarono celati a Stiles
dietro
quel sorriso enigmatico.
«Ha un sapore strano, ma mi piace»
affermò convinta.
«Mmh, bene. Adesso passiamo alla parte più
divertente» disse lui e tirò fuori dalle scatole i
regali in
omaggio con l'Happy Meal. Erano due pupazzetti portachiavi, gadget di
un film d'animazione molto popolare.
«Chi sono?» chiese Malia
incuriosita, rigirandoseli tra le mani.
«Oh, giusto ancora non
l'abbiamo visto insieme. Questo è Ralph, tutti lo ritengono
cattivo
e fuori controllo, quindi decide di volersi riscattare e dimostrare a
tutti di poter essere buono. Lungo la strada incontra lei»
indicò
l'altro pupazzo «Vanellope, anche lei una reietta in cerca di
rivalsa e insieme, credendo l'uno nell'altra, riescono ad
emergere».
Malia guardò le bamboline con il volto coperto da un
velo di malinconia.
«Perché tutti pensano che Ralph sia
cattivo?»
«Be' perché la sua natura lo porta a distruggere
le
cose. È per questo che vive da solo nella discarica di
oggetti che
ha distrutto, lontano dagli altri».
Malia sollevò la testa di
scatto, l'espressione accigliata e triste.
«Uhm... ti dispiace se
prendo io Ralph?»
La richiesta non lo sorprese.
«Certo, puoi
prenderli entrambi se ti va»
«No, ti prego tieni tu l'altro»
disse porgendogli la piccola e coloratissima Vanellope e poi, senza
aggiungere altro scese dalla macchina.
Stiles la seguì
preoccupato, a volte trovava difficile interpretare i comportamenti
bizzarri di Malia.
«Ehi, tutto bene?» le chiese
raggiungendola.
Stava ritta in piedi, le mani affondate nelle
tasche del cappotto e lo sguardo fisso sull'ultimo quarto di
Luna.
«Sì, mai stata meglio» disse, la punta
del naso già
rossa e un sorriso radioso a illuminarle il viso.
«Sicura? È che
sei andata via così all'improvviso che...»
«Volevo ringraziare
la Luna. Non ti allarmare, dev'essere una cosa da mannari, anche
Scott le parla spesso»
«Davvero?» le chiese a metà tra il
divertito e lo scettico, ma Malia non colse quella sfumatura nel suo
tono di voce.
«Sì, me l'ha detto qualche giorno fa»
sospirò
tornando con lo sguardo al cielo.
«E per cosa la stai
ringraziando?»
Malia gli si avvicinò e poggiò la testa sulla
sua spalla.
«Per avermi portato a te».