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Autore: Lady I H V E Byron    02/12/2016    0 recensioni
(ispirazione dalla canzone "La favola dell'amore inventato" della Banda Osiris)
Triste storia di un mastro vetraio, che non ha mai conosciuto l'amore in tutta la sua vita.
"C'era un mastro vetraio di Murano
che non sbuffava né ansimava invano.
Scolpiva l'alito dei suoi polmoni,
modellava sospiri e esalazioni.
L'anima in eccedenza espettorava,
sotto vetro il suo fiato imprigionava."
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: buonasera, cari lettori... *suono di grilli* qualcosa mi dice che nessuno lo leggerà, comunque...
Terza song-fic che scrivo. Questa storia è la versione/mia interpretazione in forma romanza della canzone "La favola dell'amore inventato" canzone seria della Banda Osiris, che ammiro tantissimo. Quando l'ho ascoltata, mi ha toccato il cuore, a tal punto da pensare "E se ci scrivessi una storia...?"
Per quanto riguarda la struttura della storia... scusate per gli errori di grammatica, in primo luogo; le parti in corsivo (a parte l'introduzione, quella è farina del mio sacco) fanno parte della canzone; è a libera interpretazione, ma spero di aver centrato "l'anima" della canzone.
E che i membri della Banda Osiris mi perdonino per questo, se la leggeranno (sicuramente no)...
Buona lettura!
Canzone: https://www.youtube.com/watch?v=-wL7ZwflCvM

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L’arte, in tutti suoi volti, è molto più che semplice e mera rappresentazione o intrattenimento. E’ lo specchio delle nostre anime, le anime degli artisti, un mezzo cui facciamo uso per mostrare i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, tutto ciò che nella vita reale non abbiamo il coraggio di manifestare per colpa dei gentili, dei loro pregiudizi e, soprattutto, della condizione in cui tutti noi viviamo. Forse, in un’epoca come la nostra, non c’è più spazio per l’arte; ma, almeno, possediamo ancora i nostri sentimenti.
Sentimenti… arte… queste saranno le parole chiave di questa storia, di un uomo solitario che non creava solo belle opere d’arte; creava riflessi dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti.
Ma un giorno… un giorno…
 
 
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In un tempo ignoto, forse passato, forse presente, forse entrambi, a Murano, c’era un mastro vetraio, che aveva superato la mezz’età, ma ancora celibe, che viveva solo per il suo lavoro.
Egli non era come gli altri vetrai: le creazioni degli altri vetrai erano “vuote”, create solo per il mero guadagno e nient’altro. Le sue, di creazioni, erano speciali: chi sapeva vedere “oltre” la realtà, poteva scorgere una lieve nebbia all’interno del suo vetro, appena formato. E state tranquilli, non era polvere o altro: era solo la sua essenza.
Quel mastro vetraio aveva un potere speciale: trasmetteva una parte di sé in ciò che creava. I suoi sospiri, i suoi soffi… ognuno racchiudeva in sé un pensiero, un’emozione, un sentimento provato in quel momento o in tempo passato del suo creatore e, magicamente, veniva la forma completa.
Un talento raro, insomma.
Ma, ultimamente, si poteva scorgere tristezza nei sospiri del vetraio, oltre in ciò che creava.
Aveva un buon guadagno, amava il suo lavoro, ma qualcosa gli mancava, per rendere perfetta la sua vita: una moglie, una compagna di vita.
Preso per tanti anni dal suo lavoro, non ha voluto (o meglio, potuto) dedicarsi alla ricerca della sua anima gemella.
Pensava che nessuna donna avrebbe potuto amare un uomo come lui, uno che pensava solo al lavoro.
Era un giorno come un altro quando la sua vita cambiò definitivamente: mai più di allora aveva pensato intensamente all’amore, alla passione, entrambi sentimenti repressi nel suo cuore per tanti anni.
Fu così che, soffiando nel vetro, non venne il solito bicchiere, la solita lampada o qualsiasi altro oggetto esposto nel suo negozio: la bolla rovente si faceva sempre più grossa, in quel piccolo sospiro d’amore e passione; sembrava avesse preso vita.
Alla magica realizzazione della forma, il mastro vetraio quasi perse i sensi dallo stupore: aveva assunto forme umane femminili, di una ragazza giovane, nuda, trasparente, bellissima, di una bellezza tale quanto Venere.
Essa si guardò le mani, le braccia, le gambe: si stupì essa stessa di poter muoversi e anche camminare.
Si voltò indietro, verso colui che l’aveva creata (seduto sulla sedia, ancora sgomento), sorridendo.
-Eccomi, sono qui per renderti felice.- disse.
Poteva anche parlare e di ciò se ne stupirono entrambi. Se non fosse stata di vetro, poteva essere una donna come tutte le altre.
Ma era bella, la donna più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. E, per di più, era sua.
Innanzi lo sguardo stupito dei compaesani, il mastro vetraio sposò tale angelica e perfetta creatura, riflesso dei suoi sentimenti d’amore, che aveva rifiutato per il suo lavoro.
Poteva recuperare quel tempo perduto, grazie alla sua stessa creazione.
Ben presto si accorse, però, che per quanto la ragazza di vetro fosse simile ad una ragazza normale, non era una ragazza normale.
Lo scoprì nella loro prima notte di nozze: non poteva baciarla e non poteva giacere con lei.
Se toccava le sue labbra, per baciarla, sentiva il vetro tagliargli e congelargli letteralmente la bocca.
E soprattutto, la ragazza di vetro, sebbene nata da un sospiro d’amore, non provava alcun tipo di sentimento.
Era pur sempre una creatura artificiale. L’amore le aveva solo dato la forma della donna ideale del suo creatore, ma non la sua anima. Era una statua come tante altre, con le sole capacità di muoversi e parlare.
Il vetraio ne era triste, ma di più lo era la creatura stessa: piangeva per il suo corpo invisibile.
Si commuoveva di essere insensibile!

