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Autore: Celtica    02/12/2016    15 recensioni
[ Coffee Shop!AU! | Beth/Daryl ]
Eppure non riusciva a staccare gli occhi da quel cliente, che ordinava caffè americano tutte le mattine e sedeva al tavolo più lontano dalla gente.
Il menù accanto ai tovagliolini di carta era la sua voce, e a Beth piaceva ascoltarla.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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n


 

B

eth aveva l’odore del caffè addosso.
Girava per il locale con un sorriso di circostanza sul volto, il vassoio tra le mani e un grembiule verde a fare da muro invalicabile contro il resto del mondo.
Eppure non riusciva a staccare gli occhi da quel cliente, che ordinava caffè americano tutte le mattine e sedeva al tavolo più lontano dalla gente.
«Cosa prendi?» chiese lei, come ogni giorno.
Lui non rispondeva mai, la guardava negli occhi e indicava con il dito la sua scelta.
Il menù accanto ai tovagliolini di carta era la sua voce, e a Beth piaceva ascoltarla.

«Te lo porto subito.»

Non c’erano sorrisi tra loro, anche se lei avrebbe voluto. Qualche volta si era ritrovata a desiderare un semplice “grazie”, o un cenno del capo o della mano.
Invece, quando posò il caffè americano sul tavolo – a un soffio di distanza dalle sue dita – lui si limitò a guardarla.
Non erano occhi a cui restare indifferenti. Avevano il colore del ghiaccio, e riuscivano a bruciarla dentro, anche se fuori nevicava.
Ogni giorno, sentendosi scottare fino al viso, Beth distoglieva lo sguardo e andava via, ignorando la banconota abbandonata sul tavolo, silenziosa come lui.

Ma non quella mattina.

Indugiò un istante di troppo sulla camicia lisa che indossava – testimone di una vita che Beth non avrebbe mai conosciuto – e non si accorse della mano di lui stesa verso la tazzina, che incontrò la sua.
Per la prima volta, Beth sentì il contatto con la sua pelle, eco silente di un desiderio inespresso. Non sapeva nulla di lui – nemmeno il suo nome – nulla della sua vita; eppure, per un istante, sognò di farne parte.

Parlarono con gli occhi per tutto il tempo in cui rimasero vicini: Beth con tacita voce zeppa di domande, lui con una sola risposta. Ed era sempre la stessa.
A ogni richiesta, lui reagiva muovendo le dita, percorrendole il palmo e il pollice, tracciando segni roventi che solo lei riusciva a vedere.
Li sentiva, come se fossero marchi sulla pelle, come se non si trovassero più nella caffetteria, circondati dalla gente, ma in un luogo privato, dove ogni gesto, ogni tocco, acquistava significato.

«Beth, per favore, mi porteresti altro caffè?»
Era un cliente, uno qualunque. Non come lui. Era solo un ragazzo che si presentava spesso, chiedendole caffè e sorrisi.
E Beth era disposta a darglieli.

«Arrivo.»

Interrompere quel contatto le sembrò più faticoso che studiare per l’ultimo esame, più doloroso che scoprire di non averlo passato.
Sentì di arrossire, mentre chinava il capo e sbatteva le ciglia, infilando il vassoio sotto il braccio.

Scusami, disse in un ultimo sguardo, pronta a lasciarlo.
Ma lui le afferrò il polso, facendola voltare ancora. E arrossire ancora.

«Sono Daryl.»
Era la prima volta che coglieva la sua voce, bassa e roca come un fiore d’inverno nascosto sotto la neve.

«Beth.»
Daryl percorse l’interno del polso con il pollice, prima di lasciarla andare. Ultima, trepidante carezza, che svelava ciò che gli occhi avevano sempre celato.

«Lo so.»

Quelle due parole furono la cosa più emozionante che Beth sentiva da tempo.
D’improvviso capì perché Daryl veniva ogni giorno in quella caffetteria, rubandole uno sguardo e qualche minuto della sua vita.
Sentì un brivido correrle lungo la schiena, trasformarsi in una carezza ardente – quella che avrebbe voluto da lui – e risalirle la spina dorsale, fino alle orecchie. Era speranza.
Beth sperava di avere ragione, sperava che lui venisse lì, ogni giorno, per vedere lei. Per cercare quel contatto capitato per caso – per un suo errore – e per mostrarle quel fiore sbucato dalla neve.

«Ti porto il caffè» disse al ragazzo, guardandolo senza vederlo.

Devo parlargli.
Non devo lasciarlo andare via. Non così.

Si affrettò per prendere il contenitore caldo del caffè e raggiunse il tavolo del cliente, dedicandogli un sorriso e un istante della sua vita – un istante che avrebbe potuto, o dovuto, dedicare a qualcun altro.

«Sei di turno anche stasera?»

Quasi non sentì la domanda, presa com’era da un altro tavolo – un altro cliente.
«Sì» rispose, lanciando un’occhiata a Daryl per assicurarsi che ci fosse ancora.

C’era.

«Ma solo fino alle sei.»
«È già buio alle sei» constatò il ragazzo. «Potrei accompagnarti…»
«Non ne ho bisogno, grazie.»

Beth camminò fino al bancone per riporre il contenitore al suo posto. Sentì il campanellino della porta, e provò l’impulso brutale di voltarsi.
Lo sapevo, pensò. È andato via.

 n

Alle sei in punto, Beth sciolse il nastro del grembiule, lo tolse e lo lasciò nel retro del locale.
Era stanca e voleva solo tornare a casa.
Infilò cappotto, guanti e berretto di lana, e salutò la ragazza che le dava il cambio.
«A domani» disse, sollevando la sciarpa sul mento mentre apriva la porta.