Ciò che poteva essere fatto per lei, era solo mantenere integra la sua bellezza, la sua perfezione: con il tempo, il vetro perde la sua lucidità, diventando opaco; come per l’essere umano.
Ma la differenza tra il vetro e la carne umana è che il vetro si può lucidare, per farlo nuovamente brillare come appena creato; ma la carne umana, quando mostra i primi segni della sua opacità, non si può lucidare.
Bastava un panno, un prodotto adatto a lucidare il vetro cui era composta la ragazza; l’unico momento in cui marito e moglie avevano un contatto fisico.
Entrambi ne soffrivano.
Soprattutto la ragazza di vetro.
Ma come può un essere artificiale, privo di sentimenti soffrire proprio per la mancanza di sentimenti?
Il pianto è un sentimento molto forte, quasi quanto l’amore: esso può manifestarsi anche nei cuori più bui, mostra ciò che una persona prova veramente. Si può piangere anche se possediamo un cuore vuoto, proprio perché non sappiamo come riempire tale vuoto che, piano piano, ci rode l’anima, fino a tramutarci in esseri completamente privi di sentimenti.
Era proprio per quel vuoto che la ragazza di vetro piangeva. Non avere sentimenti, essere vuota sia materialmente sia nel suo animo inesistente, la faceva star male.
Voleva anche lei essere un’umana. Ma era impossibile. Il dono del vetraio le aveva donato solo la forma della sua donna ideale, niente più.
Scorri, lacrima, non lucidarmi,
perché son stufa di cancellarmi.
Su di lei niente lasciava traccia:
chi non ha cicatrice non ha faccia.
" Sono un quadro vuoto senza cornice."

Questo soleva dire a se stessa, ogni volta che piangeva per il suo cuore vuoto.
E il povero vetraio… ogni giorno le sue condizioni mentali peggioravano, come i suoi affari.
Aveva perso la passione che metteva nel suo lavoro, non creava più da quando aveva formato, poi sposato la moglie.
Vedere la ragazza di vetro, essere come ipnotizzato dalla sua bellezza e basta, non bastava più a donargli conforto.
Voleva di più.
Un sentimento che aveva avuto modo di provare nella sua gioventù, sebbene in modo effimero e senza il coinvolgimento di altri sentimenti.
E la ragazza di vetro… la sua nudità… aveva riacceso in lui tali pulsioni, che purtroppo non poteva attuarle.
Non con lei.
Solo per questo, era come impazzito.
Impazzito di amore represso.
Non usciva dalla propria abitazione da tanto tempo. Non entrava più nemmeno in bottega; essa era sempre chiusa.
I suoi amici e i suoi clienti abituali cominciarono a preoccuparsi, chiedendosi cosa mai gli fosse capitato.
Fu così che l’uomo, ormai schiavo della propria pazzia, prese il suo telecomando e accese la televisione.
Una cosa normale, a prima vista. Ma è sempre il motivo, cosa si cela oltre un singolo gesto ad essere importante.
La ragazza di vetro passò nei pressi della loro camera da letto e lo vide, innanzi al televisore, con i pantaloni calati, e con suoni strani, simili a versi animali, che uscivano dalla sua bocca.
Ella, sgomenta, osservò il televisore e impallidì, nonostante la sua trasparenza: uomini e donne come natura li aveva creati, uno sopra l’altro, mentre compivano gesti lascivi.
Le immagini d'amore si stipavano,
premevano sul vetro, lo curvavano.

Per la prima volta, la ragazza di vetro sentì il suo cuore inesistente farsi sempre più pesante; un sentimento che andava ben oltre la sua malinconia per la mancanza di sentimenti la pervase.
Ecco… ecco cosa voleva il suo creatore. Ciò che stava guardando era un altro tipo di vetro, ma ciò che c’era oltre era tutto ciò che il vetraio aveva sempre desiderato in tutta la sua vita.
Provò invidia per quel vetro animato, poiché ciò che stava mostrando era esattamente ciò che non era in grado di fare.
Pianse, stavolta come una persona umana, tradita.
-Io non so trattenere
nemmeno l'ombra delle cose vere!
Mi hai fatta fragile, non mi vuoi forte.
Sono il tuo desiderio e la mia morte.
-
Il peso del suo cuore si faceva sempre più insostenibile: nessuno poté vederlo, ma si spezzò, perché non era stata in grado di esaudire completamente il desiderio del suo creatore.
E con esso, l’intera figura della ragazza di vetro si frantumò in mille schegge.
Senza il cuore, l’essere umano non può esistere. Diventiamo il nulla.
Il vetraio, senza alzarsi i pantaloni, corse verso quei frammenti, prendendoli in mano, come fossero monete, piangendo su di esse.
Uno strano odore si levò da quelle schegge: era l'odore di un amore impossibile, l'odore di un luogo freddo, piccolo, senza sentimenti in cui l'uomo aveva vissuto per tanti anni.
Non sapeva nemmeno lui se per la sua stupidità o per la perdita di colei che, seppur fisionomicamente, era la sua donna ideale.
Fatto stava che era di nuovo solo, con un enorme buco nero al posto del cuore.
Cosa succede ad un cuore quando la sua luce viene improvvisamente spenta? Non sente più niente, se non un fastidioso senso di vuoto che sembra non avere fine, che ci avvicina gradualmente verso le scelte più oscure.
Il suo disagio poteva essere percepito attraverso le sue nuove opere: non creava altro che lampade a forma di goccia, che simboleggiavano la sua tristezza, o ciotoline concave, per simboleggiare il suo senso di vuoto.
Quella creazione… la ragazza di vetro… gli aveva cambiato la vita… gli aveva aperto gli occhi sulla monotonia della sua vita, sempre e solo a fabbricare oggetti di vetro, con la forza delle sue emozioni, non toccate dalla forza dell’amore vero.
Il vuoto che aveva sostituito il suo cuore sembrava incolmabile, un buco nero.
Le cose non potevano tornare come prima: quanto gli era successo non era un evento paragonabile ad una meteora, ma ad un sasso che viene lanciato verso un lago: le acque si agitano, ma per poco tempo, per poi tornare normali; ma il sasso è sempre lì e niente potrà rimuoverlo. E’ una cosa cui non potrai mai privarti.
Era già scesa la notte, quando il vetraio prese la sua decisione.
Chiuse la casa, chiuse la bottega e camminò per strada, con i lampioni che illuminavano il suo cammino.
Il giorno seguente, dei passanti notarono un cappello che galleggiava sulla laguna di Venezia. Un istante dopo, il corpo del vetraio venne recuperato dai soccorsi, ma era troppo tardi.
Non fu abbastanza forte da sostenere il vuoto che si era creato nel suo petto, quando vide la sua creazioni sgretolarsi davanti ai suoi occhi.
Lo stesso vuoto cui la ragazza di vetro soffriva e piangeva.
 
 
Siamo una fiala, siamo solo l'orma
del primo soffio che ci ha dato forma.
È il fantasma dell'innamoramento
che ci riempie e ci svuota.
È come un vento.
   
 
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