Fuori, la neve ricopriva le strade, lasciando giusto due scie grigie a mostrare l’asfalto. C’erano pochissime auto parcheggiate fuori dalla caffetteria, e una moto nera, con il sellino ricoperto da cristalli di ghiaccio.
Faceva freddo, e Beth avrebbe dovuto camminare a piedi fino a casa, gli stivali alti che affondavano nella coltre bianca.

«Ragazzina.»
Lei continuò ad avanzare. Non era la prima volta che qualche sconosciuto tentava di avvicinarla.

«Beth.»

Un fiore sepolto dai fiocchi, che solo lei riusciva a vedere.
Si voltò e lo vide.

«Ciao, Beth.»

Lei fece un passo verso di lui e si fermò, come se avesse osato troppo. «Cosa ci fai qui fuori?» Con questo tempo.
Beth credeva di conoscere la risposta. E sperava di sentirla da lui.

“Sono venuto per te”, sarebbe stata la musica più dolce di quel giorno.
Ma Daryl alzò le spalle, fece un verso gutturale, stringendosi addosso il giubbotto di pelle nero.

«Che cosa significa?»

Beth si lasciò sfuggire un sorriso, scuotendo la coda bionda.
Gli occhi di Daryl catturarono i suoi, in una muta risposta. Come un manto di neve che cade troppo presto, mostrando ciò che c’era dietro.

Il cielo era nero, i lampioni illuminavano a stento la strada, eppure lei riuscì a capire più cose di lui in quel momento, osservando il viso avvolto nella penombra, di quanto avesse mai intuito durante quella infinità di mattine.
Faceva freddo, eppure Beth si sentì avvampare.

«Beth!» la ragazza del locale aprì la porta, investendola con tepore e luce, tanto da farle abbassare le palpebre. «Scusate… ti ho vista qui fuori. Volevo solo dirti che domani verrò prima, così potrai tornare a casa presto.»
Lei annuì, mentre la porta si richiudeva.

Quando si voltò verso Daryl, lo trovò più vicino di quando lo aveva guardato l’ultima volta.
E lei non era riuscita nemmeno a sentirlo…
Vide il respiro di lui condensarsi tra loro e unirsi al suo. Calore che si confondeva con calore, e desiderio che incontrava altro desiderio.

Daryl fece un cenno verso la moto, avanzando fino a lei. «Posso portarti io.»
C’era un incendio dentro di lei, anche se non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Pensare di salire dietro di lui, di avvolgerlo con le braccia, di respirare il suo odore…

Beth annuì. «Va bene.»

… la faceva sentire strana. Non aveva mai pensato in quel modo a un estraneo, non certo a uno vestito in quel modo, che le offriva passaggi sulla sua moto.
Daryl la prese per un braccio, e oltre strati di stoffa, Beth sentì la pelle sciogliersi sotto il suo tocco.
Come sarebbe stato sentirlo davvero?

«Andiamo.»

Sentì la mano spostarsi sulla sua schiena, giaccia contro giacca, e sentì il corpo rovente sotto lo sguardo di lui.
Sollevò appena gli occhi e incontrò i suoi, come aveva pensato.
C’era poca differenza di altezza tra loro, eppure Beth percepì il suo respiro caldo contro la guancia scivolare sotto la sciarpa, fino a collo.
«Sì» disse, trattenendo il respiro.

Faceva freddo, ma non più di tanto, non ora, non per Beth. Non adesso che sentiva il naso di Daryl contro l’orecchio, non nel momento in cui anche lui si accorse del suo fremito.

«Hai freddo?»
Daryl lo disse sottovoce, ma per Beth fu la carezza che aspettava, che bramava da quando si era accorta della sua presenza nel locale, da quando aveva incrociato il suo sguardo.

«Nemmeno un po’.»

Percepì il sorriso di Daryl sulla guancia e si sentì impazzire.
Voltò appena il capo, giusto per dargli modo di raggiungere le sue labbra. E fu lì che si incontrarono, quando Daryl la strinse a sé, spingendo sulla schiena per farla aderire a lui.

«Odori di caffè.»

Beth percepì quelle parole come un soffio incandescente sulla bocca. Sentì il respiro di lui unirsi al suo, percepì il suo sapore – tabacco e dopobarba – prima ancora di sentirlo.
«Ti dispiace?»
Brivido su brivido, nell’attesa di scoprire qualcosa di lui che ancora non conosceva. Tremò appena, quando sentì le sue labbra percorrerle la guancia, cercando la strada giusta per baciarla.

«Io amo il caffè.»

Daryl la spinse completamente contro di lui, come se fossero una cosa sola. E poi, finalmente, trovò la via.
Quando la baciò – dapprima lentamente, lasciando alle loro labbra il tempo di conoscersi; poi divorando ogni pensiero di lei, come se non fosse esistito nient’altro eccetto loro – Beth pensò che non avrebbe voluto baciare più nessuno.
Toccare più nessuno.
Lasciarsi baciare e toccare da nessuno.

Tranne che da Daryl.

 n

Note dell’autrice:

Prima volta che mi presento nel fandom! E ho amato scrivere questa storia, tant’è che avrei voluto prolungarla ancora e ancora, e non farla terminare mai… Ho amato il prompt datomi da LaSil88 sul gruppo Facebook “Il Giardino di Efp”, e confesso di aver pensato subito a Daryl e Beth.
Amo questa storia. Posso? Amatela anche voi, o dovrò tornare a leggerla tutta sola soletta!
Celtica

   
 
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